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Autore: Annette85    26/04/2011    6 recensioni
Da giorni ormai il tempo non accennava a migliorare: la pioggia cadeva senza sosta e non sembrava voler lasciare il posto al sole.
Le tribune del campo di Quidditch, come il resto del prato, erano inzuppate di acqua, ma lui sembrava non curarsene. Si era seduto nel posto che era solito occupare durante le partite [...]

Storia partecipante al contest La Coppa delle Case – Fidelity Card indetto da Only sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaise Zabini, Pansy Parkinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Nota: Questa storia è stata scritta per il contest La Coppa delle Case – Fidelity Card, indetto da Only sul forum di EFP. La mia storia si basa su una delle due tracce proposte alla mia Casa, Corvonero: Blaise Zabini e un altro Serpeverde; "A certe persone farebbe bene se potessero allontanarsi da se stesse." (Seneca); Campo di Quidditch; Fotografia magica.
Ci tengo a sottolineare che, a causa di un blocco, non ho scritto per un po', quindi probabilmente questa storia sarà priva di ogni senso logico, i personaggi saranno OOC, lo stile farà schifo e non avrò usato la citazione e il resto nel modo corretto u.u
Comunque, passando a cose più... serie: ho pensato a un Blaise un po' in conflitto con se stesso e con sua madre (di cui abbiamo notizia nel sesto libro), taciturno, poco incline a confidarsi con qualcuno, ma che può trovare in Pansy una ragazza diversa da quella che prende sempre in giro chi non è come lei, una ragazza in qualche modo sensibile. Probabilmente è proprio su Pansy che sono andata OOC XD Ma spero comunque che l'abbozzo di coppia possa piacere^^
E dopo questa nota corposa, vi auguro buona lettura, finalmente XD


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Meno solo

Da giorni ormai il tempo non accennava a migliorare: la pioggia cadeva senza sosta e non sembrava voler lasciare il posto al sole.

Le tribune del campo di Quidditch, come il resto del prato, erano inzuppate di acqua, ma lui sembrava non curarsene. Si era seduto nel posto che era solito occupare durante le partite, quando tifava per il Serpeverde, la sua Casa, e da lì, nonostante la pioggia fredda e battente, non si era più mosso.

Tra le mani stringeva ancora la lettera che aveva ricevuto quella stessa mattina, quando un gufo dalle piume tutte arruffate a causa dell’acqua era atterrato davanti al suo piatto dorato ricolmo di pancetta. Non riceveva molta posta, quindi era stato semplice intuire chi fosse il mittente: sua madre. La sua bellissima madre, vedova di sette mariti, uno più ricco dell’altro.

Non aveva mai approvato realmente lo stile di vita di lei, si era sempre limitato ad adattarsi alla situazione, senza battere ciglio, come se le cose gli scivolassero via; in realtà non aveva mai sopportato neanche uno dei mariti che avevano varcato la porta di casa dopo suo padre. Non che si ricordasse molto di lui, in fondo, quando era morto, Blaise aveva poco meno di due anni, ma era più che sicuro di aver ereditato il suo carattere e immaginava perfettamente cos’avrebbe potuto dire vedendo quel via vai in casa propria.

Sospirò e alzò gli occhi a guardare il cielo grigio, sfidando le gocce sottili di pioggia che gli sferzavano il viso. La sua mente si svuotò all’istante, come se quell’acqua potesse lavare via anche ciò che aveva dentro: le preoccupazioni, i sentimenti contrastanti che provava in quel momento e, cosa più importante, il testo della lettera che sua madre gli aveva scritto.

Il testo era infarcito di "io... io... io...", non si era curata minimamente di chiedere come stesse suo figlio. Non che a lui cambiasse di molto la vita, però, ogni tanto, gli avrebbe fatto piacere che sua madre si fosse preoccupata un po' anche per lui. O almeno che avesse dimostrato di interessarsi alle sue opinioni, soprattutto quando si trattava di sposare un altro uomo.

Qualche tempo prima, in biblioteca, aveva letto in un libro una frase, “A certe persone farebbe bene se potessero allontanarsi da se stesse”, e aveva riflettuto a lungo, forse per la prima volta, su ciò che pensava realmente di sua madre. Quella frase calzava a pennello, soprattutto quando la megalomania di lei lo schiacciava e lo opprimeva, chiedendosi come facesse il suo ego a non piegarsi o scalfirsi. Ed era arrivato alla conclusione che non solo avrebbe dovuto allontanarsi da se stessa, ma anche da quel mondo dorato che si era creata.

«Mi stavo chiedendo dove fossi finito», una voce familiare gli arrivò da lontano, come se la pioggia avesse ovattato qualsiasi suono, perché non si era accorto minimamente che qualcuno gli si fosse avvicinato.

Si voltò lentamente alla sua destra, guardando il suo interlocutore. «Alla fine mi hai trovato», rispose glaciale dopo qualche istante. Forse aveva detto una cosa banale e scontata, ma non aveva molta voglia di parlare con qualcuno. Soprattutto non con lei.

«Certo che sai nasconderti proprio bene», rise mentre si sedeva al suo fianco, sulla panca inzuppata d’acqua.

«Pansy», sospirò stanco. «Cosa vuoi?» chiese concentrando tutta la sua attenzione sui pali delle porte.

«Vuoi la risposta ufficiale o quella ufficiosa?» domandò di rimando lei, come se quel gioco la stesse divertendo un mondo.

«Rispondi e basta», disse con una nota di ira nella voce.

«Ok, non arrabbiarti», cercò di scusarsi. «Ti stavo cercando perché in classe, all’ultima ora, ti è caduta questa», rispose finalmente, porgendogli una foto consumata dal tempo.

I tre personaggi si muovevano ancora sulla patina ingiallita dal tempo: un bambino di poco più di un anno stringeva tra le mani un elfo di peluche, mentre suo padre cercava in tutti i modi di fargli salutare verso l’obiettivo della macchina fotografica, ma falliva miseramente qualsiasi tentativo, e sua madre gli sistemava il mantello nuovo sulle spalle.

«Grazie», rispose controvoglia, prendendo in fretta la fotografia e infilandosela in tasca.

Restarono così, in silenzio, per svariati minuti. Pansy continuava a torturare un filo della gonna e guardava di sottecchi, di tanto in tanto, il ragazzo accanto a sé. Per tutta risposta, Blaise non degnava di un’occhiata la compagna di Casa, anzi, se possibile, cercava di ignorarla ancora di più.

«Tuo padre è veramente affascinante», Pansy ruppe il silenzio che era sceso tra loro. «Penso che dal momento in cui hanno scattato quella foto a oggi non sia cambiato molto».

«Difficile da dire, visto che sotto terra non guardano molto a queste cose», rispose seccamente, pentendosene subito dopo, perché la ragazza, come molti altri, non sapeva granché di lui.

«Oh», sussurrò abbassando lo sguardo sulle tavole di legno che facevano da pavimento alle tribune. «Mi dispiace... non lo sapevo».

Blaise le poggiò una mano sulla spalla: «Non preoccuparti», cercò di sorridere. «Non è una cosa che racconto a chiunque».

«Beh, per quello che vale adesso», iniziò pensando bene a come esprimere il pensiero che le era venuto in mente. «Se hai bisogno di parlare, puoi contare su di me. Sono una brava ascoltatrice».

Il giovane si meravigliò di quella proposta, soprattutto che a farla fosse proprio una che sembrava non sapere mantenere neanche i propri segreti.

«So cosa stai pensando», aggiunse quando notò lo sguardo sorpreso che già aveva visto a molti altri. «So che con i miei atteggiamenti posso sembrare una pettegola, ma non è così. Se una persona a cui tengo mi confida qualcosa o ha bisogno di sfogarsi con qualcuno, può sempre contare su di me».

Un tuono proruppe poco lontano dal campo di Quidditch, annunciando che la pioggia caduta fino a quel momento sarebbe stata solo un decimo dell’acquazzone che si sarebbe scatenato di lì a poco. Pansy strinse gli occhi e si portò le mani alle orecchie, facendo attenzione a coprirsele per bene finché il tuono non fosse passato.

«Tutto a posto?» chiese Blaise un po’ preoccupato.

«S-sì...» cercò di rispondere Pansy, ancora un po’ scossa dal tuono.

«Non c’è da vergognarsi se hai paura dei temporali», disse comprensivo.

«Non ho paura dei temporali, semplicemente non mi piacciono», si infiammò, riprendendo lucidità.

«Che ne dici se rientriamo? Così evitiamo tutti e due un malanno», propose Blaise prima che lei potesse attaccarlo ancora.

«Sarà meglio», concluse Pansy alzandosi il più velocemente possibile, in modo da tornare al castello senza dover restare un altro secondo all’aperto.

Il ragazzo la aiutò a prendere le sue cose e si avviarono insieme verso la scala che portava al prato sottostante. Non sapeva bene come o perché, ma quando lei aveva accennato al fatto che per le persone a cui teneva c’era sempre, qualcosa era scattato dentro di lui, come se quelle semplici parole avessero aperto una porta per troppo tempo chiusa.

Era come se, per la prima volta, qualcuno gli dimostrasse di essere meno solo al mondo e volesse stargli vicino senza ricevere nulla in cambio.

   
 
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