Sfogo solitario di una pseudo scrittrice
Poso la penna e guardo ciò che ho scritto, le parole nere sferzano il candore del foglio bianco.
Ho scritto con foga, presa da un'ispirazione crescente, come se avessi pugnalato impietosamente quella povera pagina bianca.
Un istante, poi storco il naso in una smorfia di puro disgusto.
"Un bello schifo" mormoro, prima di strappare l'inerme pezzo di carta dal mio piccolo quaderno rosso e appallottolarlo tra le mie dita con odio.
Ma dentro di me gemo di dolore perché...mi piaceva quello che avevo scritto.
Ho provato a guardare la mia opera con gli occhi di un'altra persona, volevo cercare di capire cosa interessa alla gente.
Di una cosa sono sicura: nessuno vuole leggere i miei pensieri, le mie speranze, i miei sogni.
A volte mi chiedo: possibile che nella mente di una sola persona si possa concentrare tanta banalità?
Sono banale, trasparente; la mia anima è scarna.
Eppure sono incatenata a questa penna, costretta a scrivere tutto quello che mi passa per la testa perché ne ho bisogno.
Scrivere è l'unica cosa che mi rende felice.
Però quando mi ritrovo a leggere quello che con passione ho scritto sento solo un enorme disprezzo per me stessa.
Come sono sciocche le mie parole.
Stringo ancora tra le mani la pagina di quaderno, sporcata dai miei pensieri.
Tiro fuori dalla mia tasca un accendino.
Brucio quel obbrobrio di sillabe e lettere, che dentro di me amo, ma che odio quando provo a guardarlo con gli occhi di qualcun altro.
La fiamma color cremisi avvolge la carta in un momento, riducendola ad un ammasso informe di cenere.
Una solitaria lacrima scivola dal mio occhio.
Perché faccio questo?
Perché non riesco ad essere felice?
Perché la mia anima viene trapassata da mille aghi di ghiaccio ogni volta che leggo le mie creazioni?
Perché la cosa che amo di più al mondo riesce a farmi stare così male?
Nelle orecchie le insipide domande della gente che mi circonda:
"Perché non ti iscrivi ad un concorso?"
"Perché non provi a scrivere un libro?"
Parole al vento, ma che sono comunque migliori delle mie, che nascono coscienti di morire tra le fiamme subito dopo.