C’era una
volta una donna, regina e strega, che comandava un
regno vastissimo. Tutti la temevano e le obbedivano senza discutere,
perché lei ci metteva poco a condannare a morte la gente.
Viveva nel
suo castello oscuro e misterioso, servita da uno stuolo di servi,
piccole persone patetiche buone soltanto a obbedire
agli ordini. La gente nei villaggi mormorava che odiasse a morte il
genere umano solo per il gusto di farlo, senza un motivo
preciso, e che non sopportasse i sentimenti e le lacrime delle vittime
che lei giustiziava con le sue stesse mani.
Tutti sapevano che
la regina-strega non aveva altri al mondo all’infuori di un gatto nero dagli occhi
d’argento, che le era stato accanto fin dalla nascita. Non aveva amici.
Nessuno, d’altra parte, avrebbe
potuto diventarlo. La sua Conoscenza era troppo grande e troppo profonda per chiunque.
Non si sapeva da dove arrivasse questa
donna splendida e terribile, sadica eppure ammaliante. Doveva
esserci sempre stata. I servitori riferivano che non faceva altro che stare chiusa
nelle sue stanze a leggere polverosi libri di antica
magia perduta; e tutte le notti passeggiava nel parco del castello, e rimaneva ore e
ore immobile a contemplare la luna.
Era un mistero.
L’unica cosa certa era che lei suscitava sentimenti contrastanti: le donne la odiavano e la
compativano, gli uomini l’adoravano e la fuggivano.
Se la strega avesse
saputo queste cose la sua ira sarebbe stata senza
pari…essere compatita e adorata dagli umani?! Quegli stessi maledetti
umani che avevano causato la sua rovina e che invocandola si erano procurati un terribile tiranno
che per vendetta li distruggeva succhiando via da loro il sangue, l’anima, ogni singola
goccia di umanità, fino a ridurli a delle
bestie dissennate?
La regina ardeva
d’ira ogni giorno della sua vita, ogni volta che
i suoi occhi si posavano su un essere umano.
Provava uno
strazio incommensurabile, una furia ultraterrena, velenosa,
letale.
Soltanto le
notti riuscivano a salvarla dall’abisso senza fine in cui si sentiva cadere
da secoli. La luna era la sola cosa che potesse lenire
un poco il dolore che la donna provava costantemente fin da Quel Giorno.
Una triste
melodia le riempiva l’anima dilaniata. Nel suo cuore ardeva una
fiamma nera, che le rodeva dentro e la faceva sentire vuota e disperata. Era quella fiamma a spingerla
ad uccidere, a godere del male che le sue mani potevano
causare.
Quella fiamma
si era accesa il giorno in cui era arrivata sulla terra. Da straniera. Sola. Impaurita.
Lei apparteneva al
Cielo. Ne era stata strappata e voleva
disperatamente ritornarci.
La notte in cui
un uomo e una donna l’avevano invocata tagliandole le ali,
la sua vita era finita.
L’Odio le
aveva invaso
ogni più piccola parte dell’anima, lei si era vista
costretta a vivere prigioniera di un mondo ostile e cattivo, e il
Cielo l’aveva dimenticata, diventando irraggiungibile.
E così, quando la nostalgia si faceva insopportabile,
la fiamma nera la spingeva ad uccidere e a gioire nella strage, nel lutto, nella disperazione.
E dentro di sè
piangeva, e tutto ciò che di nobile e Celeste ancora albergava in lei
si dibatteva senza fine.
Era un suo
diritto odiare dal profondo il mondo che la teneva legata a sé.
E non poteva fare nulla per non obbedire all’Odio
annidato nel suo cuore. Era condannata, e lo sapeva, e non voleva
esserlo, e per questo l’Odio si accresceva e la corrompeva sempre
di più. E la voglia di riunirsi al Cielo
diventava sempre più forte, e la melodia della sua anima sempre
più struggente. E la sofferenza sempre
maggiore.
Ma questo non lo sapeva nessuno.
Ho scritto questa piccola
storia in un momento in cui ero molto molto molto arrabbiata…tengo a
precisare che NON è autobiografica, anche se a volte penso di
si…diciamo che è una proiezione mentale! Spero che vi piaccia,
recensite!!!!