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Autore: Macchia argentata    01/05/2011    16 recensioni
Parigi non è più un luogo sicuro per la nobiltà: un misterioso Cavaliere dal volto coperto ha iniziato a saccheggiare l’aristocrazia per favorire il popolo. Oscar è sulle sue tracce, e una notte, scorgendo una figura in nero che si aggira sui tetti di Parigi, crede di aver finalmente messo le mani sul tanto discusso criminale. Ma l’uomo da lei catturato si rivelerà essere ben altro che un ladro. Chi è il Cavaliere dalla piuma bianca? E in che modo opererà nelle vite di Oscar e Andrè?
Mi avvicinai a lui: “Siete un tipo bizzarro. Un originale dei più strambi…Con voi si imparano strane cose.” L’uomo mi scrutò, portandosi una mano al mento. “Potreste avere ragione, dopotutto. Sapete cosa ho pensato? Scriverò un libro.” Portò la mano davanti a sé, disegnando un arco nell’aria, “Storia della mia vita. Che ve ne sembra?”
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alain de Soisson, Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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casanova2 3 - Figlio del popolo

Attraversai i cancelli di palazzo Jarjayes completamente intirizzito, tirando le redini quel tanto che bastava per intimare al cavallo di rallentare la sua corsa.
Oscar mi avrebbe ucciso.
La riunione si era protratta più del previsto e, totalmente infervorato dall’argomento che avevamo affrontato quella sera, non avevo prestato attenzione al tempo che scorreva, tanto da essermi ritrovato a dover spronare di tacco più di una volta il cavallo per non venir meno al mio appuntamento con lei.
Corsi su per la scalinata secondaria, ansimando fiato condensato, e posai la mano sulla maniglia della porta della servitù, aspettandomi che si aprisse, cosa che, di fatto, non accadde.
Diavolo.
Da quando il Cavaliere aveva iniziato la sua attività ci mancava solo che la nonna mettesse le travi alle porte.
“Nonna?” Esclamai, bussando ripetutamente, dapprima in modo contenuto, poi sempre più insistentemente. “Nonna? Nonna! Accidenti!”
Dopo alcuni secondi, una voce spettrale mi raggiunse dall’interno.
“Chi è?”
“Sono io, nonna!”
“Io chi?”
“Io, And…Ma che domande fai? Quanti nipoti pensi di avere?!”
“La prudenza non è mai troppa.” Fu la lapidaria affermazione che ottenni in risposta.
Ci mancava solo che mi chiedesse la parola d’ordine.
Dopo una interminabile sequenza di giri di chiave e catenacci, finalmente, vidi l’uscio dischiudersi quel tanto da permettermi di entrare.
“Maledizione, nonna, devo aspettarmi di vederti fare la ronda per casa col fucile del generale, una di queste sere?!”
In risposta, ebbi un sonoro scappellotto sulla nuca.
“Disgraziato di un debosciato! Dove sei stato?! Lo sai che ore sono?!”
Mi coprii il capo con le braccia per difendermi dai colpi della mia arzilla vecchina.
“Hai! Ma, nonna…che ti prende?!”
“Che mi prende? Te lo dico io che mi prende, tanghero che non sei altro! Madamigella Oscar ti ha aspettato tutta la sera…”
“Lo so, sono in ritardo…ma adesso sono qua. Dov’è? Dobbiamo uscire insieme…”
“Ah! Chiede anche dov’è! E’ uscita, ecco dov’è!”
“E’ uscit…Cosa?! E’ uscita da sola?”
La nonna mi fulminò con lo sguardo.
“E’ uscita con quel gentiluomo italiano, che si è gentilmente offerto di accompagnarla nonostante la sua grave indisposizione.”
Colsi solo di sfuggita il tono di rimprovero decisamente poco celato nelle parole della nonna.
Era uscita, senza di me.
Con quel gentiluomo.
Quel Casanova.
“Vado a cercarla.”
“Madamigella Oscar mi ha chiesto esplicitamente che, qualora tu fossi rientrato, avresti dovuto aspettarla qua.”
Qualora io fossi rientrato? Ma per chi mi aveva preso?
Mi allontanai per il corridoio, leggermente indispettito, mentre uno strano miscuglio di emozioni composto da senso di colpa e senso di rivalsa si mescolavano ad una leggera punta di apprensione dentro di me.
“Andrè?!” Mi richiamò la nonna, mentre sentivo che rimetteva i catenacci alla porta. “Che modi, ah, non gli ho insegnato proprio niente, che testa di legno…”
Mi ritrovai a camminare avanti e indietro nel salone principale. Le braci nel caminetto ardevano ancora, illuminando la stanza di sinistri bagliori arancioni. Sul tavolino al fianco della poltrona su cui abitualmente sedeva Oscar, c’era un calice di liquore pieno a metà. Lo afferrai e me lo scolai senza pensarci, prima di rimettermi a ripercorrere nuovamente i miei passi.
Dopo alcuni minuti decisi che il mio comportamento ansioso era del tutto ingiustificato.
Non avrei dovuto preoccuparmi tanto.
Era solo andata ad un altro ballo, cosa poteva succederle di tanto terribile?
Sarebbe stato sciocco credere che avrebbe incontrato il temuto Cavaliere Nero proprio l’unica sera che non ero con lei.
E poi, non era del tutto sola.
C’era quel tale, quell’italiano, con lei.
Mi bloccai, sfregandomi la fronte con la mano, fino a posarmela sotto al mento.
Già, appunto.
Pensai alla scintilla di malizia che gli aveva illuminato lo sguardo ogni qual volta i suoi occhi si erano posati su di lei, nelle ultime ventiquattr’ore.
Non mi piaceva. Non mi piaceva affatto.
E poi, cosa sapevamo di questo tizio?
Che era italiano, e che era solito introdursi nelle abitazioni altrui, nel cuore della notte, per scopi tutt’altro che nobili.
Ricominciai a camminare per il salone.
Perché diavolo mi ero attardato tanto?
Dopo alcuni minuti, in cui sentii l’ansia gonfiarsi in me come una bolla decisi che era il caso di darsi una calmata.
La stavo probabilmente facendo più grigia di quel che era.
Sedetti sulla poltrona dinnanzi a quella di Oscar e posai i gomiti sulle ginocchia, appoggiando il mento sulle mie mani strette a pugno.
‘Sarà un ballo come quello cui hai presenziato negli ultimi giorni. Nient’altro che uno stupido, banale, ballo. Rimarrà attaccata ad una parete per tutta la serata, scrutando la folla, e di tanto in tanto getterà un’occhiata dalla finestra. Non berrà e non mangerà niente, converserà lo stretto indispensabile, e infine, tornerà a casa indispettita, mentre l’italiano probabilmente gongolerà per aver fatto il gallo del pollaio tutta la sera con le dame imbellettate. Ecco qua, di che ti preoccupi, Andrè?’
Posai la schiena allo schienale, rigido.
Si, di che ti preoccupi, Andrè?

Quando il campanello suonò, alcune ore più tardi, ero ormai teso come una corda di violino.
A quel punto, dovevo aver certamente consumato il pavimento tra la poltrona e la finestra.
Mi precipitai alla porta, indeciso se abbracciarla o gridarle addosso tutto ciò che la preoccupazione, nelle ultime ore, aveva fatto affiorare in me.
Tutto sommato, erano entrambe soluzioni che avrebbero previsto il mio linciaggio immediato, ma non mi importava, pur di riaverla sana e salva.
Spalancai la porta principale.
“Oscar! Dove diavol…”
Tuttavia, non fu il familiare volto di Oscar che mi trovai davanti nell’oscurità della notte, ma quello di un perfetto estraneo in livrea, incipriato e imbellettato  come se dovesse presenziare ad un ricevimento reale. Ai suoi piedi erano posati numerosi bauli, mentre tra le mani reggeva una gabbia nel quale faceva mostra di sé quello che, ad una prima fugace occhiata, aveva tutta l’aria di essere un bizzarro uccello meccanico.
“Buonasera, Monsieur.” Esclamò impassibile, appena i nostri occhi si incrociarono “Spero che l’orario non sia opportuno, mi sono messo in viaggio appena ho ricevuto il messaggio del mio padrone, che si trova momentaneamente alloggiato presso la vostra tenuta.”
Ci misi alcuni istanti per rendermi conto che doveva trattarsi del servitore di Monsieur Casanova.
“Ah, si…scusatemi.” Borbottai, cercando di darmi un contegno, mentre scrutavo il cortile sperando di vedervi giungere una carrozza da un momento all’altro.
Mi feci da parte, per lasciarlo passare.
“Prego, entrate pure. Manderò qualcuno a ritirare i vostri baul…”
Biascicai, prima di rendermi conto che a quell’ora, sarebbe stato impensabile buttare giù dal letto qualcuno che venisse a darmi una mano.
Il servitore di Monsieur Casanova, tuttavia, non se lo fece ripetere due volte, attraversando la porta con aria da gran signore, nonostante, osservandolo meglio sotto la luce, potei notare che zoppicava leggermente, e aveva un sospetto alone bluastro che faceva bella mostra di sé attorno all’occhio destro, nonostante il belletto che lo ricopriva.
Quando ebbi finito di trascinare all’interno della casa anche l’ultimo baule, mi resi conto che dell’uomo non c’erano più tracce. Chiusi la porta e mi aggirai piuttosto innervosito per il salone.
“Scusate…? Dove siete…?”
Voltai verso la biblioteca, e mi bloccai giusto in tempo per vederlo che osservava rapito il tavolino di cristallo su cui troneggiava la collezione di pipe preziose del generale. Prese tra le dite quella in avorio cinese, scolpita a forma di dragone, e la soppesò tra le mani, fischiettando ammirato.
“Che sciccheria, ostregheta! S’è sistemato bene el padron…”
Poi, senza un attimo di esitazione, se la lasciò scivolare nella tasca della giacca.
Rimasi a bocca aperta, e avrei senza dubbio protestato se, in quel momento, un rumore di ruote nel cortile non avesse distolto i miei pensieri dal furto cui avevo appena assistito.
Mi precipitai alla porta e la aprii giusto in tempo per vedere Monsieur Casanova che aiutava Oscar a scendere dalla carrozza, sorreggendola, nonostante l’impedimento del braccio fasciato. Lei gli teneva un braccio attorno al collo, e aveva il volto e la giacca completamente imbrattati di sangue.
“Buon Dio!” mi avvicinai di corsa alla carrozza, andandogli incontro, mentre l’ansia che avevo provato fino a quel momento si tramutava in puro terrore.
“Oscar! Cosa è successo…Cosa…Cosa le avete fatto?!”
Casanova sollevò il volto verso il mio. Sembrava stranamente tranquillo, oltre che perfetto, con cipria e neo finto senza uno sbaffo, cosa che non si poteva assolutamente dire di Oscar, arruffata e insanguinata.
Per un attimo, ebbi voglia di mettere le mani al collo del gentiluomo.
“Oh, Andrè, eccovi qua. Si parlava giusto di voi…” Esclamò con tono gioviale l’italiano.
Mi avvicinai ad Oscar, ignorandolo, e le presi il volto tra le mani, sollevandolo verso il mio.
“Oscar, cosa è successo? Dio, guarda come sei ridotta…Come…Come ti senti?”
Lei, sempre aggrappata a Casanova, sembrò mettermi a fuoco solo in quel momento.
“Ah, eccoti qua, Andrè! Cosa vi discevo, Giacomo?”
Giacomo? Giacomo?!
E poi…cos’era quell’odore di Whiskey?
“Oscar…sei ubriaca?” Sgranai gli occhi, sempre tenendole il volto tra le mani, mentre lei iniziava a ridacchiare senza ritegno. “Ma…si può sapere cosa diavolo è successo, stanotte? E perché sei ricoperta di sangue?!”
“Forse converrà parlarne in casa,  davanti ad un bel fuoco, non trovate, Andrè?”
“Non intromettetevi.” Esclamai secco, senza riuscire a bloccarmi. Sapevo che non avrei dovuto rivolgermi ad un uomo del genere con quel tono, ma in quel momento le formalità erano alquanto lontane dalle mie intenzioni.
Ero piuttosto fuori di me.
Oscar si divincolò dalla mia presa.
“Vuoi sciapere cos’è successo, Andrè? Ebbene, abbiamo incontrato il Cavaliere Nero…” Oscar si staccò dal collo di Casanova, gesticolando in modo piuttosto teatrale. “Il famigeraaaaato, Cavaliere Nero.”
Venne verso di me barcollando, mentre la osservavo perplesso e alquanto allarmato.
“E pensa un po’…? Mi è scappato.” Si spostò dal viso una ciocca che le era rimasta invischiata nel sangue che aveva sulla fronte. “Ma tu, questo già lo sai, vero?” mormorò poi, ridacchiando.
La osservai smarrito.
“Cosa? Che intendi dire?”
“Haha, andiamo, Andrè, credi che non l’abbia capito?”
“Capito cosa, esattamente?” Volevo portarla dentro casa e medicarla, ma mi sembrava un’impresa piuttosto ardua, irragionevole com’era in quel momento.
Oscar mi fissò alcuni secondi, poi lentamente sollevò l’indice e me lo puntò tra le sopracciglia.
“Che sei tu, il Cavaliere Nero.”
“Cosa?!”
Feci un passo indietro, smarrito.
“Oscar, sei ubriaca. Mi sembra piuttosto evidente che straparli…” Mi voltai verso Casanova, che se ne stava in disparte silenzioso, fulminandolo con lo sguardo.
“Cosa le avete fatto? Perché è ridotta in questa maniera?”
“Beh…è una storia piuttosto lunga, non volete che la racconti davanti ad una tazza di tè, mentre la vostra padrona si riprende con una buona dormita? La ferita sembra più grave di quel che è: quell’uomo deve averla colpita di piatto  alla testa, e voi saprete certamente bene quanto me quanto possa sanguinare una ferita del genere..”
Il mio sguardo era furente. Afferrai Oscar per un braccio e me la trascinai dietro.
“Si. Mi spiegherete tutto più tardi. Vieni, Oscar, hai bisogno di essere medicata…E di rinsavire dalla sbronza.”

Riadagia la pezzuola bagnata nella bacinella che aveva ormai assunto un sinistro color rosa scuro, e la appoggiai al comodino di Oscar sospirando.
Fortunatamente, Monsieur Casanova aveva ragione: il taglio che aveva sulla fronte non era affatto grave, nonostante avesse implicato una notevole fuoriuscita di sangue che sul momento mi aveva alquanto allarmato.
Le fiammelle del candelabro ondeggiarono lievemente, mentre osservavo i suoi lineamenti tra la luce e l’oscurità. Teneva il capo sprofondato nel cuscino e lo sguardo vagamente annebbiato dall’alcol fisso su un punto imprecisato alla sua sinistra, nel tentativo di evitare il mio.
“Oscar…Adesso vorresti, per favore, spiegarmi cos’è questa storia del Cavaliere Nero? Davvero pensi che sia io?” La voce mi tremò leggermente “Davvero pensi…che io possa averti fatto una cosa del genere, ed essere scappato lasciandoti sanguinante in mezzo ad una strada?”
Oscar sbuffò.
“Io…No, non lo so, va bene, Andrè?!” Si voltò verso di me, fronteggiandomi, da sotto le bende che le cingevano il capo.
“Io…sono piuttosto confusa, in effetti. Da quando è iniziata questa storia, tu mi sembri…così strano. Ogni tanto sparisci, torni a notte fonda…E poi, simpatizzi con quell’uomo. Tu lo giustifichi, nemmeno fosse un eroe!”
Deglutii.
“Si, ma questo non vuol dire…”
“E poi…” Continuò imperterrita Oscar “Spiegami come mai, tutte le notti che eri con me, del Cavaliere non si è vista traccia, mentre questa notte…”
“Sei ingiusta con me.” Mi sollevai dalla sedia che avevo accostato al suo letto.
“E allora perché hai iniziato ad uscire da solo, la sera?” Oscar si sollevò leggermente dai cuscini.
“Io…Non posso dirtelo.”
“Ah, ecco.”
Restammo a fissarci alcuni secondi, e la diffidenza che lessi nel suo sguardo fu sufficiente a farmi avvertire una fitta nello stomaco.
“Non sono il Cavaliere Nero.”
“E cosa devo pensare delle tue uscite serali, Andrè?” il suo sguardo si sgranò leggermente “Si tratta forse…Si tratta di una donna?”
“Per Dio, Oscar, cosa ti viene in mente?” sospirai “E va bene. Ti dirò dove vado la sera. Anzi, ti ci porterò, domani. Così vedrai con i tuoi occhi. Ora però, dormi. Hai preso un brutto colpo stasera…”
Oscar mi fissò ancora alcuni istanti, dopodiché si riadagiò tra i cuscini.
“Va bene. Puoi andare, Andrè.”
“A domani.” La salutai, ma prima di uscire dalla porta, le lanciai un’ultima occhiata, mentre lei aveva già distolto lo sguardo.
‘Davvero pensi che avrei potuto farti una cosa del genere? Ma se darei la mia vita per te…ma tu questo non lo sai, vero? Io, darei la mia vita, per te’.

Arrivai davanti alla porta di Monsieur Casanova e attesi alcuni secondi prima di bussare.
Gli avevo rivolto delle parole abbastanza dure, quella sera. Parole che non avrei mai dovuto rivolgere ad un gentiluomo, vista la mia posizione.
Per di più, avevo intenzione di rincarare la dose rivelandogli che il suo servitore altro non era che un ladruncolo. Sempre ammettendo che l’italiano non lo sapesse già.
Espirai e bussai pesantemente alla sua porta.
“Avanti.”
Quando entrai, venni accolto da un’esplosione di vestiti.
Il servitore furfante stava provvedendo ad aprire i bauli del suo signore e oggetti dei più bizzarri mi balenarono davanti agli occhi in quel caos.
“Oh, Andrè! Che notizie mi portate della vostra padrona?” Casanova si era tolto la giacca, rimanendo con il panciotto e la camicia, e si aggirava per la stanza con una pila di libri in bilico sul braccio sano, sistemandoli lui stesso in ogni angolo vuoto gli capitasse a tiro. Sembrava un vero e proprio trasloco.
“Le sue condizioni non sono delle migliori, Monsieur.” Assunsi di proposito un tono insinuatore. “E  mi permetterei di chiedere, se la cosa non vi arreca disturbo, cosa è successo questa notte da causare un simile stato…”
Mi riferivo, naturalmente, soprattutto alla sbronza colossale con cui l’italiano l’aveva riportata a casa.
Casanova finì di sistemare i suoi tomi, dopodiché si lasciò cadere in una delle poltrone al centro della stanza, indicandomi la seduta dinnanzi alla sua.
“Sedete, Andrè, facciamo quattro chiacchiere.”
Piuttosto perplesso, mi accomodai titubante nella poltrona dinnanzi alla sua.
Casanova estrasse dalla tasca del panciotto la pipa in avorio del generale e se la fece accendendere dal malfidato servitore senza complimenti, davanti al mio naso. Quando si accorse che lo osservavo, piuttosto insistentemente, me la mostrò senza pudore.
“Vi piace? Viene, dalla Cina, sapete?”
“Oh, ma davvero? Bizzarro, il mio padrone ne possiede una esattamente uguale.”
Il mio sguardo doveva essere piuttosto eloquente, ma l’italiano non si scompose.
“Un ottimo gusto, davvero.” Fu il suo unico commento.
I suoi occhi scuri si fissarono intensamente nei miei.
“Sapete, siete molto solerte, per essere un servitore…”
“Non è forse questo il mio compito, Monsieur?”
“Immagino di si. Ma voi mi sembrate ben più intraprendente del più efficiente dei servitori.”
“Sono stato abituato così.”
“Magnifico, davvero. Ed ora, immagino vorrete sapere come si sono svolti i fatti, non è così? Bene, vi dirò, io non sono arrivato che alla fine dell’atto, quando ormai l’attore protagonista aveva abbandonato la scena, e ho dovuto constatare che la deliziosa madamigella che questa sera si accompagnava con me, e che era poc’anzi sparita a cavallo sulle tracce di codesto malvivente, si trovava a terra in uno stato tutt’altro che piacevole. Per questo ho ritenuto mio dovere portarla in una locanda per offrirle il conforto di un goccio di vita che le avrebbe certamente restituito le forze che le erano venute meno.”
“E non vi sembra di aver esagerato con questo…goccio di vita?”
“Voi dite? A me sembrava in splendida forma la vostra padrona, non pensavo che avesse una parlantina tanto sciolta. Mi ha raccontato di voi, e delle sue supposizioni…”
“Supposizioni che si rivelano totalmente inesatte, vorrei aggiungere.”
“Ma naturalmente, caro Andrè. Non avrei mai dubitato di voi. Voi mi sembrate infatti una persona totalmente sincera, un cuore puro. Sapete come disse il sommo poeta? ‘Amor e cor gentile sono una cosa’*” recitò, innalzando la mano destra dinnanzi a sé per enfatizzare la sua citazione. Poi i suoi occhi si posarono nei miei, quasi con insolenza “E voi non siete, forse, un uomo innamorato?”
Rimasi silenzioso al suo cospetto, sentendomi piuttosto a disagio. Ero solo un servitore, in fin dei conti, e avevo davanti un nobile che si stava prendendo gioco di me.
Casanova prese alcune boccate dalla pipa, espirandole lentamente nell’ambiente circostante.
“Non parlate più, mio giovane amico? Sapete perché vi sto dicendo questo? Voglio giocare a carte scoperte con voi, perché vi trovo persona ammirevole. Ebbene, vi dirò, la vostra padrona mi affascina. Mi ricorda oltremodo una giovane donna francese che amai un tempo. Henriette* era il suo nome, e, come la vostra Oscar, vestiva abiti maschili. Non fu l’unica donna che amai a vestire in codesto bizzarro modo, ma fu quella che mi rubò il cuore, portandolo via con sé.” Si piegò in avanti, scrutando il mio volto “Sapete cosa significa questa conoscenza con madamigella Oscar, per me?  Una donna travestita da uomo, avvenenza e ricchezza di spirito, una forte personalità e un simile amore per l’indipendenza? Potrei rivivere i miei anni migliori. Potrei colmare il vuoto che mi porto dentro da allora. Ma…”
Tornò a posarsi allo schienale della poltrona.
“Ci siete voi, e io non voglio farvi un torto.”
“Monsieur, i vostri discorsi sono davvero interessanti, ma io temo si stia facendo tardi…”
Volevo andarmene. Volevo che le sue parole scivolassero via dalla mia mente e dalla mia pelle. Le sentivo fastidiosamente appiccicate addosso.
“Siete sconvolto da tanta franchezza? Non siete forse innamorato della vostra padrona?” I suoi occhi ammiccarono leggermente, mentre si portava l’indice alla narice, battendoci sopra.
“Io ho fiuto, per queste cose, sapete? E in questo momento sento puzza di cuore infranto, che Dio mi fulmini se mi sto sbagliando!”
“Non sono spaventato dalla vostra franchezza, Monsieur. Ma credo che i vostri discorsi, scusatemi se mi permetto di farvelo notare, siano totalmente campati per aria.”
“Allora non vi dispiacerà se corteggerò la vostra padrona.”
“Voi siete libero di fare ciò che volete, nei limiti del rispetto…” Dovetti mordermi la lingua per pronunciare quelle parole.
“E se volessi avere con voi una sfida ad armi pari, per raggiungere il cuore della bella signorina?”
“Vi state prendendo gioco di me, Monsieur. Voi siete nobile, ed io solo un servitore, ma questo non vi da il diritto di offendere la mia dignità.”
Casanova sorrise.
“Avete ragione, Andrè! Perdiana a se avete ragione! E avete anche fegato. Vi ammiro, sul serio, e mi sembrate sprecato per la carica che ricoprite.”
“E’ il destino che Dio mi ha riservato.”
“Dio? Dio! Dio non assegna nessun destino, mio giovane amico. Fata viam inveniunt*, diceva Virgilio. ‘Il destino sa guidarci’. Ma siamo noi che scegliamo quale via percorrere.”
“Non sempre se ne ha però la possibilità. I miei natali, fino ad adesso, non mi hanno lasciato altra scelta.”
Fu a quel punto che Casanova si fece improvvisamente serio.
Si portò la mano al mento e mi scrutò alcuni secondi, intensamente.
“Andrè, voi sapete chi sono io?” il suo tono era cambiato rispetto al tono gioviale che aveva adottato fino a pochi istanti prima.
“Non siete forse Giacomo Casanova, Gentiluomo veneziano e Cavaliere di Seingalt?”
“Si. Sono Giacomo Casanova, veneziano, e Cavaliere di Seingalt. E sono figlio di due attori e nipote di un calzolaio.” I suoi occhi si ammorbidirono “Sono un figlio del popolo, esattamente come voi.”
Spalancai leggermente la bocca, sbigottito da quella rivelazione.
“Ma…” Mi guardai intorno, guardai il suo servitore, i suoi bauli colmi di vesti suntuose, i suoi libri di poesia e letteratura.
“E’ così, Andrè. Dio mi ha fatto nascere povero. Ma la forza di volontà mi ha permesso di usare l’intelletto per crearmi la mia fortuna. Ho studiato, ho imparato dalla vita tutto ciò che mi serviva per vivere. E ho vissuto, al massimo delle possibilità. Come vedete, siamo noi a creare il nostro destino, per quanto avverse possano essere le condizioni di partenza.”
I suoi occhi furono nuovamente nei miei.
“E, dal momento che mi piacete, e non voglio sottrarvi qualcosa senza avervi dato la possibilità di difendervi ad armi pari, voglio insegnarvi tutto ciò che la vita ha insegnato a me.”


* Dante, Vita Nova
** Henriette (nome, probabilmente, fittizio), il più grande e importante degli amori di Casanova, era una ragazza francese di buona famiglia fuggita di casa in abiti maschili, più precisamente in divisa militare. La sua identità rimase sempre un mistero per Casanova. Nelle sue memorie si ricorda di lei come di un’avventuriera dotata di audacia e coraggio, estremamente ricca di spirito, ma anche di buone maniere e raffinatezza, nonostante il carattere fiero, caparbio ed indipendente. Esattamente il tipo di donna che faceva breccia nel cuore del veneziano^^
Quando furono costretti a lasciarsi, perché lei venne riconosciuta e dovette tornare a casa, la ragazza incise sul vetro della locanda in cui alloggiavano ‘Dimenticherai anche Henriette’. Giacomo però non la scordò mai, e, in fondo, non smise mai di amarla. Rimase sempre il suo più grande rimpianto.
*** Massima di Virgilio che divenne il motto di Casanova, è anche il motto della famiglia d’Albertas, cui probabilmente Henriette apparteneva.
  
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