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Autore: Aishwarya    30/04/2011    3 recensioni
[INCOMPIUTA]
Per quanto il vento possa soffiare impetuoso, un fiore resta sempre in piedi, fiero e forte, flettendosi e non opponendosi ad esso.
A volte, nel lungo corso dell'esistenza, perde i petali più deboli della sua corolla o qualche foglia secca del suo lungo stelo,
ma mai si lascia andare. Sembra quasi vivere per rallegrare ogni essere che abbia l'opportunità di ammirare i suoi splendidi colori.
La vita è una sfida diversa per ognuno, ma allo stesso modo complessa e ingannevole per tutti.
Dovremmo affrontarla come se, anche noi, fossimo fiori al vento.
Anche per questo la natura è meravigliosa: in silenzio, riesce a darci più risposte di quante riusciamo a percepirne.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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PREFAZIONE





21 Settembre 2015

Giorno 365
Scesi dall’auto in preda all’ansia. Oggi come allora, il cielo sembrava piangere assieme a me,  e incupirsi ad ogni mio singhiozzo. Persino il vento, così libero  e distaccato che soffia inesorabilmente e spazza polvere su polvere, senza quasi preoccuparsi di chi fosse realmente stata quella polvere un tempo,  sembrava sbuffare ad ogni mio sospiro.
Il vento sbuffò più forte. Scesi dall’auto come se non sentissi affatto i miei movimenti, senza pensarci più di tanto. Lasciai che fosse qualcos’altro a decidere per me, a decidere dove dovessi andare. Mi lasciai guidare dai ricordi, senza forzarli troppo. Una dose eccessiva di consapevolezza per la cosa che stavo facendo, mi avrebbe di sicuro fatta voltare indietro, e fatta tornare a casa mia, dove avevo passato fin troppo tempo, per permettere ancora una volta a quelle pareti e a quelle persone di avere la meglio sulla mia anima debole e sul mio cuore ferito. Mi chiusi la portiera alle spalle, senza preoccuparmi di incastrare e strappare il vestito.
 Le foglie e l’immenso prato verde, con l’erba dolce non ancora morta per il freddo invernale, mi accarezzavano i piedi nudi e sporcavano di verde e rosso l’abito di seta bianco e perfetto che indossavo con tutta la grazia che mi avevano insegnato ad avere. “Sorridi”, mi avevano sussurrato. “Tira su il mento”, mi avevano detto. Ma l’unica cosa che il mio cuore vuoto aveva voglia di fare, era sotterrarsi e non tornare, smettere di ascoltare quell’infinito coro di voci che gli si creavano intorno. Voci accusatorie e insensibili, che non lo capivano. Lo sentivo battere più forte ad ogni passo, ad ogni centimetro che mi separava dalla meta che probabilmente avrei dovuto decidere di raggiungere molto prima. Non mi preoccupavo nemmeno di evitare i sassolini e i legnetti che mi sfregiavano le piante dei piedi.
Ma non m’importava. Quanto avrei potuto ferirmi, più di quanto non lo fossi già? Cosa ci sarebbe stato ancora da straziare, se il mio cuore era già a pezzi? Niente! Ed era proprio il niente, che io sentivo. Non provavo nulla, né amore né odio. Né tristezza né felicità. Era come se avessi messo in pausa il mio cervello, come se gli avessi vietato di provare ogni genere di sensazione che non fosse lui.
 Lui. Ecco a cosa non dovevo pensare. Ed era esattamente ciò a cui andavo incontro. Mi fermai di botto. Chiusi gli occhi e mi strinsi le braccia attorno allo stomaco. Il mondo cessò per un attimo, come me, di respirare. Un groppo mi si formò in gola, e qualcosa di pesante mi pressava il petto. Ecco, era quel briciolo in più di consapevolezza. Mi sentivo divisa in due, avrei voluto fuggire, ma non potevo farlo. Ero legata a quel posto a doppio filo, come un patto di sangue o un incantesimo di stregoneria. Sembrava quasi che fossi attratta dalla sofferenza. Proprio adesso che avevo smesso di vivere, che ero insensibile e serena,ero spenta ma almeno non sentivo dolore. Proprio adesso, mi ero risvegliata e mi sentivo sopraffatta da ogni emozione che avevo tentato di accantonare in questi infiniti trecentosessantacinque giorni. Lasciai cadere le braccia sui fianchi, utilizzando quello che mi restava del controllo di me stessa per non cadere sul prato, e mi appoggiai pesantemente di spalle sul tronco che avevo affianco e che assieme a tutti gli altri , creava l’illusione di quel sentiero che stavo percorrendo. Riaprii gli occhi, respirai forte riempiendo i polmoni d’aria e una fitta mi straziò il petto. Ansimante poggiai la mano sotto il seno, mentre con l’altra mi spingevo avanti tra i rami dei grossi alberi legnosi che mi circondavano. Dovevo andare avanti, dovevo sapere com’era.
I ricordi mi procuravano vertigini. Nella mia testa si affollavano immagini e turbinii di voci, come se fossero le acque di un fiume in piena che scorrono veloci. Sentivo che prima o poi avrebbero straripato. Camminai senza sosta, in preda a tremori, non curandomi dello strascico e del tulle. Non appena mi resi conto di essere ormai quasi arrivata, corsi più forte, non sentendomi per nulla impedita dalle stoffe bianche che ornavano il mio roseo corpo. Attorno a me era tutto confuso. Riuscivo a vedere solo un vortice di colori. C’erano molto verde e marrone, il grigio del cielo e.. del marmo.
Ero arrivata. Lui era .
Mi fermai di botto. Strinsi i pugni forte, quasi conficcandomi le unghie nel palmo delle mani. Come se un qualunque dolore potesse cancellare quel dolore! Sentivo i polmoni bruciare, e la gola infuocarsi al contatto con l’aria fredda che inspiravo più intensamente, come se le pareti fossero realmente state arse un attimo prima. Mi girai, attenta a non muovermi troppo. Sentivo che se fossi caduta a quel punto, non mi sarei rialzata. Mi guardai attentamente attorno e lo trovai. Sorrisi, come mi avevano sussurrato. Tirai su il mento, come mi avevano detto. Ma il mio sorridere non era di felicità, ne di sollievo. Sorridevo come sorridono gli eroi dei film quando sanno a quale terribile destino vanno incontro, ma non provano alcun rimorso, alcun dolore, alcuna paura. Strinsi di più a me i pugni ancora serrati, e feci la mia sfilata. I capelli lunghi e bagnati color cioccolato creavano una cornice perfetta per il mio viso, e quel sorriso sarcastico mi dava un aria maledetta che mi faceva sembrare chissà quale anima crudele bramante di sangue.
Le punte dei miei piedi sfiorarono una lastra di marmo grigio e bagnato per la pioggia, che era cessata da poco, e mi fermai. Da allora non fui più padrona delle mie azioni.
Il sorriso si spense. I pugni si aprirono e le mie ginocchia cedettero. L’espressione fredda si tramutò in un’espressione straziata. Poggiai le mani sul marmo freddo. Lo accarezzai con gli occhi sbarrati e pieni di lacrime, come se stessi coccolando un gatto,  e mi lasciai cadere distesa. Piansi e tremai senza riuscire a fermarmi. Poggiai la guancia su quella superficie e lasciai che le lacrime si unissero alle gocce di pioggia. Il mio urlo spezzò il silenzio. 

   
 
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