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Autore: Evazick    27/04/2011    2 recensioni
(Seguito di "I fell apart, but got back up again". Ultima storia di questa serie!)
"Improvvisamente e lentamente allo stesso tempo, i miei ricordi iniziarono a disfarsi e a cadere nel buio che stava avvolgendo la mia mente, come le tessere di un puzzle quando vengono riposte nella loro scatola. Ma quelle immagini non cadevano in un posto da dove potessi recuperarle in seguito: finivano nel vuoto, nell’oblio, dove non sarei mai più riuscita a ritrovarle. Vidi sparire mia madre che mi abbracciava e mi scarruffava i capelli quando erano ancora lunghi, la mia amica JoJo che mi tirava un cuscino addosso, Simon che mi sovrastava con la sua pistola in mano, io in volo con le mie ali nere, Slay che si preparava ad uccidermi, Bubble Tower chino sulle sue apparecchiature, Grace che correva e rideva, Frank e Gee durante la ricognizione, Mikey e Ray che sparavano, Joshua che mi stringeva forte a sè per consolarmi...
Joshua."
(AU! Killjoys, make some noise!)
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Nuovo personaggio, Ray Toro
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Eve.'
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A new start.

 

Passarono due lunghi giorni prima che la porta della mia stanza si aprisse di nuovo, lasciando entrare aria pulita e un po’ più di luce. Le ultime volte si erano limitati ad aprirla quanto bastava per far passare il cibo, e non mi era stato permesso di uscire. E per quanto riguardava i miei bisogni fisici…

Bè, meglio tralasciare.

Dico solamente che per fortuna avevo più lenzuola a mia disposizione.

Non appena entrò più luce del solito, mi coprii gli occhi con una mano e ci misi un paio di minuti ad abituarmi: avevo passato le ultime quarantotto ore in un buio crepuscolare, e l’ondata di luce che entrò di colpo nella stanza mi fece lo stesso effetto che avrebbe fatto a un vampiro. Gemetti lievemente e mi misi a sedere sul letto dove stavo dormendo fino a poco prima.

“Ehi, tutto okay?” mi chiese qualcuno entrato dentro la stanza. Ancora mezza stordita, mi voltai verso la voce: un ragazzo si era avvicinato alla finestra con un martello alla finestra coperta di assi e le stava levando una ad una staccando i chiodi e facendoli cadere a terra in un tintinnio metallico. Si voltò verso di me e mi sorrise. “Non ha senso lasciarti ancora al buio, non sei mica morta.”

“Uh… grazie,” mormorai quasi imbarazzata e confusa dall’allegria che emanava dalla sua faccia e da ogni suo singolo gesto. Lui si voltò di nuovo verso la finestra e levò l’ultima asse, impilandola sopra le altre: adesso la stanza era completamente illuminata e di sicuro era più accogliente di quel buco oscuro che era prima. Appoggiò il martello sopra la pila di assi e si avvicinò a me: quando arrivò a pochi centimetri dal letto, tese la mano destra. “Bentornata, Eve,” mi disse con un altro sorriso. Rimasi sconvolta dall’allegria e dalla vita che riusciva a scaturire da un gesto così piccolo, e tutto quello che potei fare fu stringergli la mano e pensare Anche lui con questa storia che ero una Killjoy? Ma si sono messi tutti d’accordo?

“Immagino che non ti ricordi nemmeno come mi chiamo,” continuò.

Frugai nella poca memoria che mi era rimasta. “Tu sei… uhm… com’era… il Diavolo del Divertimento? Fun Ghoul?” tirai ad indovinare.

Un lampo di tristezza passò velocemente nei suoi occhi verdi, ma ripresero quasi subito la loro vitalità. “Già, indovinato,” confermò con un sorrisetto a metà tra il soddisfatto e il malinconico. “Come facevi a saperlo?”

“C’era scritto sulla tua scheda. Alla Better Living.”

Mi guardò un attimo confuso, poi capì a cosa mi riferivo. “Oh, giusto.” Fece una mezza risata e borbottò tra sé e sé: “Dicono di essere tanto perfetti e poi sbagliano anche i nostri nomi…”

“Cosa?” gli chiesi confusa.

“Niente. Lo capirai se riuscirai a recuperare la memoria,” mi disse. Improvvisamente, come se se ne fosse ricordato soltanto adesso, si sedette con delicatezza accanto a me e iniziò a frugare nelle tasche del giacchetto di pelle mentre mi parlava senza guardarmi. “A proposito… dovrai restare con noi finchè non l’avrai recuperata.”

COSA?! Deglutii. “Stai scherzando.”

“Per niente,” replicò freddo senza smettere di cercare e senza degnarmi di uno sguardo. “Sai, anche il Diavolo del Divertimento può essere serio, qualche volta.”

“Ma…”

“Avevi altri progetti?” Si fermò per un attimo e lo sentii deglutire, come se stesse buttando giù le lacrime. “A parte ucciderci, intendo.”

“No, ma…”

“Perfetto. Allora rimanere qui con noi non ti farà male. Ah, eccolo.” Da una piccola tasca laterale estrasse un oggetto nero, poi si voltò di nuovo verso di me. Osservai cosa aveva in mano: era una fascetta di gomma nera, con un piccolo quadratino grigio che somigliava vagamente a un chip.

“È un trasmettitore,” mi disse Fun Ghoul come se mi avesse letto nel pensiero. Tese la mano sinistra. “Se mi dai il braccio te lo metto.”

Allontanai il mio braccio destro, quello più vicino a lui. “Perché dovrei?”

Sospirò. “Perché è tutto già abbastanza difficile, e se tu non collabori la situazione non migliorerà.”

“La mia o la vostra?”

Mi gelò con lo sguardo. “Entrambe.”

Rimanemmo immobili per qualche momento, poi, riluttante, tesi il mio braccio destro verso il ragazzo. Lui mi arrotolò delicatamente la manica della giacca bianca, diede un veloce sguardo triste e incazzato alle mie cicatrici, e mi infilò il trasmettitore come se fosse un braccialetto, facendolo salire sempre più su lungo il braccio finchè non arrivò dieci centimetri sotto la mia spalla. “A che serve?” chiesi al moro mentre finiva di sistemarlo.

“In pratica ci dice sempre dove sei e quanto sei lontana da noi. Più di mezzo chilometro e puoi considerarti nei guai.” Rimase un momento in silenzio e aggiunse: “Ah, e ti sconsiglio di provare a toglierlo. Ti ritroveresti sdraiata sull’asfalto con un paio di scariche elettriche che ti viaggiano sottopelle.” Srotolò la manica e la rimise al suo posto. “Perché mi fate tutto questo?” mormorai.

Mi guardò ferito con i suoi occhi verdi. “Noi non ti stiamo facendo niente, Eve.”

“E perché non posso andarmene, allora?”

“Perché se ci uccidi e te ne vai le cose non miglioreranno. Anzi, peggioreranno di giorno in giorno, e quando recupererai la memoria vorrai ucciderti per quello che hai fatto.”

“Non credo proprio.”

Sorrise amaro. “Le scommesse sono aperte.”

Il silenzio calò per qualche minuto, poi parlai di nuovo. “Fun Ghoul… cosa ci fate quaggiù nel deserto?”

Aggrottò le sopracciglia. “In che senso?”

Ci pensai su un attimo. “Se vivevate dentro Battery City… perché ve ne siete andati? Voglio dire, lì dentro si è al sicuro, senza problemi, senza malattie… è perfetta. Cosa vi ha spinti ad andarvene?”

Il ragazzo rimase in silenzio per qualche minuto e pensai che mi avrebbe ignorata, poi disse: “Tu dovresti saperlo perfino meglio di me, ma non importa.” Sospirò. “Hai ragione, Eve: Battery City è perfetta, non ha neppure un minimo difetto all’esterno, per quanto ne stia cercando uno da anni. Ma il vero problema non è fuori, è dentro: tutta quest’ossessione sulla perfezione e sull’essere felici e tutto il pacchetto di cazzate… è, come dire, il male. Sono così ossessionati dalla perfezione che non si rendono conto che è l’imperfezione ad essere bella così com’è. La perfezione è solamente la maschera di un caos che non accetta di essere sé stesso, ma l’imperfezione è un caos che accetta i suoi difetti e limiti e ci convive, e questo la rende più bella che mai.” Si fermò per un attimo e mi fissò con gli occhi verdi. “Dimmi: distruggeresti qualcosa perfetto per renderlo bellissimo?”

Non capii cosa volesse dire e mi limitai a rimanere in silenzio a testa bassa. Sentii lo sguardo di Fun Ghoul addosso a me per qualche secondo, poi lui si alzò dal letto, andò verso la porta e la aprì, prendendo qualcosa sul pavimento. Quando tornò nella mia visuale chiuse la porta e tornò da me, porgendomi cos’aveva in mano. Presi esitante i vestiti colorati e me li misi in grembo, indecisa su cosa farne.

“Penso che sia meglio che ti lasci da sola mentre ti cambi. Quando hai finito puoi scendere giù,” mi disse. Mi fece un lieve sorriso. “A dopo.” Tornò verso la porta e uscì dalla stanza, chiudendosela alle spalle. Mi aspettai di sentire il familiare rumore della chiave che girava nella serratura, ma non sentii niente.

Drizzai le orecchie. Ancora niente.

La porta non era chiusa a chiave.

Un’ondata di energia mi passò nel corpo: potevo scappare! La porta era aperta, potevo correre nel corridoio e giù per le scale come il vento e non mi avrebbero mai più rivista. Mentre mi alzavo in piedi, però, mi ricordai di quel maledetto trasmettitore: non potevo andare lontano se ce l’avevo addosso, e non potevo nemmeno togliermelo. Mi avvicinai alla parete più vicina e ci appoggiai la fronte, disperata: cosa potevo fare?

E se stessi al loro gioco?

Ci pensai su un attimo: sì, potevo farlo. Potevo rimanere con i ribelli abbastanza a lungo finchè non si fossero fidati di me, poi li avrei convinti a togliermi il trasmettitore e a quel punto me ne sarei andata. Nel frattempo, dovevo anche trovare il modo per comunicare con Korse e dirgli qual’era la mia situazione attuale. Sorrisi tra me e me: era un piano perfetto.

Mi avvicinai di nuovo al letto e mi tolsi la giacca e i pantaloni bianchi, appoggiandoli sul materasso e rimanendo in mutande e reggiseno. Afferrai il paio di jeans e la maglia nera con un ragno verde fosforescente sul davanti, e me li infilai, insieme al paio di vecchie Converse viola che vidi vicino alla porta. Quando tornai al letto, vidi altri due oggetti che attirarono la mia attenzione: una cintura con una fondina e una pistola a raggi arancione sgargiante. Mi infilai la cintura e presi in mano l’arma: sull’impugnatura, oltre allo stesso ragno, c’erano incise le lettere che erano anche sul giubbotto di pelle che avevo addosso quando mi ero svegliata alla Better Living, L.B.V. Mi ripromisi di chiedere a qualcuno cosa significassero, e infilai la pistola nella sua fondina. Con un respiro profondo, mi avvicinai alla porta e la spalancai.

Il corridoio era completamente vuoto, e dalle altre stanze non giungeva alcun rumore. Mi chiusi la porta alle spalle e mi incamminai lentamente verso le scale. Passando davanti a una delle altre porte, però, sentii improvvisamente un rumore di passi. Spinta dalla curiosità, mi avvicinai e la aprii: la stanza su cui dava conteneva tre letti e un paio di vecchi armadi, chiusi ma sicuramente utilizzati spesso.

E davanti a me, a torso nudo, c’era Showpony.

Lanciai uno strillo e chiusi velocemente la porta, seguita dall’urlo del ragazzo. “Oddio, mi dispiace, mi dispiace tanto!” esclamai alla porta chiusa. Lo sentii mormorare “Tranquilla, è tutto okay…” e dopo poco la porta si aprì di nuovo, ma stavolta lui aveva addosso una vecchia maglietta azzurra. “Io… io… scusami, è solo che ho sentito un rumore e…”

“Ehi, va tutto bene, non è successo nulla,” mi disse inespressivo. Io non accennai nemmeno a calmarmi e continuai sull’onda dell’isteria, finchè non mi ricordai che, un paio di giorni prima, gli avevo tirato una sonora ginocchiata nei coglioni. Attenendomi al piano del conquistare la sua fiducia, misi da parte l’isterismo e gli chiesi: “E, uhm… mi dispiace anche per quella ginocchiata.”

Lui mi guardò un momento confuso, poi disse: “Stai mentendo.”

Sbarrai gli occhi. “Perché dovrei?”

“Ti conosco bene, Eve. L’unica cosa che volevi fare era uscire da quella stanza, e di sicuro il mio dolore era l’ultimo dei tuoi problemi.” Guardò la mia espressione e aggiunse: “Ma se vuoi, accetto le tue scuse.”

“O… okay.” Era davvero lui lo stesso ragazzo di due giorni prima, quello con gli occhi grigi sul punto di arrossarsi e che mi parlava lentamente e in modo dolce? Come aveva fatto a trasformarsi in quel duro a cui sembrava non importasse niente? Lo osservai meglio dentro gli occhi, e scoprii come c’era riuscito: era la sua armatura, il suo modo per non esternare il dolore che provava. La cosa mi colpì talmente tanto che gli chiesi: “Showpony… stai bene?”

Sussultò un attimo, poi disse: “Certo.”

Annuii e rimanemmo per un momento in silenzio. Mi voltai e feci per scendere giù dalle scale, poi lui mi chiamò. “Eve.”

Mi voltai di nuovo. “Sì?”

Uscì dalla stanza e mi raggiunse. “Potresti… potresti chiamarmi Joshua?”

Fui tentata di chiedergli il perché, ma per sbaglio incontrai i suoi occhi grigi, e lì dentro mi sembrò quasi di vedere scritte le parole Ti prego. Deglutii. “Va bene… Joshua.”

Showpony fece un sorrisetto e scendemmo insieme le scale, raggiungendo il piano di sotto e gli altri ragazzi. A dir la verità, le uniche persone presenti nel salone erano un ragazzo con i capelli di un biondo abbagliante e una bambina di dieci anni con gli stessi capelli matti di Jet Star: Kobra Kid e Grace. Non appena lei mi vide, sbarrò gli occhioni azzurri e si avvicinò al ragazzo, prendendogli la mano e stringendogliela forte come se avesse paura di me. Ci guardammo l’una negli occhi dell’altra finchè il biondo non le diede uno strattone e aprì la porta del Diner. “Forza, Grace, dobbiamo andare,” le disse mentre la portava fuori. Si chiusero la porta alle spalle, ma riuscii a sentire le ultime parole di Kobra Kid rivolte alla bambina.

“Non ti preoccupare, sarà solo per poco tempo. Dopo tornerà tutto come prima, te lo prometto.”

Aggrottai le sopracciglia a quelle strane parole, ma i miei pensieri vennero interrotti dalla voce di Joshua che mi chiamava. Mi voltai verso di lui e lo seguii verso un’altra porta, che dava su un garage caotico e pieno di cianfrusaglie. Mentre mi guardava intorno meravigliata e stupita allo stesso tempo, il ragazzo si infilò dietro un paravento: ne uscì dopo qualche minuto, con addosso la sua tenuta da Showpony e una pistola a raggi fucsia nel fodero della cintura. “Che vuoi fare?” gli chiesi spaventata.

“Tranquilla, non ti voglio uccidere. Voglio solamente vedere quanto sei ancora brava con la pistola,” mi rispose per tranquillizzarmi. Si diresse verso la porta che portava all’esterno e io lo seguii, ma improvvisamente le gambe iniziarono a tremarmi lievemente e fui costretta ad appoggiarmi a uno dei tanti tavoli per rimanere in piedi. Inoltre, avevo la vaga voglia di vomitare. Il ragazzo mi si avvicinò, preoccupato, e mi chiese: “E-Eve? Tutto okay?”

Chiusi gli occhi per un attimo, feci un respiro profondo e mi calmai: la sensazione sparì insieme al tremito. Mi staccai dal tavolo e sorrisi leggermente a Joshua. “Sì. Sì, tutto okay. Sto bene.”

Lui mi guardò non molto convinto, poi lasciò perdere e spalancò la porta, lasciando entrare nel garage il calore e la sabbia del deserto. Lo seguii fuori fino allo spiazzo dietro il Diner: lì si fermò e mi indicò un cespuglio qualche metro più in là. “Colpiscilo in pieno.”

Con un gesto veloce tirai fuori la mia pistola a raggi dalla fondina e la impugnai con tutte e due le mani, nel modo in cui mi aveva insegnato Raphael: chiusi un occhio e mirai con l’altro, facendo poi fuoco. Il colpo rimbombò nel deserto e colpì il cespuglio, ma non nel suo centro. Sparai un altro paio di proiettili, ma il risultato fu sempre lo stesso.

“Dio, come sei imbranata,” mormorò Showpony infastidito con uno sbuffo. “Dai qua.” Allungò le mani verso la pistola che stringevo tra le mani e la prese anche lui con le sue. “Devi tenerla così, vedi? Altrimenti non riuscirai mai a centrare il bersaglio.”

“Okay,” dissi.

“Riprova,” mi ordinò severo. Ma, mentre toglieva le mani dall’arma, la sua pelle sfiorò per sbaglio la mia. Lo vidi arrossire di colpo sotto il sole, e si voltò in modo che non potessi vedergli il volto. “Forza, prova,” disse con la voce che tremava.

Lo guardai perplessa, poi scrollai le spalle e mi concentrai di nuovo sulla pistola.

*
Okay. E' ufficiale, sono sfatta. E' da stamattina che sono alle prese con la lezione di latino e mezz'ora fa ho finito una versione e diciotto fottutissime frasi. Ho ancora un paio di esercizi e ho finito. Ma cavoli, otto versioni e quattro esercizi e più di trenta verbi da tradure per una settimana e mezzo di vacanza mi sembrano decisamente troppi (e a me il latino piace. Ho detto tutto .-.)
LudusVenenum: waaah, leggilo al più presto perchè è stupendo! Effettivamente la versione italiana si chiama "Black Butler" anche se io preferisco il titolo originale... Party Poison è pervertito nel DNA, non ci si può fare niente v.v
Maricuz_M: è quello che dico sempre anch'io, per questo l'ho fatto pensare a Eve XD Sono contenta che tu sia soddsifatta, grazie per i complimenti! :D
Momoka chan: la tua recensione mi ha decisamente risollevato il morale dopo una serata di merda :D Davvero ti è sembrata così profonda? Wow, mi sento una filosofa U.U AHAH Frank sarebbe stato di sicuro geloso XD No, non ho ancora visto Cappuccetto Rosso Sangue, ma è nella mia lista di film da vedere (pure troppo lunga... -.-') Io in colpa per tutto quello che è successo ad Eve? Quando mai! U.U Io fossi in te sceglierei la California del 2019... e io ti seguirei a ruota!
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
#SINGItForJapan <3
  
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