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Autore: Miki_TR    01/05/2011    0 recensioni
L'inizio di tutto.
"Il cimitero di Godric's Hollow sembra uscito da un libro di poesie, o di fiabe. E' antichissimo, e le lapidi più vecchie sono illeggibili. Su ogni tomba cresce l'erba, verde e lucida di rugiada nel primo mattino. Presto anche la tomba di Kendra Dumbledore ne sarà ricoperta, ma adesso la terra è ancora fresca per la sepoltura recente, e Albus si dirige verso il luogo del riposo di sua madre senza esitare."
Questa fanfic si è classificata prima al secondo turno del Grindeldore Challenge indetto da aGNeSNaPe.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Coppie: Albus/Gellert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Il cimitero di Godric's Hollow

 

-Aberforth, bada ad Ariana per un po', ti dispiace?- chiede Albus a suo fratello, la mattina a colazione. Aberforth non alza nemmeno gli occhi dal suo porridge, sbuffa solo un poco e riprende a mangiare come se nulla fosse, come se Albus nemmeno avesse parlato. Non gli presta molta attenzione, da quando è morta la loro madre, se non per qualche occasionale litigio, quando Albus perde la pazienza e cede all'ennesima provocazione.
Però, quando Ariana si versa un sorso di tè bollente sui vestiti, è rapidissimo nel farlo evanescere con la bacchetta, senza nemmeno preoccuparsi del divieto di compiere magie al di fuori di Hogwarts.
Albus sospira, si toglie un attimo gli occhiali e si gratta la radice del naso, come se potesse impedire al mal di testa ed all'irritazione di prendere il sopravvento, quasi fossero solo un prurito.
Aberforth lo fulmina con lo sguardo mentre cerca di distrarre Ariana dal tè versato, perché non si spaventi anche per una cosa così piccola e non abbia l'ennesima crisi, magari quella che farà definitivamente saltare la casa. Albus la preferirebbe quasi a quello stallo assurdo e sgradevole, a quella quotidianità stantia che promette di essere di lì in avanti la sua vita.
-Starai via molto?- chiede Aberforth, con il tono irritante che prelude spesso ad un litigio, quando sembra chiaro che Ariana non perderà il controllo per colpa di qualche goccia di tè, e che nonostante l'incidente Albus uscirà comunque.
-Non più di un'ora- risponde Albus distrattamente, prendendo un paio di giornali dal tavolo. Si ferma un istante a valutare se portarsi dietro o meno l'ultima lettera di Elphias dalla Spagna; non gli piace arrendersi all'invidia che gli provoca leggere quelle sue descrizioni entusiaste, ma d'altra parte Elphias attende una risposta, e comunque non è colpa sua se Albus non è partito insieme a lui.
-Dove vai?- chiede ancora Aberforth. Ariana comincia a canticchiare piano.
-Sulla tomba della Mamma- risponde Albus, sottovoce, come tante altre mattine.
Aberforth digrigna rumorosamente i denti, e suo fratello si gira a guardarlo, sforzandosi di non perdere la pazienza, di non sfogare sui suoi fratelli la frustrazione e l'angoscia. Dipendono da lui, dopo tutto. Eppure lui ha solo diciassette anni, e ha davvero diritto ad un'ora per sé. Per l'ennesima volta si rende conto di non essere, nonostante le qualità che tutti gli riconoscono, abbastanza adulto e pronto per ritrovarsi a capo di una famiglia così complicata. Però non c'è nessun altro, e non è colpa di nessuno: solo, è capitato.
-Qualche volta potresti portare anche noi al cimitero- gli fa notare Aberforth. -Ad Ariana farebbe piacere- aggiunge, prendendo la mano della sorellina, che gli rivolge uno dei suoi sorrisi adoranti, senza aver capito una parola.
-E' troppo pericoloso- spiega Albus per l'ennesima volta. -Tu puoi andarci nel pomeriggio, Abe. Io resterò con Ariana-.
-Sono sicuro che anche lei vorrebbe- inizia Aberforth, ormai per la centesima volta, ma Albus alza una mano e lui si interrompe.
-Per Ariana non fa differenza- dice Albus, e ha l'ennesima riprova di quel che sostiene quando sua sorella si gira, nel sentire il proprio nome, e gli sorride, completamente ignara della conversazione tra i suoi fratelli.
Aberforth stringe i pugni con rabbia. -Era anche sua madre, lo sai?- chiede, facendo per alzarsi.
Albus sente la sua pazienza assottigliarsi di minuto in minuto. -E non voleva che lei uscisse- taglia corto.
-Albus- prova ancora ad argomentare Aberforth, passando inevitabilmente il limite dello scambio di opinioni, e Albus lo interrompe di nuovo, definitivamente.
-Lei non uscirà- dice, con voce ferma. -E' pericoloso, ed inutile. Continua a tornare in camera della Mamma, Abe. Non sa nemmeno che è morta. Lasciala stare- dice, e Aberforth, che si era alzato nel vivo della discussione, si siede di nuovo, sconfitto da quelle parole più che da qualsiasi logica.
Ariana non si rende conto di essere orfana: quando Percival Dumbledore era stato portato ad Azkaban lei aveva continuato per mesi a nascondersi nel ripostiglio delle scope, il posto in cui lui la cercava sempre, aspettandosi evidentemente di vederlo affacciarsi alla porticina e di essere presa in braccio. Col tempo aveva semplicemente smesso di farlo, senza perdere il sorriso, come se se ne fosse tranquillamente dimenticata. Aberforth era troppo piccolo per capire, ma Albus lo ricorda bene. E adesso, allo stesso modo, Ariana continua ad entrare nella stanza di Kendra e a sedersi davanti alla sua specchiera, aspettando pazientemente che la madre vada a spazzolarle i capelli, come faceva tutte le sere, prima di morire. Resta lì seduta a canticchiare esattamente per il tempo di quel rituale, e poi se ne va a letto. Sorride comunque, perché semplicemente non capisce.
Albus vorrebbe avere la stessa fortuna, qualche volta.
Invece si trova a litigare con Aberforth, che vuole spiegarle, farle capire che la Mamma se ne è andata per sempre. E' solo inutile e doloroso. Ed Albus è costretto ad imporsi, a dirgli di lasciarla stare, ancora ed ancora.
E' veramente stanco.
-Torno presto- dice, con la mano già sulla maniglia della porta sul retro. -Bada a lei- aggiunge, e finalmente esce dalla casa soffocante, fuori, nel sole e nell'afa dei primi giorni di luglio.
 

Il cimitero di Godric's Hollow sembra uscito da un libro di poesie, o di fiabe. E' antichissimo, e le lapidi più vecchie sono illeggibili. Su ogni tomba cresce l'erba, verde e lucida di rugiada nel primo mattino. Presto anche la tomba di Kendra Dumbledore ne sarà ricoperta, ma adesso la terra è ancora fresca per la sepoltura recente, e Albus si dirige verso il luogo del riposo di sua madre senza esitare.
Come fa ogni volta che riesce ad andarci, in quei giorni, si siede sull'erba di fronte alla tomba, e si gode la quiete. Vorrebbe parlare a sua madre, come Aberforth ha fatto, le poche volte che sono sgattaiolati lì insieme, mentre Ariana dormiva dopo una delle sue crisi, innocua per qualche ora. Ma non c'è ancora riuscito.
Invece indirizza alla madre sepolta un breve cenno del capo, come faceva a casa, e si mette comodo, aprendo il giornale. Anche quando era viva, Kendra era l'unica a rispettare il suo bisogno di silenzio e solitudine. Tra loro non parlavano mai molto, ma chissà come si capivano, molto più che con chiunque altro, in casa.
Ad Albus manca quel rapporto. E quando è solo nel cimitero, con il silenzio del primo mattino rotto solo dagli animali che si muovono nel vicino sottobosco, può finalmente lasciare andare le pretese di responsabilità, ed essere solo un ragazzo di diciassette anni che ha appena perso la madre, e che si sente sicuro vicino alla sua tomba, perché lì, a dispetto di tutto, c'è qualcuno che può risolvere tutto quello che lui non riesce a gestire.
Tranquillamente, come se fosse al tavolo della cucina, e non tra le lapidi, Albus legge il giornale. Dopo una scorsa veloce alla Gazzetta, si dedica a Trasfigurazione Oggi, il suo preferito, e presto si ritrova immerso nell'articolo sugli ultimi, innovativi esperimenti di Trasfigurazione umana, e nel silenzio della solitudine non si accorge di essere osservato.
-Chiedo scusa- dice una voce sconosciuta alle sue spalle, facendolo sussultare. -Voi siete Albus Dumbledore?-
Impacciato per essere stato sorpreso in quello strano rituale mattutino, Albus si volta verso l'uomo che ha parlato, alle sue spalle.
E' un ragazzo che sembra un po' più giovane di lui, vestito elegantemente e con il viso incorniciato di riccioli biondi. La sua voce ha un certo accento straniero, ma anche se il suo inglese fosse stato privo di inflessione, Albus avrebbe capito subito che non è del posto; Godric's Hollow dopo tutto è un paesino, è difficile non riconoscerne gli abitanti; e i turisti che alle volte visitano il paese sono facilmente riconoscibili.
-Sono io- risponde Albus, un poco spiazzato.
Lo straniero annuisce, sorridendo. -Vostro fratello mi ha detto che vi avrei trovato qui. Mia zia insiste che faccia la vostra conoscenza al più presto- dice.
-Vostra zia?- chiede Albus.
Il ragazzo annuisce di nuovo. -Sono Gellert Grindelwald- si presenta, tendendo la mano ad Albus, che la stringe ancora confuso. -Il nipote di Bathilda- aggiunge, quando è chiaro che il suo nome non evoca nessun ricordo.
Albus arrossisce. E' probabile che Bathilda gli abbia raccontato di aspettare una visita da un nipote; ma, come la maggior parte dei ragazzi del villaggio, Albus presta poca attenzione alle chiacchiere dell'anziana signora, sebbene adori i suoi libri. La vicina di casa impicciona è molto diversa dalla storica di talento, pure se sono la stessa persona.
-Vi chiedo scusa- dice, imbarazzato. -Non ricordavo che vostra zia mi avesse parlato di voi, Mr Grindelwald-.
Grindelwald sorride ancora di più. -Gellert- lo corregge lui. -Non siamo così vecchi da dover ricorrere a certe formalità, no?- scherza, senza lasciargli la mano. La sua presa è sicura e salda.
Albus tenta un sorriso di rimando, ancora scosso dall'improvvisa apparizione travolgente di quel giovanotto nella sua mattinata tranquilla. -Albus- dice, vagamente consapevole che sta accettando una sorta di amicizia con uno sconosciuto, e non dovrebbe.
Ma lo straniero lo attira, in qualche modo.
-Credimi, lo so- scherza Gellert, lasciandogli finalmente andare la mano, ma solo per prenderlo a braccetto e incamminarsi verso l'uscita del cimitero. Albus lo segue senza protestare, stupendo anche se stesso. -Sono arrivato solo ieri sera, e mia zia non fa che parlare di te. Albus qui, Albus là... è vero che hai scoperto nove usi del sangue di drago nelle pozioni?-
Albus è un po' spiazzato da tutte quelle chiacchiere, ma cerca di non darlo a vedere. -Dodici, per la verità- ammette. -Ma tre non sono ancora stati approvati dalla Commissione per le Pozioni Sperimentali- aggiunge.
Grindelwald scuote la testa, facendo ondeggiare i riccioli che gli finiscono negli occhi. -Voi inglesi e le vostre regole... Dodici, addirittura! Quando anni di alchimia l'avevano considerato incapace di reagire! Devi raccontarmi come hai fatto, da dove ti è venuta l'idea...-
Insieme percorrono le strade di Godric's Hollow, verso la periferia e le case più antiche del paese. Nonostante l'iniziale reticenza di Albus, la conversazione diventa in breve viva ed interessante. Grindelwald è estremamente abile a fare le domande giuste, ed in breve Albus si sente così a suo agio da lasciarsi andare, aggiungendo dettagli alle sue risposte e godendosi semplicemente il momento.
-Ad Hogwarts la sperimentazione è sempre incoraggiata- dice ad un certo punto, e Gellert fa uno strano sorriso triste.
-A Durmstrang molto meno- commenta, con una punta di amarezza su cui Albus non si sente di indagare, con una conoscenza così fresca.
-Credevo che a Durmstrang ci fossero lezioni anche durante l'estate- dice invece, incuriosito. -L'anno scolastico è già finito?-
Grindelwald ride, stringendo la mano sul polso di Albus e tirando indietro la testa. -Per me sì, amico mio- risponde, dopo un poco. -Sono appena stato espulso- aggiunge, ancora ridacchiando.
-Espulso?- chiede Albus, incredulo. -Per quale motivo?-
Gellert gli sorride. -Oh, non sono certo di volertelo dire. Non finché non sarò sicuro che il mio segreto più terribile non ti faccia scappare a gambe levate!-
Albus trova curiosamente divertente quella risposta. E' affascinato da quel giovane, dal suo modo di parlare e dalla sua risata. Sorride un poco, sinceramente, e Gellert sembra trovarlo incoraggiante, perché continua a parlare sullo stesso tono fino alla porta di casa Dumbledore.
-E qui ci separiamo- dice, davanti al cancello. -Per il momento. Devo ammettere che non avevo molta fiducia nei consigli di mia zia, pensavo che fossi solo un noioso bacchettone. Ma mi sono dovuto ricredere, e mi piacerebbe invitarti a cena, questa sera. Se non hai altri impegni-.
Albus naturalmente ha altri impegni, un fratello e una sorella, e un sacco di cose che non si sente ancora di spiegare al suo nuovo amico, per quanto sia istintivamente attratto dalla sua conversazione. Dovrebbe declinare l'invito. Ma improvvisamente pensa che può permettersi di cenare a due minuti a piedi da casa, per una volta, e che non gli importa quante storie farà Aberforth.
-No di certo- risponde, prima di pentirsene. -Sarò da te al tramonto-.
-Perfetto- esclama Gellert, e lo stringe in un breve abbraccio prima di dirigersi verso casa.
Albus, sopraffatto dagli eventi della mattinata, rientra a sua volta, ed immediatamente Aberforth lo aggredisce per essere stato fuori più a lungo del previsto, con Ariana che li guarda, sorridendo vaga.
La casa opprimente si chiude di nuovo attorno a lui, come una gabbia.
Ma qualcosa è cambiato, ed Albus intuisce, anche se non sa come, che nulla sarà più come prima.

Quella sera, mentre già Albus si sta vestendo per la cena, Ariana ha una delle sue crisi, la peggiore dalla morte della loro madre. E' nella stanza di lei quando succede, e improvvisamente Albus sente un rumore di vetri infranti. Prima che possa arrivare alla porta sente i passi di Aberforth che sale di corsa le scale, le sue urla angosciate che chiedono disperatamente ad Ariana di calmarsi.
Albus accorre, trafelato, e trova l’antica toeletta di sua madre fracassata a terra, decine di vecchie boccette di profumi che vorticano per la stanza, spaccandosi contro le pareti e spargendo una pioggia di schegge di vetro su Ariana. La ragazzina è seduta per terra in mezzo a tutto quel caos, con le braccia sulla testa, e piange disperata.
Albus impugna la bacchetta, tentando di prendere la mira, nonostante le urla e la confusione, abbastanza precisamente da bloccare una ad una le boccette. Aberforth sembra in preda al panico.
-Porta fuori Ariana!- gli grida Albus, ma la bambina non si lascia toccare facilmente, in quelle situazioni, e quando Abe tende una mano verso di lei una scintilla di pura magia lo costringe ad allontanarsi velocemente.
Albus si affretta a sistemare il caos della stanza, ed una ad una le boccette si fermano e si posano innocue sul pavimento, lontane abbastanza perché Ariana non le calpesti con i piedi scalzi.
Sua sorella, come sempre, è terrorizzata dal suo stesso potere, e trema ancora quando Albus le si avvicina. Nonostante non ci siano più pericolosi oggetti vorticanti, la crisi è ancora in atto e Albus si protegge con uno scudo prima di chinarsi e sollevare Ariana dal pavimento. Lei cerca di resistere per qualche istante, poi si calma tra le braccia di suo fratello, e quando lo scudo di Albus termina il suo effetto, la crisi è passata, finalmente. Aberforth si avvicina velocemente e prende la sorella dalle braccia di Albus; lei gli sorride come se non fosse appena successo nulla e si mette a giocare con i suoi capelli, del tutto ignara dei suoi fratelli che si guardano, terrorizzati, appena sopra la sua testa.
-Questa è stata lunghissima- dice Abe, e Albus non può far altro che annuire, sfinito. Contrastare la magia di Ariana è particolarmente faticoso, come sempre. Come se lei avesse molto più potere di qualsiasi altro mago, disfare i suoi incantesimi involontari risucchia le energie di Albus in maniera incredibile ed Aberforth, che è leggermente meno dotato, non ci riesce, quando le crisi sono così intense.
Ecco perché Albus non può andarsene. Ecco, pensa sospirando, perché quella sera non li può lasciare da soli per andare a cena da Grindelwald, per quanto lo desideri.
Cullata da Aberforth, Ariana si sta addormentando. Albus precede i suoi fratelli nella stanza della ragazzina, e insieme la distendono sul letto. Albus impugna di nuovo la bacchetta, e le cura tutti i piccoli tagli che il vetro le ha provocato esplodendo; piano, per non turbare il suo riposo, la guarisce con cura e precisione, ignorando persino la propria stanchezza per quel compito delicato. Abe lo guarda lavorare in silenzio, tenendo la piccola mano di Ariana tra le sue, sempre sporche di terra sotto le unghie.
Quando ha finito, Albus scende in cucina e scrive due righe a Gellert, scusandosi per l'improvvisa defezione con parole vaghe. Si chiede se debba dirgli la verità sulle condizioni di sua sorella, ma il vecchio sistema delle menzogne per proteggere Ariana, che Kendra gli ha inculcato fin da piccolo, è troppo ingranato per essere messo in discussione.

Grindelwald accetta le sue scuse con buona grazia, anche se il tono della lettera con cui risponde ad Albus è decisamente deluso. Albus si chiede se quel pessimo tempismo gli abbia fatto perdere la possibilità di stringere una vera amicizia con il ragazzo che ha conosciuto quella mattina.
Ma quando, dopo aver riordinato la casa e dopo che Aberforth è andato finalmente a dormire, Albus si immerge nella lettura dei giornali che aveva abbandonato la mattina, godendosi finalmente un po' di riposo, la prova della persistenza di Gellert gli bussa alla finestra, sotto la forma di un bel corvo che porta una sua lettera.
Albus rimane piuttosto colpito da quel gesto; è come se Gellert avesse intuito che qualcosa non va in casa Dumbledore, e la lettera, sotto le domande curiose che riprendono la loro conversazione precedente, sembra davvero un tentativo di risollevargli il morale.
E' piacevole parlare con qualcuno di intelligente, Albus, scrive Gellert, perché mia zia è molto meno interessante di quanto pensassi quando sono venuto qui; ma oggi mi sono davvero divertito a discutere con te. Forse possiamo continuare per lettera, se non puoi passare la serata con me?
Albus stenta a credere alla sua fortuna. Dal cassetto della scrivania tira fuori una piuma e qualche pergamena pulita, e si affretta a rispondere all'amico. La sua lettera era piena di complessi riferimenti ad oscure fonti che Albus credeva di essere il solo a conoscere, testi di vecchi pozionisti e addirittura, se Albus non si sbaglia, Gellert ha citato un'oscura teoria alchemica medioevale per sostenere la sua tesi che l'undicesimo uso del sangue di drago che Albus ha scoperto, per quanto contestato come poco ortodosso dalla Commissione, sia in realtà già ipotizzato in quella fonte così antica, anche se solo in teoria. Nessuno, nemmeno il suo professore di pozioni, l'aveva notato prima.
La mente di Gellert, non può fare a meno di pensare Albus, si muove esattamente come la sua; e quella lettera si è portata via inspiegabilmente un po' della sua oppressione e della sua solitudine.
Così Albus risponde quasi con frenesia, frase dopo frase, e senza nemmeno accorgersene finisce per condividere con Gellert più di quanto dovrebbe, le sue teorie più azzardate e le sue scoperte lasciate a prendere polvere mentre si consuma a Godric's Hollow. In calce firma rapidamente, con tutti gli svolazzi che sono una delle sue poche vanità, e consegna la lunga pergamena al corvo di Gellert, che gli becchetta una mano come se già l'avesse preso in simpatia, prima di volare via, nella notte.
L'emozione che Albus prova nell'attendere la risposta è qualcosa di nuovo per lui; intensa e forte, lo distrae dai suoi cupi pensieri quotidiani, e dalle stesse teorie di cui stava scrivendo solo un attimo prima. Il cuore sembra battergli più forte in petto nell'attesa, finché non decide di minacciare di fermarsi quando di nuovo sul davanzale si posano gli artigli del corvo.
Eppure la risposta è così breve da essere una delusione cocente come era bruciante l'attesa.
Qual è la tua finestra? chiede solo Gellert.
Sorpreso e incuriosito, Albus risponde brevemente che è quella davanti al vecchio melo che ormai non dà più frutti, e un minuto dopo aver visto volar via il corvo con la sua risposta, un'ombra più scura della notte di staglia contro il suo davanzale, una figura silenziosa alla sua finestra, che sorprende Albus tanto da fargli levare la bacchetta, d'istinto.
-Sono io!- sussurra la voce di Gellert, e l'ombra scivola dalla finestra sulla sua scrivania, permettendo alla luce della candela di rivelare i riccioli biondi e gli occhi splendenti di Gellert Grindelwald.
Albus fatica a parlare mentre abbassa la bacchetta. Gellert è vestito da casa, scalzo e con la camicia aperta, come se non avesse perso tempo a sistemarsi prima di precipitarsi lì. Sorride come quella mattina, e senza preamboli porge ad Albus la lettera che lui gli ha inviato poco prima.
Albus la prende, stupito.
-La tua firma- dice Gellert, ansimando un po', come se avesse corso. -La A di Albus. Sai cosa significa quel simbolo?-
Albus osserva la propria grafia, il triangolo, il cerchio e la linea con cui ha firmato senza pensarci, perché tanto nessuno si è mai chiesto cosa significassero.
-Lo conosci?- chiede ancora Gellert, incalzante e visibilmente eccitato, indicandolo. -O l'hai usato per caso? Albus, non è un disegno qualunque. Quello è il simbolo...-
-Dei Doni della Morte- conclude Albus per lui, osservando a bocca aperta Gellert, la prima persona che abbia mai incontrato a riconoscerlo.
-Esatto- dice Gellert, e il suo sorriso sembra immenso, tutto d'un tratto. -Non potevo aspettare- aggiunge.
-Non ho mai incontrato nessuno che li cercasse- dice Albus, stupito.
Gellert ride. -Non è una cosa da mago comune- dice, e poi scivola giù dalla scrivania, accomodandosi sul letto di Albus come se fosse stato invitato. Albus non prova nemmeno una vaga tentazione di dirgli qualcosa a riguardo.
-Allora- riprende Gellert, -hai scoperto qualcosa? Ti va di dividere le tue conoscenze con me?-
-Intendi mettere in comune il nostro materiale?- chiede Albus, sedendosi sulla sedia.
-Intendo se hai voglia di cercarli con me- gli chiarisce Gellert, e la mente di Albus si impiglia un istante sul concetto, perché davvero non è una proposta usuale da fare a qualcuno appena incontrato.
Eppure lo attrae in maniera indicibile.
Albus è sempre stato solo. Dove avrebbe potuto trovare un confidente, un compagno, un suo pari, del resto?* Gellert Grindelwald promette di essere tutto questo, e forse, si trova a sperare una piccola parte di Albus, anche di più.
-Naturalmente sai già della tomba- comincia.
-Quale tomba?- chiede Gellert, sporgendosi verso di lui come fosse avido di informazioni.
-La tomba dei Peverell- spiega Albus. -Ci siamo passati davanti stamattina-.
Gellert sgrana gli occhi. -Qui? La tomba di un Peverell?- chiede.
Albus realizza improvvisamente che Gellert non lo sapeva, e sorride, perché la sua curiosità sembra quella di un bambino. -Certo. Benvenuto a Godric's Hollow, luogo del riposo del terzo fratello- dice, ridendo.
Di lì in avanti, la conversazione riempie le ore, che passano via come minuti.

La mattina dopo Albus si sveglia nel suo letto con un deciso mal di testa, e il rumore di pagine fruscianti che gli riempie le orecchie. Apre gli occhi lentamente, infastidito dalla forte luce che viene dalla finestra spalancata, e ci mette qualche istante per accorgersi che Gellert Grindelwald è ancora nella sua stanza, e sta leggendo uno dei suoi libri alla scrivania.
-Gellert?- chiama, con la voce ancora arrochita dal sonno.
Gellert chiude il libro con un tonfo, e si alza per stirare i muscoli, come farebbe un gatto.
-Buongiorno!- gli dice, tutto allegro. -Hai dormito poco-.
Albus borbotta qualcosa sulla luce, alzandosi a sedere. -Devo essere crollato mentre parlavamo- si scusa, imbarazzato.
Gellert annuisce. -Proprio nel mezzo di una frase- dice. -Sembri molto stanco-.
-Ieri è stata una giornata pesante- risponde vagamente Albus. -Non eri obbligato a restare- dice, alzandosi dal letto.
Gellert solleva uno dei libri che ha posato sulla scrivania mentre Albus dormiva. -Stavo curiosando tra i tuoi testi di Difesa contro le Arti Oscure- dice, come se fosse la cosa più normale del mondo. -Non ne abbiamo di così buoni, a Durmstrang- ammette.
Albus annuisce, mentre gli torna in mente la conversazione di quella notte, un pezzo per volta. Le parole di Gellert, il modo in cui l'ha affascinato sentire parlare dei Doni, tutto riporta Albus alla voglia di riprendere quel discorso, ignorando qualsiasi altro dovere, per ritrovare la complicità così evidente quella notte.
Gellert chiaramente pensa in maniera molto simile. -Hai promesso di portarmi a vedere la tomba- dice.
Albus annuisce di nuovo. Non vede l'ora di iniziare quella ricerca con Gellert, davvero, ma ha diverse cose da fare che non possono aspettare, di prima mattina.
-Devo prima occuparmi dei miei fratelli- ammette, abbassando lo sguardo, come se si vergognasse.
Ma Gellert sembra capire subito anche quello. -Ci vediamo dopo colazione?- chiede, e Albus, grato per quella comprensione, annuisce.
Gellert gli si avvicina e di nuovo lo abbraccia brevemente, come ha fatto la mattina precedente, prima di voltarsi ed arrampicarsi sulla scrivania.
-Cosa stai facendo?- chiede Albus, metà curioso e metà allarmato, e Gellert ride.
-Non credi che i tuoi fratelli troverebbero strano vedermi scendere a colazione, dopo aver passato la notte nella tua stanza, con una tenuta così indecente?- chiede, indicando i propri abiti scomposti e i piedi nudi.
-Sicuramente non è un buon motivo per buttarti di sotto, Gellert- obbietta Albus, divertito.
Gellert ride e si volta verso di lui, dando le spalle alla finestra e accennandogli di avvicinarsi. Quando Albus è abbastanza vicino, Gellert si sporge in avanti per sussurrare al suo orecchio.
-Ti faccio vedere un trucchetto- dice, e Albus rabbrividisce quando il fiato caldo gli tocca la pelle.
Poi, ridendo, Gellert si lancia all'indietro fuori dalla finestra del secondo piano, come se avesse le ali. Quando Gellert giunge a metà della distanza tra la finestra e la terra, Albus, che si è sporto a guardarlo, spaventato, lo vede agitare brevemente la bacchetta e un attimo dopo atterrare morbidamente con le punte dei piedi scalzi sull'erba. Incantato da quell'incantesimo di levitazione perfettamente eseguito a mezz'aria, Albus segue la sua figura che si allontana per il cortile, silenziosa come uno spettro, e già conta i minuti che mancano al suo ritorno.

-Un po' più avanti- indica Albus, più tardi, -dopo quella fila di lapidi tutte uguali... ecco- dice infine, non appena lui e Gellert arrivano davanti alla tomba giusta.
Gellert fischia piano, e il suono produce un'eco bizzarra tra le tombe, nel cimitero solitario.
La tomba è piuttosto diversa da tutte le altre. Una lastra di pietra grande come un letto giace sul terreno, come un sarcofago infossato.** No, pensa Albus, esattamente un sarcofago infossato. Sulla superficie erosa dal vento e dalla pioggia il simbolo dei Doni spicca ancora, inciso così profondamente che si potrebbe cancellarlo del tutto solo spaccando la pietra. Sotto, molto più difficile da leggere, c'è il nome, Ignatius Peverell.
-Credi che sia sepolto lì dentro, con lui?- chiede Gellert, immobile al fianco di Albus. I suoi occhi scintillano di curiosità.
Albus scuote la testa. -No- risponde, deciso, -ricordi la storia? L'ha passato a suo figlio prima di morire-.
-Già- concorda Gellert, che sembra non riuscire a staccare gli occhi dalla pietra nemmeno per un istante. -E comunque non mi piacerebbe affatto aprire una tomba e rubare ad un morto-.
Albus annuisce. -Sarebbe disgustoso- commenta, ma Gellert scuote la testa.
-Sarebbe privo di stile- lo corregge. -Inappropriato, non trovi? Impossessarsi di uno dei Doni della Morte violando la sacralità della morte stessa. Credo che non funzionerebbe- dice, tra sé.
Albus non ci aveva mai pensato prima, ma si trova istintivamente d'accordo. Ha sempre sentito che la magia obbedisce a leggi più complesse di quelle che insegnano a scuola, ma prima di conoscere Gellert non aveva mai incontrato qualcuno che lo capisse altrettanto.
-Credi che si offenderebbe se ci sedessimo sulla sua tomba?- chiede Gellert dopo un po' di silenzio, e Albus lo guarda stupito. -Non per mancare di rispetto. Ma per... assorbire qualcosa della sua presenza? Non lo so spiegare bene- si scusa, ed arrossisce vagamente. Albus lo trova sorprendentemente appropriato.
-Io penso di no- dice, chiedendosi se avrebbe avuto il coraggio di contraddire Gellert, se fosse stato il caso.
Gellert ride piano. -E' una cosa sciocca- dice, quasi a se stesso, ma poi si stende completamente su un lato della lapide, e guarda il cielo, immerso nei suoi pensieri. -Vieni anche tu- dice ad Albus, dopo qualche istante. -Se il terzo fratello vuole ispirarci nella ricerca, dobbiamo approfittarne insieme-.
Sentendosi un po' sciocco Albus si stende di fianco a Gellert, fissando il cielo azzurro del primo mattino, sopra le loro teste. Se il guardiano del cimitero li sorprendesse sarebbero guai, ma in qualche misura non gli importa.
-Sai- dice di nuovo Gellert, dopo un poco, -credo che sia importante che io sia capitato qui per caso. E' come se fossimo destinati ad incontrarci, non trovi?-
-E' possibile- risponde Albus, che non sa bene cosa pensare di quell'incontro, ancora, oltre a registrare il semplice fatto che in quel momento, steso su una tomba insieme a Gellert, si sente leggero e completo come mai prima.
-E se eravamo destinati ad incontrarci, e ad incontrarci qui, non può significare che siamo destinati a trovarli insieme?- continua Gellert, girandosi su un fianco verso Albus e sfiorando con le dita il simbolo dei Doni, tra le loro teste.
-La leggenda parla di un Padrone della Morte- dice. Gellert lo guarda con aria strana.
-Le cose non sono mai così rigide- risponde, scuotendo la testa.
Poi, d'improvviso, avvicina il viso a quello di Albus, come ha fatto qualche ora prima per sussurrargli all'orecchio. -Eppure,- dice, piano, -adesso che ti ho incontrato non riesco ad immaginare di trovarli da solo-.
Albus avvampa sotto lo sguardo di quegli occhi grigi, ma è solo un attimo prima che la sua mente trovi la falla in quella logica. -Ci siamo incontrati da un giorno appena- dice. -In realtà non ci conosciamo per nulla-.
-E' vero,- concorda Gellert, senza distogliere gli occhi da Albus, -ma c'è già qualcosa di più grande, all'opera- dice, e prima che Albus possa chiedersi il significato di quella frase strana, Gellert si abbassa e lo bacia lentamente sulla bocca.
Non è la prima volta che Albus bacia un ragazzo. Eppure non è mai stato nulla del genere, per quanto bello. Nulla ha mai avuto un gusto così dolce e giusto insieme come quel primo bacio con Gellert, e Albus sente la potenza di ogni sensazione, le labbra screpolate di Gellert, la sua bocca umida e morbida, la lingua che scivola tra le sue labbra secche, come se si incidesse per sempre nella sua memoria. E' qualcosa di più, fin dal primo istante, di un gioco tra ragazzi, o della semplice attrazione. Improvvisamente le parole di Gellert sul fatto che il loro incontro fosse preordinato sembrano avere molto più senso.
Poi tutti i pensieri perdono spessore davanti alla realtà di due ragazzi che si baciano su una tomba vecchia di secoli, del sole caldo che li avvolge come una coperta, della sensazione precisa che danno ad Albus i riccioli dorati tra le dita, quando vi passa le dita per tirarsi la testa di Gellert più vicina.
Il tempo trascorre come impazzito in quel bacio languido e dolce, la mattina si perde pigra e silenziosa mentre le mani di Gellert scivolano lungo le braccia di Albus, ed entrambi si muovono un poco, incredibilmente comodi sulla pietra dura, o forse solo troppo persi l'uno nell'altro per accorgersi veramente di quanto accada intorno a loro.

Minuti, o forse ore, dopo, anche la presa di quell'incantesimo allenta dolcemente il suo potere; lo splendore dorato ed idilliaco del primo bacio, e di quelli che l'hanno seguito il quel breve lasso di tempo, si dirada, lasciando che Albus riprenda a percepire la realtà.
Il sole è molto più caldo, e ormai anche la pietra su cui sono distesi scotta, inondata dalla luce. Gellert ha una mano sul suo collo e Albus lo stringe alla vita, e l'ennesimo bacio lungo e morbido finisce in un sospiro.
-Devo rientrare- sussurra controvoglia Albus. Gellert non risponde e lo bacia di nuovo, e Albus si concede qualche altro momento di pace, prima di tirarsi a sedere e spezzare inevitabilmente quell'atmosfera.
-Perdonami, Gellert- dice, passandosi una mano tra i capelli, cercando di ritrovare il filo di ogni giornata normale. -I miei fratelli hanno bisogno di me-.
Gellert non si scompone, ma non accenna ad alzarsi. -Mi sembra che tuo fratello sia in grado di arrangiarsi, per una mattina-.
Albus lo guarda, scruta il suo viso sorridente ed arrossato e non vi trova nulla che non sia una perfetta corrispondenza di sentimenti, tra loro. La gioia di aver trovato un uomo del genere, dopo tanta solitudine, trabocca dentro di lui. Già dopo un giorno che lo conosce, non c'è nulla che gli sembra di non poter fare con Gellert, nulla che non si senta di condividere con lui.
-Non è così semplice- comincia, e supera lo scoglio dei segreti di famiglia senza quasi accorgersene, raccontando per la prima volta nei suoi quasi diciotto anni la storia della sua famiglia, quel che è capitato ad Ariana, quanto sia pericolosa e quanto siano grandi, e schiaccianti, le responsabilità di Albus.
Gellert lo ascolta in silenzio, concentrato sulle sue parole, e gli prende con naturalezza una mano quando la sua voce trema, dove il racconto si fa più doloroso.
-Ma non è giusto che lei debba restare nascosta in casa!- commenta alla fine del racconto, e Albus si stupisce un istante che lui non capisca, e sia così sostanzialmente in disaccordo con lui da parlare come Aberforth.
-La sicurezza è la mia priorità- gli spiega, ma Gellert scuote la testa.
-Non ti stavo criticando- lo rassicura con un sorriso e stringendo più forte le sue dita. -Non dovresti essere costretto a nasconderla, ad occuparti da solo di lei-.
-E' l'unico modo, Gellert,- ripete Albus, -Ariana è troppo pericolosa-.
-Ci deve essere un modo per imbrigliare il suo potere, per curarla adeguatamente- riflette Gellert, e il fatto che prenda così a cuore il problema scalda incredibilmente Albus.
-Chi potrebbe curarla? Se qualcuno lo scoprisse, la rinchiuderebbero e basta- dice amaramente.
-Non è giusto!- risponde Gellert, visibilmente indignato. -Non è giusto che lei debba restare nascosta, e che tu sprechi le tue capacità per occuparti di lei, quando potresti fare così tanto!-
Albus trova incredibilmente attraente quell'idealismo; ricorda quando anche lui pensava che ci dovesse essere una cura per ogni ingiustizia, prima che la realtà lo costringesse a crescere e superare quel modo di pensare.
-Il mondo non è giusto, e non è perfetto- risponde, banalmente.
-Ma questo è perché abbiamo paura dei Babbani- risponde Gellert. -E siamo costretti a nasconderci-.
Albus gli sorride. -Non starai contestando lo Statuto di Segretezza?- chiede, e Gellert gli sorride, scuotendo i riccioli biondi.
-No, è indispensabile finché siamo dominati dai Babbani; il punto è che non ha senso che lo siamo- risponde Gellert, sempre più animato man mano che la discussione si accende.
-Vorresti assoggettare i Babbani? O direttamente distruggerli?- scherza, convinto che Gellert stia parlando solo in teoria. Ma Gellert prende seriamente la domanda.
-Sarebbe uno spreco- dice. -I Babbani sono abili in molti campi che noi maghi nemmeno consideriamo. Però sarebbe tutto più equo, se fossimo noi ad avere il potere-.
Albus scuote la testa, rabbuiandosi un poco. -No, Gellert- lo rimprovera. -Sai che è stato tentato in passato, ed è sempre finita male. Già così siamo a malapena in grado di controllare la nostra società; annettere i Babbani sarebbe una pazzia, per noi maghi-.
Gellert gli sorride. -Ma io non intendo quegli idioti che affollano tutti i Ministeri, sciocco- gli dice. -Sto parlando di uno o due maghi, potenti, capaci di comprendere cose più grandi del vecchio "agitare e colpire", di creare un mondo migliore, dove chiunque abbia il ruolo che gli spetta, per cui è portato-.
Gli occhi di Gellert sono accesi, e lui si sporge in avanti verso Albus, evidentemente eccitato dalla possibilità. Albus gli sfiora una guancia con le dita e lo guarda sorridere.
-Oh, lo vedo dove vuoi arrivare- dice, ridacchiando dell'espressione furba e colpevole insieme di Gellert. -Uno o due maghi supportati dal potere dei Doni, magari?-
Gellert si unisce alla risata di Albus, ma per qualche istante soltanto, prima di tornare serio.
-Esattamente- dice, e Albus sorride a sua volta, lieto di aver seguito correttamente il filo di pensieri dell'amico. -Ma Albus- riprende Gellert, appassionatamente, - due maghi che lavorino per il bene di tutti. Non sarebbe incredibile? Vedi quanto sarebbe perfetto? Noi capiamo, Albus. Persino Ariana potrebbe sviluppare il suo pieno potenziale, in un mondo del genere-.
Per Albus, Gellert sta parlando di un sogno incredibile ed attraente. Eppure lo vede che parla sul serio, almeno in parte. -Non sarebbe più un peso...- mormora, quasi tra sé.
-No, sarebbe un dono- risponde Gellert. -Potremmo farlo davvero. Ne abbiamo il potere, Albus, tu ed io insieme- dice, e quelle parole si insinuano dolcemente nella mente di Albus.
-Dammi un altro bacio- aggiunge Gellert, sporgendosi, ed Albus ubbidisce con naturalezza, la testa che gli gira per l'improvviso aprirsi di una possibilità così grande, e per la vicinanza di Gellert. Si baciano per un lungo momento, le parole sovversive sospese nell'aria tra di loro. Poi Albus sospira.
-Potremmo farlo, certo. Se io potessi lasciare i miei fratelli per mettermi in cerca dei Doni; se fosse possibile mettere d'accordo tutti, allora forse...-
-Ma tuo fratello non sarà minorenne per sempre- lo interrompe Gellert, e gli posa un piccolo bacio sulle labbra. -E i Doni, anche solo la loro fama, metterebbero d'accordo molti, se non tutti-.
C'è una certa logica, e Gellert sembra davvero convinto. -Tu vuoi farlo davvero- dice Albus, comprendendo d'improvviso la consistenza di quella discussione.
-Perché no?- risponde Gellert. -Chi altro potrebbe, Albus? Chi altro hai incontrato che possa fare e capire quello che capiamo e facciamo tu ed io?-
C'è del vero nelle parole di Gellert. Ci sono molte cose su cui Albus deve riflettere.
La campana della chiesa batte i rintocchi del mezzogiorno. Gellert chiude gli occhi un istante, poi sorride e finalmente si alza dalla tomba su cui hanno passato la mattina, spolverandosi i vestiti.
-Pensaci, Albus- dice. -Ne riparleremo. Abbiamo un sacco di tempo per parlarne, no?-
Albus annuisce, prendendo la mano che l'altro gli porge per rialzarsi a sua volta. Senza bisogno di parlarne, si incamminano insieme verso casa Dumbledore, come la mattina precedente, ma molto più vicini.
Al cancello, Gellert si volta verso Albus e lo fissa negli occhi.
-Mi sembra di poter fare qualsiasi cosa, insieme a te- ammette, un leggero rossore che gli colora le guance, e la voce che trema solo un poco.
Albus si sporge in avanti e si baciano nella strada deserta, un ultimo assaggio di quella mattinata incredibile, prima che Albus sia costretto a tornare alla realtà sgradevole dei suoi doveri.
Gellert sospira un attimo, poi si allontana sorridendo.
-Ti mando una lettera più tardi- dice. -Non posso aspettare di parlarti domani- ammette tranquillamente.
Albus, che pensava la stessa cosa, senza osare dirla, annuisce. Quel modo di fare di Gellert è frastornante e attraente insieme, e anche se volesse allontanarsi, e non lo vuole, Albus non crede che potrebbe.
-E lascia aperta la finestra, stanotte- aggiunge Gellert a voce più bassa, contro il suo orecchio. -Non sono convinto di poter aspettare domani neanche per un bacio- aggiunge, e poi corre via ridendo, lasciando Albus al cancello a guardarlo allontanarsi, ad imprimersi quelle parole nella mente ed a rimandare ancora di qualche istante il ritorno inevitabile alla realtà soffocante di casa sua.
Alla fine Albus cede ai suoi doveri. Rientra in casa, preparandosi ai rimproveri di Aberforth per la sua lunga assenza, cercando di mostrarsi paziente, di non far vedere quanto gli sembri sprecato quel tempo lontano da Gellert, d'improvviso. Ascolta Aberforth e sorride ad Ariana che comunque non capisce, e riesce solo a pensare che è sicuro, con la mente, con il cuore e con il suo intuito preciso, che la sua vita non sarà più la stessa grazie all'incontro con Gellert Grindelwald.

 


*Questa frase è parafrasata da una citazione di un’intervista di JKR, trovata sul Lexicon (che al momento sfortunatamente è off-line). La citazione completa (in inglese) recita: “Dumbledore's "wisdom has isolated him ... where is his equal, where is his confidante, where is his partner?" [Leaky Cauldron, 2005]”. La citazione si riferisce chiaramente a Gellert.
**La descrizione della tomba di Ingnotus Peverell non corrisponde a quella del libro, ma a quella del film.

Questa è la fic che ho scritto per il secondo turno del Grindeldore Contest, indetto da aGNeSNaPe sul forum. La fic si è classificata prima, con questo giudizio:

Prima classificata - Miki

Miki
Grammatica 10/10
Stile 9.75/10
IC 9.75/10
Originalità 10/10
Gradimento personale 9/10
Totale: 48.5/50

Come mi vergogno, come mi vergogno a fare delle osservazioni a te. Dunque.
Grammatica perfetta, originalità pure (nulla di trascendentale in sé, ma divisa nei paragrafi, sì: Ariana che aspetta di farsi spazzolare i capelli, gli accenni a Bathilda, la firma di Albus, le lettere di Gellert…).
Veniamo ai punti in meno.
Nello stile c’è un “ma” che proprio non mi è piaciuto e qualche costruzione che non mi suona benissimo.
L’IC difetta un pochettino in Ariana (ma questo è un parere mio: non ce la vedo così tanto smarrita e inconsapevole) e nel dialogo sul “non forzare la tomba” (il discorso sulla sacralità della morte l’avrei pensato immediato anche per Albus)
Il gradimento personale NON è assoluto (altrimenti sarebbe 10), ma è equiparato alle altre tue storie: questa mi è piaciuta un pochetto di meno rispetto alle altre.
*scappa via*
 

  
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