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Autore: _Pulse_    30/04/2011    1 recensioni
Una volta usciti dall’acqua, ancora placcata da i due Jonas, il terzo si avvicinò e passò due asciugamani ai fratelli.
«Tante grazie!», gridai, fuori di me.
«Non iniziare a lagnarti! Vieni qui con me!», gridò il più piccolo, attirandomi a sé e avvolgendomi nel suo asciugamano con lui. Rimasi piacevolmente sorpresa da quel gesto e mi arresi al fatto che ormai non mi restava altro da fare che seguirli e scoprire che cosa volevano da me.
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Kevin Jonas, Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 15

 

Aprii lentamente gli occhi e dovetti sforzarli parecchio prima che riuscissi a mettere bene a fuoco ciò che mi circondava.
Mi faceva malissimo la testa, su cui mi portai una mano, e avevo anche diversi dolori alla schiena.

Pian piano gli ultimi ricordi che avevo mi tornarono alla mente e mi si inumidirono subito gli occhi, ripensando ad Alessandro.
Perché aveva voluto rischiare in quel modo la sua vita? Perché io gliel’avevo permesso?

Mi sedetti sulla sabbia e posai la schiena contro la roccia nuda alle mie spalle. Ascoltai il silenzio della grotta, concentrandomi sul respiro del mare che veniva da fuori, ed alzai gli occhi verso la fessura che faceva filtrare all’interno la luce rosata del tramonto e attraverso la quale si poteva vedere uno scorcio di cielo.

Non mi preoccupai per l’assenza di Fiore, probabilmente mi odiava ancora e non voleva vedermi. Piuttosto, cercai di trovare un’uscita, visto che era evidente che non si poteva usare il tunnel.
Sperando che Fiore non si offendesse, nel frattempo misi qualcosa sotto i denti attingendo dalle loro provviste.

Alla fine trovai uno stretto passaggio, nascosto dietro una delle nicchie della grotta, dal quale uscii gattonando. Mi ritrovai proprio al di là della parete, di fronte al mare illuminato dalla palla infuocata che vi stava affondando.
Mi tolsi le scarpe e camminai in riva al mare, pucciando i piedi nell’acqua. Riflettei su quello che potevo ancora fare e tutto sommato non vidi altre alternative alla folle idea di intrufolarmi nella casa-labirinto della vecchia strega per almeno tentare di salvare Nick, Joe e Kevin.

 

***

 

Ale percorse il vialetto con passo svelto e bussò alla porta. La mamma di Ary le andò ad aprire e dalla sua espressione lugubre capì subito che la sua migliore amica doveva aver fatto qualche enorme cazzata, come andare nell’altra dimensione e rimanerci.
L’aveva subito sospettato, quando non l’aveva vista a scuola quel giorno e il fatto che non sapesse nemmeno come fosse andato l’esperimento con Alessandro non la tranquillizzava per niente.

Entrò in casa e vide Davide seduto sul divano, col viso sciupato e gli occhi rossi: aveva pianto, forse confessando tutto alla madre.

«Se stai cercando Arianna», disse la donna, dopo aver chiuso la porta di casa, «stai sprecando il tuo tempo: qui non c’è.»

«Dov’è?», chiese con voce tremante.

«Nell’altra dimensione. È là da stamattina da quello che ho capito. Non ha fatto altro che andarci per tutto questo tempo, nonostante le avessi detto di non andarci più!», strillò su tutte le furie, ma poi scoppiò in un pianto colmo di dolore che fece star male la ragazza, che cercò lo sguardo del ragazzino, altrettanto ferito.

Davide però trovò la forza per schiarirsi la voce e dirle: «L’esperimento che abbiamo tentato è andato male: Alessandro non è arrivato qui con lei e… quando l’ha capito se n’è subito andata, piangendo. Da allora non l’ho più vista.»

«Cosa credi che abbia intenzione di fare?», mormorò, preoccupatissima.

«Non ha più niente da tentare, l’unica cosa che può ancora provare a fare è salvare i Jonas da sola e con le sue forze. Secondo me è questo che farà. Ma non può farcela, non contro quella strega…»

«Dobbiamo andare da lei, allora!», gridò Ale, con le lacrime agli occhi. Perché Davide era ancora lì? Perché non era già andato a fermarla?

La risposta le arrivò subito dopo, dalla madre dei due fratelli, che la guardò terrorizzata ed adirata: «No!», urlò. «No, no, no! Non perderò anche Davide! Non andrà nell’altra dimensione!»

«E con questo lei sta dicendo che ha intenzione di abbandonare sua figlia?!», ribatté Ale, facendola ammutolire, mentre il suo volto si accartocciava dalla sofferenza. «So che ha paura e che non vuole che i suoi figli si facciano del male, ma… so anche che non lascerebbe mai Ary da sola. Loro hanno dei doni, possono salvare tanta gente, ma… deve lasciarglielo fare e adesso deve permettere a Davide di portarci da lei.»

«Portarci?», mormorò il ragazzino, confuso. «Non avrai intenzione di venire anche tu, vero?»

«Stai scherzando? Certo che vengo! È la mia migliore amica!»

La donna guardò prima l’uno, poi l’altra e disse: «Vengo anche io. Non lascerò soli i miei figli, per nulla al mondo.»

 

***

 

Ricordavo bene la prima volta in cui ero entrata nella casa di quella megera e durante la mia breve permanenza avevo visto parecchie cose. Ritrovai uno dei vari passaggi segreti che permettevano di entrare ed appena fui dentro provai una strana sensazione: era normale sentirsi in trappola, ma all’idea che me la fossi andata a cercare mi sentivo super in trappola.

Camminai con cautela lungo i corridoi semibui, facendo scorrere la mano sulle pareti. C’era fin troppo silenzio e i miei passi di conseguenza mi sembravano fin troppo rumorosi.
Pensai che quella vecchia avrebbe potuto benissimo avere delle segrete sotterranee dove poter tenere i prigionieri. Dovevo assolutamente raggiungerle, se c’erano.

L’ultimo passo che feci produsse un rumore strano sul pavimento, come una specie di “click”. Sollevai il piede destro e vidi un piccolo bottone, che avevo inavvertitamente schiacciato. Chiusi gli occhi, respirando pesantemente, ma non accadde nulla intorno a me: nessuna botola, né trappola di alcun tipo, nessun allarme.
Nonostante tutto incominciai a camminare più veloce, col cuore che mi rimbombava nelle orecchie. 

Girai l’angolo e trasalii quando mi scontrai contro qualcuno. Alzai il viso e vidi Charlotte, la cheerleader dai capelli rossi. Ci scrutammo in silenzio, entrambe sorprese, senza sapere cosa fare.

«Beh?», domandai in un sussurro.

Lei fece una smorfia e si portò i capelli su un’unica spalla. «Devi andartene da qui, sei stata piuttosto stupida a venire da sola.»

 «Non… non hai intenzione di catturarmi?», chiesi, scioccata. Non aveva mai avuto un’opportunità del genere, perché se la stava facendo scappare? Perché mi stava dando la possibilità di andarmene? La sua espressione assorta ed arrendevole mi spiegò tutto, o quasi.
«Dimmi soltanto dov’è Nick», mormorai, azzardandomi a sfiorarle una mano, con sguardo compassionevole.

«Non posso», rispose trattenendo le lacrime. «Ora vattene, fai presto! Prima che…»

«Charlotte! Charlotte, ma che…?!»
Entrambe ci girammo verso la fine del corridoio e sobbalzammo vedendo la cheerleader bionda e quella mora.

«Stupida», mi ringhiò contro la rossa e mi tirò uno schiaffo, poi mi spinse indicandomi la strada che dovevo prendere per sfuggire alle due cattive della situazione.

Le gettai un ultimo sguardo e la ringraziai mentalmente prima di correre via.
Non ero arrabbiata per quello schiaffo, infondo potevo capirla – anche lei era veramente innamorata di Nick – e poi l’aveva fatto per non esporsi troppo di fronte alle sue due amiche: che cosa avrebbero detto, se mi avesse lasciata scappare senza nemmeno toccarmi?

Andai nella direzione indicatami da Charlotte, sentendo dietro di me i passi e le voci delle tre che mi rincorrevano. Corsi più veloce che potei, ma ad un certo punto fui costretta a rallentare a causa di un bivio. Mi guardai alle spalle, alla ricerca dello sguardo di Charlotte, ma non lo trovai abbastanza in fretta, quindi andai a caso: svoltai a destra e in lontananza sentii la sua voce gridare un “No!”, ma ormai era troppo tardi: aprii la porta che si stagliava di fronte ed andai a sbattere contro un ragazzo alto e grasso, un armadio, col viso deformato e delle catene ai piedi.
Provai a fuggire, ma lui ci mise poco o niente a sollevarmi da terra e a caricarmi sulla sua spalla, nonostante mi dimenassi con tutte le mie forze.

Le cheerleader ci raggiunsero e si congratularono con lo scagnozzo prediletto della vecchia, poi mi azzittirono imbavagliandomi e mi portarono nella sala principale della casa, quella che sembrava proprio una sala del trono.
Appena vidi la vecchia alzarsi e venirci incontro con lo sguardo acceso di folle felicità, mi venne il voltastomaco. Ordinò con la sua voce stridula di togliermi la bandana dalla bocca e al suo scagnozzo di lasciarmi andare.
Caddi a terra ai suoi piedi e mi feci ancora male al ginocchio, ma non mi tirai di certo indietro quando dovetti sollevare il viso per poterla guardare con odio e disprezzo.

«Sapevo che prima o poi saresti venuta a salvare i tuoi amichetti», mi disse, iniziando a ridere sguaiatamente, in un modo a dir poco insopportabile. «Ed ora eccoti qua! Non ti preoccupare per loro, stanno benone!»

«Devi lasciarli andare», ringhiai. «È me che vuoi, no? Loro che cosa c’entrano?»

«Oh, bambina… non si sa mai a cosa potrebbero servirmi. Ma ora basta parlare, mettiamoci subito al lavoro! Al laboratorio!»

L’armadio al comando della sua padrona mi ricaricò sulla sua spalla e mi portò nel laboratorio, appunto, al seguito della vecchia e delle tre cheerleader. Charlotte voltò il capo e per un momento brevissimo i nostri sguardi si incontrarono.

Una volta nel laboratorio, mi fecero sedere su una specie di sedia elettrica per farmi degli esperimenti ed estrapolare dal mio corpo il mio dono. Mi attaccarono alla sedia con delle speciali manette e sulla testa mi infilarono un casco che prese subito aderenza alla mia fronte, come una ventosa.

«Ora tutto quello che devi fare è desiderare di andartene da qui», sogghignò la vecchia.

«Non ho paura, non farò proprio nulla per aiutarti», risposi stringendo i denti.

«Oh, vedrai che lo farai, lo farai…» Diede un comando a un paio di scienziati, tra cui ne riconobbi alcuni che prima erano stati gli scienziati dei Jonas, e quasi immediatamente venni tramortita da delle scosse, ma resistetti.

«Non molli, eh? Allora mi sa proprio che ci toccherà aumentare la carica…»

Lo fecero, lo fecero eccome e quella volta gridai fino alla sfinimento. Il dolore era così forte che anche se non volevo agevolarla in alcun modo, avevo iniziato a desiderare di teletrasportarmi via da lì, via da quella sofferenza. Lo feci del tutto inconsciamente, anzi era come se la mia mente avesse agito per la sua difesa, e me ne accorsi soltanto perché i computer degli scienziati avevano iniziato ad impazzire sotto i loro occhi sconcertati.

«Che cosa sta succedendo?! Perché fanno così?! Fate qualcosa!», gridò la vecchia megera, gettandomi occhiate spaventate.

Allora capii: i computer non erano in grado di reggere la potenza del mio dono, impazzivano ed esplodevano, quindi… se volevano che mostrassi loro tutte le mie capacità, perché non farlo?

Strinsi i pugni e pensai più intensamente che potei di teletrasportarmi in camera mia, a casa. Ottenni il risultato sperato, infatti i computer andarono tutti in palla e poco dopo si spensero, non dando più segnali di vita; così accadde anche al macchinario che mi dava la scossa. Quando essa cessò, mi accasciai sulla sedia, stremata, e piansi, piansi senza un motivo ben preciso.

«Ah, siete degli incapaci!», inveì la vecchia contro gli scienziati. «E lei, portatela assieme ai suoi amici a schiarirsi la mente! Non abbiamo affatto finito qui!» Mi guardò con astio e se andò.

 

Uno scienziato mi liberò dalla sedia elettrica e mi infilò ai polsi un altro strano tipo di manette, che mi arrossarono la pelle. Poi il solito scagnozzo mi caricò sulla sua spalla e con passi lenti e pesanti mi portò via. Prima di uscire dal laboratorio incontrai lo sguardo di Charlotte, quasi in lacrime, che abbassò subito il viso, come mortificata.
Avrei voluto dirle che non era colpa sua, che non lo era affatto, ma i miei occhi si chiusero senza che nemmeno potessi rendermene conto.

 

***

 

Aprii gli occhi lentamente, con estrema fatica nonostante il luogo buio in cui mi trovavo, svegliata da tenere carezze sui capelli.
Con un verso lamentoso – il dolore provocato dalle scosse e da tutto il resto si faceva sentire ora più che mai – portai una mano su quella che mi accarezzava i capelli e ne accarezzai il dorso con il pollice, cercando di capire di chi fosse.

«Ary… Ary, sei sveglia?»

Il mio cuore sobbalzò all’udire la sua voce. «Nick…», soffiai, incredula.

Mi voltai sul materasso duro su cui ero sdraiata e guardai il suo viso sciupato sopra al mio, glielo presi fra le mani – coi polsi ancora incatenati – e lo accarezzai, mentre calde lacrime che scivolavano sulle guance. Avevo avuto così paura per lui, ero stata così in pensiero… ed ora eravamo insieme, anche se in una cella. La mia felicità in quel momento era troppo forte da sostenere, tanto che avevo bisogno di piangere.

«Sono qui, sono qui», mi sussurrò per cercare di calmarmi, accarezzandomi ancora i capelli. 
Mi baciò, prima con soffici baci a fior di labbra, poi approfondendo sempre di più, tanto da farci mancare il respiro.

Avrei voluto che non smettesse mai, ma a causa della mia debolezza fu costretto a scostarsi e a lasciarmi riposare.
«Che cosa ti hanno fatto, amore mio», sussurrò sulla mia pelle, mentre continuava a coccolarmi con i suoi baci.

Rabbrividii, non solo per ciò che mi faceva provare sul lato fisico, ma perché era la prima volta che mi chiamava in quel modo. Io ero il suo amore…

Mi strinsi a lui e caddi di nuovo addormentata sotto le sue carezze, col cuore sinceramente più leggero ora che avevo la certezza che stesse bene e fosse al mio fianco.



Quando mi svegliai di nuovo, lui era ancora al mio fianco, ma quella volta era seduto sul bordo del letto, che mi dava le spalle e parlava con Joe e Kevin. (C’erano anche loro, non li avevo proprio notati prima). Discutevano su come avrebbero potuto uscire da lì, ma non sembravano molto ottimisti.

Toccai la schiena di Nick e lui si voltò, sorridendomi dolcemente.

«Ciao», mi sussurrò, baciandomi a stampo sulle labbra. 

Avevo così tanta voglia di lui, dei suoi baci, che molto goffamente portai le mani unite dalle manette dietro la sua nuca per trattenerlo lì, ad un soffio dalle mie labbra, che accarezzava con le sue mentre parlavamo, facendomi scorrere mille piacevoli scosse lungo tutto il corpo.

«Vi porterò fuori da qui», mormorai a fatica, socchiudendo gli occhi.

«E come pensi di fare?»

«Col mio dono… ho scoperto che posso teletrasportami anche da un luogo all’altro nella stessa dimensione. Guarda, ti faccio vedere…» Provai a teletrasportarmi dall’altra parte della piccola cella, ma appena ci provai le manette che avevo ai polsi mi diedero la scossa, impedendomelo.

«Ary, Ary stai bene?», mi chiese Nick preoccupato, accarezzandomi il viso stropicciato in una smorfia di dolore.

«Sì», gracchiai. «È pazzesco che sia riuscita a trovare un metodo per fermare il dono… Sono completamente inutile così.»

«Non fa niente, amore», sorrise. «Vedrai che troveremo un modo per uscire da qui.»

«Già, non disperare», disse Kevin, sporgendosi dal suo letto, sopra al nostro.

«Io mi dispero eccome, invece. È da cinque giorni che non mi faccio una doccia, ho i capelli che sono un disastro!», piagnucolò invece Joe, rannicchiato su una piccola branda attaccata alla parete.

Arricciai le labbra e trattenni una risata divertita. «È bello rivedervi ragazzi, mi siete mancati.» 
Riuscii a strappare un sorriso persino al disperato Joe.

Qualche minuto dopo sentimmo la parte inferiore della porta aprirsi, da cui una delle cheerleader fece passare un paio di vassoi con la nostra cena, o pranzo – avevo perso la concezione del tempo.

Non mangiai molto, solo un po’ di pane, ma in compenso bevvi tantissimo. Con lo stomaco pieno d’acqua tornai sdraiata sul letto e chiusi gli occhi, chiedendo che ore fossero.

«Penso sia notte, perché fa più freddo», mi rispose Nick.

«Sì, in effetti è un po’ più fresco…», constatai con sguardo malizioso e lui capì al volo che volevo che qualcuno mi riscaldasse, così si sdraiò quasi sopra di me e mi strinse forte, iniziando a baciarmi il viso.

«Ecco, ora quei due fanno i piccioncini e ciao», brontolò Joe.

«Girati e dormi», lo rimproverò Kevin, quella volta dalla nostra parte. Joe eseguì, borbottando qualcosa di incomprensibile.

Non passò molto tempo prima che gli altri due Jonas si addormentassero ed intorno a noi calasse il silenzio. Io e Nick ci guardammo negli occhi per diversi istanti ed ero certa che entrambi sentivamo la sensazione di avere il cuore gonfio e sazio, anche se l’amore non ci bastava mai.

Improvvisamente Nick si fece più serio, quasi inquieto, e smise di accarezzarmi i capelli con la mano.

«C’è qualcosa che non va?», gli chiesi a bassa voce, per far sì che Joe e Kevin non si svegliassero.

«No, io… Ti amo, Ary.»

Il mio cuore scoppiò nella cassa toracica. Che cosa aveva detto?
La mia espressione incredula lo fece ridere a bassa voce, contro la pelle del mio collo, dove lasciò anche soffici baci.

«Era questo che volevo dirti da un po’, non riuscendoci mai. Dovevamo proprio essere imprigionati per avere un po’ di silenzio e di tranquillità», ridacchiò ancora, poi mi guardò negli occhi e continuò: «Però non pensavo di sconvolgerti tanto…»

«Io, ecco… non me l’aspettavo, tutto qui», balbettai arrossendo, col buio dalla mia parte.

Notai l’espressione un po’ delusa di Nick e sorrisi, prendendogli il viso fra le mani ed avvicinandolo al mio, ad un soffio dalle mie labbra, per poter fondere i miei occhi con i suoi.
«Ti amo anche io, Nick. Tu non puoi immaginare quanto.»

Lui socchiuse gli occhi colmi di dolcezza e di amore e mi baciò stringendomi forte a lui.

Come era già capitato altre volte, lo sentii ovunque e pensai che l’unica cosa che volevo veramente era sentirlo mio in tutti i sensi, ma…
Cercai la sua mano destra e sfiorai il suo anello della purezza, lui mi strinse le dita nelle sue e si sollevò per guardarmi in viso. Evitai il suo sguardo, chiudendo gli occhi e girando il volto dall’altra parte.

«A che cosa stai pensando, Ary?», mi chiese con tono pacato.

«Tu… tu non vorresti… insomma…»

«Fare l’amore con te?» Mi prese il mento fra le dita e mi costrinse a guardarlo negli occhi: sorrideva dolcemente, tutto sul suo viso esprimeva una dolcezza infinita, tanto che mi sentii piccola e stupida in confronto a lui.

«Scusami», dissi subito, come per rimediare alla mia stupidità. «Ti sarò sembrata così… superficiale. Non voglio sembrarti quel tipo di ragazza, ma io… io ti sento, ti amo e…»

Mi azzittì portando un dito sulle mie labbra. «È la cosa che voglio di più al mondo», sussurrò. «Tu sei ciò che voglio di più al mondo.»

«E allora perché non…?», lasciai in sospeso la frase, in imbarazzo, e gli presi la mano destra fra le mie.

«Non posso, Ary…», sospirò. «Quando tutto sarà finito e saremo di nuovo nella nostra dimensione ci sposeremo e…»

«Frena, frena, frena», lo fermai posando le mani sul suo petto, con gli occhi sgranati. «Sono troppo giovane per sposarmi, ho appena diciott’anni, tu diciannove! Non è un po’… presto?!»

Nick tentennò e si lasciò cadere sdraiato al mio fianco. Rimase in silenzio a guardare la rete del letto sopra al nostro, con sguardo assorto e la fronte leggermente increspata.

Io mi voltai verso di lui, addirittura gli salii sopra per guardarlo negli occhi, e gli accarezzai un ricciolo che gli cadeva sulla fronte.
«Io ti amo davvero, Nick. Farei di tutto per te, forse pensandoci bene potrei anche fare la pazzia di sposarti, perché non voglio in nessun modo rischiare di perderti. Scusa se sono stata troppo brusca prima, ma forse io non ho così tanta fede come te.»

All’improvviso ricambiò lo sguardo e si avventò sulle mie labbra.

 

***

 

Charlotte, seduta vicina alle sue due inseparabili amiche, guardava la vecchia strega fare avanti e indietro di fronte a loro, che sbraitava contro quegli “scienziati da strapazzo”, come li chiamava lei.

«La prossima volta non deve accadere nulla di tutto questo, ci siamo capiti bene?!»

Charlotte rabbrividì a quelle parole. Ci sarebbe stata un’altra volta? Avrebbe dovuto assistere mentre torturavano ancora una volta quella povera ragazza?

Era vero, lei le aveva rubato l’amore della sua vita – Nick – ma non poteva davvero sopportare tutto quello. Inoltre, sapeva che anche Nick l’amava, quei due erano fatti apposta per stare insieme… perché doveva distruggere la loro felicità, quando lei non ne avrebbe tratto un bel nulla? Nick non l’amava, non l’avrebbe mai amata… e l’unica cosa che poteva fare era preservare la sua felicità, far sì che almeno lui fosse felice, per quanto fosse difficile e doloroso. 

 

Cause I'd rather just be alone
If I know that I can't have you

 

Doveva fare qualcosa, assolutamente. Ma che cosa?

Un flash le attraversò la mente, facendole ricordare il nascondiglio in cui la vecchia teneva tutte le chiavi delle celle sotterranee. Non sarebbe stato facile prenderle, ma almeno ci avrebbe provato, lo avrebbe fatto per Nick.
Per quanto riguardava le chiavi delle strane manette che avevano messo alla ragazza, sapeva che erano gli scienziati ad averle. Sarebbe stato molto più facile ottenere quelle: sarebbe bastato ricordare agli scienziati che erano stati amici dei Jonas Brothers e punzecchiare i loro sensi di colpa verso quella povera ragazza che stavano torturando inutilmente sotto i folli ordini di quella pazza.

«A che cosa stai pensando, Charlotte?», le domandò la cheerleader bionda.

La rossa osservò le sue due amiche ed accennò un sorriso, pensando alla loro fortissima amicizia: era certa che non l’avrebbero abbandonata, se gli avesse spiegato il suo piano. 

 

I know I was such a fool
But I can't live without you

 

***

 

Davide si mise nel centro esatto del salotto, circondato da Ale, mamma e papà – anche lui aveva voluto aggregarsi alla campagna di salvataggio – e fece un respiro profondo.

«Siete pronti?», chiese.

Loro annuirono e posarono le mani sulle sue braccia per essere teletrasportati con lui nell’altra dimensione, ma proprio un momento prima di partire qualcuno suonò al campanello.

Mamma lasciò giù il suo zaino da campeggio ed andò ad aprire, chiedendo chi fosse. Si trovò di fronte una ragazza ed un ragazzo: la prima la riconobbe subito, era la bambina che aveva visto scomparire di fronte ai suoi occhi la prima volta e che aveva dato vita alla sua passione quasi ossessione per quel fenomeno così anomalo.

«Salve signora», la salutò con un sorriso cauto sulle labbra, sistemandosi i capelli corti dietro le orecchie. «Lei è la madre di Arianna, vero?»

«Sì, ma… non è qui», balbettò.

«Già, lo immaginavo», mormorò, abbassando il capo, dispiaciuta.

Davide raggiunse la madre e guardò il ragazzo accanto alla giovane. Lo indicò a bocca aperta e il ragazzo dalla pelle caffèlatte sorrise in modo solare.

«Tu devi essere Davide, vero?», gli chiese, ridacchiando. «Somigli molto a tua sorella.»

«A-Alessandro?»

 

 

_______________________________________

 

Tadada-dàààn xD
Spero di non avervi fatto aspettare troppo e che il capitolo vi sia piaciuto (:
Ci sono un po' di cose in sospeso, spero che me ne parliate un po' con delle recensioni! ** Sono impaziente di sentire le vostre opinioni ;)
La canzone che ho usato è Can’t have you, dei Jonas Brothers e... credo di aver detto tutto xD

Ringrazio di cuore music__dreamer che ha lasciato una recensione allo scorso capitolo e ringrazio anche tutti quelli che hanno soltanto letto (:
Alla prossima!! Vostra,

_Pulse_

   
 
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