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Autore: piccolalettrice    02/05/2011    7 recensioni
"...Lo fissai sbalordito. Se diceva la verità eravamo in pericolo. Se diceva la verità allora tutti i miei attacchi erano colpa sua. Se diceva la verità Talia aveva fatto bene a fare quello che aveva fatto. Se diceva la verità voleva dire che eravamo stati traditi di nuovo. Se diceva la verità tutte le cose successe negli ultimi tempi avevano trovato un’unica spiegazione: lui."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Solo intuendo'
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SPAZIO AUTRICE:
eccomi! Scusate il ritardo ma questo cap ha richiesto un bel po’ di sforzi (tra l’altro sono ben 11 pagine!)...
poi, volevo porvi una piccola domandina... questa fic sta diventando un polpettone? No, lo chiedo perché sto superando le 10 pagine a capitolo e non vorrei che annoiasse...
apparte questo... sapete che ci avviciniamo alla fine? Mancano (escluso questo) ancora due, massimo tre cap (ma non credo), più i ringraziamenti.
Ma...  ci sarà, per chi ancora non lo sapesse, il seguito.
Lascio a voi le reazioni.
Altre cose da dire?
Ringrazio tutti, davvero, siete grandissimi!
Bacioni
Piccolalettrice
Ps. Recensite, mi raccomando!
 
22- Ecco a cosa possono portare delle parole sbagliate
        
Il tempo poteva essere un  problema.
Prima di tutto perché fuori c’erano i mostri, che attendevano solo che qualche idiota come me superasse la barriera di Poseidone, e secondo perché dovevo semplicemente spicciarmi ad arrivare agli inferi prima che si svegliassero.
Così presi il telefono di Sally e prenotai un volo last minute per Los Angeles, poi presi anche la macchina e, sperando che i mostri stessero schiacciando un pisolino, mi affrettai a mettere in moto.
L’auto per fortuna era stata parcheggiata dietro al bungalow, posto poco visibile dalla strada, così quando partii fui certo che eventuali mostri non mi avessero visto.
Come sempre mi sbagliavo.
Partii a tutta velocità verso l’aeroporto di New York, perso tra i miei pensieri.
Stavo facendo la cosa giusta?
cercai di convincermi che sì, la stavo facendo.
Senza di me sarebbero stati meglio, tutti, e in più stavo facendo un favore, il mio ultimo favore, a Percy e all’Olimpo e a Talia, che non mi voleva più vedere.
Non sarebbe dispiaciuto a nessuno, in fondo... sì, forse a Backendorf, a Silena e soprattutto ad Annabeth, ma sarebbe passata a tutti.
La persona a cui avrei voluto che importasse se ne fregava, anzi peggio, non mi voleva nemmeno avermi davanti agli occhi.
Quindi cosa mi rimaneva da fare se non accontentarla, ancora una volta?
E magari unire l’utile al dilettevole.
Insomma, mio padre era il dio dei ladri, e poi non credevo che Annabeth si sarebbe arrabbiata perché avevo rubato la sua idea.
Perché quella figlia di Atena aveva ragione, il suo piano sarebbe stato perfetto se non avesse compreso il suo suicidio.
Il mio compito era quello di renderlo tale, andando al posto suo, consapevole che nessuno avrebbe sentito la mia mancanza.
L’abitacolo della macchina era buio e desolato come il mio animo.
La verità era che avevo paura.
Non sapevo come sarebbe stato, se avessi provato dolore o chissà cosa; andavo incontro all’ignoto.
E in più c’era la sensazione che non avessi lasciato nulla dietro di me.
Non ci sarebbe stato qualcuno che mi avrebbe aspettato, che avrebbe preteso un mio ritorno.
Da una parte era confortante sapere che non avrebbe sofferto nessuno, dall’altra dannatamente  triste.
Arrivai all’aeroporto dopo una mezzora di viaggio a cento all’ora e dopo quelli che mi erano parsi secoli di pensieri.
Lasciai l’auto poco distante dall’entrata, lasciando le chiavi nella serratura della portiera, tanto non mi sarebbe servita, e mi diressi a passo svelto verso l’entrata.
Alla luce desolata dei lampioni mi sentii più che mai vuoto e freddo.
Quando dopo i “convenevoli” con i vari biglietti eccetera finalmente salii sull’aereo che mi avrebbe portato a morire ebbi la sensazione che tutto fosse reale; per la prima volta mi sentii solo.
Sperai sinceramente che Zeus non intervenisse per bloccarmi la partenza o il viaggio; in fondo stavo facendo un favore a sua figlia, non poteva che rispettare la mia e la sua scelta.
Fissai il piccolo finestrino alla mia sinistra. Il cielo era buio, si intravedevano solo le luci lontane delle grandi città, mi persi nella magnificenza di quel panorama, godendomelo come mai avrei fatto, poco dopo mi addormentai, incurante degli occhi  che mi spiavano, silenziosi.
 
POV
 
Aprii gli occhi con il pallido sole che entrava dalla finestra.
Mi sembrò strano perché  di solito non succedeva così, di solito c’era qualcosa che lo scherniva.
C’era Luke, tra me  e quella finestra, di solito.
Mi parve strano.
Non so perché il fatto di non averlo visto come sempre appena sveglia fece insinuare in me quella strana sensazione, fatto sta che un’ansia che non avevo mai provato mi fece scattare una molla nel cervello.
 
Mi misi a sedere lentamente, guardandomi attorno. Backendorf e Silena dormivano poco distanti, ma c’erano solo loro sul pavimento polveroso del bungalow.
Tastai dove c’era la coperta sgualcita su cui riposava il figlio di Hermes, come se avesse potuto diventare invisibile ed essere lì, ma toccai solo la ruvida coperta di lana.
“Dov’è Luke?”
 Silena aprì gli occhi e scrollò Backendorf affinché si svegliasse, si guardarono attorno.
“sarà andato a far colazione” la figlia di Afrodite accompagnò la frase con uno sbadiglio:” ma che ore sono?”
colazione? Così presto? Guardai preoccupata fuori dalla finestra; avevo una brutta, bruttissima sensazione.
“che c’è Talia? Prima non lo calcoli poi quando non lo trovi pronto a fare il cane da riporto ti preoccupi?” fece Backendorf sghignazzando.
Gli lanciai un’occhiataccia e mi alzai, incamminandomi a passo di marcia verso il prefabbricato lì accanto.
Bussai, ma da dentro nessun rumore.
Bussai di nuovo, con più insistenza, e dopo un po’ sentii qualcuno borbottare oltre la porta, poi una Clarisse strapazzata e mezza addormentata mi venne ad aprire:
“che vuoi?”
La scansai, non volevo sembrare scortese, ma quell’inspiegabile ansia mi stava invadendo sempre di più, così entrai.
Annabeth era accovacciata ai piedi del divano con la testa appoggiata sul lenzuolo bianco dove Percy dormiva e delirava, con la febbre sempre più alta, sull’altro letto c’era Sally, addormentata.
Di certo non stavano facendo colazione.
A quel punto anche Silena e Backendorf ci raggiunsero.
Mi guardai attorno un’ultima volta come a constatare che davvero non c’era, che non era nascosto in un angolo o che so io.
Alla fine dissi, quasi urlando:
“Dov’è Luke?!”
Annabeth strizzò le palpebre e si alzò roteando il collo che fece uno strano scricchiolio, dovuto probabilmente alla posizione in cui aveva dormito, Sally invece si mise a sedere.
Perché avevo quella sensazione?
“buon giorno anche a te, Talia” fece Annabeth ironica
“non è il momento di far la spiritosa, dov’è Luke?”
“come posso saperlo?”
Mi guardai intorno ancora, poi uscii a grandi passi, seguita dagli altri.
Anche loro, ora, iniziavano  preoccuparsi... forse nel constatare che Luke non c’era davvero o forse nel vedere quanto stessi letteralmente e inesorabilmente impazzendo nel non trovarlo.
Ma per me era diverso, non ero preoccupata, io avevo quella sensazione strana, che era peggio della preoccupazione.
Controllai in tutti i bungalow, poi sulla spiaggia.
Non c’era.
Perché quella sensazione?
“allora?” mi chiese Clarisse, guardandomi.
Io scossi la testa una volta, mentre mi allarmavo sempre di più.
A quel punto Silena spuntò da dietro il prefabbricato, con una faccia che non prometteva nulla di buono.
La fissammo tutti.
“la macchina non c’è”
Mi crollò il mondo addosso.
Tutti trattennero il fiato, io guardai la ragazza che avevo davanti senza capire.
“come hai detto?”
“l’auto di Sally... è sparita”
La mia mente ricorse alla discussione che avevo intrattenuto il giorno prima.
Conoscevo Luke abbastanza da sapere che non aveva reagito bene.
-E da lì a prendere la macchina per... – mi sforzai a pensare quelle parole: -andarsene mancava davvero così poco?-
Conoscevo la risposta.
Per poco le gambe non mi cedettero.
Se n’era andato davvero.
Idiota, idiota e idiota, ecco cos’ero stata. Una grandissima idiota.
Avevo fatto tutto per non perderlo e nel farlo mi ero ritrovata ad averlo perso definitivamente.
“ehi, Talia” Silena mi cinse le spalle, “tranquilla, è tutto ok”
Mi scostai guardandola negli occhi, qualcosa vicino alla bocca dello stomaco iniziò a bruciare di collera.
Collera contro Silena e il suo essere sempre gentile all’inverosimile, contro Luke che se n’era andato, ma soprattutto contro di me, che avevo sbagliato tutto.
“tutto ok?!” sussurrai, guardandola in faccia, un po’ isterica: “ Mi CHIEDI SE è TUTTO OK?!”
“Talia, se non stai calma non possiamo capire dove può essere andato”
“CALMA?! DOVREI STARE CALMA, BACKENDORF?!”
Fissai gli occhi in quelli del figlio di Efesto, che mi guardò a sua volta con aria di comprensione:
“smettila di fare la sclerata e calmati”
“sclerata?! IO SAREI SCLERATA?!”
Sì, ero sclerata, ma in quel momento non mi sembrò un dettaglio rilevante.
“dove può essere?” fece Clarisse ignorandomi.
“non molto lontano se è partito da poco” le rispose Backendorf.
si guardarono, con aria pensierosa,
“al massimo è arrivato a New York, oltre...”
“...e... e se non fosse così?”
Tutti ci girammo a guardare Annabeth, che era rimasta in silenzio fino a quel momento.
“che vuoi dire?” le chiese Silena
“io... penso di sapere dove sia...”
La guardai negli occhi, era riluttante a parlare, esitava troppo.
“dimmi dov’è, Annabeth” le ordinai.
Lei mi fissò, poi tirò fuori due parole che mi gelarono il sangue, facendo concretizzare quella che fino a qualche secondo prima era solo una pessima sensazione:
“negli inferi”
“do-dove?”
“negli inferi... io...” guardò la sabbia ai suoi piedi “io... avevo un piano per far tornare Percy normale e...” al nostro sguardo confuso spiegò:”
C’è un collegamento tra lui e Grover, che in pratica dice che se uno muore anche l’altro fa la stessa fine e io avrei voluto... uhm... diciamo... dare la mia anima per quella di Grover e... l’ho detto a Luke...” mi guardò “mi dispiace, Talia”
La fissai.
Capii tutto in un istante.
“tu cosa hai fatto?!”
“Talia, io non credevo che...”
“tu cos’hai fatto?!”
Avanzai fino a trovarmi ad un palmo dal suo naso, indecisa se ammazzarla in quel momento e subito o se torturarla poi lentamente.
“Talia...”
“Annabeth, ti rendi conto di quello che hai fatto?! TE NE RENDI CONTO?!”
“io...”
Stavo per prenderla a pugni, ma la voce pacata di Silena si frappose tra me e quella figlia di Atena che non era degna del suo appellativo:
“Talia, facendo così non risolvi nulla”
“già” fece Backendorf mettendosi in mezzo come sempre:” andiamo a cercare Luke”
“fino a Los Angeles? Non possiamo prenotare un volo adesso, non arriveremo mai in tempo”
“ma quanto ottimismo, Clarisse”
“dobbiamo tentare”
“non servirebbe, ormai è...”
Fissai il figlio di Efesto, guardandolo negli occhi:
“non dire quella parola, Backendorf, non dirla”
Lui per tutta risposta mi rivolse uno sguardo di comprensione che mi innervosì; gli lanciai un’occhiataccia.
Mi guardai intorno spaesata. Cosa dovevo fare?
Ero stata davvero una... non mi veniva un insulto abbastanza grande da rivolgermi.
Era colpa mia, non potevo accusare Annabeth o Luke, era solo colpa mia.
Se me ne fossi stata zitta, se non avessi parlato, se avessi assecondato quel maledetto impulso di buttargli le braccia al collo... adesso sarebbe stato lì.
Non seppi bene quando caddi in ginocchio e quando mi ritrovai a sussurrare quelle parole, ma ad un tratto avevo le ginocchia nella sabbia e stavo pregando mio padre, l’ultima cosa che avrei fatto in un momento simile, ma in quel momento sentii il bisogno di pregarlo, di chiedergli di fermare Luke, di farmelo vedere ancora un’ultima volta, di potergli dire che quelle parole erano tutte una falsità, o almeno di darmi una speranza che Ade rifiutasse la sua anima... qualsiasi cosa.
Lo supplicai, in ginocchio, come non avevo mai fatto.
E, grazie al cielo, lui mi sentì.
Alzai gli occhi, erano sei, bellissimi, con lunghe ali candide.
Un istante prima non c’erano, ora mi stavano davanti, sbuffando sulla mia spalla.
“grazie” sussurrai.
poi partimmo.
 
POV
 
Mi svegliai bruscamente quando l’aereo toccò terra, il contatto con il suolo e le orecchie toppate mi fecero subito perdere il sonno.
Strizzai gli occhi, fuori il cielo era di quel grigiore che precede l’alba, l’aria doveva essere fredda, rimpiansi di essere andato via in maglietta a maniche corte e con il vecchio impermeabile di Percy.
Quando scesi dall’aereo mi diressi verso l’uscita dell’aeroporto, senza fermarmi come tutta la gente al ritiro bagagli.
Una strana sensazione alla base della nuca mi fece allarmare, mi voltai di scatto,sicuro che qualcuno- o qualcosa- mi stesse guardando, ma non vidi nessuno e siccome per tutto il viaggio non avevo incrociato ancora anima viva decisi di ignorare quella sensazione.
Presi un taxi per gli studi R.I.P con una desolazione che per poco non scoppiai a piangere mentre davo i soldi che avevo preso dal portafoglio di Sally al taxista, ma mi trattenni, ripetendo a me stesso che sarei andato fino in fondo a quella storia e che ormai non sarei tornato indietro.
Non avevo rimpianti, anche se mi sarebbe piaciuto vedere Talia un’ultima volta, nonostante mi avesse guardato con odio, nonostante mi avesse detto tutte quelle cose, io desideravo con tutto me stesso guardarla negli occhi, contare tutte le lentiggini che aveva sul naso, sentire l’elettricità allo sfiorarsi delle nostre dita.
“ehi, ma mi senti? Ti ho detto che non so dove sono questi studi R.I.P!”
Il tipo al volante voleva una risposta, alla fine approssimai l’indirizzo come meglio potevo, l’autista mi guardò con uno sguardo di disapprovazione, ma partì ugualmente.
Andava tutto troppo lentamente e troppo velocemente insieme.
Più guardavo fuori dal finestrino più avrei voluto catturare con lo sguardo tutto, al fine di ricordare com’era fatta la vita una volta giunto nei campi Elisi, nel Tartaro o dove diamine sarei andato a finire, eppure non volevo vedere, poiché era troppo triste pensare a tutto quello che stavo lasciando.
Alla fine arrivai in una via poco distante da dove sapevo essere gli studi.
“arrivederci” mi disse il taxista, io non lo degnai di risposta e scesi dall’auto.
Non mi resi conto di camminare, non mi resi conto di nulla, le mani mi tremavano, mi girava la testa e avevo un senso di nausea alla bocca dello stomaco.
Ma andai avanti fino a trovarmi davanti all’entrata.
Presi un respiro ed entrai tra i morti.
Caronte era poco distante, intento a sghignazzare alle anime.
Mi avvicinai e lui posò lo sguardo su di me, sorpreso.
“Posso aiutarti?”
“devo andare agli inferi, devo vedere Ade”
Lui si mise a ridere:
“andare agli inferi per parlare con Ade! Questa è bella! volete anche prendere il the?”
In quel momento un moto di rabbia, un po’dovuta al crollo di nervi che stavo per avere e un po’ alla risata di quel pallone gonfiato, mi fece sbottare; presi Caronte per il bavero della camicia firmata e lo fissai negli occhi con lo sguardo più intimidatorio di cui ero capace:
“adesso tu carichi quella barca e mi porti da Ade, mi hai capito?”
Lui annuì, intimidito, sapevo per certo che non era mai stato sul punto di venir preso a pugni come in quel momento.
“e sbrigati” aggiunsi mollandolo di colpo che quasi perse l’equilibrio.
Caricò le prime anime che vide, mentre io rimanevo fermo a osservarlo, con le mani tremanti e la gola riarsa.
Quando mi fece un cenno lo seguii sull’ascensore, insieme alle anime.
Ben presto i vestiti firmati di Caronte divennero un lungo mantello nero, così come quelli delle anime, e l’ascensore divenne una barca.
La desolazione degli inferi era davvero insostenibile. La testa mi scoppiava, le spalle sembravano bloccate tanto erano rigide. Tutti i muscoli erano tesi, le mani ormai tremavano incontrollabilmente, chinai il capo e immaginai Talia che mi teneva la mano, il calore invadermi il corpo con quella scossa famigliare, il rumore del suo respiro.
Forse fu il suo ricordo a farmi proseguire, immaginai che le parole che aveva detto non fossero mai uscite dalla sua bocca, che fossimo rimasti i bambini spensierati di un tempo.
La immaginai sorridere, con gli occhi accesi e lo sguardo felice.
Alla fine la barca si fermò bruscamente.
“fine del giro” fece Caronte, io scesi con le anime e prima che potessi dire qualsiasi cosa il traghettatore se ne tornò indietro. Dovevo proprio averlo spaventato.
 Davanti a me c’erano le tre file che sapevo portavano ai vari luoghi degli inferi, Cerbero era stato rimpiazzato da delle furie, non aspettavo altro. mi avvicinai ad una di esse, che mi si avventò contro.
“vivo!”
“portami dal tuo padrone” le dissi “devo vederlo”
La furia mi guardò in cagnesco, stralunata.
“è importante” le dissi poi “sono un amico di Percy Jackson”
Un baluginio di comprensione le spuntò negli occhi, mi afferrò le braccia con i suoi artigli e si alzò in volo.
Non riuscii a percepire i dettagli, sembrava tutto troppo veloce e confuso, c’erano solo gli artigli della furia sulle mie braccia e la morte tutto attorno.
Io chiusi gli occhi per non vedere quello che mi stava sotto, per non vedere la desolazione e il dolore... ne avevo già abbastanza da me.
ad un tratto non sentii più la presa degli artigli e caddi su un pavimento freddo e nero.
Mi alzai sfoderando la spada.
“butta via le armi” mi sibilò la furia e prima che potessi fare qualcosa mi tolse Vipera dalle mani, lanciandola in un angolo lontano.
Feci vagare lo sguardo nella stanza, fino ad incrociare lo sguardo incuriosito di un dio in abito greco, dai capelli ricci e nerissimi.
“Perché è qui?” chiese in tono pacato e crudele.
Guardò la furia, inclinando la testa e congiungendo le mani.
“voleva parlarle mio signore... è un amico di Perseus Jackson”
Il dio si alzò, in tutta la sua imponenza, venendo verso di me e girandomi attorno:
“e così sei amico di mio nipote”
La risposta faticò a uscirmi. La gola era arida e ogni gesto del mio corpo era incontrollato.
“sì... sono venuto a porgergli una richiesta”dissi infine.
“una richiesta?”
Il dio si fermò davanti a me fissandomi begli occhi.
“sì... lei ha preso l’anima di un satiro, Grover, il custode di Percy”
Il dio annuì facendo una smorfia.
“io volevo... barattare la mia anima... con la sua”
Il dio mi guardò serio. Per un istante mi sembrò che il tempo si fosse fermato.
Poi Ade sorrise.
“mi stai chiedendo di prendere la tua anima e di lasciare quella del satiro?”
“già” presi un respiro, sapendo che mi toccava anche convincere il dio degli inferi a tenermi nel suo regno malgrado la cosa che desiderassi di più al mondo era correre via; ripescai tutto quello che mi aveva detto Annabeth:
“la mia anima vale molto di più di quell...”
“non c’è bisogno che tu mi convinca... come ti chiami?”
“Luke Castellan, figlio di Hermes”
“Ah, il traditore”
Strinsi la mascella e guardai il dio negli occhi, in un impeto di coraggio:
“non lo sono più”
“certo certo... quindi Luke Castellan, figlio di Hermes, vorresti scambiare la tua anima con quella del satiro?”
Presi un sospiro prima di rispondere.
“sì”
Lui mi squadrò
“e perché? Se posso chiederlo?”
Scossi la testa, non volevo parlarne, sarebbe stato troppo.
“niente”
Lui alzò le spalle, poi si girò, alzando le braccia al cielo.
Io non sentii nulla, ma fui consapevole che, da qualche altra parte l’alito della vita tornava ad invadere un corpo.
 
Pochi minuti prima...
 
POV


“ehi, ragazzo!” mi svegliai bruscamente, sobbalzando.
“cosa?”
“siamo arrivati” guardai il tipo che c’era al volante, Jim, per tutta la durata del viaggio avevamo parlato ed ero finito per conoscerlo, era un tipo simpatico.
Buttai lo sguardo fuori dal finestrino, e sì, eravamo davanti al grande Empire State Building, l’Olimpo.
Finalmente.
“tenga” dissi, porgendogli quel denaro che mi era apparso magicamente in tasca a Los Angeles.
Il tipo mi sorrise, io presi il mio vaso e uscii, precipitandomi dentro all’edificio.
“divino Pan?” sussurrai accostandomi al vaso.
“che vuoi, satiro?”
“uhm, siamo arrivati”
“sbrigati a liberarmi allora”
“non è ancora il momento”
Il dio sbuffò ed io mi avvicinai alla reception.
Ma non la raggiunsi.
Ad un tratto sentii una specie di strappo dove un tempo c’era il mio ombelico, poi un forte capogiro.
Il vaso mi cadde di mano, rotolando a terra.
Un’infinita quantità di immagini mi passarono davanti, percepii colori e suoni che avevo visto e sentito alla mia morte, poi ad un tratto il buio e il freddo.
 
 
 
 
 
 
 
  

   
 
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