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Autore: Tati Saetre    26/04/2011    11 recensioni
Tratto dal primo capitolo:
“Se sei così sicura perché ogni venerdì ti ostini ad andare a cena in quel Pub?”... “Per l’ottima cucina!” Angela sorrise, lisciandosi la coda che si era fatta in basso a destra.
A chi volevo darla a bere? Tutti sapevano – e quel tutti includeva me ed Angela -, che ogni venerdì andavo in quel Pub per vedere lui.
Era stato una specie di colpo di fulmine, proprio dritto al cuore.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Edward



Ve l’avevo detto che non avrei aggiornato prima di Pasqua ùu

Sono felicissima di sentire nuove lettrici *-* e vedere che la storia è seguita. Questo mi fa un enorme piacere. Vi lascio al capitolo, non aggiungo altro.

E aspetto i vostri commenti ;D

krisbianislove su twitter.

Yeah Efp su face book.

 

____

 

 

Appuntamento con Isabella Swan

 

 

 

 

 

Edward

 

“E quindi hai un appuntamento con Isabella?”

Guardai mia sorella con disappunto, continuando a mangiare la torta al cioccolato fatta da mia madre.

Non avevo un appuntamento con Isabella Swan.

Accompagnarmi a scuola non era un appuntamento. Era un passaggio.

“No. Certo che no.” Spiegai, trangugiando un’altra fetta.

“Io dico che tu hai un appuntamento con Isabella.”

Alzai gli occhi al cielo, questa volta non degnandola di una risposta.

Infondo era sempre così: lei inizia con le sue supposizioni, e finché non le davo ragione continuava fino allo sfinimento. “E tutto grazie a me!” Alice batté la mani euforica, facendo cadere il cucchiaino con cui stava mangiando i cereali dritto nella tazza di coccio.

“Come?”

“Se io non me ne fossi andata, Isabella non ti avrebbe accompagnato. Ovvio. Tutto questo grazie a me.”

“O grazie alla mia Volvo che ora è in sala operatoria.” Specificai, pensando alla mia povera piccolina.

Una settimana. Ancora una settimana e l’avrei riavuta con me.

Dovevo soltanto pazientare.

“Non direi. Tutto questo è grazie a me.”

“Alice,” presi un profondo sospiro, guardandola dritto negli occhi. “Tutto questo, cosa? Isabella molto gentilmente verrà a prendermi, per accompagnarmi a scuola. Poi tornerà qui, nella sua. Non succederà un bel niente.”

“Sì, questo raccontalo a Tanya.”

Dio! Mi ero completamente dimenticato di Tanya!

Non doveva assolutamente scoprire quello che stava succedendo.

Lei non mi avrebbe mai accompagnato fino a La Push.

Ma non doveva sapere di Isabella. Per niente al Mondo.

“Soltanto io, te e Isabella sappiamo di questo appuntamento barra passaggio. Io cercherò di non aprire bocca con nessuno, se non con Angela. E forse anche con Jasper.”

“Sei insopportabile!” Spostai la sedia, alzandomi e dirigendomi al piano di sopra, per lavarmi i denti.

Non avevo calcolato che la piccola nana mi avrebbe seguito.

Dai, lo sai che devo parlarne con qualcuno!”

Sospirai, aprendo l’acqua del rubinetto e mettendo un po’ di dentifricio sullo spazzolino blu.

Inizia a strofinare bene, togliendo ogni residuo della torta al cioccolato.

“E poi di Angela posso fidarmi. E anche di Jasper, lo sai.”

Scossi la testa, ormai rassegnato.

Se doveva per forza parlarne con qualcuno, tanto valeva che lo facesse con la sua migliore amica ed il suo fidanzato.

Povero Jasper.

“Fai quello che vuoi. Basta che la voce non arrivi a Tanya. Non ho voglia di sorbirmi tutte le sue lamentele. E non ho nemmeno voglia di darle spiegazioni.

Alice sorrise, continuando a mangiare i cereali che si era portata dietro.

“Va bene. Hai un appuntamento con Bella Swan!” Aggiunse poco dopo, continuando la sua cantilena finché non udimmo il suono di un clacson provenire da fuori.

“Oh mio Dio! E’ arrivata!”

Come poteva essere così euforica? Dio, proprio non riuscivo a capirla.

Anzi, non riuscivo a comprendere come facesse ad essere mia sorella.

Non ne avevo idea.

“Alice, mi raccomando.”

“Sì, non preoccuparti. Ne farò parola soltanto con Angela e Jasper, raccontando a tutti e due nei minimi dettagli questo appuntamento.

“Alice!” L’ammonii, posandole un bacio sulla testa.

Poi mi voltai, uscendo definitivamente da quella casa.

 

Il pick up rosso sostava momentaneamente sul vialetto.

Avevo intravisto Isabella appena ero uscito, che picchiettava le dita sul volante.

Sembrava agitata.

Scossi il capo, pensando che quella peste di mia sorella mi aveva messo tremila strane idee in mente.

Riuscii ad aprire la portiera di quella vettura dopo qualche insistenza, e poi rivolsi alla ragazza dinnanzi a me un sorriso a trentadue denti.

“Isabella.” La salutai, posando lo zaino dietro.

“Edward. Buongiorno.”

La sua voce era roca, segno che ancora aveva sonno.

Ovvio, si era dovuta alzare prima per passarmi a prendere.

Mi sentivo un perfetto approfittatore.

Certo, lei era così carina e gentile ma…

Carina. Non avevo mai pensato ad Isabella in questo modo. Okay, era una bella ragazza, non c’è che dire.

Un corpo snello ma non troppo perfetto. Insomma, le curve giuste al punto giusto.

Questa volta la testa la scossi più energicamente, mandando via tutti quei pensieri strani.

Dio, certo! Era tutta colpa di Alice!

“Dormito bene?” Mi domandò, cercando di smorzare tutta quella tensione che si era creata.

“Benissimo, per quel poco che ho dormito. Stamattina devo consegnare una tesina su Romeo e Giulietta. Risposi, pensando al professore di letteratura e a quella scocciatura di tesina che ci assegnava ogni mese.

Tutto sul Mondo Shakespeariano, ovviamente.

“Tu?” Chiesi con gentilezza, notando che ero davvero interessato alla risposta che mi stava per dare.

“Non molto bene. Ho pensato tutta la notte alle parole di Jacob.

Mi domandai cosa le avesse detto Jacob.

Sicuramente le aveva parlato della sua cotta.

“Jacob?” Feci finta di non conoscere tutto quello di cui avevano parlato.

Ed era vero.

Io conoscevo soltanto la versione di Jake.

“Oh. Scusa, non dovevo parlartene.”

“Se vuoi, puoi dirmelo. Insomma, non voglio forzarti.” La curiosità mi stava uccidendo, ma non ci pensai.

“Non preoccuparti. Non è un problema. Sei il suo migliore amico, e te l’avrebbe detto lo stesso.

Iniziò a raccontarmi di tutto quello di cui avevano parlato il pomeriggio precedente.

Delle intenzioni di lui, e dei buoni propositi di lei.

La stetti ad ascoltare in silenzio, beandomi del suono della sua voce.

Era dolce e soave, non come quello di tutte le ragazza che conoscevo.

La maggior parte di loro sembravano delle galline, quando mi rivolgevano la parola.

E poi la guardai, notando il turbamento nella sua voce e gli occhi stanchi e lucidi.

Doveva anche aver pianto per la metà della notte.

Sospirai, pensando a tutto quello che aveva fatto.

Anche se era stanca e sarebbe potuta rimanere a letto riposandosi, era uscita anche prima per passarmi a prendere.

Quando imboccò la strada per La Push, decisi di bloccarla.

“Aspetta, aspetta!” Frenò di colpo, e quasi non ci schiantammo.

Sei matto, o cosa?!” Non l’avevo mai sentita sbraitare, o almeno alzare la voce.

Ed aveva tutte le ragioni del Mondo.

“Scusa.” Sussurrai, in preda all’imbarazzo.

Cosa diamine mi era passato per la testa?

“Scusa tu.” Disse appena, buttandosi con la schiena sul sedile.

Forse la mia idea non era poi così magnifica come pensavo.

“Hai qualche materia di importante stamattina?”

Mi guardò interrogativo, non capendo neanche cosa le avessi chiesto. “Vorrei portarti in un posto.” Mi sentivo totalmente un idiota patentato.

“Io e te?” Sorrisi, scuotendo la testa.

“No. Io e il pick up. Tu puoi tornare indietro a piedi.”

Mi tirò un pugno, ma non troppo forte.

“E tu non dovevi consegnare la tesina su Romeo e Giulietta?”

“Il professore non se la prenderà. E non nuocerà alla mia media scolastica.”

Lei mi guardò fisso negli occhi, alzando un sopracciglio.

“Va bene. E non nuocerà neanche alla mia ora di Educazione Fisica.

Risi di gusto. Alice mi aveva accennato che Isabella non era molto portata per lo sport.

“Scendi.”

“Come?” Mi guardò, sbalordita dalla mia richiesta.

“Ti devo portare in questo posto. E tu non sai dove andare.”

“Puoi sempre indicarmelo.” Alzai le sopracciglia contemporaneamente, mentre lei con uno sbuffo scendeva dal pick up.

“Tratta bene la mia macchina.”

“Non ti preoccupare, ho le mani d’oro.”

 

Il posto era proprio dove lo ricordavo.

Erano anni che dovevo andarci, forse da quando avevo cambiato scuola.

Andavo lì per lo più per rilassarmi, e per pensare.

Mi piaceva ascoltare il cinguettio degli uccelli, e sentire l’erba fresca sotto le mia dita.

Ma la cosa che adorava di più di quel posto, era la cascata.

Non troppo grande, ma uno spettacolo della natura. Lo scrosciare dell’acqua mi destabilizzava i sensi.

C’ero andato sempre da solo, ed ci stavo portando Isabella.

Saltando così un giorno di scuola.

“Siamo arrivati!” Annunciai, posteggiando il pick up in una piazzola.

Inutile dire che tutt’intorno a noi c’erano alberi e cespugli.

“Ho capito!” Sussurrò appena, mentre i suoi occhi iniziavano a sgranarsi pian piano.

Diamine, non era possibile! Come poteva esser già stata in quel posto? Non lo conosceva quasi nessuno!

“Mi vuoi uccidere. E poi seppellire il mio cadavere qui.” Spiegò cautamente, ma con una nota di divertimento.

Questa volta la botta sul gomito gliela diedi io, mentre lei si massaggiava la parte lesa.

Sospirai. “Ora capisco perché sei amica di ma sorella.” Alzai gli occhi al celo, e scesi dalla macchina.

Aspettai che scendesse anche lei, e poi la guidai.

Non si mosse.

“Che c’è? Hai cambiato idea? Vuoi andare a scuola?” La bombardai di domande.

“Uno, non ho cambiato idea. Due, non voglio andare a scuola. Tre, io non faccio trekking.” Sospirai silenziosamente, senza farmi notare.

“Non dobbiamo fare trekking. Soltanto camminare per qualche metro.”

“Appunto.” Sussurrò, abbassando la testa imbarazzata.

“Okay.” Sorrisi, avvicinandomi a lei.

“Torniamo indietro?”

“No.” Risposi tranquillamente, issandola sulle mie spalle.

“Edward! Cosa stai facendo?”

“Tu non vuoi trekking, ed io voglio portarti in questo posto. Tanto vale che cammini per tutti e due.”

“No!” Obbiettò, cercando di darmi qualche colpo sulla schiena.

Tutto inutile, visto che pesava pochissimo ed io ero anche più forte di lei.

Camminai per qualche metro, mentre Isabella smise di darmi pugni e dimenarsi.

Quando arrivai, la riposi con i piedi per terra.

Sei impossibile!” Obbiettò, puntandomi un dito contro.

“Stai zitta.” Dissi, scuotendo la testa con un sorrisino di vittoria.

Aprii il passaggio – formato da qualche foglia e qualche cespuglio -, e poi le feci segno di entrare.

“Forse vuoi uccidermi davvero.” Mi sorpassò, entrando nella radura.

Presi posto vicino a lei, ed inizia ad osservarla.

I suoi occhi erano sgranati, e la bocca formava una O muta.

“Oh mio dio.” Sussurrò appena, quasi che non riuscii a sentirla.

“Ti piace?” Sorrise, posando il suo sguardo su di me.

“Se mi piace? Oh, Dio! Edward è bellissimo!”

Entrò del tutto nella radura, ammirandosi intorno.

Raccolse qualche fiorellino, e poi si avvicinò alla cascata. Mise una mano dentro per sentire l’acqua, ma poi la ritrasse immediatamente.

“E’ congelata.”

“Siamo in Ottobre.” La informai.

“E a Forks.” Aggiunse poco dopo.

Purtroppo non c’era il sole, e quindi lo scenario non era del tutto meraviglioso.

Con il sole e la luce, faceva tutt’altro effetto.

“Come hai scoperto questo posto?” Chiese poco dopo, sedendosi a gambe incrociate davanti alla piccola cascata.

“Qualche anno fa.” Spiegai, prendendo posto vicino a lei. “Stavo andando a La Push, e la mia Volvo mi ha abbandonato. Una delle tante volte. Era una bella giornata, e chiesi ad Alice se poteva passarmi a prendere. Ovviamente sai qual è stata la risposta.” La vidi sorridere.

“Allora chiamai a Jacob. Mi disse che aveva un impegno e sarebbe passato non prima di venti minuti. Cosa potevo fare in venti minuti, con un sole accecante e chiuso nella mia Volvo? Così iniziai a fare una passeggiata. E scoprii questo posto. Da quel giorno ci vengo qualche volta, quando voglio stare solo. Ma era da qualche anno che dovevo ritornare.

Mi guardò confuso.

“Perché?”

“Sai, con la scuola e tutto il resto…”

“No. Perché ci sei venuto oggi, con me?”

Ecco, bella domanda Isabella.

L’unica domanda che non doveva farmi.

“Non lo so. Siamo passati da questa parte, e mi è venuto in mente.

Nessuno riusciva a sviare i discorsi meglio di come facevo io.

“Oh.”

Continuammo a stare in silenzio, godendoci il paesaggio.

Volevo che godesse appieno di tutta quella meraviglia della natura. Anche se poteva tornarci ogni volta che ne aveva voglia.

“Edward, posso farti una domanda?”

Come se avesse dovuto chiedermi il permesso.

“Certo.”

“Sei liberissimo di non rispondermi.”

Sorrisi, lasciandola continuare.

“Dov’è tuo fratello Emmett?”

Questa volta rimasi in silenzio, per più di qualche minuto.

“Scusa. Non dovevo.” Disse infine, abbassando la testa.

“No. Non preoccuparti.”

Presi un bel respiro. “Emmett è al college. In Alaska.”

“In Alaska?”

La curiosità uccise il gatto, Isabella.

“Già.”

Non continuai, sperando che la finisse lì.

E infatti fu così.

Non mi chiese più niente, intuendo che non volevo più rispondere alle sue domande.

“E’ complicato. E ancora non ho voglia di parlarne.”

“Non è un problema.” Posò la sua esile mano sul mio braccio.

Dio, era così piccola e fragile.

La guardai, notando che le sue gote si erano arrossate e una ciocca di capelli penzolava sulla guancia.

Istintivamente la presi, riportandola dietro il suo orecchio. Lo strato di pelle che avevo toccato in quell’istante ardeva.

Decisi di prolungare quell’istante, e invece di ritirare la mano indietro la posai sulla sua guancia. Questa volta per più di qualche secondo.

“Edward.” Il suo fu un sussurro appena percettibile.

Appena percettibile, perché lo bloccai sul nascere posando le labbra sulle sue.

Un bacio appena accennato, casto.

Chiusi gli occhi, soltanto per un breve istante. E poi mi ritrassi.

Lei gli aveva spalancati. Ed era rimasta così, immobile.

“Scusa.” Sussurrai, rendendomi appena conto di quello che avevo fatto.

L’avevo baciata.

Per Dio, come mi era saltato in mente?

Doveva soltanto accompagnarmi a scuola. Ed eravamo finiti lì, in quella radura ed io l’avevo appena baciata.

Si passò una mano nei capelli, riavviandoseli.

Poi, sospirò.

“Che ore sono?” Presi il cellulare dalla tasca, notando appena che avevo ricevuto due messaggi.

“Le dieci.”

Due ore. Due ore che eravamo in quel paradiso.

E che io, in un solo istante avevo trasformato in un inferno.

“Vogliamo andare?”

Senza dire niente l’assecondai, alzandomi e aspettandola.

Questa volta camminò per tutto il tragitto, cercando di non inciampare  cadere.

Cosa che successe molte volte, perché riuscii a prenderla prima che accadesse almeno tre volte.

“Puoi guidare tu, se vuoi.” Sussurrò, aspettando che aprissi la portiera del passeggero per farla entrare.

Quando entrai anch’io, contai fino a dieci prima di mettere in moto.

“Vuoi venire con me in un posto?” Domandai, giocandomi il tutto per tutto.

“Dove?”

“A prendere un caffè.”

La vidi annuire, e poi ingranai la marcia.

Forse aveva ragione Alice.

Quello era un appuntamento con Isabella Swan.

   
 
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