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Autore: piccolalettrice    27/04/2011    8 recensioni
"...Lo fissai sbalordito. Se diceva la verità eravamo in pericolo. Se diceva la verità allora tutti i miei attacchi erano colpa sua. Se diceva la verità Talia aveva fatto bene a fare quello che aveva fatto. Se diceva la verità voleva dire che eravamo stati traditi di nuovo. Se diceva la verità tutte le cose successe negli ultimi tempi avevano trovato un’unica spiegazione: lui."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Solo intuendo'
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SPAZIO AUTRICE:
eccomi qui, questo cap l’ho scritto a tempo di record e non è molto sano di mente... il secondo POV fa un po’ tanto schifo, ma ci tenevo a far vedere la mente delirante di Percy, quindi....
il terzo mi piace abbastanza, il primo è movimentato.
Ma chiudiamo la parte relativa al cap...
Sapete che recentemente sono stata vittima da un’irrefrenabile febbre da contest?
Ecco, girovagando ho trovato un concorso su... *suspance* ... PJ!
Peccato che ci siano pochissimi iscritti (uno, + me che devo iscrivermi a breve) quindi io e il mio egoismo siamo venuti a supplicare voi lettrici (e forse lettori) del fandom di PJ di dargli un’occhiatina veloce... che ne pensate? Ovviamente non siete obbligati era solo un’informazione per chi volesse mettersi alla prova...
Chiudiamo anche questa parte...
Altro da dire?  Non mi sembra
Buona lettura
Piccoalelttrice
Ps. Perché le rec sono drasticamente scese???
Ps n° 2. il nome di questo cap fa schifo lo so, ma le emozioni qui sono varie e tante così ho messo ‘sto titolo idiota, quindi non commentate, lo so che fa vomitare
 
20-  Frullato di emozioni
 
“non ti azzardare a rubare uno di quegli aggeggi infernali!”
“ma, divino Pan, è il modo più veloce!”
“rendono il mondo una fogna!”
“dobbiamo sbrigarci, i segugi infernali seguono la mia essenza caprina!”
Mi guardai intorno, poi appoggiai il vaso per terra, e mi preparai a tirare una doppietta al finestrino della Volvo che avevo davanti, mentre il dio borbottava qualcosa sui “satiri d’oggi”.
“satiro, non farlo, io mi rifiuto di salire sopra ad una biga infern...”
“si chiama auto, divino Pan” dissi, piuttosto scocciato.
Pan era il mio idolo, ma proprio era insopportabile, alle volte.
Ok, l’ecologismo ma così era un po’ eccessivo, no?
“subirai la mia ira quando riuscirò ad uscire da qui, satiro”
“intanto devo spicciarmi a portarti all’Olimpo, e le macchine ad acqua non le hanno inventate ancora, per ciò...”
Sfondai il vetro e prima che qualcuno tra i passanti potesse fare qualcosa mi ci infilai dentro insieme al vaso, giocherellando con i fili di sotto per far partire l’auto come facevano nei film e come riuscivano a fare Luke e Talia... soltanto che era un po’ più difficile di quello che credevo.
“satiro, ti giuro che subirai la mia...”
“la tua ira, lo so lo so, sono anni che Dionisio mi ripete la stessa cosa e il mio fondoschiena è ancora al suo posto”
“come osi...?!”
“un secondo”
Armeggiai con i fili sotto il cruscotto, sentendomi un disinnescatore di bombe da Oscar.
Filo rosso e filo blu o filo rosso e filo giallo? Proviamo a mettere tutto assieme.
“e parti, per le mutande di Zeus!” sibilai, frustrato.
“non per interrompere le tue imprecazioni contro il divino padre degli dei, ma avverto presenze infime qui intorno”
Buttai un occhio fuori dal finestrino e vidi circa una ventina di pitbull che ringhiavano e abbaiavano in direzione della macchina.
“oh oh”
“dovrei preoccuparmi, satiro?”
“ehm, forse sì”
 Ripresi ad armeggiare con i fili...
Uhm, filo rosso con filo blu? Non va.
Oddei, se mi beccano sono fregato, Percy morirà! E con lui, L’Olimpo, Pan, Hilary Duff... e Clarisse!
Clarisse?
Avevo davvero pensato “Clarisse”?!
“non ti sento armeggiare, satiro, devo dedurre di essere in salvo?”
Guardai fuori dal finestrino.
“ehm...”
“sbrigati! Quei segugi infernali hanno fame!”
Ok, filo blu e filo giallo?  Non va, ancora.
I segugi all’angolo della strada ormai erano partiti alla carica, dovevano sembrare dei cani randagi scappati dal canile, ma mentre si avvicinavano li vedevo trasformarsi in qual cosa di leggermente più mostruoso e orripilante.
“ e parti, stupida carriola!” urlai tirando un calcio al cruscotto.
Improvvisamente la macchina si accese.
“cos’era? Ci attaccano?”
“stiamo partendo!” dissi sorpreso ingranando la marcia a tutta velocità e facendo retromarcia.
“satiro, perché mi sento andare a ritroso?”
“si chiama retromarcia”
“non mi piace”
“se vuole, divino Pan, posso lasciarla con i segugi infermali”
“...me la farò piacere”
Guardai nello specchietto retrovisore i cani che assalivano il paraurti e diedi gas. Il vaso ed io ci ritrovammo spiaccicati contro il sedile, mentre l’auto scattava in avanti a tutta velocità.
Il mio stomaco rimase a fare compagnia ai segugi, che intanto sbraitavano per chiedere i rinforzi di chi era più veloce di loro: Furie.
“sento odore di Furie, satiro”.
No, non l’avevo capito.
Spronai l’auto ad andare più forte, zigzagando tra le auto ferme per il traffico che strombazzavano all’impazzata.
una furia sbucò all’improvviso dal vicolo, parandosi davanti al parabrezza.
Sbandai pericolosamente, mentre il contenuto del vaso accanto a me strepitava.
Feci un testa coda  e andai a finire dritto addosso ad un’altra auto, poco distante.
Sarei morto se non lo fossi già stato.
Il vaso, assicurato con la cintura di sicurezza era incolume, mentre il suo contenuto continuava ad urlare nonostante la macchina si fosse fermata.
Gli artigli della furia perforarono il tettuccio della macchina con gli artigli, scappottandola, io urlai, poi afferrai il dio e mi precipitai fuori dal finestrino rotto, rovinando a terra.
Il mostro mi si abbatté contro ed io rotolai su un fianco per schivare i suoi artigli, anche se ovviamente non credo avrei sentito qualcosa nel farmi perforare.
Mi alzai, guardandomi attorno, una piccola folla di automobilisti tamponati guardava la scena, basita... molto probabilmente vedeva uno stormo di piccioni che attaccavano un ragazzo e il suo vaso greco.
Arrancai tentando di aprirmi un varco, quella gente mi lasciò passare, con la coda dell’occhio vedevo alcune persone sbraitare qualcosa al telefono riguardo un attacco di locuste.
Ovvio, i piccioni erano passati di moda.
corsi nel primo vicolo che trovai, inseguito dal mostro.
Era la fine, se mi avessero riportato indietro sarei morto davvero e Percy mi avrebbe seguito a ruota.
La mia sfortuna dette un’ulteriore prova di sé quando mi ritrovai davanti ad un muro. Imprecai, maledicendo la furia, Ade, Crono e Clarisse.
“satiro!”
Mi girai pronto ad affrontare il secondo livello della morte a testa alta.
Ok, mi girai, pronto  a supplicarla di non portarmi nell’Ade ma detta come prima faceva più “eroe figo”.
“satiro!”
“che vuoi?!”
Ero troppo terrorizzato dalla figura che ormai avanzava lentamente, come a gustarsi la mia folle paura, per rispondere gentilmente ad un dio.
“dio... un altro...”
“che cosa?”
A quel punto un baluginio dorato attirò la mia attenzione.
Incastonata nel muro a qualche metro da me c’era l’arma più bella che avessi mai visto, era completamente dorata, possente con dei disegni sull’elsa.
Scattai con l’ultimo impeto di coraggio che mi rimaneva, e l’afferrai.
Nell’esatto istante in cui le mie dita toccarono l’arma un calore mi invase dalla punta degli zoccoli a quella delle corna.
In un attimo mi sentii forte e coraggioso come mai, e un tantino incavolato, anche.
La furia si era fermata a qualche metro, evidentemente indecisa se fare ancora la gradassa, girare i tacchi o chiamare rinforzi.
io sorrisi, travolto da non so quale impulso... stesso in pulso che mi fece avanzare di qualche passo e sferrare il primo fendente.
Ookay, questo sì che faceva “eroe figo”!
Ma perché non c’erano mai figlie di Afrodite quando facevo il coraggioso?
La furia era troppo basita per fare qualcosa, ed io ero più sorpreso di lei... insomma, il piccolo satiro morto indifeso era diventato il magnifico satiro morto agguerrito, era capibile che si fosse lasciata ammazzare così facilmente, con un netto colpo alla testa.
Io rimasi a fissare la spada e la polvere che veniva portata via dal vento.
La mia arma da vicino era ancora più bella; la lama era affilatissima, dorata, e le immagini raffiguravano scene di battaglia, da battaglie greche ai combattimenti in trincea, all’aviazione inglese.
Ma come c’era finita lì?
“Satiro?”
“l’ho battuta”
“ne stanno arrivando altri, satiro”
“l’ho battuta! Da solo!”
Mi misi a saltellare sul posto come una bambina di cinque anni davanti ad un viaggio a Disneyland.
“smettila di fare la capra immatura, andiamocene prima che arrivino”
“tenni la spada in mano e  mi misi il vaso sottobraccio, correndo verso la via principale.
Ovviamente non avevo soldi con me, ma feci un fischio ad un taxi.
“perché fischi, satiro?”
sbuffai, ma da quanto tempo stava rinchiuso in quel dannato vaso?
“glielo spiego un’altra volta, divino Pan”
Montai sul taxi, il tipo al volante mi guardò inarcando un sopracciglio.
“prego?” chiese
“New York”
“sai quanti soldi ci vogliono, ragazzo?”
“un po’?”
“un po’ tanti”
“no problem”
Il tipo mi squadrò come se fossi un ritardato,
“pagamento anticipato per le lunghe destinazioni”
“oh”
Mi guardai intorno, come se i soldi potessero venirmi dal cielo, ad un tratto sentii qualcosa comparirmi nella tasca posteriore dei jeans.
Tastai il rigonfiamento nella tasca tirando fuori una mazzetta da cento dollari, che un attimo prima non c’era.
“bastano” dissi esibendo il malloppo più sorpreso del taxista.
L’uomo mi guardò come se fossi il figlio del presidente, a bocca aperta.
“hai rapinato una banca, per caso?”
“si sbrighi e li potrà tenere tutti”
“Sai come conquistare il cuore di un vecchio autista, eh?”
“si sbrighi!”
I rinforzi della furia che avevo decapitato non aspettavano di certo me.
E il tipo partì verso New York, verso l’Olimpo, e verso la salvezza del mio migliore amico.
 
POV
 
Feci un sogno molto strano.
Ero nelle stalle del campo, insieme al signor D. e a un paio di satiri ubriachi che non conoscevo.
E poi c’era Time che ballava la tarantella con Chirone e Clarisse che faceva il pedicure a un’ Arpia.
Non capivo dove caspita ero finito, mi avvicinai ad un satiro con in testa un cappellino degli Yankee che mi ricordava vagamente quello di qualcun altro, e quando il satiro si girò vidi che aveva i capelli biondi e ricci e due occhi grigi enormi.
E le zampe da capra.
“Perché sei un satiro?”
“Perché sei un semidio?”
“perché teoricamente mia mamma è un’umana  e mio papà un dio e...”
“ e io sono un satiro perché mia mamma è una capra e mio papà è un uomo”
In quel momento fui certo di stare sognando.
“bè? Che hai da guardare?”
“niente”
Distolsi lo sguardo dal sedere di Annabeth.
Ok, così suonava davvero male, ma vorrei sfidare voi a non fissare il sedere della vostra ragazza se fosse peloso e caprino.
Stavo per rivolgermi a qualcuno che speravo fosse più sano di mente o meno ubriaco quando il sogno cambiò.
E  forse non era più un sogno.
Ero in un posto buio e cavernoso, qualcuno se ne stava seduto nell’angolo più lontano.
“sei tu, figlio di Poseidone?”
“eh?”
“sei anche un po’ tardo... comunque lo sei, l’odore della tua anima si sente”
“eh?”
“SATIRO!”
“divino Pan?”
Quella voce mi ricordava vagamente...
“GROVER!”
“ma che perspicacia!” fece il... tipo, ironico.
“Percy? grazie agli dei sei ancora vivo!”
“che posto è?”
“mi dispiace, Percy, davvero... io non avrei dovuto farmi ammazzare... il collegamento, io...”
Quelle parole mi colpirono come uno schiaffo.
“collegamento?”
Ovvio, come avevo fatto a dimenticarmene? Se lui moriva... morivo anch’io.
Ecco spiegata la febbre.
Appunto, febbre, non morte.
“ma com’è intelligente! Non potevate scegliere un figlio di Atena per la profezia?”
Ignorai le battutine di quella cosa e mi rivolsi alla voce di Grover
“ma io non sono morto... non sono morto vero?”
Il tipo nell’angolo ridacchiò.
“no, non sei morto, stai sognando... e nemmeno io”
“ma io... insomma, ti ho visto... eri...”
“lo so ma, vedi non sono proprio... morto morto”
“eh?”
“e non sono nemmeno vivo vivo”
“tradotto per i comuni semi-mortali?”
“sono al limbo, Percy, agli studi RIP... cioè, c’ero, ora sono diretto a New York.
“a New York?”
“satiro, non riuscirò a mantenere il collegamento per molto”
“chi è lui?”
“il mio... uhm, riscatto, diciamo”
“cosa sarei io?” chiese il tipo, arrabbiato
“cosa sarebbe lui?” feci.
“nulla, sappi solo che devi tenere duro, ok?”
“tenere... ma...”
“tieni duro”
“non posso più...”
E tutto tornò ad essere buio.
 
POV
 
“non è per niente normale”
“ Sally ha detto che non l’ha mai visto così male”
“sarà l’influenza di Crono, Time o qualcos’altro?”
“non credo”
“e allora cos’è?”
Ci guardammo l’un l’altro, il problema si stava davvero facendo serio.
Ed io ero più preoccupata di quanto dessi a vedere.
La febbre aveva raggiunto la soglia del quarantadue.
Ormai non riusciva più a tenere gli occhi aperti.
Sembrava in coma.
Avevo voglia di urlare.
-calma, Annabeth, calmati- mi dissi.
Eravamo tutti nel panico più totale.
Sally non si allontanava da Percy nemmeno un attimo, non mangiava più, non faceva più nulla se non rimanere al capezzale del figlio.
E noi ci sentivamo impotenti.
Io mi sentivo impotente.
Lui era divorato dalla febbre, io non sapevo come fare per... per cosa?
Non avevo idea di cosa fare.
Lanciai un’occhiata alla finestra del bungalow, da dentro si vedeva solo una madre preoccupata per il suo bambino.
E il bambino in questione.
Aveva la pelle livida, ombre scure sotto gli occhi e le tempie sudate.
Il viso era troppo incavato.
Sembrava un’altra persona, stentavo a riconoscerlo.
Nemmeno l’acqua riusciva a rinsavirlo.
“Annabeth, ti senti bene?” chiese Talia appoggiandomi una mano sulla spalla “io? Sì... sì tutto bene”
Non avevo convinto nessuno, lo sapevo, ma c’erano cose più gravi della mia paura cieca.
“cosa possiamo fare?” chiesi
“non possiamo fare proprio nulla, che c’è da fare?”
“dobbiamo seppellire il corpo di Grover” disse Luke in tono affranto.
Non l’avesse mai detto scoppiò il putiferio, Clarisse iniziò ad urlare:
“no!”
“no?”
“non possiamo”
“Clarisse, so che ti dispiace ma...”
“non possiamo”
“il corpo non può stare così...”
“Ascoltami bene, Castellan, tu non devi azzardarti a toccare quel corpo, se lo fai...”
Non mi interessava sentirli discutere, non mi interessava nulla.
Mi davano fastidio le voci, mi davano fastidio loro, mi dava fastidio tutto.
Perciò me ne andai.
Entrai.
Sally alzò la testa, e accennò un sorriso, o meglio quello che voleva essere un sorriso ma che era una smorfia di dolore.
Mi avvicinai e le posai una mano sulla spalla.
“co... come va?”
Mi mostrò il termometro.
La lineetta di mercurio era ferma sul quarantadue.
Non poteva essere.
La gente muore con la febbre così alta.
Guardai gli occhi azzurri di quella donna così dolce, di quella madre così premurosa, senza rendermene conto mi ritrovai in ginocchio, a piangere nel suo grembo, come una bambina.
Lei mi accarezzava i capelli, tentando di darmi un po’ di quel conforto che lei nemmeno riusciva a trovare per se stessa.
Sentivo anche i suoi singhiozzi.
Pregavo ogni dio che mi venisse in mente, lo pregavo per non fa accadere nulla, per far sì che una stupida linea blu scendesse di qualche tacca.
Per far sì che le braccia della morte non avvolgessero nessuno.
Piansi con Sally fino a che le lacrime non uscirono più.
Alzai il viso verso gli occhi lucidi della donna, addolorati quanto i miei.
Eravamo... cosa eravamo?
Una madre e una figlia addolorate per il pericolo in cui si era cacciata la persona più importante della nostra vita.
Non poteva accadere. Non poteva e basta.
La gente muore con la febbre così alta.
 
 
 
 
  

   
 
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