…notte…
Per la
strada passeggia un ragazzo; alto, possente e, da quanto il buio può lasciar
intravedere, il volto coperto da un fazzoletto.
Il capo
coperto da un cappello di cuoio scuro come nei vecchi film western ed un lungo
giaccone gli sfiora i piedi avvolti da spessi anfibi da guerra.
Dal fianco
destro gli pende un lungo e affusolato fucile che sembra quasi minacciare i
passanti che, correndo, cercano riparo dalla pioggia che ora aveva cominciato a
bagnare l’asfalto.
Il ragazzo
non sembrava preoccuparsi troppo della pioggia e continuava a camminare
tranquillo tra le spirali di fumo che si alzavano dai tombini ai lati della
strada.
Si fermò
solo per alzare uno sguardo al cielo plumbeo; i suoi occhi blu come il mare erano un’insieme di emozioni: paura per quello che doveva
fare, la sfida che voleva verso se stesso e soprattutto tanta, tanta
preoccupazione per le persone a lui care.
Abbassò lo
sguardo ed una ciocca sfuggì al laccio che legava i lunghi capelli corvini
dietro la nuca sfiorando la lunga e non del tutto guarita
cicatrice che scorreva sulla parte sinistra del viso, ricordo di un
conto non regolato.
Ricominciò
a camminare affondando ancora una volta nei suoi pensieri e preghiere che ogni
volta rivolgeva verso il suo Dio ‘‘proteggi le persone
che amo e aiutami nel mio scopo- diceva il ragazzo fissando il vuoto e si rese
conto di essere arrivato alla sua meta.
Sospirò per
infondersi coraggio e si avvicinò.
Era ormai
un anno che lo faceva e la sua coscienza non l’aveva ancora accettato; non che
gli piacesse, era ovvio, ma se non riusciva a recuperare abbastanza soldi non
sarebbe mai potuto tornare a casa.
Salì le
scale di marmo verdognolo che introducevano alla Banca ed entrò nascondendo
bene il fucile sotto il lungo giaccone.
Si accodò
dietro l’ufficio dei prestiti ed aspettò il suo turno con calma.
Sapeva
benissimo che la sua macchina lo stava aspettando fuori delle scalinate, suo
fratello pronto per una fuga spericolata come piacevano a lui.
…Erik…come
lui ce n’erano pochi o nessuno al mondo e quando gli
aveva spiegato la situazione si era subito unito a lui, trascinando con se i
suoi due amici, tutti più giovani di lui di circa sei anni, ma i pivellini se
la sapevano cavare per essere dei novelli rapinatori.
Il primo
che Erik aveva convinto a seguirli, si chiamava Ethan Cross o ‘‘Titan’‘ a causa della muscolatura.
Un po’
basso ma molto più muscoloso di lui, era il tuttofare della piccola banda;
aveva i capelli castani spesso arruffati o coperti da una bandana, gli occhi
blu tanto scuri da sembrare neri e la pelle abbronzata.
Il secondo
delle reclute si chiamava Chris ‘‘micciacorta’‘ Alark,
soprannominato così per il carattere facilmente irascibile e per la grande
specializzazione che aveva fatto come artificiere; occhi verde chiaro, alto, e
sciolto, aveva una folta chioma di capelli biondo platino che, anche lui,
legava in una coda di cavallo sempre scarmigliata. Come muscolatura non era
delle migliori, ma non esisteva porta che scampasse ad
una delle sue sempre nuove invenzioni esplosive.
Poi veniva
Erik McBrie, suo fratello.
Il ragazzo
detto ‘‘Mr. Rally’‘ era
l’autista della banda e l’unico che riusciva a prendere una curva a gomito
correndo a duecento l’ora.
Era tale e
quale a lui e nemmeno lui riuscirebbe a capire chi era
dei due se non sarebbe stato per i capelli corti e la mancanza della
cicatrice…ed infine, veniva lui.
Daniel
McBrie.
Definito ad
unanimità ‘‘Boss’‘, gli sembrava sempre troppo quel
titolo.
Si, era
stato lui ad accennare agli altri il piano, ma non credeva che nessuno sarebbe
riuscito a non pensarci.
Riuscì a
sfuggire ai suoi pensieri abbastanza velocemente, quando l’ultima persona che
aveva di fronte se ne andò lasciando a lui il compito di
prelevare qualche spicciolo.
Si diresse
a grandi falcate verso il piccolo sportello e si accostò all’interfono
«buongiorno, in che cosa posso servirla?» disse l’impiegato avvicinando il
microfono alla bocca.
Daniel porse un foglietto sotto la fessura adibita allo scambio di
documenti «vorrei fare un prestito a lungo termine» rispose, allungando quantunque
un sorriso malefico sotto il piccolo travestimento del foulard.
L’impiegato
prese il foglietto e lesse, squadrando prima il tipo che gli si stagliava
davanti ‘è UnA rAPInA DamMi TUtti
I SOldI’ diceva il biglietto formato da lettere messe
assieme da ritagli di giornale; l’impiegato alzò lo sguardo e vide il ragazzo
scostare leggermente il giaccone per rivelare il pericoloso fucile appeso alla
cintura.
La paura
iniziò a percorrere strada nel cervello dell’impiegato che, lentamente, spostò
la mano verso l’interruttore dell’allarme.
Daniel
iniziò a sudare freddo e guardò in cagnesco l’uomo che fermò il movimento della
mano verso l’allarme e prese a riempire una borsa con tutti i soldi della
cassaforte accanto alla sedia dell’impiegato.
Quando la
borsa fu piena, l’uomo la passò al ragazzo sfregiato attraverso uno sportello e
quest’ultimo la prese facendo segno di rimanere in silenzio indicando il fucile
e facendo notare all’impiegato il caricatore pieno di pericolose e mortali
pallottole.
Si girò con
uno svolazzo del giaccone verso la porta, quando, con la coda dell’occhio vide
l’impiegato chinarsi leggermente per pigiare il bottone della sirena che, se
avesse cominciato a suonare, sarebbero stati guai grossi; il più vicino
distretto di polizia era a soli due isolati da li per
questo aveva osato tanta gentilezza.
L’assordante
allarme iniziò a suonare e tutti i clienti della banca si voltarono sconvolti
dal rumore inatteso.
Daniel, in
un unico movimento, lasciò la presa sulla borsa che cadde a terra con un tonfo
sordo ed estrasse dal giaccone il fucile puntandolo verso il soffitto «TUTTI GIù QUESTA è UNA RAPINA! HO DETTO TUTTI GIù»
urlò sparando un colpo per ripristinare l’ordine nella confusione che si era
creata alle prime parole che aveva pronunciato.
La folla
che, nonostante la tarda ora, c’era all’interno della Banca, si stese ventre a
terra con le braccia alzate sulla testa come uno scudo nel tentativo di
ripararsi da un’eventuale sparatoria.
Daniel
sorrise sotto il fazzoletto, contento di non dover sparare a nessuno, e si
diresse verso la porta prendendo la valigia con i soldi, credendo che ormai
l’ultima rapina che avrebbe dovuto compiere fosse conclusa, ma arrivato dalla
doppia porta di vetro opaco che lo separava dai suoi compagni, sentì le sirene
della polizia farsi sempre più vicine e il sangue gli si gelò nelle vene.
Si affrettò
ad uscire sulle scalinate e, a metà di esse fu
inondato da una forte luce che un faro dell’elicottero della polizia gli
puntava addosso.
Pochi
secondi dopo inchiodarono davanti alla scalinata dove era rimasto impalato
diverse Renault blu del distretto di polizia.
Da quella
più vicina uscì un ragazzo che doveva avere la sua età ed una ragazza poco più
giovane di lui.
Il ragazzo,
da quanto la forte luce poteva lasciargli vedere, aveva i
capelli biondo cenere ed era alto poco meno di lui.
Teneva in
mano un megafono che portò alla bocca «Daniel McBrie lei è in arresto! Tenga le
mani bene in vista e venga LENTAMENTE verso la signorina Greater e niente
scherzi» disse indicando la ragazza accanto a lui.
Daniel,
alzando le mani al cielo, s’incamminò, scendendo gli scalini con lentezza
impressionante…umpf, sciocchi, non pensavano che in un anno avesse imparato a
portare ben altre cose oltre al suo fidato fucile?
Posò il piede
sull’ultimo scalino e si fermò fissando trucemente il poliziotto sorridendo
perfidamente.
Chinò il
capo in avanti e, veloce, estrasse un lungo e sottile pugnale da un comparto
cucito all’interno del colletto del giaccone.
Come a
comando, lanciò il coltello verso il vetro di una macchina che andò in frantumi
distraendo i poliziotti.
Con uno
scatto felino, scartò da un lato immergendosi nell’oscurità e cominciò a
correre saltando i bidoni dei rifiuti capovolti da qualche animale affamato.
Il fucile
sobbalzava nella corsa ed il ragazzo sentiva le urla dei poliziotti inseguirlo
come le pallottole che gli sparavano addosso in un disperato tentativo di
bloccare la sua fuga.
Scocciato
da quella situazione si sottrasse alla sparatoria buttandosi dietro lo stipite
di una porta incassata nel muro, probabilmente di qualche night club a loci
rosse e ritrasse da sotto il cappello una piccola
radio, che accese «Hey fratello dove sei?! Avresti
dovuto essere qui molto tempo fa» disse, quando sentì Erik rispondere alla chiamata
«stai calmo abbiamo avuto dei problemi, ma ora è tutto ok e…» venne
dall’interfono interrotto dalla furia di Daniel «stare calmo!?
MI STANNO SPARANDO ADDOSSO! Dimmi dove sei e tirami fuori
di questo casino cazzo!» urlò al fratello prima di
chiudere la comunicazione.
Dal suo
braccio venne un leggero suono e, dal piccolo palmare che aveva legato
all’avambraccio, comparve la mappa della zona.
La sua
posizione era segnata da un cerchietto verde, mentre, quella
della macchina, era segnata da uno rosso.
Fortunatamente,
la macchina non era poi lontana come pensava, ma doveva tener conto delle
pallottole che stavano ancora tagliando l’aria; prese
il fucile e puntò alle gambe dei tre poliziotti che si stavano tardando a
finire le munizioni tentando di colpirlo.
Sparò tre
colpi che accasciarono gli agenti di polizia dandogli il tempo necessario per
togliersi da quella brutta situazione di spalle al muro.
Cominciò a
correre come un disperato verso il vicolo che lo separava dalla strada
principale dov’era parcheggiata la macchina, ma, a volte, la sfortuna sta dalla parte sbagliata.
Vide
l’ombra di qualcuno che lo inseguiva, si girò e vide la ragazza di prima corrergli dietro mentre l’elicottero gli stava volando
sopra tentando di illuminare il vicolo dove i due si inseguivano.
La ragazza
impugnò la Beretta da 9mm e prese la mira sbagliando
però il primo colpo, distruggendo un sacco della spazzatura abbandonato contro
il muro; Daniel affrettò il passo, ci mancava solo questa ragazzina che gli
sparava e lui, da gentiluomo, non avrebbe mai risposto al fuoco della ragazza ‘‘merda!’‘
pensò adirato vedendo davanti a lui un muro che segnava la fine del vicolo.
Prese più
velocità che poteva e si aggrappò per miracolo alla cima del muro tentando di
issarsi per scavalcarlo.
L’agente
ebbe l’istinto di fermarsi per poter prendere la mira, ma lo ignorò e mentre il
ragazzo ricadeva dall’altra parte si cimentò anche lei nella scalata del muro.
Alla
sommità di quest’ultimo si sedette a calcioni e, ringraziando i colleghi che
puntavano i riflettori proprio sul ricercato, sparò.
Il sibilo
della pallottola raggiunse le orecchie di Daniel che cercò di scansarsi invano
e si vide ferito alla spalla destra.
Il sangue
usciva a fiotti dal piccolo foro che il proiettile gli aveva creato trapassando
tendini e muscoli e un bruciore irresistibile gli pervase
il braccio e la spalla fino alla gola da dove scaturì un grido di dolore e
Daniel cadde in ginocchio afferrandosi la spalla grondante di sangue.
La ragazza,
soddisfatta, scese dal muro e s’incamminò verso il braccato prendendo le
manette dalla cintura che le cingeva la vita «lei è in arresto» disse
tranquilla chinandosi per afferrare il polso sinistro del ragazzo.
Daniel non
si sarebbe di certo fatto catturare così.
Porse il
polso quasi in maniera arrendevole finché la ragazza non fu abbastanza vicina
da poterla colpire.
Alla manica
del giaccone uscì un altro pugnale, questa volta più piccolo,
che il ragazzo prese velocemente e colpì al ventre la ragazza senza però
ferirla.
Quest’ultima,
sorpresa, indietreggiò di scatto per evitare il colpo dando uno spazio
sufficiente a Daniel per poter alzarsi e fuggire verso destra dove, duecento
metri più avanti, poteva vedere la sua macchina con Chris ed Erik fargli segno
di sbrigarsi mentre Ethan brandiva il mitra e sparava contro i riflettori
dell’elicottero sopra di loro «accidenti spostatevi! SPOSTATEVI ERIK!» urlò
Daniel vedendo i cecchini sull’elicottero mirare alle teste dei compagni sporti
fuori dai finestrini.
Un ultimo
scatto e fu di fronte alla macchina «coraggio Boss sbrigati! Sali in macchina!»
disse Chris rientrando nella vettura ed aprendo davanti al ragazzo la portiera
che però lui richiuse vedendo il quantitativo di
esplosivo che Micciacorta si era portato appresso solo per il gusto di averla
sempre attaccata alle chiappe accidenti! «se sparano alla macchina
qui finiamo arrosto! Datemi retta
dobbiamo andarcene di qui SUBITO» disse Daniel tenendosi la spalla
ma un sibilo lo interruppe ed alzò al cielo gli occhi; quei fottutissimi
bastardi si erano portati appresso un lanciamissili!
Il missile
toccò terra e la strada si illuminò a giorno; la
dinamite dentro la macchina per fortuna non esplose ma in confronto, la
macchina si ribaltò per lo spostamento d’aria e Daniel venne scaraventato
contro il guardrail sentendo una fitta acuta percorrergli tutta la spina
dorsale.
Ricadde al
suolo con un tonfo sordo e rimase immobile steso ventre a terra sull’asfalto,
privo di sensi.
Intanto
l’elicottero atterrò sui detriti che il piccolo missile aveva creato e scesero
gli agenti che avevano sparato poco prima al giovane cowboy compreso il ragazzo
dai capelli biondo cenere e un uomo sulla quarantina,
probabilmente il capo della squadra che allargò uno sguardo di malefica
soddisfazione vedendo i quattro ragazzi privi di sensi e senza vie di fuga.
Quel
sorriso venne interrotto dalle parole del ragazzo
biondo accanto a lui, chino vicino al cowboy «signore, non crede che questo sia
stato un po’ drastico?» disse indicando la macchina rovesciata ed il ragazzo
svenuto accanto a lui «oh niente cazzate Tanelly, per gente come questa niente
è drastico» e si diresse nuovamente sull’elicottero mentre, dal vicolo da dove
era uscito Daniel, arrivò la ragazza che prima gli aveva sparato alla spalla,
stupita anche lei della confusione che imperversava sulla statale «che è
successo?» chiese avvicinandosi al ragazzo biondino che si alzò dalla sua posizione
mentre due colleghi sollevavano senza troppe storie Daniel e i suoi amici,
caricandoli su delle barelle e trasportandoli sul secondo elicottero che era
atterrato poco prima «Contan ha di nuovo messo in atto la sua filosofia ‘‘più
morti che vivi grazie’‘…quanto lo odio
quando fa così…non voglio diventare un assassino» rispose il biondo «comunque
spero per te che Jack non si sia accorto della tua sparizione…sempre a fare di
testa tua vero Sabina?» continuò allargando un sorriso e puntando il dito
contro il petto della ragazza che si spostò ridendo «e tu sempre a fare
shopping dall’armeria eh? Nuovo acquisto nevvero…» rispose Sabina prendendo dalla
cintura dell’altro una pistola a scariche elettriche «…non c’era una ragazza
l’altro giorno che ti piaceva la dentro? Avanti Leo di la
verità!» continuò la ragazza allontanandosi senza sentire la risposta
imbarazzata dell’altro.
Salì sul
secondo elicottero con i feriti e chiuse il portellone. Dal piccolo oblò vide
Leo salire sull’altro elicottero che partì di tutta fretta verso il distretto.
L’elicottero
sul quale era lei lo seguì inclinandosi in avanti e prendendo velocità; ora che
non doveva faticare, Sabina potè vedere in volto l’inseguito.
Il
fazzoletto che gli ricopriva il viso fino agli occhi
era scivolato sotto la mandibola e la barba lievemente presente sul volto del
ragazzo gli scuriva la pelle.
Per il
resto non potè vedere molto del bandito svenuto se non il fisico che, sotto i
suoi occhi, gli veniva rivelato dal giaccone aperto e
dalla maglia mimetica senza maniche che indossava.
Al collo
del ragazzo c’era una catenina con una coppia di piastrine di riconoscimento
militare ed un proiettile mai caricato in un’arma da fuoco.
Avvicinò la
mano ed afferrò lievemente una delle due piastrine voltandola.
Presentava
una foto del ragazzo, rovinata da qualcosa di appuntito
quasi volontariamente mentre, sull’altra, i particolari personali erano stati
cancellati.
Nel sonno,
il ragazzo girò il volto appoggiando la guancia destra alla superficie della
barella rivelando a Sabina la lunga cicatrice che sfigurava la parte sinistra
del volto.
Di scatto,
la ragazza lasciò la presa sulla catenina e si allontanò di qualche centimetro
dal corpo del giovane svenuto per paura di svegliarlo.
Non sapeva
bene il perché di quella paura, ma non vi fece troppo caso e si avvicinò al
ragazzo accanto al cowboy.
Aveva i
capelli neri gellati all’insù e la pelle pallida; una grande
bruciatura gli si estendeva sul collo e sulla parte sinistra del torace, dovuta
all’esplosione del missile terra-aria che avevano lanciato dall’elicottero.
Al collo
aveva anche lui una coppia di piastrine militari che ne rivelavano il nome:
Erik McBrie, anni 19.
Giovane per
essere in una banda di scalmanati così e sospettò che solo il cowboy superasse la ventina tra i quattro.
Sabina
scrollò la testa pensando ancora a quando il bandito
l’aveva minacciata con il coltello da caccia; avrebbe potuto benissimo ucciderla
o almeno ferirla come aveva fatto con i suoi tre colleghi ma non l’aveva fatto.
«Hey Saby
siamo arrivati preparati a scendere» disse il pilota ammiccando nella sua
direzione «ok, grazie Max per il passaggio! Ti devo un volo» rispose la ragazza
rispondendo al sorriso e scese chiamando quattro dei
suoi colleghi per far smontare i prigionieri dall’elicottero e portarli giù
nella centrale.
Giunti nel
cuore del distretto, portarono il bandito nella sala interrogatori in attesa che si riprendesse mentre portarono i tre ragazzi verso
le celle vedendo bene di dividerli in reclusioni differenti.
Sabina non
si allontanò un attimo dalla sua preda che seguì fino alla
sala interrogatori.
Daniel,
dopo una buona mezz’ora, si svegliò trovandosi legato ad una dura sedia di
metallo di fronte ad un tavolo dello stesso materiale
e di fianco ad un vetro a specchio dove sapeva si stavano divertendo un mondo
gli sbirri a guardarlo come dei bambini molesti davanti alla gabbia del leone
dormiente.
Alzò lo
sguardo e si trovò davanti il brutto muso del Capitano Jack
Contan squadrarlo come un alieno «bastardo! Dove sono gli altri?! » urlò Daniel dimenandosi sulla sedia, ma questo gli
provocò altro bruciore perché la spalla trafitta gli mandò una fitta acuta che
il bandito non riuscì a trattenere un urlo di dolore «sei messo male e questo è
un bene…ora, stronzo, dicci chi è coinvolto nel massacro di quattro giorni fa»
disse il Capitano avvicinando il viso puzzolente di alcol
a quello del ragazzo che, con disprezzo, restituì lo sguardo «non lo so…e anche
se lo sapessi non direi di certo ad un alcolizzato come te fottuto pezzo di
merda» rispose stringendo un poco gli occhi blu sull’uomo che aveva davanti.
Contan non
parlò, ma spedì sul volto del giovane un pugno che gli fece sputare parecchio
sangue «non mi hai capito…tu centri, lo sappiamo per certo e DEVI parlare»
disse l’uomo crocchiando le nocche sporche sangue non suo.
Daniel non
parlò e rimase a fissare il capitano con nuovo fervore; lui non sapeva niente
per davvero, ma come poteva spiegarlo a quel grosso bastardo ubriacone di rum e tequila?
Un altro
pugno colpì il bandito allo stomaco e Daniel sentì il fiato mozzarglisi in
petto.
Un sottile
rivoletto si sangue prese a scendergli ad un lato
della bocca che di certo lui avrebbe aperto solo per lanciare spregevoli
epiteti indirizzati al capitano.
Dopo molti
altri pugni, il bandito si sentiva ogni centimetro del corpo dolergli, ma ne andava fiero, non avrebbe parlato.
Il Capitano
capì le intenzioni del cowboy così si allontanò dal tavolo e aggirò la sedia e
si mise alle spalle del ragazzo; si abbassò fino a sfiorargli l’orecchio con le
labbra e sussurrò «da questo carcere non uscirai vivo» furono le parole del
Capitano estraendo un coltellino a scatto dalla tasca posteriore dei pantaloni
e aprendolo.
Lo passò
piatto lungo la gola del ragazzo, sentendo il cuore martellare contro il
metallo del coltellino.
Scivolò
lungo la spalla e raggiunse il foro del proiettile lievemente fasciato e sulla
via della guarigione.
Con un
poderoso scatto, infilò la lametta del coltellino dentro il foro facendo
gridare il giovane come mai in vita sua e sporcandosi ancora una volta di
sangue non suo «…dicci chi è coinvolto…» disse a voce
abbastanza alta da farsi sentire dal giovane urlante; non ricevette risposta
così spinse più a fondo il coltellino, sentendo la punta grattare contro la
pelle dall’altra parte della spalla «NON LO SO» urlò Daniel, inarcando la
schiena per il dolore «risposta sbagliata…chi è coinvolto in
quella carneficina stupido idiota» rispose Contan e trapassò la spalla
del bandito sentendo il metallo della sedia sotto il coltello e cominciò a
girare la lama dentro la ferita «VAFFANCULO STRONZO» urlò infine Daniel prima di superare la soglia di resistenza del dolore
del corpo.
Ormai con i
sensi altrove, il bandito si abbandonò sulla sedia «dannazione, gettatatelo in
un buco assieme agli altri…non ci è utile per ora»
disse il Capitano nell’interfono che permetteva di comunicare con le persone al
di là del vetro a specchio e dalla porta accanto a quest’ultimo, uscirono Leo,
Sabina e un terzo uomo che tolse le manette al bandito e lo sollevò.
Sabina odiava quegli interrogatori, gli sembravano disumani.
Ora quel
ragazzo era veramente messo male e, se fosse stato per lei, lo avrebbe subito
portato in infermeria, ma il capo era il capo e così lei e Leo lo persero sotto braccio e lo portarono verso le celle.
Quando
entrarono e passarono davanti agli incarcerati, vi furono fischi, urla e
maledizioni verso i due poliziotti; ‘‘bastardi’‘ e ‘‘assassini’‘
erano i più ricorrenti dopo uno degli interrogatori di Contan.
Povero
ragazzo, doveva aver veramente sofferto tanto.
Gli anfibi
del bandito strisciavano sul cemento e la testa ciondolava in avanti come se
stessero trasportando un burattino senza fili.
Ogni tanto
dal suo viso scendeva una gocciolina di sangue che cadeva tra la polvere e lo
sporco del pavimento ruvido e Sabina notò che i suoi
occhi non erano nemmeno del tutto chiusi, rivelando quel tesoro blu che poteva
davvero essere bello se non fosse stato così dolente.
Quando
passarono di fronte alla gabbia del fratello, Erik, che stava camminando
davanti alle sbarre avanti e indietro, si fermò e sgranò gli occhi vedendo il
fratello in quelle condizioni.
Si lanciò
contro le sbarre afferrando il freddo metallo quasi volesse spezzarlo «cosa
avete fatto a mio fratello!? Brutti figli di puttana!»
urlò Erik contro i due agenti che non gli rivolsero la parola e posarono Daniel
nella cella accanto a quella del fratello «Boss! Oddio che ti hanno fatto!? Sbirri andatevene a morire in un buco!» urlarono di
risposta Ethan e Chris dalla gabbia di fronte a quella di Erik.
Sabina e
Leo se ne andarono senza dire una parola e un silenzio
tombale cadde tra le prigioni.
Appena
chiusero la porta, Sabina si mise a sparare epiteti non molto piacevoli verso
il loro capo dipartimento «è uno schiavista, nemmeno un’animale verrebbe trattato così dal peggiore dei padroni» disse
mentre Leo le prendeva un caffé bollente per tentare di calmarla «non
prendertela troppo, prima che lo ripeschino da lì dentro devono aspettare un
po’, almeno un mesetto per la veridicità delle prove e poi, tu di solito non
parteggi per i carcerati a meno che la bellezza non conti qualcosa vero? Allora
non sono l’unico in vena di cotte» disse il biondo
sorseggiando il suo caffé ammiccando verso la ragazza che diventò color porpora
«n-non è vero! (O///O) Ma che dici deficiente!
Per me quello è solo un altro prigioniero della mia immensa bravura stavo solo commentando il brutale modo di interrogare un
sospetto da parte del Capitano…tutto qui» si difese Sabina senza però
convincere più di molto l’amico che però tacque solo per cercare di finire in
pace il suo caffé, senza il pericolo di ritrovarselo sulla testa.
Intanto,
nel carcere, il vociare si era fatto più forte ed i prigionieri guardavano il
nuovo arrivato con rabbia verso il trattamento che gli era dovuto capitare;
Erik stava cercando di far passare la mano attorno al muro che separava la
cella del fratello dalla sua, ma non ebbe molto successo
visto che lo spessore del muro era, anche se non di molto, più largo
dell’estensione del suo braccio così chiamò Chris con mezzo fischio e
quest’ultimo si volse verso il ragazzo «Hey Micciacorta come sta il Boss?»
chiese alludendo a suo fratello ricevendo solo uno sguardo mesto «avanti rispondimi! Ethan cazzo come sta!?»
continuò guardando il ragazzo di rimpetto alla sua cella che, per fortuna o no,
rispose «male Erik, sembra morto porca puttana…c’è sangue ovunque ed ha una
cera peggio di un vampiro…se fossi in te e lo sono, pregherei un po’ per la
salute del Boss che mi sembra più di là che di qua» finì il ragazzo tozzo e
muscoloso passandosi una mano tra i capelli a spazzola.
A quelle
parole, Erik sembrò barcollare sulle gambe e se non ci fossero state le sbarre
dove si teneva ancora sarebbe caduto a terra; si
riprese dopo alcuni istanti e sporse quanto più poteva il braccio verso la
cella di Daniel, parlando sommessamente, quasi sull’orlo delle lacrime «Dan…Dan
rispondi…dai mi vuoi dire che ti fai battere da questi
sbirri? Sono solo dei ratti lo sai…lo hai sempre detto
che non…valgono niente…DAN CAZZO RISPONDI TI PREGO!» urlò Erik e quella domanda
rimbombò per tutto il corridoio ora silenzioso, anche gli altri carcerati
intenti ad ascoltare notizie sulla vitalità forse ancora presente nel novello.
«Hey Rally
si sta svegliando!» disse all’improvviso Chris agitandosi anche più del dovuto
come al solito.
Erik si
sentì stringere l’avambraccio posto ancora fuori dalle
sbarre per alcuni istanti, poi sentì la presa farsi debole come una rinuncia e
scivolare via lasciando dietro di sé una scia di sangue sulla pelle chiara di
Erik «Agenti di merda! Qua ne sta morendo uno!» gridò uno dei prigionieri che
potevano vedere chiaramente Daniel ora steso a terra «infermeria! Muovete il culo!» aggiunse un altro picchiando il catenaccio che aveva
attorno al collo contro le sbarre di metallo laccato.
Dalla porta
principale entrarono due agenti muniti di elettroshok
per calmare la confusione che si stava creando «zitti pezzi di merda non avete
il diritto di parlare» disse il primo dei due mentre il secondo passava tra le
gabbie dando una piccola scossa a chi stava ancora parlando.
Durante il
passaggio vide il bandito steso a terra e attirò l’attenzione del collega con
un fischio «guarda, il cazzettone che sta male…poverino ci vuole qualcosa che
lo svegli» disse il primo quando si fu avvicinato a
Daniel.
Erik tentò
di ribellarsi ma le sbarre non gli consentivano di
avvicinarsi tanto da far seriamente male ai due agenti che, ormai, erano
entrati dentro la cella del bandito che ora stava tentando di alzarsi per
affrontare i due «ahah…guardalo che patetico…ti piace la scossa?» e durante
l’ultima parola, vuotò mezza batteria della pistola ad elettroshok sulla pelle
del ragazzo che gridò, la voce roca dalle urla che non era riuscito a
trattenere nella sala interrogatori «direi di si!» continuò l’altro fulminando
nuovamente Daniel, colpendolo in mezzo alle scapole nell’attesa che l’altro
caricasse la batteria.
Ad ogni
urlo del fratello, Erik si sentiva rabbrividire e cercava in tutti i modi di
fare qualcosa per aprire quella maledetta gabbia e andare in soccorso del
bandito, ma non vi erano vie di fuga.
Era
irrimediabilmente separato dal fratello; né una crepa, né un foro permettevano la visuale dall’altra parte; d’improvviso,
attirata dalle urla, entrò Sabina che vide i due agenti davanti al bandito
steso a terra, raggomitolato su se stesso in un bagno di sangue «cosa state
facendo?! Vi sembra il modo in cui due agenti dell’ordine dovrebbero
comportarsi?! Prendersela con un ferito! Siate
riconoscenti che non aprirò bocca con il capo!
Ora…MARCHE!» disse la ragazza inviperita spedendo fuori i due agenti con un bel
calcio nel sedere.
Poco più
tardi, si avvicinò al ragazzo ancora steso a terra che la guardava stranamente:
nei suoi c’erano un misto di gratitudine e rabbia che scurivano
già il naturale colore dell’iride.
Sabina si
chinò accanto a Daniel mettendo due dita al lato della gola per sentire il
polso…dannatamente basso.
Di solito,
un normale cittadino, sottoposto a quel tipo di trattamento sarebbe già morto ma quel criminale era come riuscito ad assopire parte
del corpo por poter proteggere le parti vitali consentendo però al dolore di
passare, purtroppo.
Guardò il
resto del corpo del ragazzo e quello che vide fu solo sangue
e lividi.
Ogni parte
scoperta del corpo come viso e collo era completamente
rivestito di questi due ed ogni centimetro di pelle sembrava pulsare di dolore
«guarda quei bastardi…tutti appresso a Contan…» disse piano la ragazza senza
curarsi del nuovo sguardo, questa volta sorpreso, di Daniel.
Sabina
sfiorò la spalla del ragazzo e questi tentò di trattenere l’urlo di dolore che
quel contatto gli aveva procurato facendosi sfuggire solo un piccolo gemito
dalle labbra ed uno scatto repulsivo dalla mano ancora tesa della poliziotta «per
una volta do retta ai tuoi colleghi, qui ci vuole
l’infermeria» e detto questo in un sorriso, prese la radio attaccata alla
cintura e chiamò due agenti per far trasportare il ferito con una barella fino
all’infermeria.
Erik si
slanciò ancora una volta verso le sbarre quando passò
il fratello in barella, ma si calmò quando lo vide fare l’occhiolino e pollice
alto verso di lui, cercando di nascondere quei segni dalle due guardie che lo
portavano ‘‘sempre il solito…al chiuso non ci stai’‘.
…alba…
Nell’infermeria,
Daniel era stato cucito e rammendato peggio di un calzino ma almeno era vivo e
aveva tutto il tempo per pensare ad un piano per la fuga della banda.
Lo
ammetteva, aveva avuto paura di morire in quella cella e aveva paura che un
altro interrogatorio si avvicinasse.
Aveva gli
occhi chiusi, steso sul lettino dove lo avevano abbandonato qualche ora prima e
faceva mente locale per cercare delle vie di fuga sulla strada che aveva
percorso in barella.
In ogni
stanza c’erano almeno due prese di ventilazione, troppo piccole perché ci
passasse; i muri erano spessi una ventina di centimetri in puro cemento ed
ognuno era rinforzato con delle travi di acciaio
quindi una semplice carica esplosiva avrebbe fatto il solletico alle pareti.
Anche le
porte erano spesse lastre di acciaio che scivolavano
sul pavimento facendo un grande rumore.
La porta
principale che riconduceva alla libertà si poteva aprire sia dall’interno che dall’esterno con un codice fornito solo alle guardie; la
soluzione era ovvia.
Avrebbe
dovuto stordire un paio di custodi e utilizzare il solito trucchettino ‘‘vestiti da guardia’‘ e portare
con sé la banda…aprì lentamente gli occhi perché, sebbene il cervello fosse
lucido e scattante, il corpo rispondeva a malapena ai suoi comandi.
Nella
stanza non c’era nessuno a parte lui, ma sapeva che dietro l’enorme specchio
sulla sua destra stavano non meno di due sorveglianti
con altrettanti piedipiatti armati sino ai denti nel caso si fosse ribellato.
Con una enorme fatica, si mise a sedere sentendo un dolore, più
acuto che nel resto del corpo, all’altezza dell’inguine.
Gemette
forte a denti stretti mormorando delle parole «lE…PaLLE!» disse stringendo
la lingua per non pronunciare quella sentenza; durante il pestaggio nella sua
cella non si era accorto che uno degli sbirri gli aveva assestato un calcio nei
gioielli «oH…DiO! » si
lamentò ancora quando tentò di reggersi sulle gambe
tremanti.
Furente,
mandò uno sguardo torvo che sembrò trapassare il vetro a specchio «SPERO CHE LO
SPETTACOLO SIA DIVERTENTE» urlò contro quest’ultimo,
tenendosi delicatamente una mano tra le gambe.
Questo era
dannatamente un imprevisto…come cazzo faceva a scappare se a malapena si teneva
in piedi?...accidenti aveva i coglioni
che gli urlavano pietà.
Non sapeva
che fare: sedersi gli faceva male, in piedi pure…gli
veniva da piangere! Ç_Ç.
La porta
accanto al vetro si aprì ed entrò la poliziotta che gli aveva salvato il culo nella cella (o almeno quello che ne rimaneva assieme ai
gioielli di famiglia); la ragazza gli lanciò un sacchetto di ghiaccio che lui
prese al volo di scatto.
I due si
guardarono un attimo, studiandosi a vicenda.
Daniel potè
finalmente guardare quella cacciatrice che non aveva mollato la preda per ben
un anno ed ora poteva vedere un paio di occhi verdi,
un fisico snello e capelli castani lunghi fino alle spalle.
Figura più
che piacente ma non era proprio il momento di una lezione di fisionomia; il
bandito rigettò il sacchetto ai piedi della ragazza e la guardò truce «non ho
bisogno di compassione» disse ergendosi nella migliore postura d’importanza che
un uomo con i coglioni in briciole possa assumere «ti
devo un favore no? li restituisco sempre e non sarai
di certo tu a farmi smettere» rispose la ragazza avvicinandosi a Daniel appena
ebbe preso il ghiaccio «quindi poche storie con me…chiaro?» e sbattè con forza
il sacchetto contro i genitali del ragazzo che gemette piegandosi in due dal
dolore ma riuscì a parlare con lo stesso tono che aveva tenuto da quando era
entrata «quanto un cesso della…stazione di servizio» disse mentre la ragazza se
ne stava andando.
Quest’ultima
si fermò per un momento volgendo appena la testa verso il bandito, ma se ne andò comunque senza spiccicare parola.
Appena ebbe
chiuso la porta, Daniel si piegò nuovamente in due svuotandosi l’intero
sacchetto nei pantaloni e gemette di godimento quando
il ghiaccio raggiunse il punto che sembrava andare più a fuoco che ovunque
altro, non si sarebbe sorpreso se avesse visto del vapore uscire dalle mutande.
Si appoggiò al lettino sempre mugolando, gettando la testa all’indietro
«Dio…Dio…» continuava a evocare, ma adesso non era il
ghiaccio a provocargli piacere (vabbè quello contribuiva molto), ma era il
pensiero di quella ragazza che gli scombussolava i pensieri e anche le zone
basse. Stava diventando un ninfomane come Erik?
Sperava di no…anzi, più che sperare lo pregava.
Poco dopo,
lo condussero nelle celle, passando davanti all’ufficio di Contan che lo
guardava dal vetro che dava sul corridoio.
Gli sguardi
dei due si incrociarono infuocando l’aria: il viso
sfigurato del ragazzo guardava con sfida il volto butterato del Capitano che lo
fissava irato.
Il Capitano
si alzò dalla sua scrivania e l’aggirò per uscire dalla porta e trovarsi
davanti al ragazzo che gli mandava quel sorriso di furbizia snervante «che ci
fa questo ratto fuori dalla cella? Voglio una risposta
immediatamente» disse guardando i due agenti che lo stavano scortando che
seppero solo balbettare ‘‘infermeria’‘.
Jack Contan
si adirò ancora di più e il suo faccione sembrò diventare più rosso di quanto potesse permetterselo; prese i due agenti e li rispedì al
loro posto di guardia dicendo a entrambi che
si sarebbero scordati lo stipendio quel mese così Daniel e il Capitano
rimasero soli, con il solo svantaggio che il ragazzo era ammanettato e già
dolorante per le botte subite il giorno prima «ascoltami, fottutissimo pezzo di
merda» cominciò il Capitano, fissando il bandito negli occhi «non riuscirai a
fuggire di qui…chiunque ti veda, ha l’ordine di ucciderti a vista…come ho già
detto non uscirai vivo da qui» concluse, con il naso che sfiorava quello del
bandito che scostò la testa sbuffando «grazie, me lo segno…ora mi lasceresti
passare? Hai l’alito che puzza e non vorrei morire qui all’istante, togliendo
il lavoro ai tuoi…» ma non finì la frase perché un
poderoso pugno completo di guanti imbottiti di ferro lo colpì allo stomaco
facendolo cadere a terra, senza fiato.
Accidenti
perché non controllava la lingua ogni tanto? Sputò sangue che sporcò la
maglietta già macchiata «ringrazia che non ti ho voluto spezzare le costole»
disse il Capitano guardandolo dall’alto al basso.
Daniel non
disse nulla, sputò solo altro sangue sulle scarpe del Capitano, si alzò e se ne andò verso le celle cercando in ogni modo di nascondere
le manette aperte e le chiavi strette nella mano.
Entrò nel locale delle gabbie accolto da urla e fragore «grande Caimano»
esclamò un
carcerato dall’aspetto australiano alla sua sinistra.
Camminò
finché non trovò la cella di suo fratello, il ragazzo seduto a terra che
cercava di ripararsi gli occhiali da sole «Hey fratellino occupi il tempo?»
disse Daniel appoggiandosi alle sbarre e tenendo le mani dietro la schiena
fingendosi legato.
La reazione
del fratello fu quasi una sorpresa per il bandito che se lo vide addosso se non
ci fossero state le sbarre «DAN! Brutto idiota! Mi hai
fatto cagare sotto! Ma ti sembra il momento di scherzare?» esclamò Erik fiondandosi
contro le sbarre e così fecero gli altri due componenti
della banda ululando come degli ultras «si se ho le chiavi» rispose Daniel
senza farsi sentire dagli altri carcerati «però non stanotte…per ora non
possiamo…sono ancora conciato male e…ho qualche..ehm…problemino»
continuò il bandito raccontando poi del calcio nei gioielli e della reazione
della ragazza ed Erik seppe solo venirne fuori con un ‘‘allora c’è vita laggiù’‘.
Daniel, da
bravo finto prigioniero, entrò nella sua gabbia e si assicurò di avere bene
assicurate le chiavi alla cintura, nascondendole all’interno di quest’ultima.
Passò il
giorno tra schifosissimo pranzo che non sapeva di niente e una passeggiata
all’aria aperta, tra lo smog e la pioggia che aveva preso a scendere a metà
pomeriggio.
Tra il
gruppo di carcerati, Erik aveva notato una ragazza, della sua età, e subito si
era innamorato soprattutto della pettinatura corta e del tatuaggio che le
prendeva tutta la schiena; il maestro del rally ormai era partito per il mondo
dei sogni erotici -_-…
La
poliziotta che aveva dato il ghiaccio a Daniel era
sempre presente ad ogni ora della giornata accompagnata dall’amico biondino che
pareva dire qualcosa alla ragazza indicandolo e subito lei diveniva rossa come
un pomodoro.
Capiva fin troppo bene…una dannata poliziotta si era presa una cotta per un dannato
criminale.
E quel
dannato criminale era lui…Cristo…e ora che doveva fare? Proseguire il piano è
ovvio…naturalmente se fosse stato ancora vivo.
Il
Capitano, ogni qual volta che lo vedeva lo obbligava ad un
mini-interrogatorio privato, solo loro due, e non importava il luogo.
Essendo
ammanettato, ogni volta che lo veniva a trovare in cella e durante l’ora d’aria,
non poteva opporre resistenza e quindi prenderle di santa ragione fino a cadere
a terra con la cicatrice in faccia ancora una volta aperta e sanguinante. Il
fratello ed il resto della banda lo lasciavano per pochi secondi e quando
tornavano lo trovavano in fin di vita.
La spalla
era ancora fasciata ma il bandito ora poteva muoverla
liberamente senza poter avvertire il lancinante dolore di prima, sostituito da
un leggero pulsare.
Era ora di
agire e fuggire da lì.
Durante le
quattro settimane che aveva trascorso in carcere aveva potuto raccogliere
abbastanza oggetti utili per la fuga: aveva rubato un coltello dalla cucina,
Chris era riuscito a spulciare un po’ di dinamite da altri carcerati che avevano
perso la voglia di andarsene, Ethan stava poco a poco scavando un piccolo foro
nel muro dietro l’ufficio del Capitano per poter inserire la
dinamite di Micciacorta ed Erik, quel grande imbecille, aveva fottuto la
lingerie della poliziotta che in giro avevano sentito chiamare Sabina e i boxer
a fiorellini del grande Capitano Contan «per appenderle come bandiera di guerra»
aveva sostenuto il ragazzo…ingenuo…ma come idea lo stuzzicava!
Scese la
sera della quinta settimana e il quartetto si preparò alla fuga.
Tutto era
pronto…la dinamite (un candelotto solo non sono degli
assassini) era a posto nel muro dell’ufficio, Erik aveva la macchina per
dileguarsi in fretta e Daniel passava tra le dita le chiavi senza il minimo
rumore, aspettando che tutti si addormentassero.
Nel
frattempo, pensava ancora a quella ragazza…ogni secondo gli veniva in mente…che
si fosse innamorato anche lui?...naaaa…non credeva
molto nel suo diniego però.
Vennero le
tre del mattino e tutti i carcerati erano crollati,
chi più chi meno, sotto l’effetto dell’alcol bevuto.
Daniel
scattò in piedi e si apprestò ad aprire la porta della cella, ma quando sentì
la pesante porta che portava fuori dal locale delle
gabbie fece un gesto veloce agli altri componenti della banda dicendogli di
fingere di dormire…chi cazzo era a quell’ora che rompeva le palle?
Nel buio,
Daniel vide di sottecchi una forma scura che veniva verso di
lui ed apriva la sua gabbia, entrando piano, con passo felpato più silenzioso
di un gatto.
La figura
si portò fuori campo visivo, passando proprio davanti al
bandito che, a causa del cappello sugli occhi, non poteva vedere
frontalmente.
Sentì una
mano fresca sfiorargli la cicatrice ancora pulsante per la visita che il
Capitano gli aveva fatto nel primo pomeriggio, proprio davanti a tutti.
Non avrebbe
mai dimenticato un’umiliazione del genere.
Contan lo
aveva costretto a togliersi il giaccone e la maglietta anche se con qualche
ostilità, rimanendo a torso nudo.
Non che fosse quello il drammatico della storia, aveva dei muscoli
perfetti, o almeno se lo era sentito dire da delle ragazze del carcere durante
gli allenamenti, ma dopo, Contan aveva fatto riunire tutta la prigione
(prigionieri e guardie…insomma, tutti-tutti) e lo aveva fatto inginocchiare a
colpi di randello sulla schiena.
Dopo molta
resistenza era caduto a carponi sotto le risate delle
guardie e gli schiamazzi dei prigionieri.
Il Capitano
aveva ordinato alla guardia più vicina di legare le
braccia del ragazzo con tre giri di filo spinato e di passargli un altro pezzo
di filo spinato.
Quel pezzo
lo legò attorno al collo del bandito senza soffocarlo ma abbastanza forte da
poter vedere le piccole goccioline di sangue scorrere lungo il collo.
A quel
punto, il Capitano parlò «voi, prigionieri, ora
vedrete cosa porta la fedeltà verso il nemico» disse rivolto al pubblico
carcerario mentre Daniel cercava di alzarsi invano.
Il Capitano
gli assestò un calcio nelle costole per farlo stare steso da poterlo vedere
bene.
L’uomo
prese dalla tasca il coltellino a scatto e lo aprì con un sorriso malefico; si
sedette a cavalcioni sulla schiena del ragazzo pressandolo contro il pavimento
freddo e facendogli scricchiolare fortemente la colonna vertebrale.
Daniel
sentì mancare l’aria sia per la pressione che per il
filo spinato attorno al collo e tentò di dimenarsi da sotto il peso del
Capitano che sembrò aumentare sempre di più…se avesse continuato gli avrebbe
spezzato la schiena.
Nel
movimento il filo spinato gli penetrò nella carne degli avambracci che
cominciarono a sanguinare ed il ragazzo gemette.
Il
Capitano, non soddisfatto dei tagli che Daniel aveva sulle braccia, prese a
fare lunghi e profondi tagli nella schiena e nelle spalle del ragazzo che urlò
per quanto i polmoni pressati glielo permettessero «il dolore è la lezione che
ognuno di voi dovrà subire se non collaborate…» finì il Capitano girando col
piede il corpo di Daniel che cercò di nuovo di
liberarsi, ottenendo solo tagli più profondi alle braccia.
Durante
tutta la procedura, Erik e la banda erano stati
trattenuti dalle guardie presenti che avevano faticato molto a non cedere
all’impulso di andare anche loro con gli amici di quel ragazzo.
Tra il
pubblico c’era anche Sabina, perennemente fiancheggiata dall’amico biondo, e
anche lei aveva faticato nel trattenersi nell’andare lì da quell’essere e
fargli capire che gli uomini, ladri o guardie, sono
uguali.
Come tocco
finale, Contan gli aveva assestato un calcio in faccia
che gli aveva riaperto la cicatrice.
Delle
labbra che si premevano dolcemente contro le sue, quasi come il tocco di una
farfalla, lo fece ritornare nella cella.
Non poteva crederci, era la poliziotta!
Da quando
in qua le guardie svegliano i prigionieri con un bacio? Allora era vero…si era
presa una cotta per lui…e lui non era da meno, visto che non fece resistenza e
così continuò con la sua farsa, tenendo la testa leggermente bassa e il
cappello sugli occhi.
Le sue
labbra avevano un sapore che non sapeva descrivere…più che piacevole sarebbe
stato un ottimo aggettivo.
La ragazza
continuò, passando le mani intorno al collo del bandito e premendo le labbra
sempre più contro le sue; doveva essersi accorta che era sveglio perchè quello
non era una sveglia…era un’avance…mica male però la
ragazzina.
Daniel si
tolse il cappello, lasciando che dondolasse lungo la schiena, appeso con un laccetto
al suo collo e si spinse verso la ragazza, afferrandole i fianchi di scatto e
stringendola a sé.
Sabina
sembrò destarsi da una trance in cui era caduta e ora
fissava il bandito mordendosi il labbro inferiore in un chiaro segno
d’imbarazzo «voglio andare via di qui» disse all’improvviso guardando il
pavimento «non ci resisto più…adesso fuggirai, lo sanno tutti i prigionieri di
questa ed altre prigioni e voglio venire anche io» finì tutto d’un fiato.
Daniel la
guardò interrogativo inclinando leggermente la testa di lato, poi divenne cupo
il volto e si alzò dalla brandina dove era seduto «e perché dovrei portarmi
dietro uno sbirro? Ho imparato a non fidarmi, oggi più che mai» disse il
bandito mostrando i segni lasciati dal filo spinato sul collo e sulle braccia
«perché dovrei eh? Per poi farmi sbattere di nuovo qua dentro? Non penso
proprio» disse ancora voltandosi e prendendo il giaccone posato poco più in la.
Lo indossò
e uscì senza far rumore dalla cella (sebbene avesse
dei carri armati ai piedi) e si fermò davanti alla gabbia del fratello e degli
altri due «ragazzi…il massimo…silenzio» disse in un filo di voce quando li ebbe
liberati.
Si girò e
trovò la ragazza pericolosamente vicina al bottone vicino
alla porta che metteva in funzione l’allarme «porca puttana non…» sussurrò
all’indirizzo della poliziotta che, però, lo premette con un pugno e subito
l’assordante sirena si mise a suonare, svegliando tutto il carcere, compreso il
Capitano Contan «dannazione! Ragazzi via o ci rimettiamo
il culo» urlò Daniel guardando i compagni dietro di lui e subito i quattro si
misero a correre lungo il corridoio, verso la porta che dava sulla cucina.
Il bandito
voltò la testa nella corsa e vide una mezza dozzina di agenti
seguirli e stavano maledettamente guadagnando terreno…su di lui almeno.
Tornò a
guardare, vedendo Erik e la banda lontani una decina
di metri…accidenti al Capitano e alle sua stramaledette visite!
Ormai era
tardi per recuperare il suo fucile, l’armeria dov’era stato deposto era troppo
lontana e lui con i pugni non se la sapeva cavare più di tanto…era spacciato;
una delle guardie gli era saltata addosso e ora stava riverso a terra tentando
di togliersi da dosso quel fottutissimo sbirro e mettersi a correre più di
quanto il suo corpo tutto tagliuzzato e sfinito potesse
fare.
Nella
colluttazione, miracolosamente riuscì a rubare la Beretta al poliziotto e puntò
alle cosce di quest’ultimo sparando un colpo che lo liberò dalla stretta.
Si alzò un
po’ barcollante e ricominciò a correre, più sicuro ora
che aveva tra le dita il freddo metallo di un’arma, seguendo il tracciato
previsto dal suo piano, finendo nelle cucine.
Si diceva
in giro che quelle cucine fossero la base per esperimenti
genetici…e forse quel qualcuno aveva ragione.
C’erano
pentole e piatti sporchi ovunque, il pavimento era
appiccicoso e nell’aria aleggiava odore di bruciato e di fritto.
Si rimise
il fazzoletto sul viso per otturare quel fetore e si nascose dietro la cucina
elettrica distante una quindicina di metri dalla porta che portava su un altro
corridoio, dove si affacciava l’armeria, l’infermeria e l’uscita sospirata.
I cinque
poliziotti entrarono guardinghi capeggiati però da
Contan…Daniel rabbrividì al pensiero che se lo avessero preso, sarebbe
veramente morto di dolore.
Il bandito,
ancora nascosto dietro quel misero riparo della cucina, caricava
silenziosamente la pistola, pronto a sparare a chiunque si fosse
avvicinato.
All’improvviso,
sbucato da dietro un tavolo, Erik si mise a sparare contro i poliziotti,
ferendone parecchi alle gambe e alle spalle mentre Ethan strisciava verso di
lui con il suo fucile…lo avrebbe baciato se non fosse
stato un ragazzo.
Daniel, con
nuovo vigore e ripreso quel suo sorrisino di sfida, sbucò da dietro la cucina
elettrica e prese a sparare contro gli nuovi sbirri
che entravano, richiamati dall’allarme.
Si sentiva
rinato con la sua fidata arma in mano e mirava alle gambe e alle cosce dei
nuovi arrivati, mietendoli come una falce col grano.
Contan era
scivolato dietro un tavolo e stava rispondendo al fuoco con lo stesso vigore
con cui gli aveva tagliato la schiena ore prima uccidendo, purtroppo, Chris e Ethan che stavano dirigendosi verso ripari più sicuri.
Erik aveva
finito i proiettili e a lui ne rimaneva solo due: uno in canna e uno al collo,
ma lui non li avrebbe mai usati, almeno per quel
dannato ubriacone.
Dalla porta
entrò Sabina, la pistola in mano e sguardo torvo verso il bandito.
I due si
scrutarono fin troppo a lungo e Contan ne approfittò
per sparare un colpo verso Daniel, ferendolo al fianco.
Quest’ultimo,
quasi come un tic, sparò verso la persona che aveva negli occhi, ferendo la
ragazza alla gamba.
Contan
smise la sparatoria e si diresse verso la ragazza sanguinante a terra lasciando
il tempo a Daniel ed Erik di fuggire verso l’armeria, dove si barricarono
«spero di tornare qui» disse Erik con il fiato grosso «per poter uccidere quel
bastardo e vendicarli» disse caricando gli Uzi che aveva adocchiato e
comodamente preso.
Daniel non
disse nulla, ma si diresse verso uno scaffale pieno di munizioni e ne prese
quante ne poteva trasportare, assieme ad un mitra,
nove caricatori da mille di quest’ultimo, e un machete che legò alla cintura.
Ora potevano affrontare tutto il carcere, non gli importava.
Erik guardò
verso di lui aspettando un segnale i via libera quando
gli vide il fianco sinistro sanguinante «se prendono me fa niente ma…se ti
prende quel bastardo, ti uccide veramente questa volta» disse porgendogli un
paio di bende che aveva recuperato poco prima dall’infermeria.
Il bandito
si curò, pressandosi la benda sulla ferita e legandola
stretta, poi, aprì la porta con cautela.
Una
pallottola fischiò nell’aria, schivandolo per un pelo.
Accidenti a
quell’ubriacone! Era tornato alla carica e non aveva intenzione di cedere! In
fondo al corridoio, vide la ragazza a cui aveva sparato, medicarsi la gamba
insanguinata con delle spesse bende che, probabilmente, le aveva
dato Contan «McBrie, non riuscirai a fuggire!» disse il Capitano
appoggiato al muro accanto alla porta, aspettando che uscisse il ragazzo
sfregiato, il quale rispose «ancora questa storia Capitano? Provi a cambiare
ogni tanto» furono le parole, intrise di un intenso senso di ironia
e scherno.
Erano in
una posizione di stallo: se fosse uscito sarebbe morto con una pallottola in
testa, se fosse rimasto dentro l’armeria, sarebbe
morto dissanguato a causa della ferita che, anche se fasciata, continuava a
sanguinare.
Si guardò
intorno, mentre la vista si faceva leggermente debole; in cima al muro dietro
di loro, c’era una piccola finestrella, grande però abbastanza da poterci
passare, anche se con qualche fatica.
Daniel la
indicò al fratello che si affacciò e vide il terreno…venti
metri sotto di loro ‘‘accidenti’‘ pensò il bandito, sistemandosi il cappello
come era di solito fare quando pensava…maledizione, con quel dolore pulsante
non riusciva a pensare molto!...si sforzò più che potè, chiedendo in un fil di
voce a Erik se ci fossero sporgenze sul muro…niente da fare, liscio come una
tavola «Allora, McBrie! Sei in trappola come un topo e come un topo morirai!» disse Contan dall’altra parte della porta chiusa e
Daniel sparò un colpo attraverso la porta già forata dal precedente colpo del
Capitano per farlo tacere, almeno per la sorpresa, e poter ragionare.
Si guardò
nuovamente attorno, era in un locale armi, cosa avrebbe
potuto usare per scalare un muro? Assolutamente niente…doveva inventarsi qualcosa…prese
il machete ed il coltello che aveva rubato dalle
cucine e fece segno ad Erik di cominciare a calarsi, ignorando lo sguardo
sorpreso ed impaurito del fratello.
Il guidatore
si sporse e rimase appeso con solo le braccia alla piccola apertura, guardando
interrogativo il fratello «è rovinato il muro?» chiese Daniel trattenendo le
braccia insicure del fratello che, intuendo cosa voleva che facesse il bandito,
prese le due lame e le conficcò nelle crepe sottili
che infuriavano sul muro esterno.
Suo
fratello era a posto…ma lui? Non c’erano più coltelli né altri oggetti che gli assomigliassero lì dentro e Contan, stufo di aspettare, si
stava accanendo contro la porta che non avrebbe retto per molto ancora.
Assicurandosi
di avere con se fucile e mitra, scalò anche lui il muro e si lasciò dondolare fuori dalla finestrella, cercando di appoggiarsi a quelle
millimetriche fessure e aggrapparsi ad esse.
Miracolosamente,
le crepe erano abbastanza larghe da potercisi aggrappare con la punta delle
dita e con il bordo delle scarpe così discese lentamente il muro, inseguito
dalle urla del Capitano che aveva trovato l’armeria vuota.
Daniel
pregò che non si affacciasse alla finestrella perché, se lo avesse fatto e se
gli avesse sparato, sarebbe morto se non per la
pallottola in testa, per la caduta se avesse messo un piede in fallo, ma a
volte il Destino comprende male i desideri.
Il faccione
butterato del Capitano sbucò dalla finestrella e, con un
ghigno malefico, puntò la Beretta verso di lui. Erik, sotto di lui,
stava intrattenendo i cecchini che stavano mirando al
fratello con i piccoli ma pericolosi Uzi.
Improvvisamente,
Daniel nella tensione, mancò un crepa e cominciò a
scivolare all’indietro e tutto il mondo sembrò rallentare.
Il bandito
sentiva i rumori come attraverso una sfera di plastica e le immagini erano
sfocate.
Sentì il
Capitano Contan caricare la piccola pistola che, alle sue orecchie, sembrò
ovattato e molto vicino, vide la piccola fiamma che prevedeva l’arrivo della
pallottola, sentì il fischio soffocato della cartuccia, avvertì la sensazione
di freddo nel petto quando vide il proiettile passare
davanti ai suoi occhi per poi sparire tra le pieghe del suo giaccone.
Sentì le targhette
rovinate dalle sue stesse mani tintinnare l’una contro l’altra e gli sembrò di
galleggiare nell’aria, sospeso tra più dimensioni.
Non sentì
nemmeno il terreno quando lo toccò rovinosamente e
nemmeno sentì la voce di Erik che lo chiamava e che gli indicava l’uscita dove,
una grossa jeep nera blindata li aspettava.
Sentiva
solo freddo e il dolore bruciante che si allargava nel petto, senza però
scaldarlo, anzi, era proprio quel dolore lasciare sulla sua strada quel freddo pungente sulla sua pelle.
Non vide
più niente…solo buio, nonostante gli occhi semiaperti. Non si alzò.
Ed è così
che sono qui.
Certo non
mi lamento sono vivo, ma se la ragazza che ora sta dormendo nella branda
accanto alla mia non avesse fatto la prostituta con
me, mi sarei risparmiato un po’ di dolori e un’anteprima dell’inferno.
Di una cosa
sono sicuro…non mi è piaciuto.
Però, a
pensarci bene, non è stata colpa sua, in fondo era il suo lavoro badare ai
prigionieri…la colpa è solo mia che non sono capace a fare un piano decente e ancora
di meno sono riuscito per colpa di quelle stramaledettissime visite di Contan;
Chris ed Ethan ne hanno le conseguenze sulla loro pelle…povero Erik, erano i
suoi migliori amici, come dei fratelli della stessa età che fanno i dispetti a
quello più grande, però non credo che ce l’abbia con
me, anche se mi sento lo stesso un verme.
L’ho fatto
preoccupare come un cane quando sono caduto dal muro
che mi separava dalla libertà.
Da quel
momento fino a quando mi svegliai, un paio di ore fa,
non ho ricordi miei.
Ho solo la
vaga impressione di esser stato trasportato di peso verso la jeep e una voce, o
forse due, sono confuso, cercava di tenermi sveglio,
mentre il dolore e il freddo, poco alla volta, mi annegavano.
Prima di
svegliarmi, ricordo solo un gran caldo improvviso, come se mi avessero puntato
un lanciafiamme nella schiena e non riuscii a trattenere un grido di dolore che
mi si smorzò in gola quando sentii il cuore smettere
di battere. Dopo quello solo un buco nel cervello e
nient’altro.
Adesso sono steso su una brandina, ad occhi chiusi…non ho voglia di
affrontare Erik in un momento del genere.
Sento delle
voci lontane, come dette dietro una porta, il che è molto probabile, e sento
anche il respiro regolare della ragazza, Sabina, che dorme accanto a me…e sono
qui da due splendide e noiosissime ore a chiedermi il perché di quel gesto.
L’ho
rifiutata, allora perché non si va a cercare un elemento migliore di me? Quel
biondino mi sembra alla sua portata…PErCHè mE?!
Sento il
petto pesare ad ogni respiro, nonostante le coperte che mi ricoprono fino ad esso siano molto leggere…sarò fasciato come una
mummia…evviva…ma non posso stare qui così mi credono morto e mi seppelliscono
vivo in giardino come si fa col gatto.
Avanti
Dan…un bel respiro profondo e tirati su…ecco così…ma il dolore alla schiena è troppo forte e non voglio svegliare la ragazza.
Stringo
forte le coperte rischiando di strapparle con le mie unghie o di ferirmi in
qualche modo le mani da quanto le sto premendo.
Le nocche
mi diventano bianche ancora prima di potermi mettere seduto completamente…ecco,
finalmente seduto…faccio per scostare una gamba di lato per poter scendere quando, il dolore supera davvero ogni limite e non
mi resta altro che urlare, anche se con qualche tentativo di trattenimento.
Evviva due
la vendemmia, ho svegliato la ragazza e le voci dietro
la porta alla mia sinistra hanno smesso di dialogare «buongiorno» mi dice la
ragazza…se se…buongiorno a tua sorella! Non rispondo per la paura di dire
qualcosa di troppo e cerco di mettermi in piedi sulle mie gambe, ottenendo solo
un’altra umiliante caduta che mi fece scricchiolare le ossa della colonna
vertebrale e due lacrime mi scivolarono per le guance, scese per il dolore al
labbro che mi sono morso nel tentativo di trattenere
ogni singolo gemito.
Sento le
sue mani fresche afferrare una delle mie e aiutarmi ad alzarmi, ma le
rifiuto…non voglio compassione, non ne ho mai avuta,
mai ne voglio avere.
Finalmente
riesco a mettermi in piedi, anche se barcollo un po’ e mi guardo intorno per la
prima volta.
Sembra una
di quelle celle medievali nei sotterranei di un castello…Yuppieeee…da una
prigione all’altra.
Le alte arcate che interrompono il soffitto di pietra sembrano riparate in alcuni punti col cemento…voglio
sapere dove sono finito! «d-dove sono?» domando, con la voce arrochita dal
dolore precedente che ora è solo un pulsare in tutto
il corpo e la ragazza mi si avvicina, un po’ zoppicante «al sicuro» mi
dice…anche se non ne sono molto convinto.
Mi accorgo con rancore che ha la gamba pesantemente fasciata
«oh, s-scusa per…per quello…eh…ecco…cioè» balbetto,
chinandomi leggermente in avanti per nascondere il rossore che mi imporpora le
guance…sto arrossendo! Per una ragazza! «ne ho passate di peggio» mi dice,
cercando di consolarmi.
Entrambi siamo molto vicini, quasi a sfiorarci nuovamente le
labbra…ha un profumo così dolce…io, stufo di aspettare, prendo
l’iniziativa…sempre più vicino…lei sembra starci.
Incredibile,
mi sto baciando volontariamente con la persona che mi ha perforato la spalla un mese prima se non di meno. La faccio stendere
sulla brandina, assaporando già quello che sarebbe venuto, ma un segno della
ragazza mi scornò, ma al contempo, mi fece venire i brividi «un’altra volta, ora vieni qui e riposati, sei stanco» mi disse...sperai di guarire
presto.
La ragazza rimase stesa sul materasso, invitandomi a fare lo stesso accanto a
lei «sei una meraviglia della natura» mi disse dandomi un bacio, questa
volta un bacio leggero, innamorato.
Ora che la
stanza non era più riempita dai nostri gemiti, potevo distintamente sentire la
voce di Erik, assieme ad un altro paio, che
picchiavano contro la porta, chiamando sia me che la ragazza «ROMPIBALLE» grido
per farmi sentire, facendo ridere la ragazza…quanto mi piace il suo sorriso…purtroppo, non so come, sento una
nuova fitta alla schiena che mi fa leggermente gemere di dolore…chissà quante ferite mi si saranno aperte; ma
ne è valsa la pena…Sabina mi guarda con fare
preoccupato, ma subito la tranquillizzo con un altro bacio.
Lei, quando
ci separammo, mi squadrò bene mentre tiravo sui nostri
corpi la coperta leggera della branda «scusa se te lo chiedo…ma è da tanto che
lo vorrei sapere…come ti sei fatto quella cicatrice? Se non sono affari miei
dimmelo subito, posso lascia…» ma non fece in tempo a
finire che la interrompo «è tanto che non parlo con qualcuno che non sia mio
fratello, perché non dovrei raccontartelo? Però non t’impressionare» dissi,
allungando un debole sorrisetto e lei annuisce «bene……allora, tutto è iniziato più o meno due anni fa…una volta abitavo in Scozia, come
potrai ben sentire dal cognome, e lì ci sono alcune regole tra i clan di
diverso tipo che sono molto rigide.
A quel
tempo, anche io ero un poliziotto, proprio come te…determinato a dissipare la
rete che la droga e l’alcol avevano tessuto nel mio quartiere.
Una sera,
tornato dalla pattuglia e tornando a casa da nostra madre e da mio fratello, mi
sorprese la cricca più malfidata del posto…roba di una trentina di ragazzi dai
quindici ai trent’anni, tutti più o
meno esperti nell’arte del picchiare a sangue; allora…» m’interruppe col
suo viso d’angelo «scusa se t’interrompo…ma tuo padre? All’epoca dovevi essere
molto giovane e pure lui» disse, posando la testa al mio petto…eccolo il punto
debole…«mio…mio padre fu assassinato quattro anni fa,
quando io avevo ventun’anni ed Erik quindici, dopo un
anno che fui entrato nel corpo della polizia.
Comunque…venni
accerchiato da tutti quei…bulli… e il capo di questi si fece avanti col
randello in mano ‘‘hai catturato metà del mio gruppo’‘ mi disse…io non mi
lascio intimidire e quindi ho risposto a tono e fu una scelta sbagliata.
I più
vecchi mi si gettarono addosso, armati la maggior parte di mazze da
baseball…immagina il dolore…ma riuscii a fuggire e
salvarmi la pelle e a ferirne molti con la beretta che avevo nella fondina…ti
devo confessare una cosa, odio uccidere, anche se è per difesa; solo uno morirà
per mano mia e sarà quel gran figlio di puttana che mi ha fatto questa e ha
ucciso la mia famiglia».
Lei mi
guardò interrogativo e così dovetti spiegare…le immagini davanti agli occhi
«tornato a casa, cercai mia madre ma non la trovai
così andai sul terrazzo…vidi gli indumenti stesi macchiati di sangue e mia
madre qualche metro più in la, con la gola tagliata…mio fratello era nella
stanza vicino, chiuso a chiave e spaventato a morte; per un ragazzino può
significare pazzia vedersi sgozzare la madre davanti agli occhi.
Lo convinsi
ad uscire, provandogli che ero io e mi si buttò tra le braccia in lacrime, spiegandomi
che la mamma era morta, che non aveva fatto niente e che quell’uomo era ancora
in casa…dissi a mio fratello di chiudersi di nuovo nella camera e di non uscire.
Intanto
estrassi la pistola per trivellare quel gran bastardo e mi diressi
verso la cucina, seguendo le goccioline di sangue che il coltello aveva
lasciato sul pavimento.
Non so come
me lo ritrovai alle spalle e cominciammo a lottare,
sbattendoci a vicenda contro muri e armadi.
Purtroppo,
per la stanchezza, caddi in ginocchio e l’uomo si mise a ridere, beffandosi del
mio poco polso e di quanto ‘‘ero un povero pivello senza palle’‘, ma sentii una voce
che mi fece gelare il sangue.
Dannazione
a mio fratello che non mi da ascolto! aveva preso la
pistola SCARICA che nostro padre conservava in un cassetto infondo all’armadio
e la stava puntando contro l’uomo che aveva ancora il coltello tra le dita.
Erik
premette il grilletto ma non successe niente così il
capo banda si avventò sul mio fratellino.
Non sapevo
che fare, ma a costo di salvare l’unico membro della mia famiglia che era rimasto vivo, sarei morto io.
Rincorsi l’uomo
superandolo per poco e mi gettai davanti a mio
fratello come scudo.
La lama
scattò aprendomi la faccia e sfigurandomi per tutta la vita.
Caddi in
ginocchio e accanto a me, mio fratello mi chiedeva scusa…eheh, non ce n’era
bisogno.
Il capo
banda puntò nuovamente la lama contro di me, verso il mio petto, e rise…quando sentii il flebile suono delle sirene dei miei
colleghi anche io sorrisi beffardo.
Quell’orribile
mostro se ne accorse, dandomi il tempo di saltargli
addosso e di bloccarlo…la vista mi si stava però annebbiando e le forze
scemavano in fretta.
Riuscì a
liberarsi da quel mio misero tentativo e fuggì, lasciando il coltello, piantato
fra due piastrelle accanto a me.
Sparì dalla
circolazione.
E la mia
famiglia venne distrutta. Ecco il mio segreto signo…» ma mi fermai, vedendola profondamente addormentata;
non me la presi, era stanca e anche io non ero il massimo. Mi appoggiai meglio
sul materasso e mi addormentai al suo fianco, cullato dal suo
dolce e naturale profumo odore di sesso
disse la mia parte nera odore d’amore
ribattè l’altra…un po’ tutt’e due
pensai io.
Passammo
così per almeno quattro ore, stretti l’uno all’altra e come al
solito, non la smettevo un minuto di sospirare e di pensare che finalmente
qualcuno mi aveva visto dentro, oltre quella dura scorza da duro che mi porto
sempre dietro.
Lo speravo
con tutto il cuore…fino a quel momento mi era stato tolto praticamente
tutto…e ora che l’onore mi sta permettendo questo, non voglio di sicuro
perdermelo.
Mi svegliai
che era ancora buio fuori dalle grate che lasciavano
lunghe ombre sul pavimento alla poca luce della luna piena.
Mi girai
per cercare la ragazza che mi aveva rapito il cuore, ma con un certo sconforto,
non la trovai sul materasso.
Mi tirai su
con i gomiti ricadendo però sulla schiena per una
fitta che mi aveva trapassato in mezzo alle scapole e un piccolo gemito mi uscì
dalla gola senza che io potessi intervenire.
Prontamente
tappato da una pesante e ruvida mano, il suono soffocò tra le mie labbra ancora
semi-aperte «taci, brutto pezzo di merda» disse una voce che riconobbi fin
troppo bene…bastardo! Che ci faccio qui!? urlarono le mie due metà dell’anima, all’unisono, ma riuscii
solo a bofonchiare quelle parole, contro la mano grossolana del Capitano.
Ora che mi
guardavo meglio attorno, mi ero accorto di non essere più nelle segrete dove
avevo fatto l’amore con la poliziotta…ero steso su un letto a baldacchino con
le tende rosso sangue e la coperta dello stesso colore, mentre un lenzuolo nero
perlato ne ricopriva un lembo.
Facendo
ancora vagare lo sguardo, vidi due alte finestre con delle spesse inferriate
alla mia destra e due statue demoniache mi si specchiavano negli occhi.
Un
caminetto spento rendeva quel luogo ancora più lugubre ed ero vestito.
Cercai di muovermi ma il dolore alla schiena mi bloccò ancora,
facendomi cadere senza forze sul materasso morbido «ci rivediamo per la terza
volta povero idiota» mi disse il Capitano, avvicinando il suo brutto faccione
puzzolente di alcol al mio…non resistevo, dovevo ribattere «noto con piacere
che non sai contare…questa è la seconda brutto imbecille figlio di puttana»
dissi, mentre la mia parte nera esultava come un ultras. Ricevetti un potente
pugno nello stomaco che mi bloccò il respiro e sgranare gli occhi «la numero tre è molto lontana…oppure hai la memoria corta,
stupido, povero pivello senza palle?» ringhiò con un sorriso malevolo sulla
faccia…quella frase…mi aveva risvegliato i ricordi che avevo confessato alla
poliziotta…come poteva sapere quello stronzo…?
Lo squadrai
meglio da vicino e riconobbi un piccolo tatuaggio a forma di serpente sulla
spalla destra, appena dopo il bordo del colletto della maglia che
indossava…«sei…sei…!? » balbettai arrancato quanto più
potevo lontano da quell’essere…dannazione era cambiato moltissimo! Come avevo
fatto a non riconoscerlo? Quel bastardo rise con voce roca e burbera alla mia
paura «che hai bandito? Non vuoi rivedere un vecchio amico? Si sono un po’ cambiato ma se vuoi le coccole te le faccio
ugualmente» disse prendendomi per la maglietta…cazzo muoviti! Mi incitarono insieme le
mie due parti ma i muscoli non rispondevano del tutto ai comandi…dovevano
avermi drogato.
Ricevetti
un altro pugno nello stomaco che mi fece piegare in due
mentre sentivo le ossa scricchiolare minacciosamente e
continuò…continuò…ogni colpo sembrava sempre più forte.
Mi sollevò
come un peso morto, all’altezza dei suoi occhi e mi rise in faccia
mentre io lo fissavo truce…mossi una mano…forse l‘effetto della droga
stava svanendo.
Con uno
scatto, diedi n calcio nei gioielli dell’assassino
facendolo mugugnare di dolore così lasciò la presa su di me…
Scesi dal
letto e fuggii verso la porta, sbattendola dietro le mie spalle e appoggiandosi
sopra…non avevo mai avuto così paura da due anni a
questa parte.
Potevo
sentire lo stomaco pulsare di dolore e del sangue mi usciva dalla bocca…se mi
prendeva disarmato sarei morto dopo tre secondi che ero
tra le sue mani…non mi sarei stupito se prima mi avesse stuprato…quell’essere
era capace di tutto.
Ero in un
lungo corridoio che dava su una porta e sentii il rumore del mare in
lontananza. Mi diressi velocemente a quella porta e vidi una pista
d’atterraggio per elicotteri, l’unico accesso per il castello…ero fottuto…ma dovevo anche trovare Erik e Sabina…così
tornai sui miei passi e vidi Jack uscire dalla camera, tutto dolorante e con
una mano sui genitali in fiamme «volevi loro? Prendili» mi disse, lanciando
verso di me Erik e Leo, imbavagliati, legati e pestati a sangue, ma pur sempre
vivi «la ragazza! Dove sta! » urlai all’uomo mentre aiutavo i due ragazzi a slegarsi «chi? Ah..già…bè
lei è mia, vorresti portarmi via mia figlia?» disse abbracciando la ragazza che
ora avanzava verso il padre a testa bassa e intravidi un grosso livido sulla
guancia sinistra di lei.
Ero
scoccato, non poteva essere sua figlia…quale donna avrebbe potuto amare un
essere così spregevole? Sabina alzò gli occhi lacrimanti e guardò verso di me
«mi dispiace…scusa» disse, stringendosi il petto mentre
il padre afferrava un pugnale e lo puntava alla gola della figlia per fami
retrocedere su suo ordine…fu come un flash e rividi mia madre, morta con la
gola tagliata…i suoi bellissimi capelli castani…gli occhi verdi spalancati
dall’orrore…gli assomiglia…DANNAZIONE LE
ASSOMIGLIA TROPPO!! Pensai ancora sotto shock…nel frattempo avevo camminato all’indietro verso la pista d’atterraggio
che dava sul mare scintillante, a cinquecento metri dalla sua superficie.
Ah, il mio
fucile…quanto mi manca in questo momento; l’assassino parla ancora…ridendo al
mio terrore «eh già, mia figlia non le assomiglia
molto? A tua madre? Potevi dirmelo che era una bomba a
letto! Me la sono dovuta prendere con la forza però
perché non voleva…ed è pure un peccato perché ho privato di una madre la mia
figliola…ma non voleva accettarmi e quindi…è andata così due anni fa» disse
indicando il mio petto con la punta del lungo pugnale, come quella volta «e mi
sei sfuggito troppe volte».
Vidi Erik
con la coda dell’occhio, estrarre una pistola da un posto che sarebbe di certo
scampato ad ogni controllo e se la tenne nascosta, ammiccando dalla mia parte…tenni il gioco.
Mi girai
facendo finta di accettare il mio destino allargando un braccio come un simbolo
di resa mentre, lentamente mi staccavo il proiettile
dalla collanina dove il mio passato non sorrideva di certo «avanti,
uccidimi…non ho più niente che tu non mi abbia già rubato» dissi, abbassando la
testa e girandomi verso Erik «prima, però, lasciami salutare mio fratello come
si deve…altrimenti che stronzo saresti se non fai rimanere l’amaro in bocca a
qualcuno? » domandai, ottenendo un sorriso malefico da parte dell’uomo e le
prime lacrime della figlia che si avvicinò a me e mi baciò…Dio
la amo ma non posso di certo obbligarla a rivoltarsi al padre «ti…prego non…non
farlo» mi disse gettandosi tra le mie braccia ma io non parlai…ero sicuro di
uscirne vivo…la mia mira era infallibile e quell’uomo troppo sicuro di sé «non
succederà niente vedrai…» dissi e, senza farmi vedere né dalla figlia,
tantomeno dal padre, caricai la pistola con l’unico proiettile che avevo….quello con su scritto il nome di quel gran figlio di
puttana.
Mi scostai
dal gruppetto di una decina di metri e mi fermai, la schiena verso l’assassino
e la punta dei piedi distante un metro, forse meno, dal bordo dell’altissimo
precipizio «avanti! Fai la tua mossa» io farò la mia dissi e pensai, ghignando al suono della
risata che mi riempì le orecchie.
Aspettai
qualche secondo per poi girarmi e puntare al petto scoperto dall’azione di
lanciare il pugnale e sparai.
Il mondo
rallentò ancora una volta per me e, questa volta anche
per il mio carnefice.
Vidi il
proiettile tagliare l’aria, con un fischio improvvisamente assordante, mentre
l’altro abbassava il braccio per tirare il coltello verso di me.
Una debole
brezza marina iniziò a soffiare sulla pista e Jack venne
colpito dalla pallottola in pieno petto, cadendo a terra con un rantolo e il
coltello ancora in mano….sospirai di sollievo e
ringraziai i geni da cecchino che mi aveva lasciato mio padre.
La ragazza
aveva leggermente urlato quando avevo scoccato lo
sparo, ma ora, che stava tra le mie braccia e mi baciava passionalmente, mi
sembrava che non le importasse molto del padre steso a terra.
Sembrava
che io avessi vinto e così feci un po’ lo scemo per
tirare su il morale a tutti quanti, inventando un piccolo balletto…ero
felice…per una volta da quando era morto mio padre, potevo davvero dirmi felice
e rilassato.
Sentivo le
risate dei due ragazzi e soprattutto della ragazza che mi aveva colpito al
cuore e ridevo anche io e avevo buttato la pistola giù dal dirupo, facendola
inghiottire dalle onde del mare.
Sentii improvvisamente un rantolo dietro di me…dannazione, era duro a morire quel bastardo! Stava
puntando il coltello verso la figlia, la più vicina, e lo aveva lanciato con
tutta la forza che gli rimaneva prima di morire.
Non potevo
crederci, Sabina, se quel coltello l’avesse colpita, sarebbe
morta sul colpo o sarebbe morta a causa della caduta dal bordo del
dirupo, molto vicino.
Mi misi a
correre come un pazzo verso di lei, sperando di raggiungerla prima della punta della lama vogliosa di sangue.
Eccola,
l’avevo tra le braccia…la strinsi un momento poi la gettai lontano, verso Erik
che la prese al volo.
Sentii la
punta della lama conficcarsi nel mio petto e sentii il cuore andare in
frantumi.
Sabina urlò
d’orrore mentre Erik e l’altro ragazzo si lanciarono
verso di me per afferrarmi e non farmi cadere dal precipizio, ma ormai era
tardi.
Sbilanciato
all’indietro per il rinculo del coltello, barcollai e caddi inesorabilmente
oltre il bordo, sentendo le urla della ragazza chiamarmi, sempre più lontane.
Sentivo il
mio corpo prosciugarsi di ogni forza e galleggiare
nell’aria come una piuma che all’improvviso, divenne di pietra.
Scontrai
contro la parete rocciosa, sentendo un forte dolore alla gamba destra e alla
schiena, rotolai lungo il piccolo pendio che mi aveva rallentato per poi
proseguire la caduta, oltre gli appuntiti roccioni che sbucavano dalla spuma
bianca del mare che s’infrangeva sotto di me.
Avvertii il
freddo e duro impatto con l’acqua del mare, calmo nonostante l’orrore a cui
egli era stato presente e poi il mio corpo affondare, sottraendosi alla vitale
aria della superficie.
Scivolai,
sospinto dalla corrente, i polmoni in fiamme per la mancanza d’ossigeno, ma non
avevo forze per risalire, per respirare, per vivere; mi lasciai andare e una
serie di minuscole bollicine uscirono dalla mia
bocca...le ultime che quelle labbra avrebbero soffiato.
Andai sempre
più a fondo e sempre più a largo, lasciando dietro di me delle nuvolette sempre
più piccole e più rare di sangue.
Mi sembrò
quasi di sentire le labbra della ragazza che avevo
amato in quella segreta, col cuore e col corpo.
Rividi
tutta la mia vita...quando ero piccolo, quando andavo
da mia madre a portarle i fiori che avevo preso in giardino mentre Erik le
dormiva in braccio...rividi mio padre, col cappello che avevo ereditato io che
allora mi stava troppo largo e mi cadeva sugli occhi, circondato dalle risate
di mia madre e mio padre...rividi il giorno in cui ritrovai mio padre in
garage, morto a suon di botte, col collo rotto e il cranio schiacciato in un
lago di sangue.
Io e mio
padre eravamo inseparabili, era lui che mi aveva insegnato a
usare il fucile, era lui che mi aveva detto che la vita è una sfida...e lui
l’aveva persa per colpa di quelli che giocavano sporco.
Rividi mia
madre e poi Sabina, le due gocce d’acqua...le avevo
amate entrambe....
Il mio
cuore si fermò di colpo.
Inesorabilmente
fermo....
Tristemente
fermo..........
E non
avrebbe pulsato...
Mai........
più..........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
‘‘oggi è stato ritrovato il cadavere del Capitano J. Contan,
il capo del distretto di Polizia di New York.
Rinvenuto a largo della costa, il
Capitano è stato ucciso da un unico colpo di pistola, non ancora ritrovata,
diretto al petto, probabilmente sparato dal famoso e screditato Daniel McBrie e
dal fratello, Erik R. McBrie. I due non sono stati ancora trovati e si sospetta
il rapimento della figlia del Capitano che…’‘........Stupidaggini...........’‘E’ stato trovato, sulle coste poco lontano da New York, il cadavere
del presunto Daniel McBrie, il famigerato più ricercato della
città ucciso da una coltellata al cuore. Esami più approfonditi hanno
assicurato che la morte è sicuramente dovuta al
coltello ritrovato nel petto del bandito ma è stata facilitata da lesioni
interne molto gravi, una frattura in più punti della colonna vertebrale e
parecchie ecchimosi interne…’‘………Purtroppo…………..’‘Oggi è stata ritrovata la figlia del Capitano J. Contan, Sabina. Ha
confessato di aver visto con i suoi occhi l’omicidio del padre e del bandito da
parte del padre e le impronte digitali del manico del coltello lo dimostrano
apertamente.
La ragazza afferma ‘il ragazzo si
stava difendendo’ e non abbiamo potuto registrare altro
poiché la ragazza è scoppiata in lacrime, sicuramente ancora scossa per
la morte del padre…’‘………Umpf…….’‘questa notte la tomba del Capitano J.
Contan è stata deturpata e la lapide è stata crivellata di colpi.
Una scritta vicino ad essa non sembra rivelare il colpevole ‘un assassino resta un
assassino, anche da morto’ dicono le crude parole del colpevole, il quale ha
lasciato, accanto alla scritta, una bandana o un fazzoletto macchiato di
sangue…’‘……grazie
Erik………’‘ Questa mattina, due ragazzi e
una ragazza sono entrati di soppiatto nella sala criogenica della polizia e
hanno portato con sè il corpo del bandito Daniel McBrie…i tre ragazzi sono
fuggiti con una macchina e ora la polizia ne sta cercando le tracce’‘………………………………………………………………………………………………………non
rattristatevi…………………………………sarò sempre con voi……………………………Erik……………………………………………………………………………………Sabina…………………………………………………non
vi abbandonerò…………………………………............................................... ……………………………………basta
che……………………………………………………………………………………………………………………non mi dimentichiate…………………………………………………………………………………………e
io vivrò sempre……………………………………………Grazie..............................
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
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SPINGI SU QUEL PEDALE!» «QUESTA CARRETTA Più VELOCE DI COSì
NON VA!».
La macchina
sfrecciava sull’autostrada quasi volesse prendere
fuoco, seguita da poca distanza da una trentina di macchine della forza d'ordine,
tutte a sirene spiegate.
Colpi di
mitraglietta cercano di distanziarle il più possibile, ottenendo soltanto lo
sbandamento di alcune di esse, mentre ne
sopraggiungevano altre.
L’arma era
imbracciata da un ragazzo con i capelli biondo cenere
e da una ragazza, gli occhi smeraldini lucenti di rabbia e i capelli castani
che svolazzavano al vento che veniva dal finestrino aperto del furgoncino.
«ERIK!
PORCA PUTTANA FAI CAMMINARE QUESTO CATORCIO!» urlò la
ragazza appena sopra la sua spalla senza però guardare il ragazzo che manovrava
il volante «Più-DI-COSì-NON-VA» scandì quest’ultimo ad alta voce per
contrastare il rumore della mitraglietta che il biondo aveva messo in azione
contro una delle Renault troppo vicine «ALLORA FAI
QUALCOSA! UNA MANOVRA EVASIVA, FATTI UNA SEGA, QUALSIASI COSA!» urlò adirato il
biondino guardando il guidatore negli occhi «ok...ok.....»
disse l’autista, concentrandosi sulla guida e su
qualche via di fuga.
Dietro al
guardrail che separava le due corsie dell’autostrada
c’era a destra ovviamente l’altra corsia e a sinistra, uno sterminato campo
coltivato...gli sembrava grano.
Sfondare il
guardrail a quella velocità avrebbe tranciato il furgone a metà e non si vedevano ancora uscite disponibili...accidenti erano in
trappola.
Poi, come
nulla fosse, gli venne un’idea «grazie Dan....» sussurrò prendendo un cipiglio serio e si voltò leggermente
verso gli altri due «RAGAZZI SMETTETE DI SPARARE E
TENETEVI!» urlò a quelli dietro che si sedettero sul triplo sedile, stando
attenti a non urtare il corpo che era con loro.
La ragazza gli prese al testa e la posò sulle sue gambe,
scostando una ciocca di capelli che sfiorava la cicatrice che prendeva tutto il
viso.
Subito,
divenne triste e sentire la pelle che una volta l’aveva scaldata così fredda
sotto le sue dita le faceva male al cuore; le labbra che adorava mordicchiare
erano diventate del colore dell’inverno che serrava tutto il corpo del giovane
nella sua morsa gelida, quasi blu e gli occhi chiusi lo facevano sembrare
addormentato.
Il
guidatore spostò violentemente il lato sinistro del furgone contro una barriera
provocando molteplici scintille che inondarono le auto dalle
polizia, poi andò a destra per continuare l’operazione.
Molte
macchine degli agenti sbandarono, non vedendo più la strada e fermarono la
corsa, lasciando alle quattro che erano rimaste il
compito di catturare quei delinquenti.
Il pazzo
autista, non contento del risultato ottenuto, girò ancora il volante di scatto,
più e più volte, e facendo compiere al furgone diversi testacoda e facendo
fumare le gomme.
Il fumo
nerastro andò a ricoprire la visuale dei restanti poliziotti facendogli fare la stessa fine dei colleghi più indietro.
Erano
liberi di proseguire la loro corsa quasi senza totale pericolo, al momento.
Il ragazzo
al volante emise un forte urlo di gloria, seguito dai due sul sedile posteriore
«ho capito perché ti chiamavano ‘‘Rally’‘» disse il biondino picchiando sulla
testa dell’autista che si spostò velocemente «mi rovini le punte» disse ridendo
e la ragazza si unì alla risata, che si spense subito quando
ritornò sul volto del ragazzo sulle sue ginocchia «spero che questa tua amica
sappia cosa fare» disse mestamente accarezzando con tocco gentile le guance
bianche del ragazzo «ma certo! Quelle tre non sbagliano mai! Fidati» disse il
biondo facendo passare un braccio attorno alle spalle della castana.
Da quando
aveva visto quel bandito cadere dal dirupo, tre giorni prima, non si era data
pace...lo rivoleva con tutto il cuore «sono le migliori nel loro campo» aggiunse stringendola un po’ «coraggio Sabina! Manca poco
all’aeroporto! Basta salire sul loro aereo ed è fatta» disse il guidatore
girando appena la testa sopra la sua spalla e guardando la ragazza attraverso
lo specchietto retrovisore.
Continuarono
la loro corsa sull’asfalto e la sera, ormai al termine, stava colorando di
rosso il cielo.
La ragazza
dai capelli castani si addormentò tenendo il corpo del bandito fra le braccia,
come una promessa che lo avrebbe rivisto, il biondino aveva appoggiato la testa
al finestrino e il ragazzo al volante stava tentando di tenere gli occhi
aperti, pensando a tutto quello che era successo da quando
il fratello era entrato nell’ultima banca che dovevano rapinare...avrebbe
voluto tornare indietro fino al momento tragico su, al castello dei Lenning,
dove avevano visto la morte lui e colui che aveva distrutto la sua famiglia.
Dopo
mezz’ora di quel pensiero il ragazzo vide, davanti a sé, un posto di blocco
della polizia, che sbarrava completamente la strada...volevano
la guerra e guerra sarebbe stata.
Aumentò
vertiginosamente di velocità, pigiando al massimo l’acceleratore svegliando i
due sul sedile posteriore con un sussulto del furgone.
Le luci
rossastre delle sirene degli agenti dell’ordine lo accecavano anche dietro gli
occhiali da sole che si era calato quando aveva visto
il blocco.
La velocità
aumentava sempre di più e la forza di gravità faceva stridere le gomme...sempre
più vicino...l’autista sorrise di malvagità e di furbizia, ricordando il
fratello che lo faceva sempre...quello sguardo pervertito che faceva quando era sicuro di riuscire e lui sarebbe stato
come lui.
Mancavano
pochi metri dalla prima macchina che li separava
dall’entrata della città.
Girò
bruscamente il volante poco prima di poter toccare la Renault così da
scontrarla col fianco del furgone.
Grazie alla
forza di gravità che aveva accumulato attorno alla macchina, essa,
scontrandosi, si staccò da terra e volò nell’aria girando su se stessa e
atterrando per poco sulle ruote.
Erik
ringraziò la fortuna che saliva sempre a bordo assieme a lui e diresse la
macchina verso la città, nuovamente inseguita dagli ultimi agenti di polizia
che avrebbero potuto inseguirli «MA TI SEI COMPLETAMENTE BEVUTO IL CERVELLO?!» gridò Sabina, dando un colpetto dietro la nuca del
ragazzo «ma non ci hanno ancora preso» rispose ridendo beffardo quest’ultimo
«...ma non ci hanno ancora preso...uff odio darti ragione» sbuffò la ragazza,
appoggiando stancamente la schiena al sedile e incrociando le braccia.
Le sirene
della pula si persero nella sera inoltrata quando
raggiunsero l’aeroporto.
L’autista
inchiodò bruscamente davanti a un piccolo jet privato
e dalla forma sembrava avessero usato lo scheletro di un caccia militare.
I due
ragazzi scesero velocemente dal furgoncino e aprirono le porte scorrevoli ai
lati per prendere il corpo del terzo ragazzo.
La ragazza
prese una borsa e rimase dietro di loro, imbracciando saldamente la
mitraglietta e proseguendo cautamente, guardandosi attorno
ogni tanto.
Il portello
del jet era già aperto e una serie di scalette conducevano
al suo interno.
Non vi
erano sedili una volta superata la soglia, solo un enorme tappeto persiano che
ricopriva ogni angolo di pavimento e dei divani grandi e all’apparenza soffici
dello stesso colore del tappeto rosso.
Al centro
dello spazio c’era un tavolino inchiodato alla pavimentazione con sopra un
secchio di ghiaccio, una bottiglia di champagne e dei calici di cristallo.
Il
biondino, entrando, venne quasi soffocato da un bacio
di una delle tre proprietarie dell’aereo «benvenuti, vi stavamo aspettando...ci
avete messo parecchio» disse una voce velata dietro ad una lunga tenda che
divideva la cabina di pilotaggio dal ‘‘vano passeggeri’‘
«ovviamente avete i soldi» disse un’altra voce, proveniente dallo stesso luogo.
La ragazza
che si era avventata sul biondo guardò truce verso la tenda «non oserete farli
pagare vero? Hanno passato...» disse
venendo però interrotta dal gesto brusco dell’autista che, con una mano,
afferrò il borsone che reggeva la ragazza armata «si abbiamo i soldi, quanti ne
volete...ve li consegneremo a due condizioni» disse il guidatore avanzando di
un passo, lasciando il compito di reggere il fratello alla ragazza e al biondo
«che rispettate i termini dell’operazione...e che ci ospitiate in un luogo
sicuro per un po’» riprese, guardando la tenda dove ora si stagliavano due
ombre sinuose «certamente, non c’è problema...» disse
una delle due ragazze dietro la tenda, uscendo dal suo nascondiglio.
Era circa
alta un metro e settanta, aveva dei lisci e lucenti capelli ramati e indossava
un completino nero tutto uno splendore composto da un
bikini e un copricapo sormontato da lunghe e sottili piume dello stesso colore
del bikini, coperto dalla vita in giù di un sottilissimo velo «ma non abbiamo
fatto le presentazioni...credo che abbiate fretta, visto il modo in cui voi
avete recuperato l’operante» disse la seconda ragazza, uscendo anch’essa da
dietro la tenda.
Anche lei
era vestita nello stesso modo dell’altra, solo in una tonalità più calda,
tendente all’arancione; aveva dei capelli lunghi fino alla vita, neri con dei
leggeri riflessi rossi «io sono Erik McBrie, il fratello...dell’operante» disse il guidatore, mettendosi in una postura più onorevole
«e...gli altri due?» disse la ragazza vestita di nero «loro sono l’ex agente
Leo Tanelly e Sabina Greater la...» disse ancora Erik,
allargando leggermente un braccio verso i suoi due compagni venendo però
interrotto da una risatina delle ragazze «non credevamo di conoscere finalmente
il sospirato agente di nostra sorella...» disse la
ragazza vestita di sole indicando la sorella col vestito color del cielo «...e
la figlia di un carnefice» finì osservando scrupolosamente Sabina che
s’impietrì «non certo per una mia scelta» disse, rispondendo allo sguardo della
ragazza «saremo stravaganti ma non siamo razziste, tantomeno prostitute.
Siete
venuti da noi per un motivo e noi quel motivo lo
valutiamo molto alto.
Tenetevi i soldi, per una volta potremmo fare uno sconto. Gli amici di
nostra sorella sono nostri amici» disse la ragazza vestita di nero, presentandosi
«io sono Samantha, la più vecchia delle mie sorelle, e forse la più bella»
disse, scostandosi una piuma dietro la spalla «io sono Virginia, la figlia del
sole e la più raggiante...e lei...» intervenne
la seconda, presentando lei e la ragazza che non accennava a scostarsi dal
biondo «è la figlia del mare Sarah, tutte e tre siamo qui per farvi un favore
molto...molto grande, che pochi hanno il privilegio di avere...ma, come ha gia
detto mia sorella, gli amici della nostra sorellina sono anche nostri amici,
venite, prima che la polizia vi trovi e vi porti via.
Potete
posare l’operante su uno dei divani, scegliete voi quello più comodo e
sedetevi, l’aereo non ci metterà molto a decollare» disse Virginia, facendo un
largo sorriso ai tre.
Un po’
riluttanti, si sedettero, posando il corpo del bandito sul divano accanto a
loro.
Sabina,
vedendolo così arrendevolmente sciolto, si voltò e si trovò a tuffare la testa
nel petto di Erik «è colpa mia» diceva, facendosi
stringere dal ragazzo che le accarezzava leggermente la testa e cercava di
consolarla.
Tirò
lievemente su il viso della ragazza e non si sorprese a vederlo inondato di
lacrime, glielo fermò con due dita sotto mento e si chinò a baciare i due
petali di rosa che aveva come labbra.
La ragazza
si sciolse il quel bacio...in quel fulgido attimo le
sembrò che fosse Daniel a baciarla, dato la fisionomia simile del fratello.
Con ancora
l’immagine del bandito davanti a lei, Sabina si sporse di più verso il
guidatore...è più basso disse la sua mente che la
illudeva.
Fece
scivolare le mani sul petto del ragazzo per poi allacciarle dietro il collo di Erik, che ora teneva la ragazza per i fianchi e la
stringeva a sé.
Dietro il
collo non trovò la coda di cavallo che di solito, quando lo baciava, adorava
accarezzare e subito, all’improvviso, una serie di flashback la colpì: la segreta...il castello...il dirupo...di nuovo la segreta...il
dirupo...il corpo che spariva, ingoiato dai flutti del mare...il corpo che ora
era posato sul divano alle sue spalle...
Si staccò
violentemente dal bacio e l’immagine del bandito che l’aveva fino a quel momento illusa ritornò quella del fratello minore del
ragazzo che amava.
Si
distanziò bruscamente dal ragazzo guardandolo male e una mano andò a colpire
con un poderoso schiaffo la guancia sinistra di Erik.
Lo sguardo
della ragazza bastò più di mille parole che avrebbe potuto urlargli contro;
l’aveva ferita, lo sapeva...ma aveva aspettato troppo
e doveva darle quel bacio...
Sabina, con
nuove lacrime che scendevano, si andò a sedere accanto al bandito abbandonato
sul divano e lo guardò.
Non
sopportava più la vista del suo viso dannatamente pallido e rilassato, come se
stesse dormendo un sonno normale e non quello eterno.
Le labbra
socchiuse non emettevano respiri come avrebbe voluto la ragazza...quei respiri
che l’avevano eccitata fino allo sfinimento nella segreta del castello dei
Lenning.
Le palpebre
chiuse nascondevano quegli zaffiri color del mare...lo stesso mare che glielo aveva rubato per così tante ore...quegli
occhi che l’avevano fissata molte volte, con dolcezza, con sfida, con paura...
Avrebbe
voluto cancellare dalla sua mente lo sguardo che l’aveva avvolta la prima volta
che si erano visti chiaramente...era lo sguardo di una
preda che non sa come scappare dalle grinfie del cacciatore.
Sabina si
chinò sul viso del ragazzo e lo prese tra le mani, e accarezzando leggermente
le guance del bandito con i pollici, scostò un’altra ciocca di capelli corvini
che gli ricadeva sul volto.
Dio quanto
detestava la freddezza della sua pelle.
Si avvicinò
ancora e diede un delicato ma lento bacio sulle labbra semi aperte del bandito.
Rimase in
quella posizione a lungo, sperando che il calore delle labbra potesse
risvegliare il suo adorato principe misterioso.
Alla fin
fine, si tolse dal bacio e si alzò, andando verso l’amico biondino che stava
parlano alla ragazza vestita di turchese, Sarah «scusate...non potete
fare...l’operazione adesso?» disse Sabina, guardando la ragazza con uno sguardo
supplichevole «sono spiacente, ma abbiamo pochi attrezzi a bordo e manca
soprattutto il pezzo più importante...però, potrei
chiedere alle mie sorelle, aspetta un attimo solo» disse pensierosa Sarah, per
poi dirigersi oltre la tenda gialla che divideva i due alloggi «Hey saby andrà
tutto bene...» disse Leo guardando comprensivo la
ragazza, che aveva ancora gli occhi smeraldini arrossati dal pianto «sono
sicuro che te lo riporteranno meglio di prima» continuò, prendendo una mano
della ragazza che la ritrasse come se avesse toccato del fuoco «lo rivoglio
come prima, niente di meno...niente di più» rispose, guardando il pavimento
tappezzato di morbido tessuto.
Il biondo
non seppe che ribattere così diede un piccolo buffetto sulla guancia sulla
ragazza per darle un po’ di coraggio e guardò verso la ragazza che era arrivata
con la sorella Virginia e due scatole per ognuna tra le braccia «sei fortunata
ragazza» disse la ragazza vestita di sole, sorridendo
ancora «dall’ultima operazione abbiamo dimenticato alcuni oggetti importanti
sull’aereo e nostra sorella Samantha mi ha detto di aver portato il cuore che
serviva al vostro operante...» riprese Virginia
«...senza però dircelo! Avrebbe dovuto per far soffrire così
tanto la ragazza...cioè tu, Sabina» continuò Sarah, guardando Sabina con
uno sguardo tra la felicità e l’imbarazzo.
Ad un
battito di mani di Virginia, che aveva posato le scatole su un altro tavolino
saldato alla parete di sinistra, le luci si spensero, lasciando che un forte
raggio al neon bianco brillasse al centro del vano da dove uscì un lungo tavolo
rettangolare, due computer e un altro piccolo tavolino.
La ragazza
vestita di turchese si avvicinò al tavolino e vi posò sopra una scatolina
argentata grossa come tutta la mano della ragazza, dei bisturi alla vista molto
affilati e un panno bianco, tutti gli oggetti tirati fuori
dalle scatole che aveva portato precedentemente.
Virginia
invece si avvicinò ad uno dei due computer e collegò tra di
loro e aggiunse un altro piccolo strumento, piccolo come un pollice e munito di
centinaia di piccoli tentacoli metallici.
Sabina guardò
con paura e curiosità il piccolo marchingegno che teneva in mano la ragazza
vestita di sole «quello che cos’è?» domandò non resistendo alla curiosità e
Virginia rise alla domanda «non ha un nome, solo uno scopo. Manda piccole ma
potenti scariche elettriche nella pelle e all’interno del corpo, un’invenzione
della nostra Samantha...è lei che costruisce, io e Sarah
operiamo soltanto» disse ridendo ancora.
La sua voce
aveva una strana risonanza, come se avesse le corde vocali fatte di sottili
fili d’argento e di cristallo «ma come fate a ridare la vita a persone
già...morte?» domandò ancora Sabina, un po’ riluttante sull’ultima parola «a seconda del modo in cui muore una persona, il corpo
reagisce diversamente...» rispose Virginia e Sarah
afferrò la scatolina d’argento «una coltellata distrugge un cuore...lo rende
irreparabilmente inutile...per questo ce n’è sempre bisogno di uno
nuovo...ovviamente compatibile.
Abbiano già
esaminato l’operante in questione è...come dire...il
suo cuore non è molto reperibile, quindi siamo state costrette a costruirne uno
in fibra sintetica...» finì la ragazza e aprì la
scatolina davanti agli occhi strabiliati di Sabina.
Dentro il
contenitore stava un cuore argentato, composto da una
miriade di fili argentati e dorati.
La ragazza lo prese in mano e lo sollevò alla luce dei
riflettori al neon; sotto la luce sembrava che quei fili fossero di seta e
Sarah lo strinse un poco tra le dita «affidabile, elastico e quasi
indistruttibile...naturalmente ogni cosa ha i suoi limiti» disse quando il
cuore si adattò alle fessure tra le dita aperte della ragazza «vi prego,
procedete...» disse Sabina, guardando nella direzione
del corpo del bandito e le due ragazze annuirono.
Chiesero a Erik e Leo di portare l’operante sul tavolo rettangolare,
dopodichè, una volta che lo appoggiarono sulla superficie liscia del tavolo,
legarono polsi e caviglie con delle spesse cinture di cuoio.
Gli
strapparono la maglietta e lasciarono il torso scoperto.
La pelle
cerea del ragazzo, al centro del petto, era interrotta da un taglio da dove la
lama del pugnale lo aveva trafitto.
Sabina
rivide i muscoli possenti del bandito sotto gli occhi e la sua parte perversa
iniziò a ricordare con particolare piacere di quando,
nelle segrete, l’avevano pressata sul materasso della brandina e l’avevano
posseduta con la violenza che lei aveva chiesto.
Le due
ragazze avevano indossato un paio di guanti ciascuna e Virginia ora teneva in
mano il bisturi più lungo della serie sul tavolino «se volete vedere siete
liberi» disse, lasciando vagare la lametta poco sopra
la pelle del bandito.
Erik si
avvicinò un poco mentre Leo pendeva Sabina per le
spalle e la allontanava, sapendo che non poteva sopportare la vista del ragazzo
che amava venir tagliuzzato come un merluzzo.
Virginia
affondò la lametta nella carne gelida del ragazzo e cominciò a tagliare per il lungo metà del petto e iniziando ad allargare la carne.
Quando
finalmente le due ragazze videro il vecchio cuore del ragazzo, pigiarono una
parte del cuore nuovo che brillò per qualche secondo, pronto a ricevere nuova
energia.
La ragazza
vestita di sole asportò il vecchio cuore, facendo particolare attenzione a
depositarlo nella scatolina senza che il ragazzo dietro di lei potesse vedere più del necessario.
Sarah posò
il cuore nuovo nella cavità e, con uno speciale apparecchio simile ad una
pistola, iniziò a fondere insieme carne e metallo e le vene si mescolarono ai
fili sottilissimi del cuore artificiale.
Chiusero la
ferita con dei normali punti di sutura e presero il piccolo oggetto di cui
aveva parlato poco prima Virginia.
Lo posarono
sulla ferita e premettero alcune sezioni dell’oggetto, che si mosse: i
minuscoli tentacoli addentrarono nella pelle e continuarono a passare per tutto
il corpo del bandito, facendosi notare appena sottopelle.
All’improvviso
si fermò e prese a vibrare lievemente contro la ferita ed emise un leggero bip.
Improvvisamente,
delle scariche elettriche attraversarono tutto il corpo del ragazzo, facendolo
inarcare più e più volte.
Erik, che
era rimasto a vedere il tutto, stava sbiancando violentemente e ad ogni scossa
che l’aggeggino mandava, lui stringeva gli occhi senza però chiuderli, come se
soffrisse per il fratello.
Dopo pochi
minuti si fermò e il corpo del ragazzo si rilassò sulla lettiga di metallo.
Aveva gli
occhi aperti e vacui, come spenti, forse per l’effetto delle scariche
elettriche.
Ogni suo
muscolo si irrigidiva ogni tanto e una mano si spostò
lievemente «ora dobbiamo solo aspettare» disse Virginia.
........................................................................................................................ero
circondato dalle tenebre ghiacciate, senza possibilità di fuga.
Il mio
fiato si trasformava in spesse nuvolette di condensa che si dileguavano nel
vento gelido che aveva cominciato a soffiare.
Erano tre
giorni che camminavo in quella valle oscura, senza trovare qualcosa che avrebbe
potuto svegliarmi da quel sonno in cui ero caduto e ogni qual volta che mi
giravo vedevo un essere canino, composto interamente da fiamme che divoravano
qualsiasi cosa lo incontrasse.
Più volte
avevo visto delle forme umane che si agitavano emettendo agghiaccianti lamenti
per sfuggire a quella lingue di fuoco che li
lambivano.
Quell’essere
mi seguiva imperterrito, aspettando il momento migliore per attaccarmi, e lasciava
sull’erba secca del prato in cui camminavo delle tracce nere di bruciato.
In più, ero
indifeso, non avevo il mio fucile e il petto mi doleva in continuazione, non
sapevo il perché.
Dopo tanto
camminare, mi ritrovai all’improvvisamente in una stanza con le pareti
completamente nere che mi davano l’illusione fosse uno
spazio infinito e una sottile linea rossa che la divideva per il lungo.
Mi
avvicinai alla crepa e subito avvertii un grande
calore provenire da quest’ultima, che stava lentamente allargandosi.
Dalla crepa
uscirono delle colonne di fumo nero che aleggiarono nella stanza chiusa e
intossicandomi più di quanto avessi pensato; oltre al fumo, uscirono molti
esseri perlacei, simili a fantasmi, che mi si pararono davanti e bloccandomi
sul posto.
Non
riuscivo a sentire la loro pelle, sostituita da una nebbiolina gelida, che creò
sulla mia delle miriadi di minuscole goccioline bianche che andavano a formare
le mani o le braccia di chi mi teneva «lasciatemi
andare» urlai e la mia voce rimbombò nella stanza varie volte e di diverse
tonalità, come se lo avessero pronunciate persone diverse «c-chi siete?! Dove
s-sono?» domandai, dimenandomi ancora per liberarmi ma senza successo e si
avvicinò uno degli esseri, tanto vicino che il mio fiato si stava quasi per
congelare contro di lui «non devi resisterGli» disse, indicando
dietro di me l’enorme cane di fuoco che si stava avvicinando, con la bava alla
bocca e gli occhi fissi su di me «resistere a c-chi?» domandai, fissando
spaventato l’uomo davanti a me «al Destino, decide lui chi di noi deve andare»
riprese l’uomo prendendomi per il collo e sollevandomi «il purgatorio non è
eterno» mi disse, guardandomi con quei suoi occhi spenti e lanciandomi con
forza verso la crepa che si stava ancora allargando.
Per fortuna
non ci caddi dentro, ma per un solo metro sarei stato
inghiottito.
La folla di
persone che si stava di nuovo radunando decise di mandare verso di me le uniche
due creature a cui avrei dato ascolto, mio padre stava
aiutandomi ad alzarmi mentre mia madre mi sorrideva malinconica «n-non
capisco...» sussurrai quando mia madre mi abbracciò
stretto «figliolo, hai fatto la nostra fine purtroppo» mi sussurrò di risposta
la donna, lasciando la presa e guardando verso il marito «sei morto Daniel, ci
hai raggiunto e non so se questo sia un bene» disse mio padre, guardandomi
torvo come una volta, quando ero restio ad ubbidire.
All’improvviso
mi ritrovai a precipitare dalla scogliera del castello dei Lenning e caddi
nella stessa acqua gelida che mi aveva accolto la prima volta.
I polmoni
mi stavano andando in fiamme e volevo risalire per poter respirare
ma qualcosa mi trattenne, per trascinarmi sempre più giù.
Abbassai lo
sguardo dalla superficie ormai lontana e guardai dove ora sentivo un tremendo
formicolio: un pugnale era conficcato nel mio petto fino al manico e da esso sgorgava molto...troppo sangue.
Ritornai
alla stanza appena in tempo per vedere il brutto muso di Jack
Contan venirmi contro, i contorni tremolanti per il calore che emetteva «ci si
rivede...andiamo a farci un bagnetto nel fuoco, che ne dici? » mi disse
digrignando i denti.
Io feci per
tirargli un pugno, ma appena raggiunsi l’aura di calore attorno a lui, gridai
di dolore e mi guardai la mano rossa e tremante «sono un po’ caldo vero?
Benvenuto all’Inferno» disse quel bastardo afferrandomi per il collo e
sollevandomi dal pavimento.
Una fitta al
cuore e un lampo mi fecero girare la testa...sembrava che il mio corpo fosse
stato attraversato da della corrente elettrica.
Rividi
ancora una volta tutta la mia vita...io da bambino, l’assassinio di mio padre
che ora mi guardava con fare triste...quello di mia madre che ora era tra le
braccia del marito per non guardare la fine che suo figlio avrebbe fatto.
Il calore
della mano di Contan mi stava attraversando il collo e mi seccava la gola in
una maniera quasi dolorosa.
Non
riuscivo a respirare...volevo la fredda aria che aveva soffiato prima su di
me...la desideravo con tutto il cuore.
Contan mi
lanciò verso il cane di fuoco che mi stava aspettando a fauci aperte e potei
sentire i denti bollenti dell’animale afferrarmi e sbattermi a terra, prima di
darmi il morso finale, quello del dolore eterno perché quello era il mastino
degli inferi che procurava le vittime dal purgatorio.
Un’altra
fitta mi colpì al petto, questa volta più forte e mi inarcai
dal dolore, gridando quanto riuscissi con i denti aguzzi del cane nella mia
gola.
Un ultima fitta e divenne tutto bianco.
‘‘Tutto
era sparito e avevo solo quel candido davanti agli occhi.
Nel mio
torace sentivo battere un cuore, mi faceva male sentirlo tamburellare contro le
pareti e mi accorsi di essere steso.
Feci per
alzarmi, ma il cuore che pompava sangue alle vene iniziò a battere più forte,
come se bramasse a rompermi le costole.
Urlai con
quanto fiato avevo per il dolore che mi provocava quel battito e caddi di nuovo
sulla schiena, portandomi le mani al petto sentii vagamente dei punti di
sutura.
Un altro
lampo e vidi di nuovo nero, mi trovavo nel vano passeggeri
di un aereo, sembrava militare dalla forma ed ero steso su un tavolo
chirurgico.
Balzai
improvvisamente a sedere respirando affannosamente e posandomi una mano sul
petto dove ora potevo vedere e sentire nitidamente i tanti punti di sutura che
mi chiudevano un lungo taglio in mezzo al petto.
I miei
occhi vagavano follemente da una parte e dall’altra del vano buio.
Fuori da
un oblò alla mia destra potei vedere le stelle della notte «sono vivo....» sussurrai a me stesso, cercando di controllare i battiti.
Un computer
all’improvviso cominciò a sibilare a scatti regolari, simmetricamente al mio
cuore e da una mascherina legata al mio viso uscì un leggero fumo bianco che
respirai a pieni polmoni.
Dopo alcuni
secondi da un monitor potei vedere il mio cuore
battere velocissimo e il suono amplificato mi rimbombava nelle orecchie.
Mi girai e
vidi Sabina addormentata su una sedia accanto a dove ero steso...doveva avermi
sorvegliato per tutto questo tempo...mi girai di lato per scendere dal tavolo e
mettermi in piedi quando le mie gambe non resistettero e caddi come un sacco di
patate sul pavimento soffice...il mio cuore fece uno
scatto e per un secondo si fermò, per poi ripartire normalmente «ma c-che
diavolo» sussurrai ancora, sentendo nuovo vigore espandersi nelle vene e
raggiungere il mio cervello.
Era come
rinascere.
Sentivo i
muscoli andare a piena potenza e l’energia affluire in tutto il corpo ad una
maniera quasi sfrenata, ma le costole non ce la facevano più a reggere quel
ritmo.
Mi alzai
tenendomi saldamente al tavolo d’acciaio e mi ci sedetti sopra, tenendomi il
petto.
Levai la
mano e la vidi sporca di sangue...i punti di sutura stavano cedendo pure
quelli...sentii le costole scricchiolare e la pelle squarciarsi appena la cassa
toracica iniziò leggermente ad allargarsi per far spazio al cuore nuovo che,
inconsapevolmente, mi avevano messo.
Mi lasciai
andare con la schiena contro il freddo metallo del tavolo, tenendomi al bordo
tanto forte che le nocche mi diventarono subito bianche.
Non potevo
farcela...almeno, non da solo...così decisi di chiamare con quanta voce avevo,
la ragazza accanto a me, sperando di non morire...di nuovo -_-
«SABINAGREATERTIPREGOSVEGLIATIOQUICREPOUN’ALRTAVOLTA!» urlai tutto d’un fiato, sentendo il dolore farsi sempre più forte e il
battito tremendamente forte...ma la ragazza non si svegliò, si limitò a girarsi
dall’altra parte e continuare il suo sonno «SABINA! APRI QUEI
CAZZO DI OCCHI SE MI VUOI...» ma non riuscii a
finire la frase.
Il respiro
mi si bloccò nei polmoni quando vidi il mio petto
aperto in due come una sardina...un cuore grosso il doppio del normale stava
ancora pulsando e da esso sgorgava un liquido biancastro che si mischiava al
sangue che defluiva dalle arterie aperte...’‘.
Aprii
debolmente gli occhi e rimasi accecato dalla grande
luce che veniva da una lampada posta sopra di me «Sabina! vieni
si sta svegliando» urlò una voce alla mia sinistra...maledetto sogno pensai e, piano, cercai di tirarmi a sedere.
Non feci in
tempo che due labbra che ormai conoscevo bene si premettero contro le mie e
potei sentire le sue lacrime bagnarmi le guance.
Rimanemmo
così per molto; sentire le sue dolci labbra fresche dopo l’incubo di prima mi rilassavano, così mi abbandonai tra le sue braccia che mi
cingevano il collo e accarezzavano la mia coda di cavallo.
Baciarla
per me era tutto...avrei volentieri dormito così, ma
ero sicuro che gli sarebbe venuta una tachicardia alla ragazza «Daniel McBrie
brutto stronzone anche tu restituisci troppo i favori! Non farlo...mai più»
disse Sabina affondando il viso nell’incavo della mia spalla e cominciando a
piangere convulsamente.
Io, ancora
un po’ confuso, abbracciai solo la ragazza e le accarezzai la testa, mormorando
parole di conforto.
Vidi Erik
dietro la ragazza, che si passava le mani tra le ciocche puntute dei capelli,
messo di spalle alla scenetta «ciao fratellino» gli dissi...la mia voce mi
parve stranamente roca.
Mio
fratello si girò rivelando un debole rossore sulla guancia sinistra
mentre il resto era bianco come il gesso «bentornato tra i vivi Dan» mi
disse sorridendo e avvicinandosi per darmi una pacca sulla schiena che mi fece
quasi cadere «sta attento» gli disse Sabina guardandolo un po’ truce per poi
sciogliersi di nuovo quando salvai mio fratello in extremis con un bacio alla
ragazza.
Quando mi
separai mal volentieri dalle sue labbra, cercai di rimettermi in piedi, ma le
gambe mi tremavano talmente forte che per poco non caddi a terra...come nel sogno...nel tentativo di
tenermi al tavolo andai a sbattere la mano destra contro una
borchie delle mie cinture e sentii la pelle bruciare per il contatto.
Mi guardai
la mano e mi sorpresi nel vederla rossa come se l’avessi passata sul fuoco.
Il sangue
sotto la pelle ribolliva come una pentola a pressione e non mi sarei stupito
più di tanto se la pelle stessa avesse iniziato a
ribollire e scoppiettare «che succede?» mi domandò Sabina dolcemente
all’orecchio, tenendo il mento sulla mia spalla e accarezzandomi il petto con
un dito, disegnando forme astratte sul mio torace nudo.
Scossi la
testa in un diniego e distolsi lo sguardo...sarà successo mentre non ‘‘c’ero’‘...mentre stavi annaspando nel buio e morivi ancora sotto la mano di
Contan...ammettilo...mi sussurrò una voce nella testa che cercai di
ignorare ma quella voce rauca come quella che era uscita dalle mie corde vocali
si faceva strada tra i tralci del mio cervello, divorando,
impazzendo....desiderando.
Il respiro
caldo della ragazza sul mio collo mi faceva venire i brividi piacevoli che provi quando...solo un
pochettino...mia figlia vale tanto sesso quanto pesa...è uguale a sua madre...mi
disse ancora la voce rauca nella testa che io scrollai per scacciarla...taci viscido essere senza anima! Ribatté il mio pensiero, adirato con la voce
che mi perseguitava...grazie per...iniziò la voce nella testa per poi finire nella gola da dove
uscì piena di rabbia, ironia «...il passaggio idiota» disse la voce non mia che
spaventò Erik e Sabina per quanto era profonda e roca...Scrollai la testa e la
voce sparì.
........................................................................................................................
Le tre zocco…ehm…ragazze mantennero la promessa di un posto sicuro
dove passare quelle tre settimane che ci occorrevano perché io mi riprendessi
del tutto dall’intervento e perché si calmassero le acque…dopotutto ero morto e qualcuno che mi avrebbe visto camminare per
strada avrebbe avuto sicuramente un colpo al cuore anche se non esattamente
uguale al mio.
Appena
scesi dall’aereo pieno di moquette e tendine, Erik volle sperimentare un altro
dei suoi piccoli trucchi da rallysta, facendo venire
a me un colpo al cuore.
La pista
d’atterraggio era posta su un lungo prato che andava leggermente in salita,
verso una villa enorme dall’aspetto antico.
Per
arrivare alla casa avremmo dovuto prendere la macchina che le tre ci
offrivano…purtroppo per me.
Erik non
vedeva una macchina così da quando aveva dieci anni,
quando nostro padre ci aveva portato ad un raduno di quelle vecchie automobili
decappottabili lunghe tre chilometri e larghe uno e mezzo…un bel macchinone non
c’è che dire.
Il solo
problema è che, un’auto con una stazza simile, con certe acrobazie non va
proprio d’accordo, ma questo mio fratello non lo
capisce proprio…difatti, dopo l’ultimo testacoda l’asse ha scricchiolato
parecchio e ho dovuto dirne alcune a Erik tipo ‘‘PORCA PUTTANA A TE E AL TUO
CERVELLO BACATO CI FARAI AMMAZZARE!!!’‘…ehhh i
fratellini minori…sempre più deficienti ogni anno che passa.
Arrivammo
davanti all’enorme portone di legno scuro, alto più o meno
due metri e mezzo o forse tre, e rimanemmo un attimo a fissarlo...perchè darci
una villa tanto grande che, dopotutto, occuperemo per solo un mese? Molte
domande si stavano affollando nella mia testa e quella maledetta voce iniziò di
nuovo a parlare...questa volta più melliflua...fai come se fossi a casa tua, stupido idiota senza palle...ma sarà mai possibile? Mi doveva
tormentare anche da morto? Scrollai la testa con gli occhi stretti ed estrassi
la chiave che mi aveva dato la ragazza vestita di nero, guardandola bene; era
lunga quanto tutto il mio palmo, spessa quanto un dito e ad una
estremità si poteva vedere chiaramente la forma di un’animale felino,
seduto sulle zampe posteriori e la coda che le avvolgeva...sembrava una pantera
«dai entriamo che sono curiosa di sapere com’è questa villa» mi disse Sabina
dal fianco destro, mentre mi teneva il braccio e così, sotto lo sguardo curioso
della ragazza e di mio fratello, inserii la chiave nella toppa gigantesca che
sembrava troppo per quel misero bastoncino, la girai e un sonoro scatto
metallico fece aprire l’enorme anta destra del portone.
La hall
era immensa, quanto una sala da ballo, e il pavimento era interrotto da un
tappeto rosso che si divideva in tre rami; due salivano le scalinate che
portavano ai piani alti mentre il terzo continuava tra di esse, verso una sala
che, da quanto potessi vedere a causa del buio che era ancora calato a causa
delle spesse tende che coprivano le finestre, completamente rivestita di legno.
Sabina si
staccò un attimo dal mio braccio e andò verso un mezzobusto accanto alla
scalinata di sinistra, mentre io ritiravo due tende per far entrare un po’ di
quel sole che stava appena sorgendo.
Quel gesto
mi sembrò più pesante del solito, forse perché erano tre giorni che il mio
corpo non muoveva un muscolo, per questo eravamo in quel posto tanto
lussuoso...almeno, per chi era stato abituato a cavarsela come meglio poteva
come me ed Erik.
Improvvisamente,
Erik emise un fischio quando vide la statua che aveva
in mano la ragazza e si avvicinò per guardare meglio, le mani nelle tasche e la
sua camminata baldanzosa «wow, siamo nella mistica villa dei Von Almasy, non
credevo di finirci un giorno» disse, guardando la statua di pallido marmo di un
ragazzo sulla ventina come il fratello, capelli tirati all’indietro e un
ciuffetto più corto che accarezzava la fronte...lo guardai storto con fare
sbalordito «che c’è?» mi disse diventando rosso «a volte mi informo anche io su
certe cose scusa» finì e io scrollai nuovamente la testa, non per la voce che
ora taceva, ma per il fatto che Erik leggesse qualcos’altro oltre alle riviste
porno...mi diressi verso la sala centrale della hall e accesi due candelabri
con l’accendino che di solito usava mio fratello per fumare (di quelli a
scatto, ma poi, visto che l’ho obbligato a smettere gliel’ho fottuto...bwahahaha!) che poi sistemai uno nel corridoio che separava
l’entrata dalla stanza e uno all’entrata di quest’ultima.
Per poco
non mi ressi sulle gambe...era una stanza completamente adibita a palestra, con
tutti gli attrezzi possibili al mondo...il mio
paradiso.
Entrai
titubante nel vano e mi avvicinai a dei pesi che erano accuratamente sistemati
su uno scaffale...avevano diverse misure e pesantezza, alcuni piccoli quanto
una mano e laggiù, all’ultimo scaffale, quelli da 500kg
e più, quelli che adoravo di più.
Se in
quella stanza dovevo risvegliare i muscoli, non ne sarei più uscito, senza aver
provato tutti quegli attrezzi...ero ammaliato.
Nonostante
tutto, decisi che era meglio fare il giro di tutta (o cercare di farlo) la
villa per prendere confidenza con scale, scalette, terrazzi e quant’altro.
Tornai nella hall e abbracciai da dietro Sabina, dandole un leggero
bacio sul collo «andiamo a farci un giro?» chiesi e lei annui, restituendomi il
bacio «ok...ma poi a dormire un po’» mi disse dandomi un piccolo colpetto sul
naso.....«Benvenuti nella mia umile dimora»...una voce alle nostre spalle ci fa
trasalire.
Mi girai di
scatto che quasi feci cadere la ragazza ancora tra le mie braccia.
A metà
scalinata sta un ragazzo sulla ventina, capelli biondo
platino pettinati meticolosamente all’indietro e un ciuffetto che sfiora
la cicatrice che ha tra gli occhi.
Era vestito
di un lungo cappotto grigio con delle rifiniture rossastre sulle spalline
sfrangiate che dondolavano appena al suo respiro, un paio di guanti grigio
perla gli adornavano le mani affusolate, una maglia nera a coste si stirava sul
suo petto assieme al bavero sempre grigio perla, una cintura di cuoio e oro gli
stringeva la vita e indossava dei comunissimi pantaloni neri di fustagno e un
paio di anfibi neri ai piedi «spero che l’arredamento
sia di vostro gradimento, non abbiamo avuto il tempo di sistemare alcune cose a
causa del poco tempo d’avviso» continuò il ragazzo, scendendo un paio di
scalini e avvicinandosi ad Erik «è lei il signor Daniel McBrie? » chiese il
padrone di casa, porgendo la mano a mio fratello che la guardò come se mordesse
«sono io» intervenni, facendo un passo avanti, senza però avvicinarmi più di
tanto all’estraneo ed esso sorrise a me e a Sabina, dietro di me «piacere di
conoscerla signor McBrie. Il Trio mi ha raccontato di lei, la sua storia e
delle pene che ha dovuto soffrire, nevvero? » disse, stringendo la mano alla
mia con una forza impressionante, doveva allenarsi ogni giorno probabilmente,
oppure ero io che avevo i muscoli ancora intorpiditi, oppure tutt’e due «già»
dissi ritraendo la mano come se me l’avesse bruciata «Io sono Seifer von
Almasy, il proprietario forse ultimo di questa casa, appartenuta ai miei avi da
generazioni...purtroppo non riesco a trovare una sposa che possa
darmi degli eredi» disse quasi in un fiato, come un discorso imparato a
memoria, con lo sguardo di chi ti sfida a chiedere...perchè?...si avvicinò a
Sabina e le fece il baciamano, sfiorando appena le labbra alla sua pelle...brutto...stronzo...allontanati da lei...pensai
ribollendo di rabbia e la bile mi stava schiumando in bocca dalla gelosia
«signorina Greater conosco bene anche lei, una brava agente dell’ordine e una
stupenda ragazza» disse Seifer, scostandosi appena dalla sua posizione china
sulla mano della ragazza.
Sabina
stava arrossendo violentemente, sentirsi chiamare con quei titoli la faceva
imbarazzare come tutto, ma era sollevata che non l’avesse definita figlia di un
carnefice «grazie» balbettò appena, abbassando il viso ma
senza togliere lo sguardo dagli smeraldi che Seifer aveva al posto degli occhi.
In quel
silenzio statico, l’unico fu Erik a parlare, distogliendo il mio sguardo
furioso e quello imbarazzato di Sabina dal ragazzo «a....allora? questo giro si fa o no?» disse, avvicinandosi a me e
guardando Seifer che sembrò destarsi da una trance e si tirò ritto, impettito
in una postura d’importanza «certo, seguitemi» disse con voce suadente e prese
a salire le scale seguito da Sabina e da noi due poco più indietro.
Sentivo che
Erik doveva dirmi qualcosa...quando è teso lui si tende
il mondo e puoi avvertire l’aria diventare quasi rarefatta così mi girai verso
di lui «cosa c’è?» domandai in un sussurro e a mio fratello dovevo esser
sembrato piuttosto arrabbiato in quel sibilo perché si distanziò leggermente
prima di mettersi a parlare, anche lui a bassa voce per non farsi sentire dai
due davanti a noi «Dan calmati, stai esplodendo e in questi periodi l’hai fatto
un po’ troppe volte...datti una calmata e allenta i
pugni» disse, indicando le mie mani che stavo chiudendo spasmodicamente mentre
guardavo quel dannato damerino da quattro soldi spiegare qualcosa a Sabina che
pochi secondi dopo si mise a ridere.
Rilassai i
muscoli quel poco che mi bastava per non farmi male «lo so che ti sembra gli faccia il filo, ma vedrai che fra mezz’ora si
dimenticherà chi è quel tipo e ti starà appiccicata come la colla» continuò
Erik dandomi una pacca sulla schiena e superandomi per raggiungere Seifer e
Sabina e così mi lasciò da solo con i miei pensieri, non ancora del tutto
sbollentati...stavo fissando il ragazzo e vedevo solo lui, il tutto contornato
dall’alone rosso dell’ira...lo uccido se
lo vedo ancora che le gironzola attorno...pensai nel pieno della rabbia,
facendo il giuramento che ero solito fare, prendendo le piastrine e girandole
tre volte attorno alle dita per poi nasconderle sotto la maglia.
Velocizzai
l’andamento e raggiunsi il gruppetto che ora stava per dirigersi alle nostre
future camere da letto «nell’ala ovest, come ho già detto, è vietato
l’ingresso, sono spiacente ma laggiù ci sono cose
personali che terrei che nessuno le vedesse...poi, l’ala Est è completamente
vostra, la palestra è dopo la hall e la divideremo poiché l’altra è in
restauro.
L’ala Nord
è sede delle terme, piscina e quant’altro di simile e anche quella sarà a
vostra completa disposizione...l’ala Sud dà sul giardino e sulla serra dove
potrete rilassarvi...ah, un’ultima cosa, spero che nessuno di voi sia allergico
ai gatti» stava dicendo il padrone di casa, guardando i tre ospiti che negarono
l’allergia «bene, sono un’amante degli animali e nel giardino potrete trovare
delle specie non proprio autoctone, ma in casa i gatti sono la mia unica
compagnia» finì Seifer e dall’angolo sbucò appunto un gatto.
Pelo corto
color del tramonto, occhi verdi che luccicavano maliziosi e una folta coda
all’insù «questa è Down, la più vecchia della casa si
può dire» disse il damerino, porgendo la gatta a Sabina che impazzì
letteralmente per quell’essere peloso a quattro zampe che iniziò a far le fusa
e a strusciarsi contro il petto della ragazza «a quest’ora saranno giù nelle
cucine che mangeranno» disse Seifer soprappensiero, poi scrollò la testa e aprì
una porta alla sua sinistra, rivelando una stanza color del mare, con le tende
turchesi, una scrivania con una sedia all’apparenza soffice, un armadio a
quattro ante bianco e un letto a baldacchino con le coperte blu e il lenzuolo
bianco faceva un certo contrasto «Signor McBrie, questa è la sua camera, spero sia di suo gradimento» disse Seifer, sorridendo
cordiale, per poi proseguire con Sabina al fianco che gli teneva leggermente il
braccio ed Erik leggermente più indietro che guardò la mia reazione...non mi
aveva mai visto così adirato, arrabbiato, irato, furibondo, infuriato, furioso,
irritato, furente e geloso in tutta la sua vita...sentivo il sangue ribollire
nelle vene e il mio cuore nuovo iniziò a battere più forte, sempre più forte,
come nel sogno che avevo fatto prima di riprendermi dall’operazione...è come tua madre...una bella puttanella...disse
la familiare voce roca nella testa che colpii con un pugno per farla
sparire...non la sopportavo più quella situazione.
Mi girai
verso la mia camera e mi ci addentrai, sbattendomi la
porta di legno scuro dietro le spalle.
Mi diressi
con una certa furia verso la doppia finestra che dava sul parco dietro la casa
ed ebbi una certa voglia di spaccarla, ma non sarebbe stato
molto educato il primo giorno di permanenza lì così mi girai verso il letto e
mi ci buttai a faccia in giù e a braccia aperte, sperando di morir soffocato
dall’ira.
La rabbia,
poco a poco, cominciò ad affievolirsi e la stanchezza mi colpì come un martello
in testa...crollai addormentato sul letto, ancora vestito e con la testa
voltata verso il muro.
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Sabina, non
trovandolo in coda al gruppetto che ora stava
attraversando il giardino per la fine del ‘‘tour’‘, iniziò a preoccuparsi...che
si fosse sentito male?
Daniel era
l’unica persona che si fosse permessa di sfidarla ed
era riuscito nella sua impresa...e a lei, questo fatto piaceva molto, quanto
quella notte nelle segrete «...scusi ma...potremmo tornare indietro?» disse
alla fine la ragazza al suo accompagnatore che annuì cortesemente «certamente
mia bella signorina, sente per caso freddo?» disse Seifer, guardandola con
preoccupazione «no, ma vorrei vedere come sta Daniel» disse Sabina, voltandosi
verso la villa.
Sembrò
quasi vedere un’ombra da una finestra sfuggire al suo sguardo «è in camera sua mi sembra» intervenne Erik, piuttosto preoccupato anche
lui per il fratello.
Sapeva
benissimo che fisicamente non aveva problemi...erano le emozioni che stavano
facendo i capricci e anche tanti.
Così, i tre
tornarono alla villa e risalirono le scale che portavano all’ala Sud della
casa.
Dopo aver
superato l’ennesimo portone, arrivarono al corridoio che dava sulle loro camere
da letto.
Sabina
aumentò il passo, lasciando il braccio di Seifer che stava ancora tenendo e si
avviò verso la porta della camera del bandito.
L’aprì di
scatto e rimase leggermente congelata con la mano sul pomolo della maniglia.
Il bandito
era steso sul letto completamente vestito e dormiente.
Il cuore
della ragazza si sciolse dal nodo che la opprimeva.
Si avvicinò
cauta al letto a baldacchino e si sedette accanto al ragazzo addormentato
«dovevi essere tanto stanco vero?» sussurrò piano, accarezzando la guancia
sfregiata del bandito «ok, ti lascio dormire» disse infine, vedendo il ragazzo
girarsi nel sonno «riposati bene» e baciò il bandito leggermente sulle labbra.
Poi si alzò
e sistemò una coperta sulle spalle dell’amato, andò verso la porta e la richiuse piano.
La ragazza
sospirò e scrollò la testa prima di girarsi verso Erik, che l’aveva appena
raggiunta «sta dormendo» gli disse sorridendo «ed era ora, è tutta la notte che
sta in piedi» rispose Erik scrollando la testa e mettendosi una mano su un
fianco «e forse sarebbe meglio che anche tu dormissi un po’, io ho dormito sull’aereo e Leo è tornato in città» continuò,
indicandola con un dito e seifer s’intromise, dicendo a Sabina che sarebbe
veramente stato meglio che anche lei andasse a riposare.
Senza
possibilità di negare, anche lei andò a dormire nella sua stanza, poco più
lontana da quella del bandito.
Rimasero
così da soli Seifer ed Erik...immersi in quel silenzio imbarazzante che di
solito cade quando non si sa cosa dire.
All’improvviso,
Seifer guardò fuori dalla finestra il cielo che ora si
stava illuminando dei deboli ma prepotenti raggi del sole novello.
Erik,
sentendosi poco desiderato, fece per andarsene verso la sua stanza
quando il damerino lo fermò con la voce «potrebbe ricordare alla ragazza
e a suo fratello gli orari dei pasti? Nel giro della casa mi sono perso e mi
sono dimenticato di riferirvelo» e il guidatore annuì per poi tornare sui suoi
passi.
Seifer si
potè dire soddisfatto di quel giorno e andò verso l’ala Ovest, dove risiedeva
la sua camera...e la sua vita.
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Mi svegliai
che il sole filtrava attraverso le finestre e mi colpiva il viso semi nascosto a una coperta...una coperta?
Mi misi a
sedere e una fitta mi colpì alla cervicale...vidi le stelle...così impari a dormire con la testa storta...dissi
a me stesso, adirato.
Con gli
occhi che ancora dormivano, mi alzai e barcollai per la stanza come un’anima in
pena, per raggiungere l’attaccapanni dove avevo lanciato il
cappello prima di buttarmi sul letto e nel tragitto diedi un colpo alla
gamba del letto più esterna con un piede «cazzo» sibilai e mi presi il
piede...non avevo le scarpe, qualcuno doveva averle tolte, e difatti erano
accanto alla porta.
Presi i
miei anfibi con rabbia e li indossai, allacciando le stringe con un doppio
nodo, per poi uscire dalla stanza...il
cappello...tornai sui miei passi e presi il
cappello ancora appeso all’attaccapanni pigiandolo bene in testa.
Ero da
solo, in una casa enorme, con il rischio di perdermi dopo due
corridoi...l’unica strada che conoscevo era quella che portava verso la hall e così decisi di iniziare l’allenamento che sarebbe
perdurato per tutto il mese.
Attraversai
il corridoio con le mani in tasca e l’andatura rilassata, il cappello basso e
lo sguardo perso erano i segnali che stavo pensando...va bene, ci ospita ed è stato gentile...ma avrei preferito un padrone
menefreghista ad un dongiovanni che corteggia tutte le donne che gli capitano
appresso...soprattutto alla mia Sabina...non si deve azzardare o gli spezzo il
collo...pensai ancora adirato e incontrai le scale prima del previsto,
meglio, mi sarei distratto da quei pensieri prima del previsto.
Le scesi
mestamente, sempre pensando a quali mali potevo fare se Seifer si avvicinava
alla ragazza che amavo e mi diressi verso la palestra, spegnendo con un soffio
le lanterne appese visto che ormai il sole entrava in tutta la sua forza nella
villa.
Appena
entrato, mi diressi allo spogliatoio, mi levai il cappello e mi tolsi
lentamente la maglia per non farla scontrare contro i punti ancora freschi.
Guardai la
ferita allo specchio che interrompeva il muro alla mia sinistra; una linea così
sottile e appena arrossata che però mi aveva procurato la morte...ricordai quei
fulgidi istanti prima di sentire l’acqua gelida contro la schiena...il
dolore troppo forte per sembrare vero, il freddo improvviso dell’acqua, la
pesantezza di tutte le membra che mi portava a fondo, le ultime bollicine
d’aria che sfioravano la mie labbra e quell’orribile sensazione di confusione
che mi attanagliava...la morte la si vive una sola volta e io avevo infranto
questa legge.
Sfiorai il
leggero filo nero di seta che allacciava i due lembi della pelle del mio petto
e mi lasciai sfuggire una smorfia, non per il dolore,
ma per il fatto che la pelle attorno alla ferita fosse completamente senza
sensibilità.
Qualsiasi
persona mi avrebbe comodamente strappato i punti durante il sonno che io non me
ne sarei minimamente accorto.
Ricordai
ancora quelle orribili settimane alla mercè di Contan, nel carcere di massima
sicurezza di New York.
La spalla
destra stava benone, ma presentava ancora la piccola e rotonda cicatrice del
proiettile e del coltellino che il Capitano mi aveva conficcato nella
ferita...oh, Dio! Quanto godevo della sua morte.
Diedi le
spalle allo specchio e uscii dallo spogliatoio a torso nudo.
Ora si che potevo rilassarmi come volevo io.
Mi diressi
verso i pesi più grossi e tolsi un paio di dischi per non rischiare di finirci
schiacciato sotto e mi sedetti sulla panca prendendo i pesi.
Così subito
mi sembravano pesanti come un tir, ma poi, dopo averli passati da una mano
all’altra, i miei muscoli cominciarono a svegliarsi dal torpore che li serrava
e il sangue iniziò lentamente la sua corsa attraverso la fibra, inebriando
carne e anima.
Aggiunsi
sempre più pesi, fino a che non mi dovetti stendere sulla panca per poterli
sollevare.
Stavo
grondando di sudore ma per me e la mia ferita era una manna.
Dopo alcuni
minuti appoggiai i pesi al supporto e mi tirai a sedere con uno scatto degli
addominali e mi tastai gli avambracci dolenti...stavano già iniziando ad
indurirsi come la roccia che erano una volta.
Mi alzai
dalla panca e andai verso dei paletti di legno alti un metro che di solito si usano per allenare gambe e cosce.
I paletti,
disposti in cerchio, erano stretti sulla sommità da alcuni giri di stoffa già
consumata che impediva il contatto diretto della gamba al legno che avrebbe
potuto spezzare le ossa...perfetto...pensai
tra me e me, vedendo un’asta di metallo appoggiata al muro...l’afferrai e la
vidi graffiata in molti punti...la strinsi forte in mano e iniziai a farla
roteare piano tra le dita, rilassando il corpo e chiudendo gli occhi,
precisando i punti esatti nella disposizione dei paletti.
Senza
preavviso aprii di scatto gli occhi e colpii il paletto alla mia sinistra con
un potente calcio, senza smettere di far roteare l’asta di metallo...poi ne
centrai un altro...un altro...e un altro ancora, facendomi passare l’asta
dietro la schiena e prendendola al volo mentre girava su se stessa.
Posai
l’altra mano sull’asta girevole e ne aumentai i cerchi
che creava, sempre più veloci, continuando a calciare i paletti in ordine
puramente casuale.
All’improvviso,
saltai all’indietro e ricaddi sulla cima del paletto dietro di me e rimasi
stupito nel vedere che riuscivo a stare facilmente in equilibrio su un piede mentre l’altro era teso nel vuoto.
Fermai il
movimento della sbarra e scesi dal palo atterrando senza il minimo rumore.
Strabiliato
della mia nuova potenza, provai un trucchetto che raramente mi riusciva. Alla
mia destra c’era un ring da combattimento come si usa
nel wrestling.
Ci salii
sopra camminando lentamente per saggiarne la robustezza, e con un altro salto
salii su uno dei quattro angoli, dando le spalle al centro del quadrato.
Feci una
capriola all’indietro e atterrai di schiena, prestando attenzione a non farmi
male e iniziai a girare, tenendomi ritto sulle braccia e roteando le gambe.
Di scatto
fermai la trottola che si era creata per spingermi con le braccia verso un
altro angolo dove mi sostenni un attimo per riprendere fiato...avevo superato un po’ troppo il limite...così decisi di
finire l’allenamento e di dirigermi verso gli spogliatoi per rivestirmi.
...Non mi
accorsi che la pelle attorno ai punti di sutura stava diventando color
argento...
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Erik si
stava annoiando a morte...era steso supino a braccia aperte sul letto e fissava
come un’idiota il soffitto bianco della sua camera.
I suoi
hobby erano le macchine e le belle ragazze...lui non era come suo fratello che
può stare tranquillamente stare senza far niente, di solito era quello sempre
in movimento, quello che scassa sempre le scatole, quando può...ma
non è proprio il tipo di ragazzo che sta a pensare troppo.
Il
guidatore si mise a sedere sbuffando pesantemente e guardò fuori della
finestra...ancora pieno pomeriggio...pensò
tristemente.
Tutti
stavano dormendo e quel Seifer proprio non aveva voglia di vederlo; lui era
stato abituato che nessuno è mai così gentile nei confronti della gente e aveva
supportato quella tesi come vera nei due anni scorsi.
Erik, stufo
di quella situazione, si alzò dal letto e uscì dalla stanza socchiudendosi la
porta alle spalle, deciso a farsi un giro del parco e magari scoprire un garage
in quella villa.
Dopo molto
camminare, non riuscì a trovare l’uscita che dava sul parco così pensò di
dirigersi verso la palestra a fare due sollevamenti, ma con molta sorpresa,
girandosi non riconobbe il corridoio in cui era...si era
perso in quel dannato labirinto.
Inoltre, le
enormi arcate di legno che padroneggiavano sul soffitto e le finestre
rigorosamente chiuse da assi di legno e tende gli davano un’aria spettrale e
lugubre come di una casa abbandonata.
Decidendo
di sfidare la sorte che di solito lo accompagnava, il ragazzo
riprese a camminare lungo il corridoio e scese le scale che gli si
presentarono alla sua sinistra, sperando di finire al piano terra.
Le
scalinate si trasformarono in strette scale a chiocciola che scendevano fino
alle viscere della casa, piene di polvere che sembrava nessuno toccasse da anni.
Il
guidatore scese l’ultimo gradino con il sangue raggelato: si trovava nelle
cantine dove, tra filari di enormi botti, si trovavano
scheletri d’animali di ogni tipo, dai topi ai cani fino a quelle che sembravano
delle capre e qualche mucca...in mezzo a quelle ossa, ogni tanto, dei teschi
umani facevano capolino in un orrendo avviso «che diavolo di posto è questo?!»
disse spaventato, e indietreggiando inciampò nelle scalette di metallo, creando
un grande rumore.
Subito,
dietro di lui, oltre le scalette, dei ringhi presero a minacciarlo.
Erik, dopo
che si fu ripreso dallo spavento, si alzò e, curioso, andò a vedere quale
animale poteva provocare un simile suono.
Camminò per
del tempo che gli sembrò eterno e finalmente girò l’ultimo angolo della cantina
sconfinata nel buio.
C’era
un’alta porta di legno e oro piena d’intarsi; era socchiusa e dall’interno
della stanza dietro il portone venne un altro ringhio, misto alle lamentele di un’altro animale, probabilmente morente a dirsi dal suono
gutturale che emetteva.
Erik
appoggiò cautamente una mano sulla porta e l’aprì leggermente per vedere
l’aguzzino di quella povera bestia; niente, il buio più completo.
Accanto
alla porta c’era una vecchia torcia mai utilizzata e inzuppata di olio; la prese piano e la sfregò contro l’apposito
strumento allegato alla sua postazione per accenderla.
La puntò
tremante appena dopo la porta e quel che poco potè vedere furono
due occhi rossi come il sangue voltarsi di scatto a guardarlo prima di sentire
un peso opprimente sul petto e un dolore acuto alla base del collo. Non riuscì
nemmeno a gridare dal dolore che si stava espandendo ora in tutto il corpo come
un veleno.
In un
disperato tentativo di liberarsi da quella bestia gli diede
un colpo alla testa con la torcia che aveva ancora in mano, sbalzando
via la creatura che si era avventata sul suo collo.
La belva si
schiantò contro il muro e atterrò in ginocchio, col capo chino, una mano a
terra e una sul ginocchio alzato da terra.
Aveva una
forma umana...Erik iniziò a sudare freddo e si tastò il collo: due fori dalla
base destra del collo stavano ancora colando del sangue che l’essere aveva
voluto bere.
Di scatto
l’uomo si tirò in piedi e guardò verso Erik: la sua faccia era storpiata in un
ghigno divertito e malvagio mentre due canini lunghi fino al mento gocciolavano
di sangue suo.
Il
guidatore riconobbe la fisionomia e i capelli biondi del vampiro davanti a lui
«S-Seifer?» domandò, cercando di strisciare il più lontano possibile dal
pipistrello e al contempo di bloccare la fuoriuscita di sangue «ma che
bravo...mi hai scoperto...e ora come faccio mio Dio» disse beffandosi del
diciannovenne dopo aver leggermente ritirato i denti per parlare meglio
«semplice...di qui non esci più» si rispose, alzando una mano artigliata e
sorridendo malvagiamente.
Si buttò a
capofitto sul ragazzo, estraendo i denti in tutta la loro lunghezza e
piantandoli nuovamente nella carne giovane del ragazzo che urlò di dolore e
s’inarcò sotto il vampiro, chino su di lui.
Erik, poco
a poco, cessò di combattere e sentì il corpo esser prosciugato d’ogni forza...è così morire...Dan...?...pensò nel fulgido attimo in cui
tutto il suo corpo si spegneva, il cuore cessava di battere e tutto diventava
freddo «che ne dici di diventare come me? » disse Seifer, allontanandosi dal
corpo del ragazzo e lanciando un incantesimo che lo avvolse «ti accompagno
verso la tua vita nuova» ridacchiò il vampiro ed Erik si svegliò di scatto,
urlando come un ossesso e contorcendosi dal dolore che gli stava trapassando le
scapole.
Dalla sua
schiena spuntarono un paio di ali da pipistrello che
si fusero con la pelle della schiena e delle spalle, diventando un tutt’uno con
Erik.
Dalla
bocca, poi, gli uscirono i lunghi canini cavi, facendo sanguinare le gengive «eh,
lo so, la prima volta fa male» disse tra una risata e l’altra Seifer, guardando
comprensivo il novello vampiro di casa «passerà...ahahahah» rise Erik, la voce
roca per gli strilli ma con il volto piegato nello stesso ghigno dell’altro,
mentre si leccava le goccioline di sangue che aveva sulle labbra «...buono»
esordì poi, fissando la carcassa della capra che prima Seifer stava assaggiando
e il biondo rise «non sai quanto» gli disse e gli fece passare un bracco
attorno alle spalle guidandolo verso la stanza buia; tutte e due ridevano della
sorte che sarebbe capitata alla ragazza e al bandito.
La
fiaccola, già tenue, si spense nel filo d’aria che la porta d’oro, chiudendosi,
aveva creato.
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Dopo aver
tentato di vestirmi, e dopo molti fallimenti a causa dei dolori ai muscoli, mi
diressi verso la scalinata di sinistra dell’hall che portava alla sala da
pranzo, alle cucine se si scendevano un paio di scale in più e alle terme.
Guardando
l’orologio a pendolo in cima alle scale, decisi di spiccare un salto alla sala
da pranzo per vedere se ci fosse stato qualcuno, e magari inghiottire qualcosa.
Stancamente,
mi avviai, sempre con le mani in tasca e questa volta senza cappello,
abbandonato lungo la schiena nuda.
Pensai alla
reazione di Sabina se mi avrebbe visto così...non tanto per il fisico anche un
po’ malconcio, ma per la vista dei punti di sutura che m’interrompevano i
muscoli e che tenevano insieme la carne.
Stranamente,
la sensibilità in quel punto stava iniziando a tornare, non so se sia un bene o
no poiché ad ogni movimento brusco che faccio sento una fitta acuta
attraversarmi il petto, come se un altro pugnale me lo attraversasse ogni volta.
Ignorando a
fatica il dolore, entrai nella sala e non vidi nessuno...devono essere ancora tutti addormentati...pensai e così mi diressi verso
la tavola imbandita di ogni ben di Dio, pronti per essere divorati da qualche
povero ‘‘sperduto’‘.
Avevo una
fame da lupi, anzi, mi sarei mangiato un lupo a quel
punto e così mi ritrovai avventato su metà dell’arrosto che padroneggiava la
tavola, su un piatto di patate al forno, una decina di costolette d’agnello e
cinque cosce di tacchino.
Divorai
tutto talmente in fretta che per poco non mi rimase di traverso un pezzo di
carne che ingoiai solo con l’aiuto di un abbondante calice di vino rosso.
Mi
accasciai sazio sulla sedia, tenendo le mani dietro la nuca e con stampato in
faccia un sorriso di compiacimento e anche un po’ da ebete...
Potevo
dirmi soddisfatto e giurai a me stesso che una mangiata così non l’avevo mai fatta, nemmeno dopo il più duro degli allenamenti.
Guardai il
tavolo: avevo combinato un bel casino e i piatti semi vuoti erano
miracolosamente ancora in piedi...forse era meglio dare una pulita prima che
arrivasse qualcuno.
Così presi
tutti i piatti che avevo usato e li portai via, seguendo uno stretto corridoio
alla mia destra e depositandoli poi su un vassoio che sparì dietro il muro,
probabilmente diretto alle cucine.
Tornai sui
miei passi e vidi, appena oltre la soglia della stanza, Sabina che parlava con
Erik, più pallido del solito, quasi cereo «ciao! Come stai?»
disse improvvisamente Sabina e appena mi scostai dal corridoio dietro di me la
ragazza mi saltò al collo e dandomi un bacio pieno d’affetto, interrotto solo
dal mio mugolio soffocato di dolore che mi aveva creato involontariamente «oh
scusascusascusa» disse allontanandosi un poco e fissando tristemente la ferita
sul petto «fa niente, piuttosto, perché non mangiate? Spero di avervi
lasciato abbastanza roba, ho mangiato come un lupo» dissi sorridendo e
indicando il tavolo.
Erik mi
guardò strano, come se all’improvviso avesse avuto paura di me, prima di
tornare normale «ma si che basta, tranquillo» mi
disse, avvicinandosi a me, dandomi l’ennesima (e noiosa ormai) pacca sulle
spalle e dirigersi verso il tavolo accompagnato da Sabina.
Io uscii
salutandoli e andai verso camera mia per prendere degli asciugamani e andare
fino alla sauna, a questo punto la casa mi sembrava piccolissima e capivo dove
andavo.
Non so come
successe, così all’improvviso, ma ringraziai quel Dio
che mi mise in testa l’intera piantina della casa.
Sul letto
turchese vidi una maglia e dei pantaloni di ricambio: entrambi neri, avevano
l’aspetto antico, stile pirateria.
Le maniche
erano tempestate da dei lacci che chiudevano i due lembi di stoffa sugli
avambracci e i bottoni di madreperla facevano netto contrasto nella camicia
scura.
I pantaloni
erano neri con delle sfumature più chiare sulla gamba, ed erano abbastanza
aderenti...non avrei mai avuto il coraggio di metterli
quei pantaloni, così mi misi solo la camicia e presi dall’armadio candido due
asciugamani della stessa tinta e un laccio per i capelli che quello che
indossavo era all’estremo delle forze.
Uscendo,
incontrai Seifer che passeggiava con le mani dietro la schiena e la mente
altrove che, incontrandomi, sembrò ripiombare alla realtà «che bella sorpresa,
signor McBrie, dormito bene?» chiese cortese,
fermandosi senza però slacciare le mani da dietro la schiena «si» risposi
semplicemente per tagliare il discorso sul nascere «bene, vedo che ha accettato
il piccolo regale dono che le ho fatto ed ho indovinato la misura a quanto
pare» disse ancora il padrone di casa, squadrandomi attentamente «e anche la
cucina non è affatto male, ora andrei fino alla sauna per poter rilassarmi un
attimo» dissi senza un valido motivo; le parole mi erano uscite di bocca, porca
merda io non volevo farmi trovare da nessuno a parte Sabina e io che faccio? Lo
vado a dire a questo damerino « se vuole rilassarsi la prego di seguirmi, penso
di avere il posto che fa per lei» disse Seifer,
allungando un braccio verso il corridoio da dove era venuto. Decisi di
seguirlo, in fondo conosceva la casa meglio di me (se ci abitava, per forza)e
camminammo, perdendo la cognizione del tempo...questa casa è davvero enorme...pensai e
vidi da fuori una finestra, il paesaggio già buio dava una sensazione spettrale
di un cubetto di ghiaccio che scivola lungo l’esofago per poi bloccarsi prima
dello stomaco.
Nel cielo
la figura pallida della luna quasi piena veniva
nascosta da pesanti nuvole grigie; quando passai davanti ad un raggio lunare
non del tutto nascosto dalle nubi mi senti male, come mille coltelli piantati
nelle tempie e nella spina dorsale.
Un dolore
improvviso, che passò in un attimo com’era venuto e fu un miracolo che il mio
corpo rimase in piedi.
Come un
corvo sulla finestra di un malato, sentii la paura crescere dentro e non
riuscivo a trovare il motivo di quello spavento.
Poi, la
paura aumentò, quando, scendendo un paio di scalette, mi
ritrovai in una cantina buia.
Seifer
accese un paio di torce e me ne porse una, facendomi segno di stare attento poiché avrei trovato più topi che gatti in quel
posto «molto rassicurante» dissi ironicamente e lo seguii con passo pesante e
annoiato, dove diavolo mi stava portando?
Alla mia
destra c’era un portone di legno e piccoli intarsi d’oro che Seifer aprì senza
accorgersi molto del fetore che venne, quando si furono schiuse...odore di
morte, questo mi sembrava e non potevo sbagliarmi, lo conoscevo molto bene «Dove stiamo andando? » chiesi finalmente, ingoiando il nodo
che mi opprimeva la gola «le mie terme private sono nei sotterranei della casa,
l’acqua viene direttamente dal sottoruolo, già calda e così ho voluto portarla
qui» mentì il vampiro, senza girarsi per nascondere i canini che stavano
scendendo dal desiderio di mordere il collo del cliente...che bello un altro
banchetto!
Seifer
arrivò davanti ad un enorme piatto d’oro contenete
dell’olio che accese con la torcia che poi spense. Io cercai d’imitarlo, ma non
ce n’erano altri in tutta la stanza.
Le terme
erano costituite da due piscine, di solito di acqua
fredda e calda, a dipendere da cosa si voleva « prego, può scegliere la vasca
che più preferisce, se vuole un consiglio però, io sceglierei quella sulla
destra, l’ho riempita di olio come mi avevano raccomandato le tre che l’hanno
come dire portata in vita, fa rilassare i muscoli e li rinvigorisce al tempo
stesso» disse il damerino, stando controluce cosicché io non potei che vedere
la sua sagoma e nient’altro.
Seguii i
consigli, un po’ riluttante sulle prime, ma quando la mia pelle accaldata
sfiorò la superficie del liquido freddo, cominciai a pensare che, dopotutto,
non dovesse essere così male il carattere del ragazzo. Dalla mattina in poi non
aveva più guardato Sabina, per mia fortuna.
M’immersi
fino al petto con un lieve mugolio di piacere...sentire l’olio infilarsi in
ogni crepa della ferita mi dava uno strano sollievo misto al bruciante dolore
che normalmente era presente.
Appoggiai
la schiena al bordo della piscina e mi rilassai, parlando sommessamente al
padrone di casa che non aveva accennato a scansarsi dal buio che lo circondava
«lo sai...? Non sei poi così male una volta fatta
conoscenza...pensavo fossi solo un damerino donnaiolo
da quattro soldi» dissi allargando un debole sorriso che si perse nel piacere
che provavo in quella vasca «non conosci nemmeno la metà di me» disse Seifer,
avvicinandosi, mentre i denti gli crescevano sempre più avidi e assetati di
sangue.
Subito non
capii il senso di quella risposta, rimasi solo zitto a fissare la luce della
luna che ora mi sfiorava appena...sentivo un lieve formicolio nella parte
colpita dalla luce.
All’improvviso
sentii un dolore incredibile alla base del collo e tutte le energie cominciare
a scemare, come se mi fossero risucchiate.
Girai la
testa quanto potei e vidi Seifer con il volto
arricciato in una smorfia di felice malignità mentre i suoi canini mi stavano
lacerando la carne, in cerca dell’arteria.
Rimasi
pietrificato da quella vista orripilante...un vampiro...ma
i vampiri non esistono! La luce della luna m’investì del suo chiarore e un
altro dolore si aggiunse a quello sul collo.
Inarcai la
schiena e aprii la bocca in urlo muto che si trasformò
in un lungo e potente ululato.
Le ossa mi
scricchiolavano e la cassa toracica s’ingrandì come le spalle, la schiena, le
braccia, le gambe, le cosce, i piedi, la testa.
Tutto
pareva in subbuglio e le ossa sembravano impazzite
all’interno del mio corpo.
Il vampiro
si scansò dal mio corpo in muta «finalmente, il sangue di un lupo scorrerà
nella mia gola, e una nuova razza nascerà. Né lupo, né
vampiro, una creatura superiore alle altre» disse e accese il resto delle
lampade affinché io mi vedessi completamente: un lungo e fitto pelo nero mi
ricopriva interamente, un paio d’orecchie dritte sovrastavano la mia testa
allungata in un muso canino e le mani erano diventate grosse zampe dai lunghi
artigli.
Il mio
petto si alzava e si abbassava velocemente, mentre la vista mi si oscurava per
poi aumentare improvvisamente di grado «lo senti quest’odore? » chiese Seifer
mentre teneva tra le mani la carcassa di un’animale e il sangue colava lento
sul pavimento formando già larghe pozze scure.
L’odore del
sangue mi pervase le narici e incominciai a fiutare l’aria, ormai non ero più me stesso.
Con un
possente ringhio mi gettai sulla carcassa e iniziando a sbranarla mentre Seifer
si avvicinava a me per mordermi un’altra volta il collo.
Senza preavviso
lo sbalzai via con una potente artigliata al petto e il vampiro cadde a terra,
tenendosi la ferita sul torace, dalla quale sgorgavano miriadi di goccioline di
sangue nero «fai il difficile eh? » sussurrò Seifer, prendendo da sotto il
mantello che portava una lunga pistola, forse una Colt,
e mirando alla mia spalla.
Sparò una
pallottola d’argento che mi colpì senza troppi complimenti.
Caddi a
terra con un guaito, il muso contratto in una smorfia di dolore, mentre la
lingua penzoloni di lato alle fauci aperte si muoveva velocemente al ritmo del
mio cuore «l’argento che ti scorre nelle vene è prezioso, ti ha donato la vita,
ma può anche ucciderti se ti somministrassi una certa dose in più di quello che
tu, misero animale potresti sopportare» disse il vampiro, mettendo a posto la
pistola e chinandosi davanti ai miei occhi spalancati e vuoti «a quanto pare ci sono arrivato vicino...brutto cattivo
Seifer» disse, dandosi dei buffetti sulla guancia e io mi mossi appena verso la
sua gamba per morderla ma ricevetti un potente calcio che mi fece guaire ancora
«lo sapevo che non ti saresti arreso subito, stupido animale» mi disse il
vampiro ridendo di gusto e sparando ancora alla mia coscia e gemetti di dolore
«vediamo se impari a ribellarti...vieni pure!» urlò alle sue spalle e dal buio
spuntò Erik; era molto pallido e i suoi occhi luccicavano vermigli
«Erik...Aiutami...!» annaspai, mentre sentivo la
saliva iniziare a schiumare nella gola «credi che io sia il sempre e solito
ubbidiente?» mi disse mio fratello facendo no con un dito mentre posava l’altra
mano su un fianco «i tempi cambiano» finì Seifer, passandosi la lingua sulle
labbra gustando il sangue che vi era ancora sopra.
Erik in un
balzo mi fu addosso, rinchiudendomi nel guscio delle sue ali che spuntavano dalla
schiena; Seifer si unì ringhiando e soffiando, mentre potevo sentire da
entrambe le parti del collo, i quattro denti penetrarmi la carne e raggiungere
le vene preziose.
«ERIK!!» il mio ululato si perse nella cantina rimbombando sulle
pareti di pietra.
Poco a
poco, il lamento si affievolì, morendo lentamente nella mia gola e tra i denti
dei due vampiri che succhiavano avidi.
Come di
colpo sentì le forze tornare per un attimo,così morsi
i due vampiri ad una gamba e ad un braccio per poi scappare dalla finestrella
da dove spuntava la luce lunare, tanto cara per me ormai.
Corsi per i
prati poggiando tutti e quattro gli arti a terra e raggiunsi un boschetto
arrampicato su una collina dove le fronde degli alberi arrivavano quasi a
terra, ottimo nascondiglio per ora.
La vista mi
si stava indebolendo troppo e la terra girava vorticosamente sotto i miei
piedi...crollai a terra, mentre la schiuma prendeva a scendere dalla bocca,
bagnando il terreno del suo colorito argenteo. I tremiti convulsi del mio corpo
si fermarono solo molto tempo dopo.
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Seifer
scorreva i cieli per cercare di trovare quel dannato lupo; era così vicino alla
messa in opera della maledizione che non si sarebbe certo fermato adesso.
Erik era
dietro di lui, lo sguardo basso e pensieroso, e volava più ad alta quota.
Le sue due
parti duellavano con gran forza: la parte buona, che gli urlava di aver tradito
il fratello e la parte malvagia di lui, continuava a ribadire
il contrario, che aveva fatto bene, che ora aveva la vita eterna.
La vita
eterna però che senso ha se non si hanno amici né parenti? Non era una vita, era un inferno.
Sotto di
lui, all’improvviso, vide luccicare qualcosa alla luce della luna.
Silenziosamente
scese a terra e s’inginocchiò di fronte ad una larga pozza di sangue argenteo
«hai trovato qualcosa? » urlò Seifer dall’alto, facendo larghi circoli sopra di
lui «niente d’importante» rispose Erik, nascondendo la voce fasulla che tentava
di uscire «allora proseguiamo, abbiamo tempo fino
all’alba per ritrovarlo» urlò Seifer e riprese la marcia.
Erik lo
guardò andare via; prima però, rimase stranamente attratto da un boschetto in
cima alla collina che padroneggiava alla sua destra...le macchie portavano
lì...il vampiro si avvicinò e scorse un lembo di pelliccia nera come l’oscurità
che padroneggiava la notte, mentre leggeri fasci di luce lunare illuminavano la
pelliccia sporca di sangue.
Quasi
automaticamente Erik avvicinò una mano artigliata alla pelliccia e l’accarezzò
lievemente...fredda come il ghiaccio che regnava ora nel suo cuore e
quest’ultimo ebbe un minimo di battito, prima di
tornare una pietra nel petto.
Chiamò
Seifer col pensiero dicendo di aver trovato l’obbiettivo e che se non si fosse
sbrigato lo avrebbero perso definitivamente.
Il vampiro
più anziano arrivò subito e rise alla vista del lupo in fin di vita «buon
lavoro Erik, ti meriti una buona parte di ricompensa» disse Seifer dando dei colpi sulla spalla del ragazzo ed esso sembrò
rabbrividire a quel pensiero.
Si era reso
conto di tutto il male che stava facendo al fratello, quando questi aveva
urlato il suo nome e di come lo aveva guardato supplichevole...i vampiri ci sono anche buoni...giusto?
Questo pensiero
però fu surclassato da uno più malvagio e avido, lo stesso che gli aveva
annebbiato la mente, quando aveva affondato i canini
nel collo del fratello.
Con un po’
di fatica, portarono via il corpo del lupo quasi morto in volo, attraversando i
campi che esso aveva tinto di sangue e che ora la luna faceva risplendere.
Inconsciamente
Erik stava guardando i morsi sul collo del lupo e si sentiva colpevole e al
contempo appagato del sangue che ora scorreva sebbene lento nelle sue vene.
L’argento,
per i vampiri, è come una ventilata di vita, rende invincibili alle
tradizionali armi come paletti di frassino nel cuore e acqua benedetta, e gli
unici animali che ne possiedono nelle loro viscere sono gli unicorni e i lupi
mannari.
I primi
sono troppo schivi e veloci persino per le ali di un vampiro, ma assolutamente
meno pericolosi e feroci dei lupi mannari che però possono
essere comodamente abbattuti durante la trasformazione, l’essere né lupo
né uomo non possiede alcuna difesa e quindi, con un paio di buoni morsi è
possibile ucciderlo.
Il fratello
però sembrava esser più forte di quanto Erik avrebbe previsto. Lo avevano morso
sia lui sia Seifer in contemporanea, mentre era sotto
l’effetto dell’overdose che il vampiro biondo gli aveva iniettato sparandogli.
Ma ora che
era crollato finalmente potevano prelevare il prezioso argento e poter
continuar a vivere senza la paura dei forconi, paletti e acqua benedetta...e
finalmente uscire alla luce del sole per un determinato periodo senza diventare
cenere...questi erano i pensieri del vampiro biondo che volava tenendo il lupo
con gli artigli che penetravano pelliccia e carne, non voleva lasciarselo
scappare.
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Sabina
stava stesa sul suo letto a baldacchino color del mare e si crogiolava nel
calore che le coperte donavano...le piaceva da impazzire quel posto.
E
soprattutto quel ragazzo...Seifer, il padrone della casa.
Era molto
cordiale certo, ma le dava una certa scossa dentro che...brrr!...le
metteva i brividi di freddo come un cubetto di ghiaccio nello stomaco.
Ma poi
ripensava a Daniel, a quello che aveva passato per lei e quello che soffriva
ancora per lei, sicuramente tanta gelosia e tanto dolore per le ferite che gli stavano
procurando al cuore...
Stava
pensando così, quando sentì un rumore provenire da fuori, come un verso di
qualche animale...un ululato.
Scese dal
letto e si diresse verso la finestra: da un lato nascosto della casa spuntò
un’enorme ombra nera che corse via verso i prati vasti che circondavano la
villa; dietro di se lasciava una serie di macchie che luccicavano sotto la luce
della luna.
Sembrava un
lupo da quanto poteva vedere e anche piuttosto grosso.
Decise di
andare a controllare se non fosse scappato dallo ‘‘zoo’‘
del padrone così si mise un maglione di lana più pesante sopra il top e infilò
un paio di pantaloni di fustagno scaldati accanto al camino acceso.
Uscì dalla
camera chiudendo piano la porta e scese gli scalini che portavano alla hall della casa.
Sopra di
lei sentì un altro rumore, un ringhio che si espanse per tutta la villa
accompagnata da un forte battito d’ali.
Che notte
strana, doveva assolutamente controllare che stesse succedendo.
Uscì dal
portone e vide due figure volare sopra la casa per poi dirigersi nella stessa
direzione del lupo di poco prima. Sparirono nella luce lunare.
Sabina
prese a camminare verso un’altura dove aveva notato che i due esseri volanti si
erano soffermati, volando in cerchio sopra di essa.
Sulla cima
della collinetta stava un boschetto che movimentava la superficie altrimenti liscia del colle.
I due
grossi volatili ripartirono verso la casa trasportando qualcosa di grosso.
Dovevano aver trovato il lupo che era scappato. Il problema era perché era scappato...e
chi o cosa lo stava riportando indietro?
I due
esseri atterrarono leggiadri nonostante il peso dell’animale sul tetto della
villa alle sue spalle e sparirono.
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Mi svegliai
a stento.
Sentivo la
testa pulsare minacciosamente e credetti di perdere i sensi nuovamente da un
momento all’altro.
Non mi
sentivo più le braccia e le gambe, ero solo un busto indolenzito di un lupo
mannaro.
Aprii
debolmente gli occhi e vidi di essere incatenato ad un macchinario strano, le
cui cinture mi cingevano le gambe per le cosce e le caviglie, gli avambracci, i
polsi e lo stomaco.
Ero finalmente in forma umana, forse la mancanza di sensi mi aveva fatto tornare normale.
Davanti a
me si ergeva Seifer, la sua forma di vampiro mostrata con orgoglio, ed Erik,
anche lui nella forma vampira, ma più indietro, come se non volesse farsi
vedere.
In un moto
di rabbia, mi dibattei dai legami che mi bloccavano e urlai verso Erik, che
alle mie parole si rattristò «TRADITORE! COME HAI POTUTO! SIAMO FRATELLI! »
furono le parole che però mi morirono in gola quando
vidi Seifer scattare verso di lui e trafiggerlo con gli artigli nel petto «hai
ragione, è un traditore...allora, per tutto questo tempo avrebbe potuto tradire
anche me, meglio eliminare le mele marce dal cesto» disse Seifer sorridendo
maligno mentre il ragazzo si afflosciava, finendo a terra in un lago di sangue
nero «bella la vita vero?» mi chiese Seifer, tornando verso di me e leccandosi
gli artigli sporchi di sangue «MALEDETTO!» urlai, anche se sapevo che nulla
avrei potuto fare.
Se Erik
era morto, Sabina dov’era? Era da tanto che non la vedevo...se le fosse successo qualcosa? Non mi sarei perdonato per quanta vita
avrei potuto avere; un secondo o cento anni che fossero.
Seifer mi
lesse quasi il pensiero e rise «la ragazza sta bene, per ora...lo sai che
pregusto già il tuo adorato fluido vitale chiamato volgarmente sangue? Sono
secoli che non n’assaggio una goccia come si deve... »
disse Seifer, avvicinandosi a me e mi tolse una cinghia dal braccio.
Un dolore
lancinante mi colpì e vidi che, attaccato alla cintura, stava un lungo e
cilindrico coltello, affilato come un rasoio, che mi aveva trapassato il
braccio da parte a parte.
Seifer
appoggiò le labbra e bevve il mio sangue, leccando le goccioline che gli
scappavano di tanto in tanto.
Le forze
stavano scemando e mi ritrovai con la testa ciondoloni sul petto, le braccia
allargate in quella morsa che mi trapassava i muscoli, come crocifisso,
mentre Seifer continuava a cibarsi del mio sangue.
All’improvviso
si alzò e mi guardò maligno «vedo che ti stai arrendendo...perfetto» disse e mi
alzò la testa con due artigli posati sotto il mento.
Lo guardai
con gli occhi quasi socchiusi, uno sguardo arrendevole di chi è convinto che gli è stato tolto tutto.
Seifer
s’impossessò delle mie labbra tanto rudemente e fortemente che li per lì mi svegliai da quello stato di trance e cercai di
ribellarmi, ma la mancanza di sangue mi aveva tolto ogni forza e così dovetti
subire un’altra tortura di quel maledetto essere.
Sentire i
suoi denti mordermi le labbra mi faceva venire la nausea e il sapore metallico
del mio stesso sangue mi faceva venire i capogiri.
Seifer mi
graffiò il collo e iniziò a mordere in quel punto, come un segno che tutto era
ancora iniziato.
Ero allo
stremo, non potevo resistere più di tanto tempo in quello stato, e fu una voce
familiare che già una volta mi aveva salvato il culo,
nella cella del carcere.
Sabina era
spuntata da una scala a chiocciola dietro al macchinario e stava appoggiata
all’entrata, mentre guardava tutto il laboratorio del vampiro «SABINA! SCAPPA è UNA TRA...» gridai, ma
Seifer si avventò ancora sulle mie labbra già martoriate per farmi tacere; inoltre,
il rumore elettrico che regnava nel laboratorio non aveva permesso alla ragazza
di sentire le mie parole.
La vidi
riflessa in uno specchio di lato a me avvicinarsi cauta al macchinario per
l’estrazione del sangue.
Al
contempo, sentii Erik rantolare dal suo angolo, morente, mentre cercava di
alzarsi e avvicinarsi a Seifer.
Il vampiro
biondo se n’accorse e si girò, dando un’altra artigliata a mio fratello che
volò parecchi metri più in là, addosso ad un tavolo pieno d’ampolle.
Sabina
sobbalzò all’improvvisa comparsa del ragazzo e si avvicinò veloce a controllare
come stava.
Cinque
profondi tagli interrompevano il suo petto da dove sgorgava lento del sangue
nero come la pece «Sabi...na»
rantolò, alzandosi a stento e tenendosi il petto «vai...via» disse ancora e
Seifer si avvicinò ai due «ma che bella coppietta» disse.
Si scagliò
verso la ragazza, che, però fu riparata da Erik ed entrambi i vampiri caddero a
terra, dandosi pugni e potenti artigliate.
Seifer non
credeva che potesse essere ancora vivo...gli aveva trapassato il petto, aveva
potuto sentire l’aria dall’altra parte del suo corpo che sfiorava gli artigli
bagnati di sangue...e allora come...?
Mio
fratello si staccò dallo scontro è volò verso l’ampio
soffitto e si appese a testa in giù per riprendere fiato «scendi giù» disse
Seifer, tenendosi una ferita, dolorosa, sebbene leggera, al braccio «non avrai
mica paura...vero? » disse ancora, e si voltò verso Sabina, che si era diretta
verso il macchinario dove ero prigioniero e cercando una qualsiasi leva per
liberarmi.
Sentii
Seifer soffiare come un gatto, mentre si alzava in volo verso me e la ragazza,
prontamente attaccato da Erik che gli piombò alle spalle e facendolo sbattere a
terra.
Altri
graffi si formarono su entrambi; Seifer però si liberò dalla stretta che
l’altro vampiro gli pressava attorno al collo e si diresse il più velocemente
possibile verso Sabina, ancora concentrata attorno alla macchina.
Erik lo
inseguì e fu tutto questione di un istante.
...
Seifer
caricò una potente magia che, se fosse stata scaglia contro la ragazza,
l’avrebbe spazzata via.
Erik era a
pochi centimetri dal raggiungerlo, ma bloccarlo non avrebbe
di certo fermato la magia.
Il vampiro
biondo scagliò la magia.
I lampi
violetti quasi accecavano e le scariche elettriche lambivano lo spazio attorno
alla ragazza.
Erik
aumentò bruscamente la velocità tanto da giungere a Sabina appena in tempo per
attutire il colpo della magia.
Il potere
di essa sembrò quasi venir filtrata dal corpo di mio
fratello che ora la teneva stretta a terra, mentre Erik urlava di dolore
sentendo un tremendo calore trapassargli la schiena.
Dopo quello
schianto che illuminò tutta la torre, il buio tornò sovrano e
Erik si accasciò di lato, fumante e senza forze.
Temetti
veramente per la sua vita in quel momento.
Sabina stava bene, non aveva ricevuto alcun danno dalla magia,
anzi, sembrava averne tratto vantaggio.
D’improvviso
le spuntò da dietro la schiena una lunga e sinuosa coda affusolata che
terminava in una leggera punta triangolare, un paio di corna le spuntò tra i
capelli e delle ali strapparono la maglia, facendo intravedere la pelle color
delle ombre.
Gli occhi
si scurirono come quelli di uno squalo e degli artigli affilati presero il posto delle mani.
In quel
momento, non sembrava spaventata dalla trasformazione e non degnò di uno
sguardo né me né Erik, steso a terra.
Si diresse
solo verso il vampiro biondo che cominciò a soffiare inviperito «come hai
fatto, brutta puttana!» urlò Seifer, caricando un’altra magia verso la ragazza.
La magia,
arrivata appena poco prima del corpo di Sabina, si disintegrò, lasciando
nell’aria solo delle leggere e allegre scintille «che cazzo...?»
mormorò seifer, ora spaventato dalla potenza che inconsciamente aveva trasmesso
alla ragazza.
I due
cominciarono a combattere con la seguente perdita di Seifer, che volò su per
tutta la torre, cercando di fuggire alla demone, con
molte profonde ferite e scomparve, senza però mancare uno sguardo glaciale
verso i tre che avevano osato resistergli.
Sabina,
dopo aver seguito non per molto il vampiro, era discesa a terra e aveva
grattato gli artigli su un muro per affilarli di più «S...Sa...bin...a...» sussurrai appena con la lingua impastata del mio stesso
sangue che quel dannato vampiro mi aveva fatto assaggiare «come osi rivolgerti
a me in quel modo, stupido animale...» Mi disse la ragazza che amavo, con voce
dura e tagliente «m.....ma...?» dissi ancora in un
filo di voce e ricevetti una profonda unghiata che mi fece sputare sangue e che
mi scavò il viso come la mia vecchia cicatrice aveva fatto una volta «TACI! Chi
ti ha chiesto di parlare? » disse la demone
incrociando le braccia sul petto e guardandomi con quegli occhi neri come il
carbone «Sa....by....ti...preg...o....non...mi...rico...nos...ci?
» dissi a stento, mentre il dolore alla mandibola si faceva sempre più grande e
il silenzio di lei mi parlò «S....a....by.....? »
dissi ancora e non mi accorsi che delle lacrime si mischiarono al sangue che mi
colava sul petto «Sa...b...y...ti....pr...ego....!.....n-non....pu...oi....dim...ent....ic...re..»
annaspai e ricevetti un’altra artigliata...e
ancora...e ancora...sul petto, sulle braccia, sulle gambe, ovunque il suo
sguardo capitasse lei colpiva «se quel vampiro ti ha ridotto così dev’esserci un motivo» disse e mi prese rudemente il viso tra
due artigli, stano attenta però a non graffiarmi «che hai di così importante,
eh? » mi domandò, ma io non risposi, appoggiai solo il volto contro il palmo
aperto della sua mano e chiusi gli occhi.
Una luce
strana avvolse la ragazza, mentre si allontanava stupita: stava tornando umana.
Una volta finito l’incantesimo, la ragazza si guardò in giro spaesata, ma appena vide
me, lanciò un piccolo urlo e si diresse verso di me con sguardo spaventato.
Forse,
vedermi legato ad un macchinario per estrarre sangue come se mi avessero appeso
ad una croce e grondante di sangue, era una vista abbastanza scioccante.
Mi
accarezzò una guancia e vide il sangue ricadere sulla sua mano già sporca.
Un
improvviso rumore di vapore interruppe i pensieri della ragazza e vide Erik accanto
ad una leva nascosta dietro una miriade di tubi.
Caddi a
terra, sentendo la forza di gravità attirarmi verso il pavimento e il mio
sangue argentato si sparse su di esso.
...
Sabina era
pietrificata sul posto, mentre Erik cercava di rimanere in piedi appoggiandosi
alla leva e alla parete vicino a lui «D-Daniel...? » mormorò Sabina,
avvicinandosi al ragazzo lentamente «Daniel? » disse più sicura allungando una
mano verso il bandito «DANIEL! » urlò la ragazza e si gettò sul ragazzo
afferrandolo per le spalle «DANIEL! DANIEL RISPONDI! DANNAZIONE APRI GLI OCCHI! » urlò ancora scrollando le spalle del
bandito che alzò appena il capo, per poi abbandonarlo contro la fredda pietra
del pavimento «Ti...prego...non url...are....» mugugnò, aprendo debolmente gli occhi per guardare la
ragazza; con gli occhi appannati poteva ancora vedere la parte demoniaca di
Sabina «MALEDIZIONE A TE!...ho avuto paura che fossi
morto...un’altra volta» disse piano Sabina, abbracciando il bandito senza forze
per rispondere «scu....sa....» rispose, alzando una
mano per posarla sulla schiena curva della ragazza «ero...un...po’...sta...nco....»
disse ancora, stringendo appena la presa sulla schiena
di Sabina «D-Dan? » balbettò Erik dal suo angolo «mi...dispiace...di...averti....coin...volto....» rantolò
Daniel, girando la testa appena verso la direzione del fratello «come ti senti?
Cioè...non ti senti un tantino...strano? » chiese il
ragazzo più giovane osservando le profonde ferite che il
bandito aveva nelle braccia e nelle gambe, nei polsi, nelle caviglie e
nell’addome «no...solo...u..n...formicolio...» rispose Daniel, cercando di alzarsi ma senza successo,
ricadendo tra le braccia della ragazza che lo teneva «oh, mio Dio! Daniel! »
urlò improvvisamente, quando vide la luce della luna picchiare contro i fori
che la ragazza non aveva ancora visto «Ti pre...go....Saby...allontanati....» supplicò
all’improvviso Daniel, mentre sentiva la trasformazione farsi strada attraverso
le sue viscere.
Sabina non
gli diede retta, anzi, si strinse ancora di più al suo petto sentendo il sangue
bagnare il suo petto; il fitto e ispido pelo nero cominciò
a crescere per ricoprire tutto il ragazzo, un muso lupino prese il posto del
viso e delle piccole e puntute orecchie spuntarono sulla sua testa.
Al
contempo, file d’affilatissimi denti crescevano nelle fauci del lupo mannaro
che stava cercando di arrivare alla finestra trascinandosi come meglio poteva e
poter completare la trasformazione «Sabina...» disse con voce roca il mezzo lupo, guardando la ragazza «ti...prego...allontanati!»
continuò e si alzò faticosamente in piedi, mentre dai polpacci zampillò altro
sangue.
Erik si
lanciò fulmineo verso il fratello e lo bloccò a terra impedendogli di arrivare
alla bramata luce della luna «ERIK! LASCIAMI» ululò il mezzo
lupo e cercò di alzarsi ricevendo un potente graffio da parte del vampiro «nemmeno
per sogno fratello, devi ritornare normale almeno tu» disse Erik che
schiacciò giù il lupo mannaro sul pavimento macchiato di sangue.
Sabina
diede una mano a Erik e prese il muso di Daniel tra le
mani facendosi guardare dagli occhi blu del lupo...i pensieri di Sabina
vagarono indietro nel tempo.
Tanta
sofferenza in quegli occhi color degli abissi l’aveva vista
solo quando, nella cella del carcere, l’aveva rifiutata, anche se quel
sentimento era nascosto sotto tanto orgoglio.
Daniel si
stava dibattendo disperatamente e ringhiava, ululava, guaiva (insomma stavo
soffrendo come un cane NdDan T_T) in un altrettanto
disperato tentativo di raggiungere la luce lunare che ora stava lentamente svanendo mentre la luna calava oltre le colline per lasciare
il posto al sole suo fratello «ERIK!...Ti...prego...lasciami...LASCIAMI»
urlò ancora Daniel abbandonandosi però contro il freddo pavimento, ormai privo
di forza.
Sentiva il
corpo diventare sempre più pesante e senza energie, sentiva il sordo dolore
diventare simile a mille punte di mille coltelli
affilati come rasoi in tutto il corpo «Sa....BY........»
disse in un ultimo tentativo, poi, si lasciò cadere a
terra, steso su un fianco.
Il pelo,
col calar della luna iniziò a scomparire sotto la pelle, la folta chioma nera
ricomparve sommergendo le orecchie canine e il viso ritornò quello che Sabina
adorava guardare.
Il sangue
ritornò rosso, mischiandosi in giravolte e disegni astratti a quello argentato
nelle pozze sul pavimento.
........................................................................................................................
Vagavo
ancora una volta nel buio, vi confesserò, stavo iniziando a stufarmi.
Le mie orme
erano color del sangue e spiccavano come se fossero fuoco...fuoco
che ancora una volta mi aveva bruciato le ossa.
La mia
forma di lupo era sparita, in confronto ero sicuramente
messo male...
Le gambe mi
tremavano per le profondissime ferite ai polpacci e alle caviglie e mi
tremavano vergognosamente.
Camminavo
curvo a causa del forte dolore alla schiena che sentivo, come un mattone sui
polmoni, e per la pesantezza che le braccia ferite mi provocavano.
Gocciolavo
sangue da ogni parte e ancora adesso potevo sentire distintamente il sapore
metallico del liquido che mi aveva fatto assaggiare il vampiro in quel bacio
disgustoso...lo sapevo che era un buliccione...BLEAH!
Ma ormai
sono qui.
Ho perso la
mia Sabina per colpa di quello stronzo e del suo maledettissimo incantesimo.
NON ERA Più
LEI ACCIDENTI!...sento le sue ferite bruciare più di
qualsiasi altra e da quelle non esce sangue ma solo dolore.
Il mio
cuore ormai è a pezzi e mi manca la colla...non potrò più vederla...sono
piombato nel buio quando sono stato liberato dalla
macchina...non mi ricordo nemmeno più chi ha avuto tanto cuore...da liberare il
sacco vuoto che sono diventato.
Laggiù c’è
qualcosa...un vicolo...che sia uscito da questo buio?
...Sabina...Erik...siete
tutti e due vivi? Dov’eravate
finiti? Sabina amore che cosa hai da piangere? Sono qui e sto bene! Guarda, sto bene! Saby?...Hey ma
che c’è da....
E vidi
uno scenario tanto strano quanto macabro.
C’ero io,
pochi metri dietro di me, attaccato da delle guardie armate fino ai denti.
L’altro me ricevette un forte calcio nello stomaco che lo fece
crollare addosso ad una parete già macchiata di sangue.
Il mio
sosia iniziò ad urlare ai due di scappare, che si sarebbero rivisti al Quartier
Generale, che sarebbe tornato intero, e mentre diceva tutto ciò una lancia acuminata
gli trafiggeva il ventre e Sabina crollò in ginocchio moltiplicando le lacrime «SABINA!
CORRI! CORRETE! » continuava a dire il mio sosia e intanto un’altra lancia
seguì la prima, strappando il ragazzo urla di dolore.
Crollò dopo
aver ucciso altre cinque guardie, con il ventre squarciato e ancora le punte
delle lance conficcate nella ferita.
Sabina
corse verso il mio sosia ignorando le altre guardie che ora bramavano di
colpirla con dei pesanti spadoni ricurvi «No! Saby ferma! » urlammo io e il
sosia di mio fratello all’unisono e mi lanciai nella stessa direzione della
ragazza, deciso a levarla da quella brutta situazione.
Il sosia di Erik era poco dietro di me ma venne ucciso nella corsa da
due guardie che gli conficcarono le due sciabole in pieno petto.
Nel cadere,
Erik si era fatto scappare dalla mano un rotolo di pergamena che le due guardie
avevano raccolto, ridendo di gusto.
Non sapevo
che fare.
Sottrarre
il rotolo alle guardie o salvare la ragazza che amavo? Ovviamente preferii la
seconda.
«SABINA! »
urlai, ma era troppo tardi.
La ragazza
si era gettata sul corpo del mio sosia e aveva estratto la lancia più lunga e iniziò a combattere, la vista offuscata dalle lacrime e
dalla rabbia.
Li uccise
tutti ottenendo dallo scontro solo pochi graffi ma tanto dolore.
«Saby...sono qui...non mi vedi? » dissi sommessamente, scavalcando i
cadaveri che intralciavano il mio passaggio ‘‘Dan...perchè non sei scappato...perchè ti sacrifichi sempre per noi? Perché...perchè amore mio, perché!’‘
aveva detto Sabina, stringendo a sé il corpo del ragazzo bagnando di lacrime
l’incavo del collo del mio sosia «Saby...perchè io ti amo
ecco perché...>» ‘‘non dovevi...mi hai lasciata sola adesso...e come farò io senza di te?
Non puoi...non puoi lasciarmi così....non senza aver
combattuto...tu non ti arrendi mai...NON TI ARRENDI MAI!.........ti prego...’‘.
Il silenzio
ora regnava sovrano, solo il rumore delle lacrime di Sabina
interrompeva quest’assenza di rumori.
Mi
avvicinai piano alla ragazza e m’inginocchiai vicino a lei «Saby...io non mi sono arreso...sono qui girati» dissi disperato, ma la
ragazza continuava ad abbracciare il cadavere del mio sosia.
Mi
avvicinai e abbracciai Sabina per le spalle, stringendola a me; il mio corpo
cambiò colore e le mie braccia attraversarono il corpo
della ragazza.
Un lampo e
mi ritrovai al posto del mio sosia steso a terra.
Cercai di
muovermi, ma mi sembrava di avere le mani e i piedi legati «Saby...» rantolai e la ragazza si tirò su; aveva gli occhi gonfi e
arrossati dal pianto «Saby......non piangere....ti
prego...mi fai...diventare triste» continuai e la ragazza triplicò le lacrime,
stringendomi ancora di più a sé.
Dopo tanto
poter sentire il calore del suo corpo contro il mio rilassava i muscoli tesi
dal dolore ‘‘STUPIDO!...stupido...mi
hai fatta preoccupare!...stupido...stupido...’‘ «io....ti ritorno...ancora in....vita e
tu...mi dai....dello...stupido?!.....grazie...amore....» ‘‘ho avuto tanta paura...tutto il sangue...non
respiravi....e...e...Daniel!’‘
Non
riuscivo a stare sveglio...le palpebre si chiudevano
da sole e i muscoli diventavano deboli ‘‘DANIEL!
NO DANIEL! TI PREGO!’‘ sentii urlare Sabina, sempre più lontana...Daniel....Daniel....svegliati Daniel!....Ti prego....apri gli
occhi!.....niel!....................
Trovai la
forza per aprire gli occhi e vidi solo blu.
Il colore
era ovunque e quegli oggetti di differente colore erano sfocati a tal punto da
non riconoscerli......Daniel......Daniel!......svegliati
Daniel!....Ti scongiuro....apri i tuoi splendidi occhi....Daniel!
La voce era
più vicina di quanto pensassi.
Girai la
testa abbandonandola sul cuscino dov’era posata e vidi il viso sfocato di
Sabina, che mi chiamava....mi chiamava....mi
chiamava.....«Stronzo! Mi hai fatto preoccupare! Sei un bastardo, figlio di
puttana, fottutissimo pezzo di merda!» aveva detto tutta la bellissima e
colorita sfilza d’insulti stringendomi il petto e facendomi affondare nel
materasso del letto a baldacchino.
Sentii le
sue lacrime bagnarmi il petto nudo poiché la maglietta
era stata buttata in un angolo tutta a brandelli...e così per i pantaloni....ero
in slip! O//////O...«S...Saby....che.......succede?.....»
domandai non poco confuso e lei mi stinse se possibile
ancora di più «stavo per perderti...ancora» disse sommessamente «c-cosa......? n-non.....mi....ricordo» annaspai e vidi Erik avvicinarsi.
Le ali
aperte e i canini scoperti grondanti di sangue mi spaventarono a tal punto da
farmi scattare indietro nel letto «Dan....io...» cercò di scusarsi.
Lo
avvertivo, era profondamente mortificato per quello che era accaduto «non....fa....niente....basta.....che mi...fai
una....trasfusione....ne ho estremo........bisogno» rantolai, dopodichè caddi
in un profondo sonno senza sogni, sul petto il lieve calore della mano di
Sabina che riusciva a scaldarmi il cuore anche nelle giornate del più freddo
inverno.
........
Potevo sentire il lento respirare di mio fratello addormentato sul
letto...potevo
vedere Sabina addormentata accanto a Daniel appoggiando la testa sul suo petto.
E io
passeggiavo avanti e indietro sul soffitto. Le ali sottili richiuse sulla
schiena e lo sguardo perso nel nulla...lo avevo
sentito mugugnare qualcosa nel sonno per poi posare una mano sulla testa di
Sabina, accarezzandola lentamente «non ti va...il sangue alla...testa? » mi
domandò in un filo di voce senza spostarsi di un millimetro...doveva proprio
essere a pezzi. Risi. «sono un vampiro, mi fa solo
bene il sangue al cervello» dissi scendendo con una capriola e atterrando con
un lieve fruscio «tu invece, che effetto fa essere un canino? » dissi ridendo ancora ma smisi vedendo lo sguardo triste di mio fratello «doloroso...>»
mi disse spostando appena la testa «come fai a...prender...la con...tutta
quella...calma? » mi chiese, senza guardarmi e smettendo di accarezzare la
ragazza che nel sonno fece un leggero gemito di dissenso.
Non riuscii a rispondere...potevo solo vedere le immagini di
Daniel ferito, ucciso e quant’altro.
Povero
Cristo, qualunque cosa faceva rischiava la pelle...e la maggior parte delle
volte per me.
La
cicatrice l’aveva per colpa mia, durante la fuga dal carcere mi aveva dato i
pugnali per scendere il muro, mentre lui aveva rischiato di spiattellarsi a
terra, ero io il più vicino a Sabina quando Contan
aveva tirato il coltello e ora lo avevo pure tradito per quel Seifer. Mi
meritavo un trattamento alla stregua di uno schiavo e perché allora
quell’imbecille continuava sempre a perdonarmi? «perché
ti ostini a perdonarmi? Ti ho in pratica ucciso giù
nelle cantine! E quando sei caduto dal carcere è stato
per colpa mia! E ogni donna della città ti verrebbe dietro se non fosse per
quella cicatrice, se non avessi tanto...» dissi cominciando a camminare avanti e indietro
gesticolando, ma mio fratello mi bloccò con un gesto della mano «ma sono ancora
vivo. Non mi interessa quante donne potevo avere senza
cicatrice, se ero senza una famiglia...e poi, una ragazza l’ho trovata e ne
vale mille di quelle là fuori. E grazie a te è ancora viva; cosa credi che non
abbia visto come tu l’abbia difesa in quel...posto...e
come eri dannatamente risentito di quello che avevi fatto? Quindi smettila che
mi stai facendo venire il mal di mare» mi disse,
stringendo di più Sabina verso di lui mentre ricordava il suono straziante ma
sordo di Erik che veniva ucciso nel sogno che aveva fatto prima di
addormentarsi.
Gli sorrisi
ringraziandolo di quella magnanimità che aveva sempre nei miei confronti.
All’improvviso
però lo vidi sbiancare, mentre riposava la testa sul cuscino e si posava una
mano stanca sugli occhi «che succede? Dan...? » chiesi avvicinandomi «Dan!»
urlai ancora svegliando Sabina di soprassalto, non si era accorta della
freddezza e della rigidità nel corpo di mio fratello...come faceva a non
accorgersene? «Erik...che hai da urlare...lo sveglierai» mi ammonì e diede un
leggero bacio sulle labbra di Daniel che si mosse nel sonno...il colorito della
sua pelle era tornato normale...che era successo? «ma...ma...»
«oh niente ma! Sarai un vampiro, ma hai bisogno di
dormire e sarà dall’altro giorno che non ti dai pace quindi ora avanti, trovati
una bara e fatti un sonnellino» mi disse scherzosamente Sabina prima di
ritornare abbracciata a Daniel che la strinse leggermente nel profondo sonno,
voltando la testa e poggiandola sul cuscino. Una ciocca di lisci capelli
corvini come i miei scivolò davanti agli occhi chiusi
e sereni.
Oddio stavo diventando pazzo...non gli avevo parlato fino a quel
momento?
Le parole
di coraggio che mi aveva detto Daniel me le ero
immaginate? Ma sembrava tutto così reale...annuii alla
ragazza e mi voltai verso l’altro letto che troneggiava nella stanza e mi ci
buttai stancamente a pancia in giù sbuffando sonoramente.
Sentire la
soffice superficie del materasso contro la pelle fredda anche attraverso i
vestiti mi fece correre un brivido lungo la schiena,
seguito da una profonda sonnolenza che mi colpì alla testa come un martellone
stile cartone animato che mi fece crollare nel mondo dei sogni.
.......
Accidenti...accidenti...ACCIDENTI!
Maledizione
a quel dannato vampiro traditore, e io ancora gli ho permesso di vivere...ma lo pagherà caro questo tradimento...e quella
ragazza va eliminata, prima che scopra quel demone che c’è in lei.
Del lupo
non mi preoccupo più di tanto...devo solo tener
lontano i suoi denti dal mio collo...io naturalmente devo fare il
contrario...ahahah...maledetti, la pagherete.
Mi avete
costretto a rintanarmi in questo sudicio buco nella mia torre più alta, come se
pregaste il vostro dio di portarmi via...ebbene no, sono ancora qui e non me n’andrò
finché...AHI! accidenti a queste ferite, fanno un male
porco.
Ma anche
queste sono nel conto miei cari.
Ah, ecco il
sole, tra poco è l’alba e allora sì che ci sarà da ridere...per me...ahahahah!
Muori stupido dannato vampirello da quattro soldi...che tu possa
non raggiungere nostro Padre Satana...ti auguro un buon purgatorio.
Intanto, mentre
tu e la demone sarete agonizzanti sotto i brucianti
raggi io potrò finalmente impossessarmi di quel dannato argento, sono
maledettissimamente a corto di sangue dopo le ferite che quella troia mi ha
inferto...ma mi rifarò.
.......
Credevo che
la testa mi esplodesse.
Quando
aprii gli occhi rividi la mia dolce cuccioletta addormentata accanto a me, un
suo braccio appoggiato sul mio petto e la testa dalla mia spalla.
Sorrisi
dolcemente, le diedi un leggero bacio a fior di labbra e mi alzai piano per non
svegliarla.
Nel letto
accanto al nostro dormiva Erik, un braccio ciondoloni fuori del materasso che
sfiorava il pavimento e la faccia quasi immersa completamente nel cuscino.
Guardai
dalla finestra e vidi un’alba appena accennata far capolino...cosa molto controproducente
per mio fratello. Mi alzai a fatica e mi diressi verso la finestra per chiudere
le tende...più il sole saliva più mi sentivo debole, come se mi fosse tolta
l’aria poco alla volta.
Un grido venne dall’alto e dalla torre più alta della villa vidi
un’ombra nascondersi dietro i muri del campanile, graffiando la campana, per
poi sparire giù, immergendosi ancora una volta nelle viscere della casa.
Maledetto...era
ancora....vivo.....
Mi sentii
male...forse era meglio sedersi...ma....non c’erano sedie
e il letto era leggermente lontano....forse troppo per poterlo raggiungere.
Chiusi gli
occhi per ricacciare giù la nausea che mi serrava la bocca dello stomaco e il
cuore d’argento iniziò a martellare più forte il
petto.
Quella
sensazione passò lentamente, mentre il sole faceva capolino...mi sbrigai a
chiudere bene le tende e le persiane, cercando di creare il profondo buio
vitale a mio fratello combinato così in questo modo...non mi accorsi del
fruscio che venne dal corridoio dietro la porta chiusa a chiave...per
fortuna...o forse no?
Il sibilo
si fece più forte, come una spada che fendeva l’aria.
Mi girai
verso la porta e la nausea ritornò con quasi il doppio della sua potenza...un conato mi minacciò ma rimandai giù tutto a
forza: minuscole goccioline di sangue stavano uscendo dalla porta come se ne
fosse stata impregnata e se ne stesse liberando.
Le piccole
e innumerevoli striscioline che esse lasciavano sulla porta dipinta di candido raggiungevano il pavimento e lì formavano lentamente
una larga pozza. Un grido lacerante. Mi girai e vidi le tende del letto di Erik fatte a brandelli sanguinanti e mio fratello con una
sottile ma affilata spada conficcata nella schiena.
I suoi
occhi tanto simili ai miei erano diventati opachi e due
lacrime di sangue avevano scavato il viso cereo come una statua di
marmo.
Il letto si
stava inzuppando di sangue fino a traboccarne. Un altro
fruscio, più forte e più vicino. Mi voltai ancora, con gli occhi che ne avevano abbastanza di quella visione e vidi un’ombra
stamparsi sulla parete davanti a me. Un altro grido. Mi girai di scatto, con il
cuore che stava già spezzandosi in infiniti pezzi
piccoli come atomi solo a capire di chi fosse quel grido. Sabina. I capelli
castani sparsi sul cuscino dove riposava, come raggi
di un sole...spento...gli occhi aperti e fissi al soffitto...vuoti...la gola
tagliata da una linea...netta, irrimediabilmente netta e da cui sgorgava il
liquido color rubino che aveva fin troppo intriso il mio passato e i miei
sogni. Alle mie spalle sentii un sibilo...un soffio felino e una rabbia pesante
dentro di me «credi che tutto questo non accadrà prima o poi?
» disse Seifer dietro di me «non t’illudere lupo...e quelli a finirli sarò io,
ti lascio un posto in prima fila» mi disse ancora, e
d’un tratto i corpi dei due scomparirono nel buio che ora mi circondava.
Sentire i
polmoni non bisognosi di vitale aria del vampiro contro la mia schiena mentre
cercava di trarmi in inganno e mordermi il collo mi fece ribollire di
rabbia...ma «che ne sa un essere senza nemmeno un cuore come te? » dissi piano,
mentre l’ira mi faceva bollire il sangue «anche io ho sofferto...come tu hai
sofferto in passato, ma ci fai l’abitudine vero? » «io...>»
cercai di dire, ma quella voce accusatoria mi penetrava nel cervello,
annullando ogni tua difesa «si...tu ci hai fatto l’abitudine e la pratica è una
cosa bella lo so io e lo sai tu.
Il dolore è
una cosa passeggera Daniel, succede un momento, ma poi passa, indebolito dallo
scorrere del tempo» mi disse allungando le braccia e stringendomi le spalle in
un abbraccio per raggiungere la mia giugulare... «credi che il dolore passi
veramente? Allora... » iniziai, stringendo i pugni dalla collera che stavo
trattenendo e facendo diventare le nocche bianche come dei pezzi di gesso «si Dan...il dolore passa» mi affermò ed estroflesse i
canini, pronto a mordermi «...mi perdonerai per questo» sussurrai quasi in un
respiro, e mi girai di scatto.
Anche
senza l’ausilio della luce lunare, mi trasformai di botto in lupo, i denti
candidi vogliosi di sangue.
Morsi il vampiro alla gola, gettandolo a terra e sentendo il freddo
sangue zampillare nella mia bocca e scorrere lungo la gola.
Seifer,
sorpreso, soffiò come un gatto e tirò fuori gli artigli per conficcarmeli nel
petto fino a raggiungere l’altra parte, ma non mi accorsi di nulla «muori
Seifer...perchè nemmeno il Diavolo ti ha voluto per sé» dissi ringhiando contro
la ferita aperta del vampiro che piano piano si stava indebolendo contro le mie zanne.
Un gemito e
si afflosciò a terra, mentre gli artigli si sfilavano impotenti dal mio petto.
Però non
scomparì...tutt’altro! Cominciò a trasformarsi: i canini ritornarono normali,
le ali sparirono dalla sua schiena come soffiate via dal vento e gli occhi
ritornarono gli smeraldi che avevano osato corteggiare Sabina...in mia presenza
per giunta.
Seifer
chiuse gli occhi e mi ritrovai nella camera dove mi ero risvegliato e sotto di
me Seifer rimase immobile, la pelle ritornata rosea.
La ferita
al collo era sparita «m-ma...che...?
» balbettò quest’ultimo svegliandosi colpito appena da un debole raggio di sole
che era sfuggito alle tende della finestra «...sono...tornato......sono
tornato umano! » urlò all’improvviso guardandosi i palmi delle mani con uno
sguardo sorpreso.
Poi alzò lo
sguardo e incontrò la mia faccia, anche io ero tornato umano, con cinque
profondi buchi al centro del petto nudo «mio...dio» disse Seifer allontanandosi
da me, guardando prima la ferita e poi le sue mani «non...non
credevo di...mi dispiace» mi disse ma non feci molto caso alla ferita, continuai
solo a guardare il ragazzo con la testa leggermente inclinata di lato.
Sentii un
grido e i capelli mi si rizzarono in testa. Mi girai e vidi
Sabina fissarmi i fori che avevo anche nella schiena «Saby...Saby
non è niente, è solo un graffio» cercai di tranquillizzarla, ma lei mi buttò le
braccia al collo e cominciò a baciarmi mentre io cadevo sulla schiena un po’
sorpreso da questo attacco vero e proprio.
Erik
dormiva ancora nel letto, nella stessa posizione di come l’avevo visto prima
dell’attacco di Seifer.
«guarda
come dorme quello lì» le sussurrai piano all’orecchio e la ragazza rise appena,
appoggiando la testa sulla mia spalla.
Seifer, con
un ultimo sprazzo di magia liberò Sabina dalla sua parte demoniaca (scatenando
un po’ di tristezza nella ragazza che si divertiva un mondo con quei poteri) ed
Erik da quella vampira durante il sonno (facendo
ridere tutti i presenti quando cercò di camminare sul muro cadendo con il
sedere convinto ancora di avere i poteri).Per me purtroppo non si potè fare
molto a parte affibbiarmi delle pillole d’argento e acqua che avrebbero col
tempo ‘‘diluito’‘ diciamo il mio comportamento da lupo
(ma intanto nel frattempo mi mandavano a prendere il giornale eh!?).
Io, Sabina ed Erik rimanemmo a casa di Seifer, visto che non avevamo un
posto dove andare e credevano morto e defunto il famigerato bandito Daniel
McBrie. Ne sono certo, non farò più gite né al mare tantomeno ai
castelli medioevali per moooooooolto tempo.
Finalmente
ho degli amici e una ragazza che mi ama e potrò lasciar correre di tanto in
tanto l’orgoglio che mi rende tanto pomposo (anche se
una certa persona lo trova ‘‘inebriante’‘...bha!)
e diventerò un po’ più tenero...forse mi passerà...HO DETTO FORSE EH?!...mi
passerà per la testa di metter su famiglia...con l’assenso della mia dolce metà
di cui ho chiesto la mano proprio poco dopo il fatto dei vampiri, lupi e robe
varie ovviamente...con il rischio d’affogamento in un mare di baci.
La vita
mi sorprende.
mi prenderà in giro
Oppure mi ucciderà a volte
Ma Lei sa come farsi perdonare
Donandoti il più dolce
dei suoi sorrisi
E stringendoti fra
braccia paragonabili a marmo
Guardandoti con quegli
occhi color dell’ambra più pregiata
E, dopo tutto questo, ti chiederà: Sei soddisfatto della tua vita?
E allora io
risponderò: Sì Sabina, sono soddisfatto, solo non mi lasciare mai
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