Crossover
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Autore: Sparrowhawk    30/04/2011    0 recensioni
[Continuazione di: Cherryblossom]
E siccome mi diverto a fare cross-over impossibili...ecco che torno con il mio classico. L'unico che mi sia mai sprecata a scrivere, anche perchè il solo che in qualche modo mi abbia interessata.
Ancora Elliot e Célie alla riscossa, con i soliti noti Ciel, Sebastian e, udite udite, delle new entry!
Godetevi la lettura.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cherryblossom - Pillole di Crossover'
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Era già stato a Londra, e dall'ultima volta che ci aveva messo piede non era passato poi neanche tanto tempo, eppure quella città non gli era mai sembrata più diversa, caotica ed assurda di allora.
Elliot si guardò attorno perplesso, con gli occhi leggermente sgranati, seguendo con sguardo sconvolto ogni persona che gli passava davanti e che, ovviamente, non sembrava nemmeno vederlo. Era circondato da una tale valanga di gente che lui, là in mezzo, sembrava proprio il tipico pesce fuor d'acqua: tutti quanti parevano avere un posto preciso in cui andare, un qualcosa di assolutamente importante da fare prima che scattasse l'ora X, mentre lui invece non sapeva nemmeno da dove cominciare per ripartire alla stra grande in quella nuova vita.
Una vita che, comunque, non si era per niente scelto.
La verità era che ci era andato a sbattere contro.
«Signorino Nightray?»
Una voce totalmente sconosciuta lo riscosse dai suoi pensieri e, voltandosi, Elliot si ritrovò dinanzi un omaccione enorme, dalle spalle larghe, lo sguardo vitreo, ed un enorme tatuaggio a campare sulla guancia. Indietreggiò di un passo, cercando di non apparire atterrito più del dovuto.
«Sono qui per scortarla sino alla villa Baskerville, signorino.» continuò l'altro, prendendo subito le sue uniche due valigie e trascinandosele dietro senza neanche chiedere il permesso.
«A-Aspetta un attimo!» esclamò lui, cercando di fermarlo afferrandolo per un braccio «Chi sei tu? Non ti sembra il caso di presentarti?»
«Non è necessario che io mi presenti.»
«Beh, a me hanno sempre insegnato che...»
«Il padrone non ama i ritardatari e noi, purtroppo, siamo già indietro sulla tabella di marcia.»
Detto questo, senza lasciargli il beneficio del dubbio, l'omone ricominciò a camminare nella speranza forse che Elliot avrebbe fatto lo stesso, magari smettendola di fare domande.
Poveraccio, non sapeva proprio con chi aveva a che fare...

Quando arrivò alle porte dell'enorme villa, Elliot se ne rimase un secondo davanti al portone d'ingresso, crogiolandosi per l'ennesima volta nei suoi numerosi dubbi. Ancora si chiedeva come mai, alla fine, aveva veramente deciso di andare da lui, da suo zio. Non ricordava nemmeno l'ultima volta che si erano visti o, cosa ben peggiore, non sapeva nemmeno se si erano mai effettivamente parlati: le uniche volte che era venuto a casa si era chiuso nelle stanze che gli erano state gentilmente offerte e, una volta uscito, dialogava solamente con sua madre, in segreto, in posti della casa a cui lui ed i suoi fratelli non potevano accedere.
Quell'uomo era quanto di più misterioso conoscesse a quel mondo ma, per uno strano scherzo del destino, era anche quanto di più vicino ci fosse al momento ad una famiglia per Elliot.
Prese un profondo respiro e, aprendo lentamente una delle ante della grande porta, si ritrovò immediatamente immerso nel buio più totale.
Si guardò in giro, preoccupato che fosse partita la luce o qualcosa di simile, e mentre avanzava piano in uno spazio vuoto in cui lui distingueva poco o niente -aveva visto qualcuno svanire dietro all'angolo o se l'era immaginato?- udì i passi di Doug, l'uomo che lo aveva portato sino a lì, alle sue spalle.
«Ma non avete l'elettricità qui a Londra?» domandò allora, girandosi su se stesso e fissando i suoi occhi in un punto imprecisato del salone d'entrata, dove immaginava che Doug stesse «Mi sembra ben strano che teniate tutto spento...sopratutto a quest'ora di sera.»
«Il padrone non ama molto sprecare denaro...» rispose l'altro «...e converrete con me che illuminare una dimora di queste dimensioni anche in luoghi in cui non ve ne sta alcun bisogno potrebbe essere quanto mai costoso.»
«Ok, ma così mi sembra esagerato...non si vede niente!»
Detto questo andò a sbattere contro qualcosa, o meglio, contro qualcuno.
In un breve lasso di tempo si ritrovò a terra e, massaggiandosi il sedere con una mano, maledisse almeno cento volte suo zio per quelle sue idee balzane ed insensate. Stava aspettando il suo arrivo quindi, seguendo l sua logica astrusa, avrebbe come minimo dovuto accendere le luci nell'entrata santo cielo!
«Accidenti!» mugugnò, alzandosi in piedi «A riprova di ciò che ho detto, sono inciampato dannazione!»
«Doug...accendi le luci.»
Una terza voce raggiunse le orecchi del giovane che, scattando sull'attenti, si maledì da solo per essere stato così scortese.
«A quanto pare mio nipote non apprezza molto i miei modi di condurre questa casa...»
Finalmente i grandi lampadari di cristallo sopra le loro teste si accesero e quando Elliot si fu riabituato al bagliore delle lampadine si ritrovò di fronte il viso pallido e contratto dal solito muso di suo zio: Glen Baskerville se ne stava là, con le braccia conserte dietro alla schiena, a fissarlo con occhi cupi e pieni di pregiudizi. Erano viola, come quelli di sua madre, ma decisamente di un coloro più intenso rispetto al suo.
«Ehm...chiedo scusa per le mie parole.» si affrettò a dire, facendo come un piccolo inchino.
Si sentiva un povero imbecille...
«Dovresti avere il coraggio di sostenere le tue idee, Elliot. Se pensi che dovrei tenere le luci accese in ogni stanza della casa, ebbene, dillo apertamente, senza nasconderti dietro ad inutili scuse.»
«Non intendevo dire di farlo in tutte le stanze della casa veramente.»
«Volevi forse lasciare intendere che ci sono stanze in cui vale la pena lasciare accesa la luce tutta la sera ed altre invece che, grazie al cielo, posso lasciar perdere?» chiese ancora Glen, girandogli attorno come un'avvoltoio «E quali sarebbero?»
«...non volevo dire neanche questo.»
«Cosa volevi dire allora, di grazia?»
Elliot rimase zitto e prese a guardarlo a sua volta negli occhi, sfidandolo.
Capiva molte cose ora che lo vedeva per bene e, anche se ci aveva parlato per soli due secondi, già sentiva crescere dentro di sè un irrefrenabile senso di disprezzo nei suoi confronti: di certo suo padre non era un santo, ciò che aveva fatto a sua madre era la prova che nessuno poteva dirsi del tutto immacolato, ma non ricordava si fosse mai permesso di trattare a quella maniera nessuno, men che meno i suoi ospiti.
Digrignò i denti, stringendo forte i pugni lungo i fianchi.
«...niente.» mormorò «Non volevo dire niente. Sono solo stanco.»
Il Signor Baskerville se ne restò là, fermo in mezzo al salone, a guardarlo dall'alto come se lo stesse ancora studiando per bene. Si soffermò a studiare il volto del nipote, i caratteri ereditari che aveva preso dalla sorella, come ad esempio il piccolo neo che aveva sotto all'occhio sinistro, o le iridi azzurro ghiaccio che invece aveva preso dal padre. Il suo portamento era fiero, deciso, e dal suo sguardo non traspariva la minima paura...
In quello, forse, un pò assomigliava a lui.
«Molto bene.» disse, in un soffio «Doug ti farà vedere la tua stanza. Ti riferirà le varie regole di questa casa.»
«Regole?»
Glen annuì, dandogli le spalle e cominciando a camminare verso una porta infondo al corridoio che passava vicino al grande scalone di marmo.
«Non ne hai mai sentito parlare? Non mi stupisce...in fondo tuo padre non è mai stato tipo abbastanza sveglio da crearne di intelligenti.»
Elliot si trattenne dal seguirlo e mollargli un pugno in faccia. Si limitò a prendere dei lunghi e profondi respiri, chiudendo gli occhi con così tanta forza che per poco non gli sembrò che potessero in qualche modo scoppiargli nelle orbite. Quello là era il peggio del peggio, assolutamente.
E Dean aveva avuto il coraggio di paragornarlo a lui!
Fece per allontanarsi anche lui quando, improvvisamente, gli vennero in mente le parole di sua madre.
«Si da sempre la buonanotte prima di salire nella propria stanza, Elliot.»
Sospirò e, con una mano già sul corrimano ed un piede posto sul primo gradino, abbassò lo sguardo.
«Beh...Buonanotte...» sussurrò «...zio.»
Nel momento stesso in cui ebbe finito corse su per le scale e non si voltò neanche una volta, tutto rosso in volto: che razza di figure doveva fare solo per essere politicamente ed eticamente coretto, santo cielo!
Glen rimase immobile di fronte alla porta, contemplando il pomello d'ottone che stringeva ancora fra le mani.
«Buonanotte...Elliot.»

Célie corse giù per le scale tutta sorridente, il bel vestito leggero di un azzurro chiaro a svolazzare di quà e di là ad ogni sua mossa. Saltellò per i corridoi come una sciocca, salutando chiunque le capitasse sotto tiro, proprio come faceva un tempo quando era ancora una bambina di soli cinque o sei anni.
La servitù, rispetto ad un tempo, era decisamente poca ed alcuni dei volti che vedeva ogni giorno da quando si era trasferita nemmeno li riconosceva, ma ciò non importava. La cosa che davvero contava era che, finalmente, dopo tutto il tempo che erano riusciti a non pasare insieme nonostante vivessero sotto allo stesso tetto, Ciel aveva trovato una giornata da poter usare solo per stare con lei.
Ancora una rampa o due e voilà, si ritrovò nei pressi della sala da pranzo dove, suo fratello, stava certamente consumando la sua colazione: Célie si mise a posto l'abito, controllò che il fiocco che aveva fra i capelli fosse esattamente al suo posto, e poi spalancò la porta esibendo un sorriso che avrebbe illuminato anche la notte più buia.
«Buongiorno fratellone!» esclamò, camminando con eleganza verso l'enorme tavolo.
Ciel alzò gli occhi dal suo giornale e la guardò, rasserenandosi all'istante.
«Buongiorno.»
Lasciò che lei si mettesse comoda al suo fianco e, mentre alcune cameriere si occupavano di servirla come si conveniva, mise da parte i fogli che aveva in mano pronto ad immergersi in una nuova conversazione mattutina con la gemella.
«Mi sembri allegra oggi...è successo qualcosa di particolare?» domandò, facendo il finto tonto.
«Non prendermi in giro Ciel, so che tu sai!»
«So cosa?»
«Che oggi sei tuuuuutto per me.»
Ciel fece una pausa, corrugando la fronte, serio.
«Davvero?»
«Ma sì, me lo hai...detto tu.»
«Oh...scusami Célie, ma temo proprio che...»
La giovane si rabbuiò, guardando a terra.
«Non...non preoccuparti io posso...noi possiamo anche...»
«Scherzavo, sciocchina.»
Le scompigliò i capelli amorevolmente e le sorrise, sornione come suo solito, in qualche modo felice nel constatare che, pur avendone passate di tutti i colori proprio come lui, a sua differenza Célie era riuscita a mantenere tutta la sua ingenuità.
«Stupido!» sibilò lei, mettendo il muso anche se solo per un breve lasso di tempo.
«Allora, cosa facciamo oggi?»
«Non lo so. A me basta anche andare semplicemente al parco.»
Ciel si mise in bocca un pezzetto di pane e quando lo ebbe masticato per bene, buttandolo giù, tornò a fissarla negli occhi.
«Kensington Gardens?»
«Sì!»
«E figuriamoci...sono i tuoi giardini preferiti da sempre.»
Célie stava per rispondere a quella constatazione quando, alle sue spalle, apparì Sebastian.
Si zittò all'istante e lo squadrò per un poco, rabbuiata. Era inutile dire che quell'uomo, per quanto li avesse enormemente aiutati contro Angelina, non le andasse molto a genio. C'era qualcosa in lui che non la convinceva, qualcosa che sapeva stava avvelenando l'animo di suo fratello nel profondo, irrimediabilmente.
Girò il capo e si concentrò sulla sua porzione di uova e bacon, giocherellando con il cibo usando la punta della forchetta.
«Signorino, mi duole informarla che sono arrivate delle missive per lei.» gli sentì dire.
In un minuto i suoi sogni riguardo alla loro splendida giornata andarono in mille pezzi.
«Sono cose importanti?» domandò suo fratello.
«Sì, padroncino.»
«...posso aspettare. Ho altro da fare quest'oggi.»
Il ragazzo strinse forte la mano della gemella e sorrise.
«Una cosa che non può più aspettare.»

La loro giornata speciale passò in totale allegria e serenità. Lo stesso Ciel se ne stupì visto e considerato che, uno come lui, non si concedeva quel genere di lussi da molto, ma molto tempo.
In un primo momento aveva pretesto il ritorno di sua sorella più per mettere i bastoni fra le ruote di quel ragazzotto, quell'Elliot, e per quanto si fosse sentito enormemente geloso per il semplice fatto che voleva portarle via sua sorella ora che la aveva ritrovata, non riusciva proprio a ricordare quel genere di sentimento ostile e pessimo che aveva sentito quando li aveva visti così affiatati.
L'unica cosa che sapeva, l'unica cosa che sentiva adesso, era che la voleva al suo fianco per sempre, ogni giorno della sua vita. La luce che Célie portava con sè era qualcosa che lui aveva completamente dimenticato, un genere di dono che si era lasciato alle spalle nell'attimo stesso in cui aveva perso i genitori in quel fatidico incendio. Aveva venduto la sua anima al diavolo, nel verso senso della parola, ed ora avere accanto una persona come lei era decisamente indispensabile.
Ciel la guardò con attenzione da sopra alla coperta che avevano stesso sul prato, sotto all'albero più grande di tutto Kensington. Stava inseguendo uno scoiattolo senza preoccuparsi troppo del suo ceto sociale o del fatto che erano in molte le persone che la stavano guardando.
Sorrise mestamente prima di rendersi conto di essere a sua volta tenuto d'occhio.
«Sebastian...» disse, fra i denti «...cosa c'è?»
«Ho una brutta notizia per voi, signorino.» rispose l'altro, uscendo dall'ombra.
«Altre missive per caso? Mi sembra di averti già detto chiaramente che per oggi io non...»
«Elliot Nightray è arrivato a Londra.»
Il giovane si voltò di scatto, gli occhi ridotti a due fessure dalla rabbia.
«A quanto pare al momento sta da suo zio, il conte di Baskerville.»
«Glen Baskerville...» si lasciò sfuggire lui, stringendo un pugno sull'erba e strappandone alcuni fili «...questo può diventare un problema.»
  
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