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Autore: Lady Aquaria    28/04/2011    7 recensioni
Estratto dal capitolo 1:
Certo che voleva Camus, dentro di sé non aveva mai smesso di provare per lui qualcosa di più del semplice affetto; anche se a sé stessa lo negava, per Camus provava ancora amore.
"Io e papà ci siamo amati, un tempo."iniziò, cercando le parole più adatte."Amare, Lixue, capisci? È qualcosa di molto più forte del volersi bene."
"Quanto forte?"
Forte abbastanza da indurre una ragazza nemmeno ventenne a rivolgere fredde parole cariche d'odio all'altro. Un sentimento così intenso da indurla a restare a letto per giorni dopo il suo abbandono, tanto potente da spingerla a prendere a pugni il fratello che le aveva proposto di abortire.
EDIT: Storia completamente revisionata! Vale
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Dragon Shiryu, Nuovo Personaggio, Shunrei / Fiore di Luna
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le vie del Destino'
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capitolo 15 principale
15.
Nient'altro che noi.
 
"Stai guardando il mio piatto di pasta come se fosse un T-Rex pronto a divorarti senza pietà."
Mei sollevò lo sguardo dal piatto, schiarendosi la voce e guardandosi velocemente intorno nel riservato e piuttosto elegante ristorante italiano del primo arrondissement.
"Quando hai ordinato le speciali linguine marinare della casa, non avevo idea fossero… nere." rispose, tornando a mangiare le proprie lasagne. "A questo punto, sono contenta di non aver risposto al cameriere con un per me, la stessa cosa."
Camus sorrise.
"Sono al nero di seppia." le rispose. "Mai mangiate?"
"A dire il vero, no."
"Io le ho scoperte con Death e una cena italiana al Santuario. Superato l'impatto iniziale, sono piuttosto buone. Assaggia." le propose, girando una forchettata e avvicinando la forchetta a Mei.
Preso coraggio, le annusò, prima di decidersi ad assaggiarle.
"Sono un po'… come dire… forti." rispose Mei. "Ma tutto sommato, non male. La mia metà italiana del nord apprezza questi sapori del sud."
"Non sapevo che la tua metà italiana fosse originaria del nord." rispose Camus, stupito. "Ero convinto fossi conterranea di DeathMask."
"Siciliana, intendi? No. Ho visitato Palermo una volta sola, seguendo mia madre in teatro, e purtroppo non ci sono mai più tornata. Sappi che tua suocera era astigiana, e che la cosa più italiana che abbia mai mangiato è stato un ottimo risotto al Barolo. Delizioso." rispose Mei. "Cucinato da mia madre, tra l'altro, non consumato in qualche locale. Prima o poi ti parlerò della mia famiglia d'origine."
Camus riprese il filo del discorso.
"Dovremmo parlare di un po' di cose, a dire il vero." annuì. "Ti ho portata qui sia per festeggiare questa nuova vita qui e il tuo lavoro, sia per parlarti di una cosa un po' particolare."
"Dimmi."
"Ricordi quando anni fa ti portai all'isba, ma arrivò Hyoga a rovinare l'atmosfera che avevo con tanta fatica cercato di creare?"
Mei ridacchiò appena.
"Lo ricordo eccome. Soprattutto la tua espressione quando arrivò Hyoga."
"Appunto. Oggi Hyoga e Freya mi hanno chiesto il permesso di portare Lixue a Disneyland… Freya ha prenotato un soggiorno all'incirca per ferragosto e stavo pensando, sempre se tu hai voglia, di trascorrere qualche giorno da soli, noi due, mentre nostra figlia sta con loro due." propose Camus. "Non appena tornano, noi faremmo ritorno qui o ad Atene per proseguire le vacanze."
"Come hanno fatto a trovare una stanza dentro il parco con così poco preavviso? Siamo in alta stagione."
"Beh, non credo siano in molti a potersi permettere un soggiorno in una super-suite da 180 metri quadri dove anche respirare ha un costo." rispose Camus. "Ancora non l'ho detto a Lixue, ma sono sicuro che non starà nella pelle all'idea di dormire nella suite della Bella Addormentata, con tanto di giornata da principessa delle fiabe."
Mei sospirò.
"E in tutto questo mi stai dicendo che potremmo davvero trascorrere qualche giorno da soli, isolati dal resto del mondo, mentre nostra figlia si diverte a Disneyland?"
"Sì."
"Ma è fantastico! Quando si parte?"
"Bisognerà procurarti dei vestiti molto pesanti allora, perchè ti porto all'isba. È tanto tempo che desidero farlo, non dirmi di no."
"D'accordo."
"Ti va davvero?"
Si sporse verso di lui, intrecciando la mano alla sua. "Certo che mi va."
Proprio come aveva previsto, Lixue si dimostrò incredibilmente su di giri all'idea di quella vacanza: nei giorni che avevano preceduto la partenza, per lui e Mei fu complicato tenerla tranquilla. Non lo diede a vedere, ma anche lui, esattamente come la figlia, si era scoperto impaziente di partire per quella piccola parentesi all'isba.
 
** 
Prima di partire Mei ricontrollò per l'ennesima volta la casella sms del telefono, in attesa di notizie di Lixue: stava bene? Le aveva dato abbastanza ricambi dietro? Era contenta di trovarsi in vacanza con Hyoga e Freya? Aveva già fatto delle foto con le principesse dei cartoni animati?
"Rilassati, è in buone mani, stai tranquilla!" le disse Camus, facendo il giro per la cucina controllando se avesse chiuso il gas e l'acqua.
"Lo so che è in buone mani, ma è la prima volta che siamo così lontane e sono un po' preoccupata."
"Eri preoccupata anche quando era con me?"
"Ma che c'entra, tu sei suo padre..."
"Posa quel telefono, è un ordine." scherzò lui, cingendole la vita con un braccio.
"C'è solo un posto dove prendo ordini dal mio uomo. E non è questo." replicò Mei, sussultando subito dopo; superato il solito sconquassamento allo stomaco dovuto allo spostamento alla velocità della luce e non appena ebbe avvertito un intenso profumo di resina e quello acre e caratteristico della legna che ardeva, aprì gli occhi nella sobria casetta russa, trovandola quasi esattamente come si ricordava: l'enorme camino di pietra protagonista indiscusso della stanza non era cambiato di una virgola, il tappeto a fantasia blu e rosso era sempre più smorto, il divano blu e i suoi cuscini erano ancora lì insieme al tavolo con le sedie, alle cassepanche e agli armadietti di betulla grezza, agli attrezzi e il porta ciocchi accanto al camino.
"Non so perché, ma sento che qualcosa è cambiato qui, da quell'unica volta." constatò Mei, guardandosi intorno mentre Camus controllava il fuocherello che Kirill, su sua richiesta, aveva acceso prima del loro arrivo. "Per cominciare non è una ghiacciaia."
"Kirill e suo padre sono venuti qui circa un paio d'ore fa per sistemare la legna e accendere il camino, e per fare un paio di cose affinché la casa fosse il più accogliente possibile." le spiegò Camus, notando in un angolo una bombola di gas e le altre cose richieste a Kirill in anticipo.
"Missione compiuta." sorrise Mei, togliendosi di dosso l'enorme mantello blu notte che Freya aveva insistito nel prestarle insieme a una valigiona con i suoi abiti più pesanti, quelli che di solito usava ad Asgard dalla sorella Hilda.
"Domattina andremo all'emporio così da prendere provviste per questi giorni e così da farti vedere questi posti e farti capire perché li amo tanto."
"Sì, mi piacerebbe." come aveva previsto anni prima, la stanza collegata al salone principale era una sorta di cucina; sui fornelli alimentati da una bombola di metano nascosta dietro uno dei pensili in betulla –nemmeno a dirlo- faceva bella mostra di sé una grande pentola di coccio e, su un ripiano, un cesto di vimini con delle vettovaglie. Intinse un mestolo nella zuppa contenuta nella pentola di coccio e l'assaggiò. "Accidenti, chi ha cucinato questa meraviglia?"
"Vorrei prendermi il merito, ma stavolta la soljanka non l'ho cucinata io. Credo sia opera di Zoya, la quasi moglie di Kirill."
"Quasi moglie? Fidanzata è un termine ormai caduto in disuso?"
"Quasi moglie perché hanno dovuto rimandare il matrimonio per ben due volte." le rispose Camus, dal piano di sopra.
"Una bella seccatura." commentò Mei. "Ripensamenti?"
Sentì una risatina.
"No, motivi vari. Uno di questi motivi ha tredici mesi e si chiama Ivan e l'altro motivo si chiama Valentyna, che invece ha solo ventuno giorni. Con ogni probabilità li conoscerai domani, ormai Zoya trascorre più tempo con Kirill e l'emporio piuttosto che nella bottega da sarti della sua famiglia." le spiegò, tornando di sotto.
"Chissà che pandemonio è scoppiato quando la ragazza è rimasta incinta."
"Pandemonio? Fu uno scandalo!" rispose Camus. "Era dai tempi dell'affondamento del peschereccio che la gente non parlava così tanto."
"Addirittura!"
"Kobotec è un paesino di mille anime o poco più… e come in tutti i paesini, le voci corrono piuttosto rapidamente, così come le cattiverie."
Se una ragazza del luogo rimasta incinta prima del matrimonio destava così tanto scalpore, dunque che cos'era successo quando avevano scoperto che il loro Maestro aveva messo incinta una ragazza straniera senza sposarla?
Minimo, l'avevano etichettata come una donnaccia dai bassi valori, per usare un eufemismo.
"Dunque… non oso immaginare che cos'abbiano potuto dire rispetto a me e Lixue…"
"Anche fosse fanno bene attenzione a non parlarne in mia presenza."
"E che cosa devo aspettarmi domani? Occhiate di traverso? Parole velenose sussurrate al mio passaggio? Acqua benedetta addosso?"
"Niente di tutto ciò." rispose lui, non cogliendo l'ironia sull'ultima domanda. "Queste persone sanno che di cosa sono capace. Sarebbe sciocco da parte loro criticarti in mia presenza. Dohko una volta mi raccontò di una leggenda legata al Sacro Dragone del Goro-Ho, secondo il quale egli va su tutte le furie con lo scellerato che abbia l'ardire di toccare la sua scaglia più preziosa e che lo uccida senza nessuna pietà. Beh, per natura sono poco incline a uccidere, ma sanno perfettamente, a Kobotec, che se voglio posso scatenare una tempesta di neve e ghiaccio di dimensioni epiche."
Mei arrossì e sorrise.
 
Dopo l'ottima cena preparata dalla nuora di Nazar, Mei lesse un po', lasciando stare le incombenze domestiche su insistenza di Camus.
"Cosa stai leggendo?" Mei alzò appena lo sguardo dal libro, e Camus capì di averla interrotta in un punto cruciale.
"La Psichiatra." rispose lei.
"L'ho finito in un giorno." le disse. "Ti assicuro che non crederai ai tuoi occhi."
"Prova a farmi spoiler e ti mando in bianco, parola mia."
"A proposito… dove preferisci dormire? Qui o di sopra, dove in teoria dovrebbe fare meno freddo?"
Avvolta nel pesante plaid di lana grezza, sotto al quale indossava un pigiama di flanella e un paio di calzettoni di ciniglia, Mei rabbrividì appena.
"Secondo me, sei troppo vestita. Disperdi il calore in troppi strati di stoffa."
"Sto bene così. Quando sei qui, di solito dove dormi?"
"Ma dipende. A volte scavo un igloo fuori, nella neve, e mi ci sdraio nudo."
Mei inarcò un sopracciglio.
"…scherzavo. Potrei scavare un igloo nelle coperte e sdraiarmi nudo là dentro."
"Ecco, questo suona molto meglio."
Sistemò il frangifiamma davanti al camino dopo aver aggiunto un altro ciocco, e la raggiunse.
"Di solito dormo sopra, perché il caldo tende a salire: qui staremmo bene per qualche ora, ma domattina sentiresti freddo."
"Vada per il piano di sopra, dunque."
La scaletta che portava al piano di sopra era stretta e un po' ripida, ma non era affatto un problema; una volta su, si trovò in un locale buio, illuminato dalla fioca luce che proveniva da sotto.
"Intimo e tranquillo. Mi piace!"
"Adesso. Dovevi essere qui anni fa, con due marmocchi sotto gli otto anni come allievi… altro che tranquillo." rispose Camus, accendendo una lampada a paraffina e diffondendo una gradevole luce nella stanza, che permise a Mei di guardarsi intorno.
Ampia quasi quanto la stanza inferiore, le dava però l'impressione che fosse più piccola per via del tetto spiovente; allineati a una parete, due letti piuttosto spartani coperti da un telo, ai piedi di questi due cassepanche contenenti coperte e pellicce, una cassettiera ampia a dividere i letti, una scrivania dall'aria pesante e parecchie mensole. Su una intravide qualcosa, ma la luce era troppo fioca per distinguere l'oggetto.
"E qui dormo io." le indicò un rustico letto da una piazza e mezza, la cui base fungeva da contenitore con diversi cassetti.
"Posso scegliere in quale letto dormire?" scherzò Mei, indicando i due letti gemelli.
"Come?"
"Hai detto che qui dormi tu, quindi io dove dovrei dormire?"
"Vuoi davvero una risposta?"
"No, credo di no."
"Se proprio hai freddo, ci sono delle pellicce, là dentro… mal che vada, ho ancora le vecchie, care borse per l'acqua calda, in bagno." le disse, vedendo Mei rabbrividire a contatto con le lenzuola fredde. "Come dietro la cascata, ricordi? C'era umidità anche allora."
"Sì." convenne Mei, tirando le lenzuola e le pesanti coperte di lana fin quasi al naso; sentì Camus distendersi e stringersi a lei, circondandole la vita con un braccio. "Ammettilo che ti stai stringendo perché hai freddo."
"No, sto seguendo le istruzioni del corso di sopravvivenza: mantenere il calore corporeo il più possibile addosso senza disperderlo inutilmente."
"Perciò io dovrei spogliarmi così da non sprecare calore ma, anzi, condividerlo con te?"
"Impari in fretta."
Mei sorrise.
"Bel tentativo, ma no. Notte!"
 
*
 
L'oggetto che aveva a malapena intravisto la sera prima su una delle mensole era un vecchio giocattolo in legno, composto da più pezzi. Corrugò la fronte nel notare quanto fosse consumato, e di come la vernice della locomotiva fosse scrostata in più punti. Girandolo sottosopra, scoprì una scritta, nell'inconfondibile calligrafia di un bambino.
"Isaac." lesse. "Chi era Isaac?"
Dal piano di sotto Camus si schiarì la voce.
"Il mio primo allievo."
"Ah. Abita tanto lontano? Lo vorrei conoscere."
Per qualche attimo non ricevette alcuna risposta, tanto che, preoccupata, si sporse per le scale guardando in direzione della cucina.
"…tutto bene?"
"Isaac non c'è più." spiegò Camus, in un soffio. "Da parecchi anni."
Sentendosi come un elefante imbizzarrito dentro una cristalleria di Boemia, Mei tornò a posare il trenino sulla mensola, prima di scendere da basso.
"Scomparve nel lago ghiacciato nel tentativo di salvare Hyoga." le raccontò. "Poi Hyoga mi disse che non era morto, era stato arruolato nell'esercito di Poseidone."
All'epoca, non senza una buona dose di rimorso, aveva pensato che sarebbe stato mille volte meglio saperlo morto che tra le fila nemiche.
Si schiarì la voce, serrando poi gli occhi per non piangere.
"Non lo sapevo, nessuno mi ha mai detto niente a riguardo. Non volevo risvegliare brutti ricordi. Ti chiedo scusa." disse Mei. "Credo che ora sia il caso di andarmi a vestire, prima di combinare altri guai."
Preso il valigione di Freya, un trolley gigantesco di pelle verniciata fuxia scuro, iniziò a trascinarlo un gradino alla volta su per la scaletta.
"Pensa te… una valigia simile l'ho vista in un negozio a Hong Kong, tempo fa…" esordì, cercando di stemperare la tensione di poco prima. "Dovresti vedere, sembra una Vuitton originale."
Da basso, lui sorrise.
"E' una Vuitton originale." rispose. "Non riesco a immaginare Freya o sua sorella fare acquisti di valigie tarocche in un negozio a Kowloon."
"…"
Dieci minuti dopo, sentì la zip della valigia richiudersi e Mei scendere.
"Finalmente, stavo diventando vecchio." la prese in giro. "Ti sei truccata per una visita al villaggio?"
"Non per vanto, ovviamente. Freya mi ha consigliato di proteggere gli occhi dai raggi solari perché il riverbero sulla neve gioca brutti scherzi. Non sto bene così truccata?"
"Sei più bella senza." le rispose semplicemente.
"Grazie." sussurrò Mei. "Temo ti ci vorrà tutta la sera per spogliarmi di questi abiti." aggiunse poco dopo con una punta di malizia, mentre si calcava il pesante cappello sulla testa. Sorrise nel vedere il lungo cappottone nero inchiostro di Freya. "Non assomiglio a Trinity?"
Senza farsi vedere, Camus alzò gli occhi al cielo.
"So di essere pignolo ma Trinity se non sbaglio vestiva latex nero, non bunad norvegesi di panno blu."
"Questo è vero." convenne Mei. "Beh, in fondo nemmeno tu sei Keanu Reeves, quindi…"
"Eh già. Anziché Neo, ti toccherà sopportare me." le disse, prima di aprire la porta. "Coraggio, andiamo."
Varcata la porta di casa, il bianco più totale.
"Oddéi." mormorò Mei, ignorando lo scricchiolio delle travi della stretta veranda che dava sull'esterno.
"Quest'esclamazione è dovuta al freddo o al panorama?"
Ovunque posasse lo sguardo vedeva solo neve. Quella sulle catene montuose lontanissime all'orizzonte, quella che copriva il mancorrente della veranda, quella che, a terra, minimo arrivava alle ginocchia.
"Entrambe le cose." rispose, mentre il fiato disegnava una nuvoletta di vapore.
"Tirati su la sciarpa e copriti bene le orecchie." disse Camus, muovendo un paio di passi e affondando nella neve fresca fino alle ginocchia, esattamente come aveva previsto. "Gelarsi qui è questione di pochi attimi."
"A casa nevicava, sì, faceva anche freddo, ma non così… quanti gradi ci saranno?" Camus la prese in braccio. "So ancora camminare, sai?" protestò Mei.
"Accettare un gesto romantico, ogni tanto? No?" le sorrise, camminando senza difficoltà nella neve alta fino ad arrivare a una trojka. "La vostra carrozza, madame."
"Salgo solo se posso sedere a cassetta, però." disse Mei. "Indosso i vestiti di una principessa, ma ti ricordo che non lo sono. Né mi piacerebbe esserlo."
"Come desideri, mia signora." le rispose, aiutandola a salire e girando intorno ai cavalli per salire dall'altra parte. "Come si suol dire: ogni vostro desiderio è un ordine."
"Stai attento a che cosa dici, Cam. Potresti non avere forze sufficienti per esaudire tutti i miei desideri." gli rispose, prima di tirarsi la sciarpa fin sul naso.
Durante tutto il tragitto fino al villaggio, Camus ne approfittò per raccontarle aneddoti e curiosità legate a certi posti o certe case, assicurandosi di tanto in tanto che fosse abbastanza coperta.
"Se mi accorgo che hai freddo, ti siedi dietro."
"Se sento freddo, te lo dico." rispose Mei, paziente. Si accoccolò contro di lui, godendosi il paesaggio.
Una volta arrivati a destinazione, Mei si accorse di come il tempo, in quel luogo, si fosse quasi cristallizzato in una bolla dove il tempo scorreva molto più lentamente del normale.
Camus fermò la trojka davanti a un edificio piuttosto pittoresco, scese e dopo aver assicurato i cavalli a una trave, le si avvicinò.
"Ecco l'emporio, così potrai scaldarti un po'. Aspetta, ti aiuto a scendere." disse Camus. Allungò le braccia afferrandola saldamente per i fianchi e la sollevò come se non avesse peso, posandola a terra.
"In questo momento mi sento parecchio Scarlett O'Hara."
"Pensavo di più a Lara, a dire il vero." rispose Camus, allegro, ricevendo in risposta uno sguardo torvo.
"Lara è la donnaccia che ruba il marito a Tonja. Scarlett, testa di rapa o meno, non ha mai portato via un uomo sposato a sua moglie."
"In effetti in quanto a caratteraccio assomigli di più a Scarlett che a Lara." convenne Camus, divertito. Di colpo, però, il suo sguardo si fece gelido, nel guardare qualcosa, o qualcuno, dietro di lei.
"Cosa c'è?"
"Nulla. Nulla, vieni." le tenne aperta la porta dell'emporio quindi, dopo un altro sguardo di ghiaccio, la seguì nel locale. "Nazar, amico mio!" 
Si avvicinò discretamente alla vetrina scostando appena un lembo della pesante tenda rossa e vide, dall'altra parte della strada, un uomo sulla sessantina ricurvo su un bastone, con uno sguardo malevolo che le mise i brividi addosso.
"Chi è quell'uomo?" domandò a bassa voce, quando Camus l'aiutò a sfilarsi mantello e cappotto per appenderli insieme al suo a un attaccapanni dietro al bancone dove Nazar stava versando dei bicchierini di vodka.
"Oleg Sergeevič Rybakov: il più grande figlio di buona donna della Siberia Occidentale." le rispose, sempre a bassa voce.
"Mi sentivo i suoi sguardi addosso, prima di entrare qui."
"Mi segue come uno stalker ogni volta che metto piede a Kobotec. Non ce l'ha con te, stai tranquilla."
"Esattamente quale parte della tua risposta dovrebbe farmi stare tranquilla?" domandò Mei.
"E' un dannato bastardo con la faccia arcigna, ma è del tutto innocuo." rispose Camus, circondandole le spalle e sospingendola gentilmente verso il bancone. "Scusaci se ti sentirai esclusa dalla conversazione, ma Nazar parla un francese pessimo e tu non parli russo. Farò da traduttore."
Camus fece le dovute presentazioni e Mei rispose pazientemente alle domande che Nazar le fece mosso a curiosità, finché poi non iniziarono a parlare tra di loro di cose riguardanti il villaggio e lei si fece da parte lasciando i due uomini tranquilli a parlare e bere.
"Voi siete la moglie del Maestro?" le domandò una ragazza, cogliendola di sorpresa. "Perdonatemi, non volevo spaventarvi. Mi chiamo Zoya, sono la nuora di Nazar."
"Mei." si presentò, sorridendo alla giovane.
"Sono felice di conoscervi! Venite vicino al fuoco, vi scalderete mentre Kirill provvede alle provviste che vi servono." continuò Zoya, parlando in un francese pressoché perfetto, accompagnandola sul retro dell'emporio, dove Mei vide la trojka con la quale erano arrivati lì e un ragazzo dell'età di Hyoga tutto impegnato a caricare legna e vari generi alimentari; poco distanti dal piccolo caminetto acceso vide un bimbo seduto in un seggiolone e una neonata in una culla.
"Sono i vostri figli?" domandò Mei, pur conoscendo la risposta. "Posso?"
"Ivan e Valentyna." annuì Zoya, prendendo in braccio la neonata e posandola tra le braccia di Mei. "Anche voi avete figli."
Non era una domanda, e ciò significava che sicuramente anche Zoya ne sapeva abbastanza, tuttavia Mei sorrise colma d'orgoglio quando pensò alla sua Lixue.
"Una bambina di sette anni, di nome Lixue… che in cinese significa neve graziosa. La chiamai così perché nacque durante una notte particolarmente nevosa." spiegò Mei, guardando la ragazza filtrare una bevanda calda in due tazze. "Avete due figli bellissimi."
"Vi ringrazio. E vostra figlia è qui a Kobotec con voi?"
"No, in questo momento si trova con Hyoga e con la sua fidanzata." rispose Mei, richiamando l'attenzione di Kirill, che si fermò un istante nel sentire il nome dell'amico.
"Oh. Peccato, mi sarebbe piaciuto conoscere anche vostra figlia. Quando il Maestro tornava in paese con la bambina non veniva certo a far visita alla bottega di mia madre. Sapete, è una sarta." spiegò Zoya, porgendole una tazza colma di un liquido scuro e dal forte profumo di ciliegia.
 
Camus nel frattempo si era aggiornato sulle ultime notizie del villaggio, gentilmente messe a disposizione da Nazar che, grazie a quell'emporio che fungeva anche da bar e luogo di ritrovo, ne conosceva davvero una più del diavolo.
"Hyoga come sta? Vive ancora con te o ha preso il volo?"
"In un certo senso, entrambe le cose. La sua fidanzata ha comprato casa accanto a me, ci separa solo una porta." rispose Camus. "Ma a me va bene così."
"E' sempre insieme a quella Freya, giusto? La sorella della regina Hilda di Asgard?"
"Sì."
"Sento un ma in sospeso."
"Non ti sfugge niente, eh?" gli disse, senza tuttavia rispondere alla domanda. Non avrebbe sicuramente detto a Nazar dei dubbi che aveva nei confronti dell'ingombrante cognata di Hyoga. Quando aveva scoperto che Freya aveva comprato casa a Parigi per iniziare una vita autonoma, non aveva reagito granché bene.
"Pensano di mettere su famiglia? Hyoga è già abbastanza vecchio."
Camus sorrise: per gli standard di Kobotec avere quasi ventun anni e non essere ancora sposati era impensabile, si era già vecchi.
"Se Hyoga è vecchio alla soglia dei ventun anni, io allora cosa sono?" ridacchiò.
"Ma tu sei già sistemato, e anche bene, vedo." rispose Nazar, diplomatico. "A proposito… e la tua bambina?"
Dal portafogli Camus prese una foto che ritraeva Mei e Lixue insieme, scattata ad Atene la sera in cui erano partite da Pechino e gliela porse.
"Hey! Ma è già così grande? Cresce a vista d'occhio!"
"Oh già. Ha sette anni."
"Parola mia, questa ragazzina ti ha rubato la faccia!" esclamò Nazar, guardando Lixue. "E' la tua goccia d'acqua! Vero, Kirill? Guarda un po'."
Il ragazzo s'avvicinò e sbirciò la foto.
"Non per gli occhi però."
"Ringraziando il cielo, gli occhi di sua madre sono più belli dei miei." rispose Camus, accendendosi la sigaretta che Nazar gli aveva offerto poco prima. "A proposito di Mei…"
"E' sul retro con Zoya e i miei nipoti." lo informò Nazar, anticipando la sua domanda. "Pare una brava ragazza."
"Non per vantarmi, ma è una bambina dolce e studiosa e io sono profondamente fiero di lei." rispose Camus, con una luce particolare negli occhi. "Soprattutto quando mi batte a scacchi. Succede poche volte, ma succede."
"Ovviamente, perché suo padre ha avuto un ottimo maestro." commentò Nazar.
"Questo è vero." convenne Camus. "Anche se, a essere sincero, ti ho superato e già da un pezzo."
"Hey, chi credi di essere? Aleksandr Alechin? Potrei batterti anche bendato, ragazzo mio." replicò Nazar, fingendosi offeso. "Deve ancora nascere colui che può superare il vecchio Nazar Fyodorovič Kasparev!"
"La prossima volta che vengo in visita a Kobotec porto anche mia figlia, e ti dimostrerò che quella persona è già nata!"
Nazar scoppiò a ridere divertito e per niente offeso dallo scambio di battute, e Camus lo seguì pochi secondi dopo.
"Comprendo bene la venerazione che hai nei confronti di tua figlia, ma io parlavo della tua fidanzata." precisò. "Sono sicuro che è la brava ragazza che sembra a prima vista."
"Lo è." rispose Camus. Se a fare quell'affermazione fosse stato qualcun altro, avrebbe risposto a tono, con un filo di rabbia malcelata. Ma conosceva Nazar da tantissimo tempo, e sapeva che il tono della sua voce era paterno, non critico.
Nazar rabboccò i bicchierini di vodka.
"E anche lei, ti rende fiero?"
"Di più. Mi rende felice, ogni giorno." rispose Camus, vuotando il proprio bicchierino e posandolo girato sul bancone, segno che non intendeva bere più.
Nazar si sporse verso di lui e, preso il volto tra le sue vecchie mani rugose, gli posò un paterno bacio sulla fronte.
"Sono contento per te, te lo meriti." mormorò. "Posso tenere la foto?"
Camus prese una seconda foto dal portafogli, dove tutti e tre erano ritratti seduti sugli Champs de Mars, e gliela porse, appuntandosi mentalmente di stamparle di nuovo una volta tornati a casa.
"Certo." rispose, guardando il vecchio amico, tutto contento, prendere delle puntine da disegno e appuntare le foto sul grande tabellone di sughero dietro il bancone.
Poco dopo Kirill lo informò che le provviste richieste erano tutte caricate sulla trojka, e Camus spense il mozzicone su un posacenere, scendendo dallo sgabello. "Mei?" non ottenendo risposta, si diresse verso il retro. "Posso?"
"Non devi nemmeno chiederlo." sorrise Nazar, mentre qualcuno entrava nell'emporio.
La trovò seduta accanto al camino, mentre beveva mors e parlava con Zoya; in braccio teneva ancora la neonata, e in quel momento gli parve di trovarsi dentro il dipinto nel quale James Sant, pittore di corte della regina Vittoria, aveva ritratto moglie e figlia.
"Ciao, ometto!" esordì in russo, salutando Ivan con una paterna carezza sulla testolina prima di avvicinarsi a Mei e la piccola.
"Mi hai chiamato? Non ti ho sentito, scusami."
"Stai tranquilla." le sorrise. "Ciao principessina."
"Vuoi prenderla un attimo?" mormorò Mei.
Annuì, girandosi verso Zoya.
"Zoya, posso…?"
Mei gli passò la bambina di modo che poggiasse la testolina contro il suo cuore.
"Non girarla, tienila così. Quando sentono il battito cardiaco si calmano."
Sorrise con dolcezza alla neonata che gli aveva afferrato due dita, con lo stesso sguardo intenerito che gli aveva visto quel lontano giorno di sette anni prima al Goro-Ho, con Lixue.
"I vostri figli sono bellissimi, ragazzi."
Mei avrebbe giurato di aver visto gli occhi del fidanzato inumidirsi.
"Vieni Mei, dovrei darti un paio di cose." disse Zoya, invitandola a seguirla.
"Avete solo una figlia, Maestro?" domandò Kirill.
"Per adesso sì." rispose Camus, senza distogliere l'attenzione da Valentyna.
"E non ne volete altri?"
"Sì, è tanto tempo che desidero altri figli."
"E che cosa aspettate allora?"
"Beh, non dipende solo da me." rispose, allungandosi per prendere il bicchiere di mors che Mei aveva lasciato sul tavolino.
Kirill incrociò le braccia sul petto.
"Come no?"
Nazar interloquì regalando al figlio uno schiaffo sulla nuca.
"Non può mica montarla come una puledra e costringerla con la forza!"
Quasi gli andò di traverso il sorso; era una fortuna che Mei non avesse sentito –più fortunato ancora era il fatto che non comprendesse una sola parola di russo-, conoscendola avrebbe risposto a modo suo, indignata.
"Ma non intendevo dire questo!" Kirill arrossì finché il suo viso non divenne bordeaux come il maglione che indossava. "Io… io volevo dire che… cioè… okay, torno alle mie faccende."
Camus alzò la mano in un gesto appena accennato.
"Ho capito che cosa intendi dire… ma certe cose si decidono in due. Non posso mettere incinta mia moglie senza avvertirla delle mie intenzioni." rispose. Primo, perché non era quel genere d'uomo e perché rispettava troppo Mei per farle una cosa del genere; secondo, perché Mei, come minimo, l'avrebbe evirato.
La neonata si mosse inquieta e decise di posarla nella sua culla, augurandole un buon riposo, proprio mentre Mei e Zoya facevano ritorno.
"Torniamo a casa, tesoro?"
 
"Hai visto? Siamo sul Kobotec Wall of Fame." scherzò Camus, dispiegandole il cappotto per aiutarla a infilarlo. Le indicò con un cenno del capo il tabellone di sughero dietro il bancone, dove poco prima Nazar aveva affisso le loro foto, insieme a tantissime altre, per lo più in bianco e nero rovinate dal tempo. Molte di queste ritraevano giovani in divisa militare o intere famiglie composte da più generazioni ritratte insieme, qualcuna ritraeva giovani coppie o ragazze del luogo, altre donne più mature.
"Quella donna con il colbacco bianco, vedete…" le indicò Nazar in un francese stentato senza muoversi dal bancone al quale era seduto "… quella era mia moglie, la mia bella Katin'ka."
Una donna carina, che al momento dello scatto non doveva essere poi tanto più vecchia di lei.
"Qui doveva essere molto giovane. Era molto bella." rispose a Nazar, sorridendo.
"Ha detto che era molto giovane e bella." tradusse Camus, notando Nazar in difficoltà col francese di Mei.
"Vi ringrazio, madam. Quando se n'è andata ha lasciato un vuoto incolmabile in me…"
"Si conoscevano da quando erano bambini: sposati giovani e separati troppo presto." sussurrò Camus.
D'un tratto, nella miriade di volti e sorrisi, incrociò uno sguardo che conosceva molto bene, ritratto in due foto distinte: un primo piano e una foto di coppia.
Il primo piano ritraeva una bellissima donna bionda con i capelli lasciati sciolti sulle spalle vestita con un abito molto pesante, del tutto priva di trucco e, da quanto s'intravedeva, con una collana come unico ornamento. La seconda foto ritraeva la stessa ragazza in abiti più eleganti, insieme a quello che Mei avrebbe giurato essere… Hyoga.
"Credo d'avere le traveggole: ho visto Hyoga in questa foto ma… ovviamente non può essere lui."
Camus chiamò Nazar, parlando in un russo molto fitto, indicando le due foto e nominando Hyoga un paio di volte.
"Dice che quello era suo padre, come avevo immaginato… ho chiesto se potevo prendere le due foto per poterle copiare, mi ha risposto che posso tenere le originali perché è giusto che sia Hyoga ad averle." rispose, staccando le due foto dal muro con grande attenzione. Dietro, due date: la foto di Natassia recava la data Gennaio 1986, la seconda, con entrambi i genitori di Hyoga, Settembre 1990, pochi mesi prima della nascita di Hyoga. Il pancione di Natassia era decisamente visibile sotto i colorati abiti tradizionali.
Nazar riprese a parlare, e Mei attese pazientemente che Camus le traducesse il tutto.
"Dice che il padre di Hyoga è morto a fine novembre, due mesi dopo questa fotografia, e che la famiglia si è totalmente disinteressata della sorte di Natassia e del loro nipotino, grazie anche a un vespaio creato da Oleg."
"Però. Proprio brave persone." mormorò Mei, sottovoce.
"Dei maledetti figli di buona donna, Oleg per primo." sbottò Camus, arrabbiato. "Natassia avrebbe potuto salvarsi."
"…per poi morire di crepacuore vedendo gli uomini di Mitsumasa Kido portarsi via suo figlio. Non crucciarti per qualcosa che comunque non può essere cambiato… in un certo senso meglio così, annegata per aver ceduto il posto a Hyoga, piuttosto che nell'altro modo: il pensiero che qualcuno possa portarsi via tuo figlio è un pensiero troppo devastante per una madre. E' così che se n'è andata Joséphine, il cuore non ha retto all'idea di averti perso per sempre. Fidati, sono una madre, certe cose le capisco meglio di te."
 
*
 
"Sei silenzioso da quando abbiamo lasciato l'emporio. La vodka di Nazar ti ha annodato la lingua?"
Camus si schiarì la voce.
"Stavo pensando."
"Alle foto di Hyoga?"
"No, stavolta non c'entra lui. Pensavo a quando ti ho visto nel retro, con la piccola in braccio."
Mei sorrise intenerita, stringendosi a lui.
"Che meraviglia, tenere in braccio una neonata così piccola. Era così morbida, hai sentito?"
"Appunto." la interruppe lui, serio. "Solo che per quanto adorabile, a me non basta tenere in braccio la figlia di qualcun altro. Mei, vorrei un altro figlio."
 
***
Lady Aquaria's corner.
(Capitolo modificato in data 10 ottobre 2014)
Dunque, questo è il primo capitolo a subire un cambiamento massiccio: dalle prossime revisioni spariranno anche i vari bashing in favore di capitoli e situazioni più, diciamo così, mature.
 
-"C'è solo un posto dove prendo ordini dal mio uomo. E non è questo." Chi di voi ha guardato Grey's Anatomy si ricorderà di questa battuta di Catherine Avery, alla quale l'ho indegnamente rubata presa in prestito;
-Soljanka: una zuppa diciamo "mista" tipica della cucina russa;
-La Psichiatra: un gran bel thriller di Wulf Dorn;
-Kowloon: un'area di Hong Kong;
-Bunad: costume tipico norvegese;
-Lara, Tonja: le due protagoniste femminili del Dottor Zivago;
-Aleksandr Alechin è considerato il più grande campione di scacchi del mondo, il cognome di Nazar, Kasparev, deriva da Kasparov, altro grande campione di scacchi;
-Mors: bevanda tipica russa composta da succo di frutta, di solito frutti di bosco o mirtilli rossi;
 
Noto con piacere che nonostante il ritardo nella pubblicazione c'è ancora chi recensisce. Il mio grazie più sincero.
 
Lady Aquaria
 
   
 
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