La gabbia
Riesco a pensare solo razionalmente, non posso più abbandonarmi alle emozioni. Certo che le sento; corro, le inseguo, ma loro in qualche modo mi sfuggono, continuamente, come la luce alla fine di una galleria.
Penso più cose insieme: il torrente del mio intelletto scorre velocissimo e ovatta ciò che provo, impedendomi di lasciarmi andare, anche solo per un secondo.
La mia autocommiserazione è la mia eterna compagna di non vita e sarà così per l’eternità, perché ciò che la mia mente onnipresente ancora non è riuscita a concepire è un modo concreto in cui liberarmi di me stesso.
Le porte di Paradiso e Inferno per me sono chiuse. La mia anima non lascerà mai questo corpo di marmo. Sono una statua viva tranne per il cuore, che regna immobile al centro del mio petto.
Non riesco a ferirmi mordendo le labbra ghiacciate. Il malessere fisico non può intaccare la mia solida perfezione. Riesco a focalizzare solo la frustrazione, ormai l’unico sentimento che percepisco come reale.
Talvolta mi crogiolo nella piacevole insensibilità che mi caratterizza, nel silenzio forzato che mi impongo ma, dentro, l'abisso lotta per essere libero.
Sono la più imperfetta delle creature. Tutto ciò che ho di bello è la preda ignara, che dorme e non sa. Non sa che per l’eternità vivrà nella fossa dei leoni, all’interno di una solida gabbia, la sua gabbia che sono io.