Disclaimer: giuro che i personaggi qui utilizzati sono tornati sani e salvi alla loro legittima, bionda, inglese (e soprattutto ricca sfondata) proprietaria.
N.d.T.: la storia che segue (di cui si può trovare l'originale in inglese a questi link: FF.net, AO3, LJ) è stata scritta da sing-oldsongs nell'agosto del 2007 e tiene quindi conto di tutti i libri della saga. Per questo e per il fatto che potrebbe benissimo essere un episodio 'non raccontato' del quinto libro ho deciso di non mettere AU tra gli avvertimenti. Il titolo è stato tratto da un verso del sonetto XXX di Shakespeare, che è riportato per intero alla fine della storia. Dato che è una delle Fred/Hermione più interessanti che mi sia capitato di leggere, mi prendo, ovviamente e come al solito, tutta la responsabilità della traduzione e di non averla saputa rendere bene in italiano.
Infine ringrazio chi ha letto/commentato Lies by omission e Draco, Like a Mac and Cheese Virgin.
Buona lettura, LuxLucis
Lack of Many a Thing I Sought
I.
Agosto
Sono
solo
piccole cose, solo sciocchezze. Come, ad esempio, le sue dita sopra
quelle di
lei quando, a cena, allungano contemporaneamente la mano per
raggiungere la
saliera; oppure la sua espressione sorpresa quando si scontrano per
caso mentre
lei sta uscendo dal bagno dopo aver fatto la doccia; oppure ancora i loro incontri casuali
davanti all’armadio
dell’ingresso, quando è in cerca di
un’altra coperta per il suo letto.
Grimmauld
Place
è enorme, cavernosa, talmente vuota e spettrale che le voci
rimbombano
attraverso stanze e corridoi; eppure, alle volte, sembra che
l’intera casa le
si stringa attorno. Quando Harry comincia ad urlare; quando Ron dice
qualche
stupidaggine e si accapiglia con lei; quando di notte Ginny le dice
– il primo
segreto confessato tra amiche fra le quattro pareti della loro stanza
– che
Michael Corner l’ha baciata l’ultimo giorno di
scuola e che lei intende
baciarlo ancora.
Ma
la casa non
sembra mai così stretta ed angusta come quando Fred segue
con lo sguardo ogni
suo movimento.
***
II.
Settembre
Fred
Weasley ha
quel tipo di mezzo sorriso che lei proprio non riesce a sopportare:
arrogante e
quasi crudele, dipende dalle occasioni; non è affascinante:
è fastidioso,
derisorio, beffardo e irriverente sempre nel momento sbagliato.
Si
ostina a
rubarle i libri quando, di sera, si siede da sola nella sala comune e
li sventola
sopra la sua testa, facendole promettere di metterli via se li vuole
rivedere
interi; ma quando poi glieli restituisce, lei non fa altro che prendere
tutti i
suoi tomi e correre nella sua camera, e se mentre sale lungo le scale
lo sente
urlare “Ehi, non è corretto! Non stai seguendo le
regole del nostro patto!” si
trattiene a stento dal voltarsi e dal dirgli quanto sia ridicolo che
proprio
lui parli di correttezza.
***
III.
Ottobre
La
notte prima
di Halloween fa fatica a prendere sonno e non riesce a dormire
tranquillamente,
i suoi incubi sono popolati da stanze buie e abbandonate, dalla musica
di un
organo, da pesanti tendaggi che sventolano, bianchi e inquietanti. Alla
fine,
quando si sveglia, ha l’impressione di aver appena assistito
ad un film muto di
pessima qualità.
Nei
suoi sogni
facevano la loro comparsa anche una chioma di capelli rossa e pelle
chiara e
lentigginosa – ma si rende conto, con sgomento, che quelle
membra tese e madide
non sono le stesse – familiari – di vecchie visioni.
Il
giorno dopo è
seduta in biblioteca, fissando file e file di libri illeggibili, mentre
la luce
attorno a lei diventa sempre più insopportabilmente fioca e
all’esterno infuria
una tempesta autunnale. Pensando di essere sola, sobbalza per lo
spavento
quando lo vede comparire da dietro un imponente scaffale, mentre le sue
spalle
sono scosse dalla risata per un scherzo a lei sconosciuto. Comincia a
ridere
ancora più forte quando si accorge della sua paura.
“Vedi
cosa
succede a studiare tutta da sola ad Halloween, signorina
Granger?” le dice,
rimproverandola scherzosamente, allungandosi sul tavolo con le mani
sopra i
suoi libri e il viso troppo vicino al suo. “Non posso credere
che tu ti stia
perdendo una tempesta come questa, nascosta in biblioteca.”
“E
tu? Cosa stai
facendo qui?” gli chiede, ma le parole che nella sua mente
sarebbero dovute
essere pungenti e sarcastiche suonano stranamente strozzate e confuse
quando le
pronuncia a voce alta.
Le
sorride,
mostrandole una lunga serie di denti bianchi. “È
un segreto,” mormora.
Per
‘segreto’
intende dire che la sta spiando, ma questa è una cosa che
lei imparerà molto
tempo dopo.
***
IV.
Novembre
Il
cielo sopra
di lei è grigio, invernale e la ruvida corteccia di un
albero le si sta
conficcando nella schiena; Fred Weasley la sta baciando, sente il tocco
della
sua lingua lungo la linea della mandibola e i suoi morsi leggeri sul
collo,
mentre con le mani la accarezza sotto i vestiti.
È
un sogno. È un
sogno. È un sogno, un sogno, un sogno.
Continua
a
raccontarsi delle menzogne per rendere più sopportabile la
realtà che sta
vivendo, l’assurdità alla quale sta partecipando.
Con
le braccia
gli cinge la vita, avvicinandolo prepotentemente a sé, e
quando hanno finito,
quando si allontanano l’uno dall’altra, lei lo
guarda in viso, cercando
l’indizio di una qualche emozione, ma non trovando nulla,
mormora con cautela,
“Fred…per favore…non dirlo a
Ron.”
La
fissa senza
mostrare alcuna espressione per qualche istante. Le sue labbra sono
gonfie e rosse
e la pelle della fronte e delle guance, pallida e arrossata dal vento
pungente,
è costellata da una miriade di lentiggini.
È
necessario un
minuto perché la crudeltà ricompaia sul suo viso.
“Cielo,
no,
Hermione,” dice. “Non potrei mai fare una cosa del
genere.”
Torna
al
castello da solo, lasciandola accasciata contro l’albero
sull’orlo delle
lacrime, mentre si chiede perché non gli ha chiesto una
volta ancora di mantenere
il segreto.
***
V.
Dicembre
“Aprilo
quando
sei da sola” le sussurra e lei si ritrova in mano una scatola
che le ha passato
velocemente e con la destrezza di un borseggiatore.
Lei
rimane
esterrefatta; mancano ancora settimane prima di Natale e
nell’aria c’è l’agitazione
che aleggia sempre sugli ultimi giorni del quadrimestre, resa peggiore
quell’anno dall’imminente collasso, dal terrore
serpeggiante, dai segreti custoditi.
Non
si era
aspettata un regalo da lui.
Tre
ore dopo è
seduta a gambe incrociate sul suo letto; si è fatta la
doccia, si è cambiata con
i suoi vecchi pantaloni di flanella e la maglietta consunta che usa per
andare
a dormire – ha fatto qualsiasi cosa per procrastinare quel
momento ed ora è
raggomitolata sulle coperte, mentre fissa la scatoletta rettangolare e
fa
scorrere le dita sul morbido velluto nero che la ricopre.
All’interno,
avvolto
in altri strati di delicata carta nera c’è una
fine catenella d’argento attaccata
ad un piccolo e discreto ciondolo a forma di stella. È
probabilmente il regalo
più costoso che abbia mai ricevuto.
Glielo
dice
dietro la porta chiusa di un’aula in disuso, mentre fuori
dalla finestra sta
cadendo la terza neve dell’inverno, soffice e bianca. Lui
l’ha fatta sedere su
uno dei banchi, infilandosi tra le sue gambe e tenendo appoggiate le
mani sulle
sue ginocchia, mentre lei lo tiene stretto per le spalle.
“Ti
è piaciuto
quello che ti ho preso?” le chiede, la voce rauca e soffocata
mentre la sta baciando
sul collo.
“È
troppo” dice
“Non puoi spendere così tanti soldi per me. Non
puoi.”
Si
allontana
improvvisamente, gli occhi che la stanno guardando conservano ancora
un’antica
scintilla di malizia. “Ma io posso, l’ho fatto e
non mi puoi fermare, Hermione
Granger. Non riesci a sopportare che gli affari ci stiano andando
così bene, ma
ti dovrai abituare. Di questo passo io e George conquisteremo il
mondo.”
“Non
esagerare”
Lo avverte, ma è troppo tardi: lo ha già fatto.
***
VI.
Gennaio
Si
incontrano
nei tetri e mal illuminati corridoi di Grimmauld Place. Capodanno
è arrivato e
passato, ma lì il tempo è come sospeso, avvolto e
avviluppato alla magia che
gocciola dai rubinetti e che si accumula, come la polvere, sulle
mensole delle
librerie e sulle cornici dei ritratti. Non pensava di tornare in quel
luogo
tanto presto.
La
schiena di
Hermione è appoggiata contro la carta da parati, decrepita e
intrisa di
qualcosa di cui lei non vuole nemmeno sapere il nome. Fred le sta di
fronte,
con le dita allargate sul muro dietro di lei, le mani appoggiate ai
lati della
sua testa.
“Papà
sta sempre
meglio ogni giorno che passa,” le racconta.
“Mi
fa piacere.”
Poi,
ancora una
volta, sono circondati da un silenzio oppressivo e penetrante, per
infrangerlo
occorrerebbero parole che entrambi non hanno né la forza
né la voglia di
pronunciare. Fred passa gentilmente un dito sulla catenina, appena
visibile
attorno alla pallida pelle del collo di lei: la tiene sotto il colletto
delle camicie,
per star tranquilla.
Incontra
il suo
sguardo mentre si sta mordicchiando il labbro.
“Mi
sono
spaventato a morte,” ammette, poi ridacchia, forzatamente e
per breve tempo.
Lei non sa cosa dire, la falsità di ogni sua possibile
parola la paralizza. Alla
fine allunga un mano per accarezzargli gentilmente il viso; le sue
labbra, a
quel punto, si aprono in un nuovo sorriso, più malinconico,
ma sicuramente più sincero.
***
VII.
Febbraio
Durante
quel
gelido inverno le aule di lezione sono opprimenti e i corridoi
pericolosi. Si
incontrano nella Stanza delle Necessità, nel bagno dei
prefetti, nel dormitorio
dei ragazzi del settimo anno. Lei si preoccupa degli incantesimi per
insonorizzare la stanza, mentre lui incanta tutte le finestre
– una città
diversa per ogni volta che si incontrano, per avere
l’illusione di viaggiare,
della libertà e della fuga. Si esercitano con gli
incantesimi di difesa.
Restano sdraiati sul pavimento, con la testa di lei appoggiata sul suo
petto,
mentre lui le cinge le spalle con un braccio, e immaginano tutti i
possibili
modi in cui far impazzire la Umbridge.
“Potremmo
usarla
come cavia agli incontri dell’ES.”
“O
organizzarle
un appuntamento con Tu-Sai-Chi. Sarebbero perfetti insieme.”
“O
spedirla a
vivere con i Dursley, così capirebbe finalmente
cos’ha passato Harry.”
“O
fare sesso
sulla sua scrivania!”
È
la sua ultima
proposta, urlata contro le volte decorate degli alti soffitti, come se
non gli
importasse nulla di chi potrebbe sentirli, che infrange definitivamente
la
calma di Hermione.
“Mentre
sta guardando?
Ma è tremendo!”
Ha
cominciato a
ridere ancora prima di finire la frase, gli occhi chiusi, quasi a
difendersi da
quelle immagini ridicole e non volute – e quando le loro
risate si esauriscono
contemporaneamente, lei si accorge che sono ancora più
vicini di prima e che
lui la sta guardando con uno sguardo serio ed profondo.
Solo
allora si
ricorda, piuttosto all’improvviso e piuttosto stranamente,
che è il giorno di
San Valentino.
Vorrebbe
dirgli
che è innamorata di lui, ma non è del tutto
sicura che sia vero.
***
VIII.
Marzo
Ron
si sta
addormentando sul suo compito di Pozioni e Harry sta guardando fuori
dalla
finestra. Riesce a scorgere solo il suo riflesso: un volto pallido,
scurito
solamente dal cielo notturno, un paio di lenti brillanti che nascondono
altrettanto brillanti occhi, i lineamenti perfettamente composti in
quell’espressione imperscrutabile
che
lei non è mai stata capace di decifrare.
All’altro
capo
della stanza, Fred e George stanno usando come cavie umane alcuni
ignari
bambini del primo anno per i loro esperimenti.
“Avvicinatevi,” sta urlando
Fred, “avvicinatevi! Ammirate quest’uomo valoroso e
senza paura” (e il
ragazzino sorride compiaciuto perché un ragazzo del settimo
anno – popolare,
importante e per giunta piuttosto ricco – lo sta chiamando
‘valoroso’, e per
lui questo è tutto quello che conta) “diventare
invisibile davanti ai vostri
stessi occhi!”
Si
è formata una
piccola folla di persone davanti a loro.
Hermione
guarda,
per nulla colpita dalla loro dimostrazione, mentre la pelle del bambino
vira
verso una tonalità sempre più chiara, le dita, le
orecchie e la punta del naso
diventano quasi completamente traslucidi.
“È
ancora in
fase sperimentale,” sta spiegando George.
Fred
la
sorprende mentre lo sta fissando e cerca di scoccarle uno dei suoi
irresistibili sorrisi, ma lei è troppo veloce
nell’andar via.
Più
tardi, su
una poltrona della sala comune, Ron si agita nel sonno e si rigira su
se
stesso, borbottando qualcosa a proposito di
“ragni”, “orso” e
“vattenevia!” e
qualcos’altro che suona stranamente simile a “Fred,
ti odio.”
***
IX.
Aprile
Nella
sua
lettera le racconta di aver pianificato tutto già da un
po’ di tempo, non dice
di preciso da quanto.
“Ovviamente
non
avremmo dare spettacolo in quel modo,” scrive,
“quello è stato soltanto un
vantaggio collaterale.”
Vorrebbe
rispondere
chiedendogli se sono davvero convinti, lui e George, di essere i soli
ad odiare
la preside e a non sopportare più la scuola, di essere i
soli a desiderare così
tanto di scappare e fuggire lontano. Alla fine non lo fa.
Non
gli chiede
perché non l’ha portata via con lui, sa che
probabilmente ci ha pensato, ma che
ha ritenuto che lei non sarebbe stata d’accordo. Non gli
chiede neppure quando
si rivedranno: pensa che non sarà tra molto, dopotutto non
sono poi così
lontani.
Quando
però
esclude tutte le cose che vorrebbe davvero scrivergli, ma che non
può, si rende
conto che non è rimasto molto da dire.
Prova
con “Mi
manchi,” ma lo cancella subito dopo: è la cosa
più sincera che potrebbe
scrivere, ma se lui non lo capisce da solo, senza che lei glielo dica,
allora non
vale neppure la pena metterlo così nero su bianco.
***
X.
Maggio
Ron
è in
infermeria, mentre si consuma e si strugge con pensieri non suoi, con
memorie
di eventi che non ha mai vissuto; si strofina sovrappensiero la
cicatrice che
ha sul braccio ed evita di guardarla mentre sta parlando.
Hermione
è
seduta su una sedia accanto al suo letto, con le mani incrociate sulle
ginocchia; tutti i muscoli, le ossa e gli arti che ha in corpo sono
ancora
doloranti, ma ormai si è abituata a fingere, persino con se
stessa, che non lo
siano più. È diventata bravissima – a
fingere – persino Madama Pomfrey l’ha
fatta alzare dal letto senza nessun problema.
Fuori
il tempo
li sta adescando con un vago accenno d’estate, quando in
realtà tutto ciò che
lei vorrebbe vedere è la rinascita e lo sbocciare di nuova
vita che promette la
primavera. Raggi di chiara luce mattutina penetrano attraverso la
finestra,
illuminando le ciocche color rosso acceso dei capelli di Ron, fino a
quando non
risplendono di luce dorata.
Gli
chiede di
Harry.
“Starà
bene,”
risponde Ron, cercando di convincere anche se stesso di quello che sta
dicendo ed
Hermione si chiede se sta pensando, come lei, all’espressione
che compare sul
viso di Harry quando crede che nessuno lo stia guardando.
Le
cicatrici sul
braccio di Ron sono in rilievo e ancora fresche, come distorti e rossi
sentieri
che hanno appena cominciato a scomparire; quando lei rialza lo sguardo
dopo
averle fissate per qualche istante si accorge che lui la sta guardando.
“A
proposito di
Fred,” comincia.
Non
risponde, ma
spalanca gli occhi, il respiro accelera ed è costretta a
ricomporre il viso in
un’espressione più neutra e indifferente.
“George
mi ha
scritto,” continua Ron. “Lui…voglio
dire…Fred…gliel’ha detto.” Si
sta
strofinando le cicatrici con tanta forza da far diventare la pelle che
le
circonda dello stesso colore. “Pensava che lo
sapessi.”
“Oh,”
si lascia
scappare lei, ma non intende scusarsi, non quando in realtà
non sa neppure se è
veramente dispiaciuta, oppure se vale davvero la pena anche solo
fingere di
esserlo.
“Già,”
borbotta
Ron. “È quello che ho pensato
anch’io.”
***
XI.
Giugno
Il
caldo torrido
e appiccicoso dell’ultima settimana di Giugno li avvolge in
una cappa
asfissiante. Lei indossa un paio di pantaloni corti, una maglietta
leggera e ha
raccolto i suoi capelli in una crocchia disordinata. Ha appena piegato
l’orario
dei treni in un ventaglio artigianale e lo sta usando per farsi aria
quando lo
vede camminare in mezzo alla folla con passo lento e dinoccolato, le
mani in
tasca e lo sguardo vigile, mentre passa in rassegna tutti i volti in
cerca del
suo. Quando finalmente la scorge comincia a correre verso di lei: tutti
alla
stazione li stanno fissando.
Ridendo
la
solleva e le fa fare un mezzo giro in aria, per tutto il tempo un ampio
e
divertito sorriso gli si apre sul volto. Non si sono visti per due mesi.
“Mi
permetta di
mostrarle il negozio, signorina,” le dice.
Non
riesce ad
accantonare l’impressione che sia tutto un sogno o un qualche
film o proiezione
mentale in cui lei si è svegliata per caso, talmente simile
alla realtà da non
destare in lei alcun sospetto all’inizio, ma in contemporanea
talmente diverso
da alimentare il suo dubbio.
Non
approva metà
dei prodotti messi in vendita, ma rimane in silenzio per non creare
problemi.
George nel frattempo la guida attraverso tutti gli scaffali del
negozio,
spiegandole questa o quella cosa (la piuma che esplode nel momento in
cui tocca
la pergamena, il kit per colorare di tutte le tonalità
dell’arcobaleno il pelo
di ogni animale domestico; il telescopio che è in grado di
girare attorno agli
angoli e di infilarsi negli spiragli delle porte), mentre Fred si
occupa dei
clienti al bancone.
Più
tardi, quando
sono da soli, lei, guardando il tramonto rosso sangue che si intravede
dalle
finestre del negozio, gli chiede, “Volevi che Ron lo
scoprisse, vero? È per
questo che hai detto a George di noi?”
Lui
le risponde
che sperava non tirasse in ballo l’argomento, ma che non
è sorpreso che l’abbia
fatto. “E no,” aggiunge. “L’ho
detto a George perché è mio fratello. Mi ero un
po’ stancato di tenerglielo nascosto, se proprio ci tieni a
saperlo.”
È
appoggiata al
lato del bancone, con le braccia conserte sul petto e sulla difensiva;
Fred è
vicino a lei, proprio dietro, con le mani in tasca. Riesce percepisce
il suo
sguardo, fisso su di lei.
“Mi
avresti potuta
avvertire prima. E – e fargli credere che Ron già
sapesse tutto! Cosa ti è
venuto in mente?”
“Non
gli ho
detto una parola di Ron. Non è venuto fuori nessun altro
nome se non il mio e
il tuo. Perché mi stai dando la colpa di –
?”
Mentre
sta
parlando sfila le mani dalle tasche, facendo in aria vaghi gesti che la
fanno
innervosire definitivamente.
Lo
interrompe a
metà della frase “Perché si
è convinto che Ron lo sapesse già! Deve pur
esserci
un motivo!”
“Non
posso
essere responsabile di quello che mio fratello pensa!” urla,
la sua voce è
concitata, con quel tono brusco e aspro che lei non ha mai sopportato,
e per un
momento si chiede se non ha intenzione di colpirla, invece fa uno
strano gesto,
come se volesse strapparsi i capelli, sebbene poi si passi solo le mani
tra le
lunghe ciocche ramate, e le posa le mani sulle spalle, avvicinandosi a
lei fino
a quando il naso di uno sfiora quello dell’altra.
“Ho
mantenuto la
promessa che ti ho fatto,” le sussurra. “Solo,
credimi, fidati di me.”
La
sta guardando
con attenzione ora, cercando disperatamente di decifrare la sua
espressione,
mordendosi le labbra per il nervosismo, in attesa.
Tutto
quello che
lei dice è “Fidarsi di Fred Weasley? Mi stai
prendendo in giro?”
Quando
lui se ne
va sbatte dietro di sé la porta, facendo tintinnare
lievemente i barattoli di
vetro allineati lungo lo scaffale appena dietro di lei. Si copre gli
occhi con
le mani e prende lunghi e profondi respiri, ma anche quando riesce a
calmarsi
non riesce a sentirsi meglio in alcun modo.
***
XII.
Luglio
Dopo
quattro
lettere di lei e una di lui cominciano di nuovo a parlarsi.
Si
sforzano di
trovare qualcosa da dirsi: lei gli comunica che ha intenzione di
fermarsi per
qualche tempo alla Tana e gli chiede se ci sarà anche lui.
Lui, da parte sua,
le risponde che gli dispiace, ma gli affari stanno andando troppo bene
e non
può lasciare il negozio proprio in quel momento.
Riceve
i
risultati dei suoi G.U.F.O. e gli spedisce la notizia, senza molto
entusiasmo e
chiedendosi se gli importerà davvero qualcosa. Lui le
risponde facendo del suo
meglio nel fingere interesse.
Parlano
della
guerra solo occasionalmente, si scambiano informazioni, ogni tanto
è lei che
porta delle novità, altre volte, invece, è lui.
Un
giorno Ron le
dice con finta noncuranza che non ha tradito la sua fiducia e che non
gli
importa più; lei lo ringrazia, ma non gli confida
l’ultimo dei suoi segreti:
che in fondo ad uno dei suoi vecchi libri di testo è
nascosta una lettera che
comincia con Non credo di essere
più in
grado di sostenere ancora tutto questo e finisce con Mi dispiace. Per tutto quanto.
***
XIII.
Agosto
Sono
solo
piccole cose, avvenimenti da nulla. Come lo sguardo nei suoi occhi
quando lei
entra in una stanza; oppure la lieve pressione della sua mano sulla
schiena di
lei mentre la conduce lungo un corridoio; oppure ancora il suono falso
delle
sue scuse quando si scontrano, più tardi, in un incidente
che entrambi
avrebbero volentieri evitato.
Il
negozio dei Tiri
Vispi Weasley è affollatissimo durante gli ultimi giorni di
Agosto, giovani
maghi e streghe, indaffarati con le compere per la scuola, si
incontrano per
caso con i loro amici, esibiscono i loro acquisti e chiedono ai
genitori di
comprar loro questo o quello. Ron sta accumulando nelle sue braccia
scatole su
scatole, Ginny sta fissando in adorazione le puffole pigmee e in alcuni
punti,
davanti ai prodotti più popolari, anche respirare
è diventato praticamente
impossibile.
Hermione
si
ferma davanti alla dimostrazione dei SogniSvegli Brevettati, fermandosi
a
fissarli distrattamente, senza veramente vederli, ed è
proprio in quel momento
che lui la trova.
“Mi
hai fatto
paura,” gli dice, portandosi una mano al cuore e voltandosi a
guardarlo.
Quando
si
accorge che le tiene ancora posata una mano sulla spalla, si allontana
bruscamente, fuori dalla sua portata.
Lui
distoglie
improvvisamente lo sguardo da lei e si rivolge verso la dimostrazione
dei sogni
ad occhi aperti. “È magia davvero
notevole,” gli dice ammirata – soprattutto
per rompere il pesante silenzio che li ha avvolti, malgrado il
cicaleccio in
sottofondo.
“Già,”
risponde
lui, sovrappensiero, “George e io siamo stati i primi a
testarlo.” Lascia che
un minuscolo sorriso gli incurvi i lati della bocca. “I miei
sogni erano tutti
su di te.”
Lei
esita,
evitando il suo sguardo, e chiede “Cosa vuoi che ti
risponda?”
“Niente”,
ribatte
lui, subito prima di andarsene. “Ho solo pensato che dovessi
saperlo.”
SONETTO XXX
Quando all'appello del silente pensiero | When to the sessions of sweet silent thought |
io cito il ricordo dei giorni passati, | I summon up remembrance of things past, |
sospiro l'assenza di molte cose bramate | I sigh the lack of many a thing I sought, |
e a vecchie pene lamento lo spreco della mia vita: | And with old woes new wail my dear time's waste: |
allora, pur non avvezzi, sento inondarsi gli occhi | Then can I drown an eye, unused to flow, |
per gli amici sepolti nella notte eterna della morte, | For precious friends hid in death's dateless night, |
e piango di nuovo pene d'amor perdute, | And weep afresh love's long since cancell'd woe, |
e soffro lo stacco di tante immagini scomparse: | And moan the expense of many a vanish'd sight: |
allora mi affliggo per sventure ormai trascorse, | Then can I grieve at grievances foregone, |
e, di dolore in dolore, tristemente ripasso | And heavily from woe to woe tell o'er |
l'infelice conto delle sofferenze già sofferte | The sad account of fore-bemoaned moan, |
che ancora pago come non avessi mai pagato. | Which I new pay as if not paid before. |
Ma se in quel momento io penso a te, amico caro, | But if the while I think on thee, dear friend, |
ogni perdita è compensata e ogni dolor ha fine. | All losses are restored and sorrows end. |