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Autore: LeFleurDuMal    28/04/2011    8 recensioni
“Diamond Dust!” Gridò Camus, con la sua voce limpida e fredda, come a evocare quella nebbia d’argento e averla per sé. Hyoga la guardò e la trovò stupenda. Come luna sbriciolata. Come diamanti ridotti in polvere.
Il ghiaccio si incrinò. Il ghiaccio infrangibile della Siberia. Sotto la Polvere di Diamanti creata da Camus.
Poi, scricchiolando, si spezzò in due.

Neve è un tributo amorevolissimo a Hyoga e a tutta la “Siberian Family”, tirando dentro anche Milo che la completa, pur restandone nella sua Atene. Copre il periodo dell’addestramento del Saint di Cygnus in Siberia con Camus e Isaac - e con Milo che si intrometterà, appunto, qualche volta - dal suo arrivo fino al ritorno a Tokyo.
Di tanto in tanto capiteranno capitoli Shonen Ai / Yaoi più espliciti. Non mi sembra il caso di cambiare il rating generale della storia, poiché episodi simili saranno molto rari ( l'unico Shonen-Ai/ Yaoi previsto riguarda la coppia MiloxCamus, quindi, considerata la presenza marginale di Milo, si tratta di una percentuale davvero scarsa sulla fanfiction ), ma li indicherò laddove si presenteranno, capitolo per capitolo.
[Unica considerazione forzata: si parla del regista Evgenij Bogratjonovic Vachtangov. In realtà Vachtangov muore mel 1922, quindi diversi anni prima della nascita di Hyoga. Gli ho DECISAMENTE allungato la vita. A voi, ora, decidere se ne è valsa la pena.]
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Kraken Isaac, Scorpion Milo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La piana era candida come un cigno, le ali appena spiegate

 

CAPITOLO:  Come un cigno
PERSONAGGI: Hyoga e Jacov. L’armatura del Cigno e Natassia. Milo e Camus. Isaac e Thetis. Seiya, Jabu e Shun.
IN PROPOSITO: Hyoga diventa grande.

COSE: E’ il penultimo capitolo. E allora, direte voi. Eh. E’ il penultimo capitolo.

 

 

 

 

La piana era candida, ali di cigno appena spiegate. Sembrava quasi morbida, come se la neve fosse appena caduta, soffice.

A Hyoga parve di essere in un film, ricordò quella che scendeva sulla piazza a Mosca, quando con Igor e Natassia giocava a prendere i fiocchi dal cielo. Invece era neve dura, resa forte come l’acciaio, levigata come una perla.

Il ragazzo sistemò tra le labbra un fiore della tundra, attento a non spezzarne il gambo sottile. Era andato a coglierlo nel mattino, il suo colore vivo lo aveva commosso.

Poi si chinò sulla banchisa.

Dove la terra diventava acqua, sebbene entrambe fossero lastre bianche, dure e perlacee.

Dove per la prima volta, da bambino, aveva visto il Maestro Camus lanciare la Diamond Dust.

Dove Isaac aveva perso la vita per salvare la sua.

Aggrottò le sopracciglia, scacciò il ricordo e richiamò a sé il Cosmo. Lo sentì ardere, gelido e bruciante insieme, doloroso e salvifico.

Si era già immerso tre volte da quando Camus aveva lasciato la Siberia, volto ad Atene.

Non era da dire che temesse ancora di fallire.

Il suo cuore, gravido delle morti che si era lasciato alle spalle e della forza delle stelle, non temeva più le sirene. Era sceso nell’acqua gelida e gli era parsa meno cupa.

Il letto di sua madre, cadavere squisito, l’aveva riempito di piccoli fiori rosa, come quello che teneva tra le labbra.

Sollevò il braccio, vedendo l’energia – candida come un cigno – che lo avvolgeva, e con forza lo strato di ghiaccio, liberando il mare, metri più in basso.

Si tuffò, guadagnando immediatamente profondità. Lui stesso, adesso, fosse una creatura degli abissi. Sciamano come Camus dei Ghiacci, adesso poteva essere fanciullo e acqua insieme, nave affondata e pesce degli abissi.

Una stessa sirena poteva essere.

Un cigno.

Il sole lo rincorse con i suoi raggi, da sopra la superficie. Lo seguì fin dove poté, infiltrandosi tra le ombre cristalline, poi lo perse.

Hyoga, che era l’acqua stessa e il sole, illuminò il proprio cammino da solo.

La nave squartata lo aspettava, adesso, come un vinto in schiavitù attende il vincitore. Sdraiata sul fondale, aveva la bellezza cupa e tenera che circonda le cose sconfitte.

Il ragazzo l’ammirò ancora una volta: una bestia addormentata sul fondo.

Kraken, disse una voce nella sua mente e avvertì in fondo allo stomaco l’antico germe della paura, pronto a sbocciare in terrore. Per un attimo, un momento soltanto, ma lungo come millenni di attesa, ebbe la certezza che ci fosse Isaac, dietro di lui, pallido e gonfio cadavere dagli occhi argentei e malevoli, che avrebbe aspettato solo che la curiosità diventasse morbosa abbastanza da farlo voltare, da far sì che si assicurasse di essere solo.

Allora l’avrebbe afferrato, con le mani molli e incredibilmente forti, e l’avrebbe trascinato giù, a fondo, a dormire per sempre stretto a lui, con Katja e Natassia.

Un attimo solo.

Hyoga, che aveva imparato bene durante le immersioni precedenti, chiamò a sé l’energia bianca dei cigni a curare il nodo di paura nello stomaco.

La sentì come una carezza amica, allora tornò ad essere acqua e sole. Tornò ad essere solo.

La nave morta smise di essere il Kraken e diventò Hyoga quando Hyoga diventò la nave, così come nella tundra era stato la volpe argentata e la lepre bianca.

Non c’era niente da temere.

Scivolò nella chiglia spezzata, nei corridoi silenziosi, tra i defunti. Come se entrasse in un sepolcro consacrato aprì la porta della cabina di sua madre.

Natassia era dove era stata sistemata, nella cuccetta portata al centro, avvolta nei lenzuoli perché l’acqua gelida non se la portasse in giro.

Era come una bambola spezzata, ma a suo figlio sembrava sempre bellissima.

Nei suoi capelli che ondeggiavano sul cuscino simili ad alghe chiare, fragili fragili, Hyoga aveva sistemato i piccoli fiori della tundra.

Delicati e selvaggi come lei.

Uno per Natassia, uno per Isaac, uno per Katjia.

Uno per Isaac, uno per Katjia, uno per Natassia.

E così via, ancora e ancora.

Ne avrebbe portati tanti da riempire il cuscino. La sua bella mamma morta era l’apoteosi di tutti i morti e portare omaggio a lei era onorare tutto ciò che era stato.

E che rimaneva, immutabile e gelato, sul fondo dell’anima.

Nel guardarla adesso, anche lui era Natassia. Anche lui era la morte. Era morto anche lui.

Ah, mama. Un gioco pericoloso. Andiamo via. Mama Navsegda. Mamma per sempre.

Una preghiera, veloce e sentita, poi tornò ad essere l’acqua, il sole che filtrava, il vento e la banchisa.

Alla fine, tornò ad essere se stesso.

 

“Attenzione prego!” la voce dello speaker dall’altoparlante richiamò l’attenzione del pubblico, sconvolto dallo spettacolo cruento offerto sull’arena. “Attenzione, prego! A causa del ritardo dell’arrivo d Cygnus, il terzo incontro è rimandato…”

“Bah!” uno dei ragazzi in armatura sbottò, raggiungendo gli altri, un sopracciglio sollevato e l’espressione seccata. “Non solo Cygnus, ma anche Phoenix non è ancora arrivato. Sono sicuro che si sono spaventati”.

“Che dici, Jabu?”

Il Saint di Pegasus si avvicinò a quello di Monoceros, pretendendo chiarezza: non era uso comune a dei guerrieri di Athena insultare dei paricasta.

“Cygnus non ha il carattere leale di un vero uomo giapponese”.

“Come?”

L’arena si era liberata dei contendenti e il pubblico, affamato teneva gli occhi puntati sui giovani guerrieri a riposo, tra una sfida e l’altra.

“Non lo sai? Lui è per metà giapponese e per metà russo”.

“Russo?” Seiya lo guardò sgomento e anche Shun di Andromeda, poco lontano, alzò la testa, in ascolto. “Vuoi dire che il Saint di Cygnus è…”

Shun sorrise, involontariamente, nel pronunciare il nome dell’amico d’infanzia. “Hyoga?”

 

“Hyoga!”

Jacov tirò con forza le redini dei cani, e la slitta sollevò neve fresca e indurita. Hyoga ansimava, avvolto nel panno che aveva portato con sé, le ginocchia e i palmi delle mani ancora appoggiati al terreno ghiacciato.

Sollevò il viso in tempo per vedere il bambino ruzzolare giù dalla slitta e trotterellare da lui. Non si sorprese: i bambini crescono in fretta in Siberia.

“Hyoga!” gli arrivò davanti, tutto avvolto nel cappotto di renna e pelo caldo. “Hyoga, sei andato ancora una volta a trovare la tua mamma? Ma come fai? Un giorno porti anche me? Almeno una volta al giorno rompi il ghiaccio e ti tuffi! Non ti annoi a fare questo, Hyoga?”

Il ragazzo ansimò ancora, gli occhi azzurri piantati sul bambino: vagliò se ringraziarlo o meno per la cronaca così dettagliata, ma poi preferì tenere le energie per sollevarsi e infilarsi abiti asciutti.

E per rimproverarlo.

“Jacov. Non ti ho detto solo ieri di non venire in questo posto? E’ pericoloso”.

Non voleva nemmeno immaginare il viso di Avrora, se avesse saputo che il figlio minore lo seguiva fin lì, dove era morta Katjia. “Questo…”

“Lo so, lo so!” Jacov saltellò sui ghiacci, figlio della Siberia, e gli strinse la mano, appendendocisi per gioco. “Questo è il posto dove riposa la tua mamma.”

“Non ho tempo di chiacchierare con te”. Hyoga tagliò corto, con espressione severa. Che tornasse da Avrora e Rudolph. Subito. “Torna a casa”.

“Ma io ho delle lettere per te!”

“Mostramele”.

Un consistente mucchietto veniva da Tokyo, più precisamente dalla Fondazione Grado. Soltanto leggerne il nome e riconoscere il simbolo che riportava la carta intestata e battuta ordinatamente a computer gli aveva fatto andare il sangue alla testa.

Mitsumasa Kido e la sua fondazione lo volevano in Giappone, con l’armatura che lo avevano mandato a conquistare.

Le strappò tutte, sotto gli occhi spalancati di Jacov.

Per l’ultima ebbe un rispetto diverso.

“Questa viene dal Santuario di Atene. Cosa vorranno da me?” L’aprì, con sospetto. “Ah, ma…! E’ del Maestro Camus!”

 

I monti Verhojansk si stagliavano nel cielo come appena tratteggiati da una matita sul foglio bianco. Sembravano senza spessore e duri, come la lama di un coltello.

Dentro le viscere della roccia gelata, del ghiaccio più compatto, qualcosa si sciolse. Una lacrima calda, il tamburo di un cuore, un canto sottile.

Qualcosa, come un cigno, dispiegò le ali nel momento in cui Hyoga richiuse la lettera di Camus.

 

“Hyoga! Hyoga dove vai? La tua isba non è mica da quella parte!”

“Jacov, non sto andando all’isba. E fa’ il bravo: tu torna a casa!”

“E allora dove stai andando? Non torni a casa tua?”

“Non ci torno più, Jacov”.

“Cosa? E perché?”

Jacov seguì Hyoga, saltellando nella neve, finché il ragazzo non si convinse a portarlo con sé. Allora presero la slitta, per essere più comodi, e spinsero i cani verso i monti.

 

Camus sentì il Cosmo del giovane allievo pulsare e insieme al suo quello di un’armatura che era rimasta nascosta nel ghiaccio per millenni. Chiuse gli occhi, nell’atmosfera fresca della Casa, di cui aveva finalmente ripreso possesso a pieno titolo.

Milo dello Scorpione Celeste si era risvegliato al fianco dell’amico ritornato, quella mattina e si godeva quelle mura quanto il proprietario.

D’estate era piacevole, perché ci si poteva sedere sui primi gradini, ad esempio, e restare lì a sfidare il sole, con la Casa fresca e in ombra del Maestro dei Ghiacci alle spalle, a irradiare un’ombra pallida del freddo di Siberia che Camus riusciva a ricreare tra le mani.

D’inverno era scomodo.

Era dolce l’inverno, ad Atene, il mare mitigava gli effetti del vento freddo che veniva da est. Ma Milo amava il caldo e più di una volta in quegli anni aveva protestato, ridendo, che erano troppo fredde quelle mura.

Ma d’inverno e d’estate era sempre una bella scusa quella, per rannicchiarsi contro il fianco del compagno, per prenderlo contro il proprio petto e appoggiare la fronte alla sua, nelle notti in cui si fermava lì. Camus protestava appena, le sopracciglia aggrottate e un sorriso che gli sfuggiva.

Come in quel momento.

“Lo senti, Milo?” Aquarius richiamò la sua attenzione.

“Come non potrei?” Scorpio sorrise, il viso nelle lenzuola, anche se l’altro non poteva vederlo. Strinse la morsa del braccio attorno a Camus. “E’ così simile al tuo, il suo Cosmo appena nato”.

 

Avevano lasciato la slitta poco lontano e insieme avevano cominciato a salire la parete ghiacciata. I monti Verhojansk erano ripidi e scoscesi, ma offrivano strade ai figli della Siberia.

A nulla erano valse le proteste di Hyoga, Jacov aveva voluto seguirlo: così adesso si trovavano insieme davanti al Muro del Ghiaccio Eterno.

Il popolo della Siberia dell’Est lo chiamava così, con il rispetto che avrebbe dato a una divinità: il cuore del ghiacciaio, il cuore di quella stessa terra gelata.

Hyoga fu neve, Polvere di Diamante e Muro del Ghiaccio Eterno.

Sollevò il pugno, raccogliendo in sé la forza delle stelle, pronto a diventare il cuore pulsante che lo chiamava da quei crepacci.

“Jacov, è pericoloso. Torna indietro”.

Il bambino spalancò gli occhi chiari, sbalordito, quando comprese: “Cosa vuoi fare? Hyoga, non puoi rompere i monti Verhojansk! Non puoi, anche se sei tanto forte!”

Hyoga avanzò, lasciando il piccolo indietro, inspirò profondamente e il suo potere crebbe. Germogliò e si dischiuse, tra lo stomaco e il cuore.

“Hyoga! Questo ghiacciaio non si è sciolto per migliaia di anni! Ti distruggerai le mani! E poi…”

Jacov non finì la frase.

Poté solo accovacciarsi per terra, coprendosi la testa con le manine guantate: il ragazzo della neve, allievo del Maestro dei Ghiacci di Siberia, aveva vibrato il suo colpo e le schegge di ghiaccio, dove il suo pugno era affondato senza riportare neppure un graffio, esplosero tutto attorno.

Dei pugnali.

Seguì un boato.

Il Muro del Ghiaccio Eterno, la superficie del cuore del ghiacciaio dei Verhojansk andava in pezzi. Uno specchio infrangibile che invece si sbriciolava in frantumi. I monti gemettero di dolore e vendetta, conquistati da un fanciullo di Athena: Hyoga riportava un’altra vittoria.

Il ghiaccio crollò davanti al Saint di Athena, scivolò in grandi schegge taglienti, in una valanga bianca come un cigno.

L’esplosione, la caduta, la rovina: niente sfiorò Hyoga, in piedi in mezzo ai ghiacci e alla neve, rombanti ai suoi fianchi. Lo superarono senza toccarlo.

Nemmeno una carezza al vincitore. Nemmeno una.

Jacov dovette correre, sulle gambette corte, fino al baluardo naturale offerto dal poggio di ghiaccio più vicino, per guardare con il cuore spalancato la neve che scendeva a valle, burrascosa.

Hyoga rimase immobile davanti al pulsare di un’energia dolce e fredda che lo chiamava, vicina e magica. Come dal Paradiso avrebbe potuto chiamarlo sua madre.

Mandava un baluginio sereno.

Faceva pensare al cielo pallido di Mosca dopo un temporale.

O al gioiello di Natassia che lui teneva tra la maglia e la carne del petto, ben nascosto, nelle volte in cui la luce ci batteva sopra.

Hyoga sorrise e si abbassò sulle ginocchia, per accarezzarla tra le mani tremanti.

Ciao. Mi ricordo di te. Non so dove ti ho visto. Ma ne sono sicuro, ci conosciamo. Cygnus navsegda. Cigno per sempre.

Era un totem di metallo di stelle e Cosmo, che ricambiava il suo sguardo: le ali perfettamente cesellate, il collo elegante e arcuato, la superficie scintillante. Un cigno.

Si smontò tra le sue mani, come un gatto che si abbandona per le carezze. Vibrava di potere incredibile, di vita, di volontà.

Jacov, alle sue spalle, trattenne il respiro: sebbene riuscisse a vedere solo le spalle di Hyoga e l’alone candido che lo circondava, era percepibile nell’aria il fatto che stesse succedendo qualcosa di tremendo e bellissimo, qualcosa di impensabile.

Erano tre, laddove erano arrivati in due.

“Hyoga?”

 

“Hyoga!”

“Isaac?” La ragazza si girò verso di lui. Lo guardò imponente nella sua scale del Kraken, fulgida. Lo faceva sembrare più adulto di quanto non fosse in realtà. “Cosa? Cosa ti preoccupa?”

“Hai sentito anche tu?”

Isaac la raggiunse. I suoi passi echeggiarono nel palazzo di pietra marina edificato sotto la Colonna del Mar Glaciale Artico, dove si era stanziato per ordine del Generale Sea Dragon.

Thetis gli appoggiò una mano sul braccio, interrogativa. Glielo accarezzò con tenerezza e lui le prese la mano, stringendole le dita.

Poi anche la fanciulla percepì l’energia luminosa, bianca come un cigno, che nel Mondo di Sopra era stata svegliata dopo un sonno lunghissimo.

“Hyoga ha ricevuto l’armatura di Cygnus”.

 

Il ragazzo si alzò. Si era allacciato i gambali e il cinturone. Fissò i copri spalle e il pettorale. Alla fine si girò verso di lui, calando l’elmo alato sui capelli biondi.

Era irreale e inumano, il bellissimo eroe di leggende immortali.

“Hyoga..?”

“Ho ricevuto il titolo di Saint, ma non avevo il Cloth”. Disse a Jacov, sommesso. Quasi tentasse di giustificarsi, adesso. “Nella lettera il Maestro Camus aveva messo le indicazioni per trovarlo”.

Jacov annuì, senza sapere cosa dire.

Hyoga lo guardò a lungo, come se nel faccino sbalordito del bambino potesse maturare le sue decisioni.

“Jacov” disse, piano. “Fai tu da custode alla mia mama. Io devo andare a combattere con il Cloth di Cygnus. Nella lettera…” esitò e Jacov si avvicinò, prendendogli la mano. Adesso voleva davvero andare a casa. “Inoltre mi hanno affidato la missione di eliminare uno per uno i traditori di Athena riuniti a Tokyo che hanno mancato le regole dei Saint”.

Jacov ascoltò con attenzione le sue parole, impressionatissimo.

“Quando li hai giustiziati tutti, poi torni qui a giocare con me, vero, Hyoga?”

 

 

 

 

 

Perdonatemi! OH DEA! Perdonatemi! Nello scorso capitolo avevo detto che avrei mantenuto un buon ritmo di pubblicazione! Lo avevo detto! Beh. Ho mentito.
Coraggio! Dopo questo ne manca solo uno e poi abbiamo finito.  
ç_________________________________________________ç
EFP nel frattempo ha fatto in tempo cambiare impostazioni quelle sedici volte, dal mio altimo aggiornamento, grazie alla mia presenza di spirito. E ha messo le risposte alle recensioni.
Io però vi risponderò qui sotto, fino alla fine. Se no poi si sballa l’estetica (???)

Shinji: Ormai siamo alla fine, Hadessama bello. Hai visto? Compare anche Shun! Anch’io ti amo tanto e davvero non c’è odio nel mio amore! Amami anche tu senza odiarmi! *C* *anche se sa che forse qui ci resta secco. O lo spera*  *C*  *una stronza* Ti voglio bene, Decciama!
Kiki May: Scusami. Scusami tanto. Questo capitolo si è fatto davvero attendere troppo. Non ho controllo sulla mia capacità di pubblicazione, soprattutto di Neve! çOç Sta per finire e mi sento nuda! Grazie per essere sempre così presente con me, nonostante i miei ritardi! çOç CHU! Milo e Camus si amano tantissimo. E dio quanto li amo anch’io. Hyoga sta finalmente diventando grande! *C* Tra poco, a Tokyo, picchierà tutti. Poi arriverà Ikki. ._.
Ruri: Visto? çOç Sto pubblicando, come ti ho promesso! Dai che poi te la porti con te! çOç *abbraccia stretta* Mi manchi tantissimo! Ti voglio bene!
sagitta72: Eh, hai visto? Velocissima l’altra volta, di una lentezza mortale adesso! Perdonami anche tu, se puoi! çOç  Col prossimo capitolo finiamo! La battaglia di Hyoga e Camus c’è già stata in flashback! La fine di Neve coinciderà con l’inizio del manga del Kuru! çOç Speriamo in bene, vah! Un bacione immenso a te!
Rucci: Tomoyo. Hai visto? Disobbedisce ai tuoi glaciali dogmi d’insegnamento. Ma non fallisce. E’ così che in fondo devono essere gli allievi, no? Disobbedienti, ma bravi. E lui ha preso l’armatura! E andrà a picchiare tutti! …poi arriverà Ikki. ._. Che bella descrizione mi hai dato di Hyoga. Anch’io penso che sia esattamente così. Com’è bello. L’anello di congiunzione della famiglia dei Ghiacci. E’ spettacolare. Vai, Zero Assoluto *C*
Guarda anche qui quanto Milo e Camus! éOè Guarda come sono stata brava! Guarda che si vogliono bene! *messaggi subliminali in corso* Hai visto? Ormai ci siamo. Che nostalgia! *C*
Ti amo tantissimo.
Saorilavigne: Amoreeeeee! Grazie! XDD Bella sei.
Dea Eris: Il tuo ritardo? Il mio è peggio! Perdonami! E grazie per le tue belle recensioni. A proposito, hai visto? La lettera cui accennavi è arrivata proprio in questo capitolo. Ed ecco Cygnus che parte per sbaragliare i suoi prossimi amici. Poi… vabbè, Ikki. Ma l’ho già detto.
Anch’io amo molto Hyoga e Shun come coppia. Qui purtroppo non avevo modo di lanciarmi in grandi introspezioni, ma qualche accenno c’è. Anche in questo capitolo.
Grazie per tutte le cose che mi hai scritto. Un bacio immenso, prima dell’ultimo capitolo.
Gondolin Dima: Amore!XDD che dolcezza sei! Che belle cose che mi hai detto! çOç Ho cercato davvero di avere un’attenzione forte per il canon del Kuru, perché ci tengo a incastrarmi bene. Era importante colmare quel buco, secondo me. E se ci sono riuscita anche per te, posso dire di non avere scritto per niente. Grazie. Grazie infinite davvero.
Che lettrice attenta! Sì, il flashback di Hyoga bambino era ripreso dal secondo capitolo. çOç Come mi rendi fiera! Ti stringo forte, tesoro bello.

Il prossimo capitolo, dicevo, è l’ultimo. Io spero di farlo arrivare in breve tempo (anche perché è già scritto) ma non dico niente: ogni volta che dico: eh vah! Non preoccuparti! Due giorni e lo pubblico!, finisce che aspettate sei mesi. Non dico niente.
Ma poi Neve chiude i battenti.
Sappiate che vi amo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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