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Autore: KikiWhiteFly    29/04/2011    9 recensioni
[AkitoSana - mini long fic ispirata al sequel di Kodocha, Deep Clear]
Musica nell'aria.
Atmosfera tesa, come se nell'aria vibrassero tante corde di violino.
«Finché morte non ci separi, eh?»
Ironizzò lei, tendendo la mano verso l'alto ed osservando i due cerchietti: non aveva mai visto qualcosa di così brillante nella sua vita.
«Mhf. Se non ci scanniamo prima, vorrai dire.»
Davvero romantico da parte sua, già; Sana si appoggiò alla colonna di marmo del terrazzo, lo fissò per un lungo secondo – era seduto sull'altalena; Sana aveva l'impressione che al buio gli occhi di Hayama splendessero. O forse era lei a vedere le cose attorno a sé così preziose, dovevano essere le troppe bollicine –, poi tornò a respirare.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Crossroad'
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    Crossroad






I.



Sad but True









Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.”






_________________________________________________________________________






Sana si appoggiò al corrimano, sentì che le forze stavano per cederle; inspirò profondamente, sfiorò con una carezza il ventre materno e provò a fare un altro passo.

I medici l'avevano informata tempo prima ma Sana neppure immaginava che tale ipotesi potesse verificarsi: sarebbe dovuta rimanere a riposo almeno per un mese, si avvicinava il periodo più complicato della gravidanza.

Di tutta risposta, lei aveva mostrato un sorriso raggiante ed aveva informato i preoccupati dottori che avrebbe retto, in fondo aveva sopportato periodi peggiori.



Tutta la sua tenacia, in quel momento, si dimostrò pressoché inattuabile: improvvisamente si sentì priva di forze e non poteva neppure invocare l'aiuto di qualcuno, era sola.

Sola.

Ora che lo diceva ad alta voce, quella parola assumeva tutt'altro significato.

Per mesi aveva cercato di non pensare alla reazione di Akito di fronte alla sua gravidanza, né alle parole di scherno che si erano rivolti più e più volte quando avevano provato a dialogare.

O, almeno, originariamente quella era l'intenzione.

Ormai aveva perso la speranza, Akito non sarebbe tornato e, per quanto la riguardava, Sana non avrebbe mosso un solo passo; sapeva quanto Hayama potesse aver sofferto, nessuno meglio di lei sapeva leggere nel suo cuore, ma quella non era una scusante plausibile.

D'un tratto immaginò la sua vita: la sua bambina sarebbe nata a breve, avrebbe potuto cullarla la notte, prepararle da mangiare, allattarla al suo seno e farle il bagnetto; portarla dalla nonna, circondarla di affetto e vederla sorridere un giorno, forse senza preavviso.

Sentirla parlare per la prima volta, vedere compiersi il miracolo più bello della sua vita quando avrebbe sentito bisbigliarle la parola “mamma”, magari lentamente, magari storpiando qualche lettera, magari sarebbero stato perfetto così.

E finalmente osservarla gattonare, camminare, correre, saltare.

E tornare ad essere un po' bambina anche lei, rivedersi.

Sentire per la prima volta di essere genitore, davvero, ritrovarsi improvvisamente negli atteggiamenti di sua madre e realizzare di amare quel miracolo più di se stessi, più di ogni amore.

Semplice, elementare e complicato al tempo stesso: un amore senza tempo, creato da se stessi. Non era facile da spiegare, andava oltre l'umana comprensione.

Poi, sarebbe arrivato anche il giorno cruciale: un giorno sua figlia le avrebbe chiesto di suo padre, ne era sicura. Sarebbe stata una domanda semplicissima, poche e cruciali parole per mandarla in tilt; magari lei sarebbe andata a prenderla all'asilo, un giorno come gli altri, le avrebbe chiesto com'era stata la sua giornata e sua figlia le avrebbe parlato dei padri che accompagnavano i suoi compagni di classe a scuola, di mattina.

Dal nulla, le sarebbe sorta spontanea una domanda: «Perché il mio papà non mi accompagna?».




Silenzio.




Sana si morse il labbro inferiore con violenza, Akito doveva pensare a quelle cose prima di voltarle le spalle. Doveva pensare che un giorno avrebbe dovuto dare delle spiegazioni, sì, proprio davanti a sua figlia. E sentire la piccola porgerli le domande più naturali, preoccuparsi quanto meno di prendersi parte delle sue responsabilità.

Akito Hayama non immaginava di certo che un simile giorno sarebbe arrivato, lui non aveva ponderato la nascita di un bambino nei suoi “grandi piani”; non ne avevano mai parlato in passato ma alcune cose sembravano ovvie, no?

Il desiderio di condividere una casa, un piccolo nido familiare, iniziare a progettare da adulti ed agire di conseguenza. Di certo non immaginava che quella notizia l'avrebbe scombussolato così: a Sana sembrava tutto naturale, semplice, conseguenziale... non ne avevano parlato abbastanza, ecco tutto.

Sana non poteva tollerare una cosa del genere: loro avevano dialogato tanto, avevano parlato di tutto, si erano sempre confidati l'un l'altro convinti che non ci sarebbero mai stati segreti... e, d'un tratto, la triste consapevolezza che forse quel matrimonio non era stato del tutto onesto.





________________________________________________________________






Rimembrava ancora quel giorno, i suoi ricordi erano ancora vivi: Hayama non le aveva fatto una proposta di matrimonio – troppo imbarazzante e troppo teatrale per i suoi gusti –, le aveva lasciato una traccia da seguire; era sempre così con lui, Akito era un codice da decifrare.

«Stavolta quanto starai via?»

Che peccato, era tornato da appena due settimane. Anche lei aveva i suoi impegni quotidiani, ovviamente, ma rispetto a qualche anno fa li aveva ridotti proprio per stare accanto ai propri affetti con più frequenza.

Quella sera, dopo una cenetta a lume di candela, Akito le aveva rivelato la grande novità: era stato reclutato per degli incontri di karate a New York, doveva star via almeno un paio di mesi. Aveva spiegato che quella era una grande opportunità, come ne capitavano poche nella vita.

«Quanto basta per tornare in tempo.»

L'aveva fissato per un lungo minuto, allibita; ingenua com'era ci avrebbe messo parecchio per arrivare alla soluzione di quel complicato enigma ed Akito non le avrebbe dato una mano, anzi.

«In tempo per cosa?»

Domandò, iniziando a gironzolargli intorno curiosa.

«Non lanciare frasi del genere per poi liquidarti così!»

Esclamò agitata, quando lui le chiuse la porta del bagno in faccia – letteralmente, si intendeva.

«Avanti...», continuava a pregarlo, «... Nemmeno dovessi chiedermi di sposarti, Kami.»

Poi lasciò scivolare la propria schiena contro la porta e si sedette sulla moquette di legno.

Un attimo di silenzio, la risposta di Akito che non arrivava ed il pudore improvviso. Così, almeno per dieci minuti, nessuno dei due proferì parola.

Sana per vergogna – non poteva essere stata così ottusa, dèi –, Akito per semplice abitudine, apparentemente.

«Hayama?»

«Mh?», si udì impercettibilmente un mugugno.

«Se esci di lì ti salto addosso e ti rispondo di sì.»





Quella sera era stata la più speciale della sua vita ma, in assoluto, la più strana.

Non si sarebbe più ripetuta una scena simile, poco ma sicuro, litigare persino per una decodificata proposta di matrimonio era una peculiarità che spettava solo a loro.

Poco dopo avevano fatto l'amore, si erano guardati occhi negli occhi, era bastato lasciarsi sfuggire un “sì” ed ogni conflitto era improvvisamente sfumato nel nulla.

Hayama l'aveva stretta tra le sue braccia, aveva lasciato scivolare le sue mani sulla stoffa del vestito e, qualche secondo dopo, la zip era scesa in basso. Sana aveva sussultato, non si sarebbe mai abituata a quei repentini cambiamenti d'umore.

L'attimo prima poteva odiarlo, l'attimo dopo tutto il rancore si era già dissolto.





Vestiti che giacevano a terra, morenti, involucri di due anime appena sgusciate fuori e completatesi a vicenda.

Vento che filtrava insistentemente dalle tapparelle socchiuse.

Cena lasciata sul tavolo così com'era la sera prima, troppo presi dalla foga per curarsi di quel dettaglio.

La cera delle candele che gocciolava sulla tovaglia.

Lenzuola che provavano ad avvolgere i loro corpi.

Fili d'oro e fili di rame che si sfioravano accidentalmente più volte, un intreccio più perfetto di così non poteva esistere in natura.

Improvvisamente, il cuore batteva... ed era solo una mano che si era poggiata inconsapevolmente sul proprio petto.

Due corpi vicini, due anime, un solo spirito.

Due persone, due ragazzi giovani, un solo destino.

Sana ed Akito, una serata come tante, un'ora che cambiava la vita... abbastanza per rendersi conto solo alle quattro di mattina – capitava di svegliarsi improvvisamente – di aver appena iniziato un altro capitolo della propria vita.

E sorridere.

Così, senza motivo, in estasi.

Voltarsi lentamente dall'altra parte del letto, cercando di non far rumore, osservarlo dormire beato per qualche minuto, non accorgersi che era passata appena qualche ora... e l'alba era alle porte.

«Ti amo», o, «Cambi la mia vita ogni giorno», oppure, «Dimmi che ci sarai ancora».

Erano quelle le cose che avrebbe voluto udire la sera prima.

Non tutte, beninteso, non le importava neppure che rispettasse quell'esatto ordine di parole.

Ecco, si sarebbe accontentata di un gesto.





Sana non sapeva ancora nulla, però.

Non immaginava che l'indomani Akito si sarebbe alzato prima di lei, le avrebbe infilato in gran segreto un anello sul quale era inciso un “Aisheteru” a caratteri cubici; non immaginava, Sana, che l'amore potesse infettare letalmente persino quello scorbutico del suo fidanzato.

E avrebbe fatto meglio a non rivelare a nessuno quel piccolo gesto d'amore, avrebbe mostrato solo un anello ai curiosi ma non lo avrebbe mai sfilato: a suo modo di vedere le cose, il fatto che Akito avesse fatto incidere quella semplice quanto infinita parolina all'interno del piccolo cerchietto aveva un preciso significato.

Era il loro segreto, quello.

E, con la stessa ingenuità, Sana non avrebbe mai immaginato che un giorno avesse dovuto sfilare lo stesso anello e deporlo il più lontano possibile, nel dimenticatoio.

Perché ogni volta che lo vedeva pensava a quella serata, a quella notte, al suo sguardo... Ai tempi che furono e, probabilmente, mai più saranno.






____________________________________________________________





«Sana?»

Una voce preoccupata dall'altra parte della porta; perdendosi in ricordi aveva perso la concezione del tempo ed aveva lasciato Shuri alla porta.

La ragazza si era subito preoccupata, da quando aveva scoperto che era incinta si era dimostrata incredibilmente affabile con lei; ormai, non era più il detective che aveva contattato bensì l'amica, la confidente.

Una persona splendida, invero.

«Scusami. Ero...», si voltò dall'altra parte e, nello scatto, le era venuto in mente un altro flashback. Le lacrime, allora, avevano iniziato a scenderle a fiotti sugli zigomi.

«Ehi, Sana...»

Poggiò la testa sulla spalla della ragazza, doveva sembrare proprio debole ai suoi occhi.

L'unica cosa che udì in quel momento furono le parole di conforto dell'amica, la sua mano che le accarezzava la schiena ed i suoi singhiozzi spezzati da qualche parola trascinata con sforzo.

Era uno di quei giorni necessari a rimettere i suoi sentimenti.

Così, senza sforzo, era solo la cosa più semplice e salutare esistente al mondo.






Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

Il mio dura tuttora, né più mi occorrono le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede.”





_____________________________________________________________





Era stata una cerimonia intima, avevano invitato pochi parenti e gli amici più cari.

Il cuore batteva all'impazzata, le mani tremavano nervosamente, brividi freddi percorrevano la colonna vertebrale nonostante fosse luglio inoltrato.

E sebbene Akito cercasse di palesare una certa sicurezza, avvertiva la sua tensione... erano spaventati tutti e due, altroché.

Una cerimonia in stile occidentale, in una piccola chiesetta di campagna; Rei si era offerto di accompagnarla all'altare, sua madre si era emozionata quando quest'ultimo aveva avanzato la proposta. E, sebbene volesse nasconderlo, anche lei aveva le lacrime agli occhi.

Sana indossava un semplicissimo abito in stile impero: le scendeva morbidamente sui fianchi, era ornato di perline sulla linea del seno e la rendeva una figura più divina che umana.

Aveva lasciato i capelli lisci, fluenti, una piccola coroncina di rose bianche si ergeva al centro del capo, laddove una piccola crocchia costituiva l'attaccatura del velo da sposa.

Akito era rimasto allibito da così tanta bellezza, da non crederci; lui, che a stento dimostrava apprezzamento o disprezzo, se ne stava con la bocca sospesa a mezz'aria, cercando di raccattare l'anidride carbonica necessaria per respirare.

«Non mi dispiaci, Kurata.»

Quella semplicissima affermazione l'aveva riempita di gioia, immensamente.



Il rito si era svolto in maniera cerimoniosa, lo scambio delle fedi era stato un momento emozionante per tutti i presenti; i loro sguardi, poi, si erano incrociati, scambiandosi telepaticamente una promessa d'amore eterno e firmando quel patto con un bacio a fior di labbra.

Era stata una lunga giornata: tante fotografie, un buffet più che ristoratore, risate, balli (osservare Hayama provare a ballare era qualcosa di molto raro, doveva ammetterlo), battute e fuochi d'artificio come ciliegina sulla torta.

Dopo aver salutato tutti gli invitati, erano rimasti da soli; Sana si era sfilata le scarpe e le aveva lanciate qualche metro più in là, Hayama si era sbottonato la camicia ed aveva tolto la cravatta.

Finalmente, nella loro casa.

Misako Kurata aveva insistito per far loro un regalo che avrebbero letteralmente ricordato per il resto delle loro vite; Hayama padre non aveva voluto essere da meno ed aveva arredato con l'aiuto dell'altra figlia, Natsumi, l'interno di quella che sarebbe diventata la loro abitazione.

E lo avevano fatto in maniera eccelsa.

Specialmente per quanto riguardava l'esterno, un terrazzo che dava direttamente la vista sul mare; l'avevano arredato con un'altalena, qualche tavolino disposto qua e là, altri oggetti di ornamento.

Sana sentiva che quella casa era appartenuta loro fin da subito, già vi vedeva scritta la loro storia.




Musica nell'aria.

Atmosfera tesa, come se nell'aria vibrassero tante corde di violino.




«Finché morte non ci separi, eh?»

Ironizzò lei, tendendo la mano verso l'alto ed osservando i due cerchietti: non aveva mai visto qualcosa di così brillante nella sua vita.

«Mhf. Se non ci scanniamo prima, vorrai dire.»

Davvero romantico da parte sua, già; Sana si appoggiò alla colonna di marmo del terrazzo, lo fissò per un lungo secondo – era seduto sull'altalena; Sana aveva l'impressione che al buio gli occhi di Hayama splendessero. O forse era lei a vedere le cose attorno a sé così preziose, dovevano essere le troppe bollicine –, poi tornò a respirare.

«Non stasera, Hayama.»

E Sana si sedette accanto a lui, poggiando il capo sulla sua spalla.

«Forse domani.»

Sorrise, domani non era mai stata una parola così bella; Akito era solo ad una spanna dal suo viso, ormai, l'unica cosa che desiderava era purgarsi sulle sue labbra.



Due mani si muovevano nel cuore della notte: quelle di Hayama si impigliavano goffamente con i laccetti del corsetto, le dita di Sana che lo aiutavano a trovare una scappatoia.

Qualche secondo di silenzio, il tempo di riprendere fiato, dopodiché l'abito di seta bianca scivolò a terra.

Akito la prese in braccio, la trasportò in quella che sarebbe diventata la loro camera da letto, la stese sul materasso ed osservò per un momento la preziosa creatura che custodiva sotto di sé.

In quel momento una serie di flashback percorsero la sua mente, quasi come la pellicola di un film: le “sfide” che si proponevano alle elementari, il bacio al sapore di limone, Sana che lo aiutava a trovare un punto d'incontro con la sua famiglia, le notizie che trapelavano sulla presunta adozione di Sana, lo scandalo giornalistico, il secondo bacio sotto la neve, il pupazzo che le aveva regalato il giorno del “compleanno di mezzo” e... le medie, i problemi tra di loro, l'ingenuità di Sana, la timidezza di Akito.

E poi Fuka, Naozumi, relazioni che si complicavano ed amicizie sacrificate per sempre; l'ospedale, il braccio destro, la malattia di Sana, la loro separazione per tre lunghi anni.

Poi, tutto come prima o quasi.

Erano solo maturati un po', quel tanto che bastava per diventare adulti insieme, fare l'amore e raccontare per una notte che “si andava a dormire da un'amica”.

Paura, tanta paura.



A distanza di anni, la paura era la stessa; perché certe cose non cambiavano mai, rimanevano immutabili nel tempo. Forse la terza volta era meglio della prima, oppure peggiore; poi, se ne perdeva il conto... perché si iniziava ad esserne dipendenti e, così, appena si svegliavano e si accorgevano di trovarsi in un letto, l'uno nelle braccia dell'altra, i pensieri iniziavano a prendere forma.

E ci si svegliava con un bacio, spesso, il più delle volte corrisposto.

Almeno finché le loro labbra non riprendevano forma e, pian piano, diventavano sostanza: mani che si sfioravano nuovamente, anime che si incontravano e così ogni cosa s'annullava, il tempo diveniva solo un vecchio ricordo.

«Sei terribile, Hayama.»

Capitava di sussurrargli all'orecchio, per scherzo.

E così anche quella sera si erano amati alla stessa maniera... Solo l'atmosfera era diversa.

Loro nemmeno se ne erano resi conto ma avevano appena aperto un altro capitolo della loro vita.








«Buongiorno!»

La voce squillante di Sana era inconfondibile, ecco perché Akito si destò appena l'udì.

Non aveva fatto così male a schiudere gli occhi, in fondo: un cestino di delizie senza fine si presentava al suo cospetto, servite sopra un prezioso vassoio d'argento.

Sana sfoggiava un sorriso raggiante, i capelli erano comodamente legati ad una pinza di plastica ed indossava una camicia che le andava larga almeno tre volte.

«Che c'è?»

Chiese con ovvietà, inclinando il capo di lato.

«Siamo sicuri di non aver avvelenato nulla?»

Ed in quel momento rivide il suo martelletto rosso, che gli procurava un bernoccolo visibile proprio al centro del capo.

«Diffidente...», si alterò lei, non degnandolo della benché minima attenzione e, anzi, iniziando a gustare le prelibatezze al suo posto, «... se proprio vuoi rinunciarvi, farò l'immenso sacrificio di mangiarle per te.»

Fece con la bocca mezza piena, afferrando un croissant caldo. Akito la osservò per un momento, con il trucco sfatto ed i capelli che splendevano rischiarati dai raggi solari.

Pensò che se la felicità avesse avuto un volto, sarebbe stato quello di sua moglie.

Ebbene sì, sua moglie.

«Giusto perché hai ordinato alla rosticceria di fronte.»

Sentenziò, trangugiando avidamente il succo di lamponi.

«Ehi, ma...», accidenti, l'aveva scoperta.

Akito prese un tovagliolino, le pulì la crema che le era finita accidentalmente sul naso e poi la baciò.

«Buongiorno.»

Il sapore delle labbra di Hayama le ricordò il loro primo bacio, anche se i due gusti erano diametralmente opposti; tuttavia, quel ricordo si materializzò nella sua mente più vivo che mai e Sana si domandò quanta strada avessero fatto.

Incredibile come trascorreva il tempo, incredibile come le loro vite si fossero intrecciate sin da quel primo bacio.

«Hayama, mi viene voglia di versarti una spremuta di limone addosso.»

Gli disse, osservandolo le sue labbra poggiarsi sul bicchiere. «Così ti verrà voglia di baciarmi come si deve.»

Le sopracciglia di Hayama si arcuarono in un'indefinibile mossa, le mani ripulirono sapientemente la bocca, dopodiché egli sentenziò con tono offeso: «Kurata, ancora non l'hai capito, mi viene voglia di baciarti sempre.»

E Sana rise, perché quello era il modo selvaggio e rude di Akito di conquistarla... Così romanticamente stupido.

«Signora Hayama, prego.¹»

Poi le loro labbra si assalirono a vicenda, in fondo stavano commettendo lo stesso furto.





~




¹ sebbene nei primi numeri del manga di Kodocha Sana abbia specificato che è della scuola “mio marito prenderà il cognome della mia famiglia”, in Deep Clear viene menzionato il fatto che sia avvenuto il contrario. Mah, mistero, Obana-sama avrà cambiato idea XD.



Vi presento una storia che avevo in mente da un po' di tempo o, come lo chiamo io, un vero “polpettone”. Inoltre, per leggere questa fan fiction quanto meno dovreste sapere la storia di Deep Clear, visto che è ispirata al sequel di Kodocha ^^.

Molte scene sono di mia inventiva, naturalmente, la storia di base però è quella accennata in Deep Clear (un crossover tra Honey Bitter e Kodocha, ho inserito anche un personaggio che appare molto spesso, Shurei).

Ho preferito suddividere la storia in due parti, sono una ventina di pagine e per non appesantirla troppo l'ho spezzata... a breve, comunque, la seconda ed ultima parte.

C'è da essere seriamente malate per scrivere venti pagine dedicate ad una delle proprie coppie preferite <3. Chi mi conosce sa che lo faccio per qualche eccezione, Akito e Sana insieme ad altre due coppie (ShikamaruIno e RenNana), sono i prediletti **.

Ci vediamo al prossimo capitolo,

Kiki <3.

   
 
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