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Autore: Alkimia    03/05/2011    4 recensioni
E se Christine si innamorasse di Erik fin dall'inizio? E se i direttori del teatro assoldassero qualcuno per indagare sul Fantasma dell'Opera e stanarlo? E se, per tutti, le cose si rivelassero ancora più complicate di quanto sembrano?... Non sono una grande fan della coppia Erik/Christine, ma mi sono sempre chiesta se le cose potevano andare diversamente, questa è la risposta che mi sono data.
Genere: Azione, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Prova provante che non ho mai dimenticato questa storia... no, non è stata dimenticata, è stata "scavalcata", in questi giorni sono a casa e mi sono IMPOSTA di scrivere questo capitolo conclusivo.
 Era così che doveva andare... avevo in mente questo fin dall'inizio, anche se ho cercato di autoconvincermi che era meglio di no...
 Sono contenta di averci messo il punto di conclusione.
 Ringrazio tutti quelli che hanno seguito quest'altra improbabile avventura del Maestro&Co., questa storia riveduta e corretta dalla sottoscritta...

 Confesso che questo ultimo capitolo mi piace molto "esteticamente", per il modo in cui è scritto più che per quello che racconta, e quindi voglio dedicarlo a Keyra93, dalla quale ho ricevuto uno dei più bei complimenti che una scribacchina squinternata come la sottoscritta potesse ricevere.


****


CAPITOLO VENTINOVESIMO

Di fuoco e sangue

Fuoco.
Le fiamme dilagavano, rompevano i sigilli del buio. Portavano luce, ma non era così che doveva essere. Quella luce era rossa e aveva sapore di sangue.
Sangue e fuoco, artigli che distruggevano tutto, il suo mondo, la sua vita. Tutto avvolto in una danza di luce e di morte.
L'Opera Populaire diventava cenere...
Una voce dal cielo scivolava sulle spire di fumo e arrivava fino a lui.
“È così che deve essere... è proprio così che doveva finire, e lo sai... lo sai... lo sai...”
L'eco di quelle parole si dissolse nella sua voce che urlava NO.
Nei pensieri di Erik quello doveva essere lo stesso No che aveva urlato Lucifero mentre precipitava giù dal Paradiso...

Si svegliò di soprassalto, i pugni serrati attorno alle lenzuola. Lo sguardo vagò febbrile per tutta la stanza fino a posarsi sul viso di Christine addormentata accanto a lui. L'uomo sospirò, contento di non averla svegliata.
Lentamente, con gesti cauti, Erik si mise a sedere in mezzo al letto, poi si mise in piedi. Con passo felpato raggiunse il catino e si sciacquò il viso. La penombra che avvolgeva la stanza confondeva i contorni del suo viso imperfetto.
Sempre attento a non fare rumore, si diresse verso la finestra e scostò la tenda. Il paese era avvolto da un buio che per un attimo gli parve amico. Aveva sempre amato il buio, fin da bambino, non pensava che celasse strani mostri o strane insidie, anzi, il buio lo proteggeva, celava il mostro agli occhi del mondo perché il mondo non potesse fare male all'uomo che c'era dietro il volto del mostro.
Un lampo si accese nei suoi pensieri proiettando in quell'oscurità le immagini del suo incubo. Vide il fuoco, sentì l'odore del sangue. Un rivolo di sudore freddo gli colò lungo il collo.

Hai paura, Figlio del Diavolo?

Erik afferrò i suoi vestiti, si chiuse nella stanza da bagno e si rivestì preso alle spalle da una strana e prepotente voglia di fare qualcosa. Forse anche solo tornare a giocare con il buio, come faceva un tempo, prima che l'uomo avesse la meglio sul mostro.
Prima di uscire prese la sua maschera.
Il mondo, dopotutto, non era ancora pronto per i mostri.
Scese cauto le scale, quei gradini scricchiolanti non emisero un solo suono sotto i suoi piedi. Il Signore delle Botole non si sarebbe fatto tradire dal legno di una vecchia casa.
Arrivato sull'ultimo gradino, Erik sobbalzò per un rumore improvviso, un respiro forte proveniente dalla sua destra e quasi perse l'equilibrio. Si aggrappò prontamente al parapetto della scala e guardò contrariato nella direzione da cui proveniva il suono: Alexandre era sdraiato sul divano in una posa scomoda eppure dormiva profondamente, con ancora i vestiti addosso, le maniche della camicia risvoltate sui gomiti e il gilet sgualcito.
Erik si avviò verso la porta.
«E adesso dove hai intenzione di andare?» fece, come dal nulla, una voce impastata di sonno.
L'uomo non si voltò neppure, alzò gli occhi al cielo e scosse il capo,
«Non imparerai mai a farti i fatti tuoi, ragazzo? Torna a dormire» borbottò sistemandosi meglio il mantello sulle spalle. Senza attendere risposta, aprì la porta di casa e in un attimo fu avvolto dal buio e dal freddo della notte di montagna.

*

Aveva scelto una strada rischiosa e scomoda. Una strada senza gloria.
Agli occhi di Parigi sarebbe stato sempre e comunque quello che si era lasciato scappare il Fantasma dell'Opera sotto il naso, ma ormai non gli importava. La vendetta è vendetta, non ha bisogno del riscatto. La vendetta è per se stessi, non per gli occhi del mondo.
Bertrand aveva preso alloggio in una piccola pensione del paese. Letto scomodo e cibo scadente.
Aveva passato quattro giorni lì. Di notte usciva e metteva insieme i pezzi del suo piano, in silenzio, al buio. Proprio come un fantasma...
«Eh, amico mio,» aveva mormorato una sera mentre spiava il profilo di Erik disegnarsi in controluce dietro la tenda della camera, un attimo prima che nella casa si spegnessero i lumi, «ora capisco perché ti piaceva tanto questo gioco...».
Il primo giorno aveva atteso che fosse notte fonda, che tutti dormissero, poi aveva raggiunto la casa. Che gran fortuna che fosse l'ultima infondo alla strada. Che gran fortuna che fosse stata disabitata per tutti quei mesi e che la porta sul retro che portava alla cantina fosse marcita.
Quando Bertrand aveva trovato quella via d'accesso aveva cominciato a credere che tutto quello che stava facendo fosse non solo doveroso, ma giusto. Era sgattaiolato dentro e, come previsto, aveva trovato uno scantinato buio e vuoto dove affondavano i pilastri della casa e dove il soffitto era costituito dalle assi di legno del pavimento del pian terreno.
Perfetto.
Tutto il resto non era stato difficile. Aveva passato la vita ad avere a che fare con i delinquenti ed era facile per lui trovarli e trattare con loro. Una volta li arrestava, poi aveva imparato a usarli: avevano una loro grande utilità, fornivano informazioni e anche qualcosa di più, per chi era disposto a pagare.
Il secondo giorno Bertand era andato in un'osteria, aveva scovato a fiuto quella più malfamata. Erano bastate poche parole giuste, era bastato offrire un giro di birra e qualche sigaro e, infine, sborsare qualche franco, per avere le informazioni che gli servivano.
Il terzo giorno aveva trovato i contrabbandieri e aveva comprato quattro piccole botti di polvere da sparo (abbastanza piccole perché riuscisse a trasportarle da solo) e una cassa di bottiglie di cognac che aveva nascosto nel bosco retrostante la via dove si trovava la casa.
Il quarto giorno aveva atteso la notte fonda, era tornato in quella cantina, aveva sistemato le botti di esplosivo accanto ai pilastri e aveva infilato le bottiglie di cognac sotto le travi, a contatto con le assi del pavimento.
«Dio benedica i montanari e la loro abitudine di costruire le case in legno!» si era detto stappando una bottiglia di liquore e bevendone un lungo sorso per poi lasciarla cadere sul pavimento.
Protetto dal buio era uscito furtivo dalla cantina stendendo la miccia, doveva essere lunga, lui doveva essere già lontano quando la casa sarebbe crollata in mezzo al fuoco.
Si infilò un sigaro tra le labbra, accese il fiammifero sfregandolo sul tronco di un albero. Accese prima il sigaro, poi la miccia.
La scintilla di luce cominciò a serpeggiare nel buio. Vicina, sempre più vicina.

*

Erik sentiva una strana voglia di piangere. In mezzo a quel buio la felicità era lontana anche se le sue braccia gli sembravano ancora tiepide del calore del corpo di Christine addormentata contro il suo fianco.
In mezzo a quel silenzio udiva voci che si sommavano in un laconico mormorio che piano piano diventava come lo scorrere lugubre delle note di un requiem.
Si portò le mani alle orecchie in un gesto disperato, sperando che le voci zittissero. Era stato così felice quando, quattro giorni prima, Christine era tornata da lui, e adesso perché gli sembrava tutto così fuori posto? La sua vita era un sogno fragile pronto a dissolversi con le prime luci del mattino.

Hai paura, Figlio del Diavolo?
Sì!

Fosse stata solo la sua vita, non gli sarebbe importato. Fosse rimasto solo, com'era giusto, sarebbe stato tutto più facile.
Alzò gli occhi al cielo. Il suo sguardo incrociò il profilo del campanile della chiesa, sulla guglia dorata svettava una massiccia croce di ferro. Strinse le palpebre.
Con la schiena appoggiata al tronco di un albero, il Fantasma dell'Opera pregò per la prima volta in vita sua, rivolse a Dio suppliche e non parole di rabbia.
Fu quando riaprì gli occhi, lunghi minuti dopo, che vide quella minuscola lingua di fuoco brillare sul terreno, come una stella cadente che cerca la via per tornare in cielo.

*

Luce, tanta luce. E fuoco dall'odore del sangue.
Nascosto dietro a un cespuglio, abbastanza lontano dalla casa, l'uomo sognava il suo trionfo e il boato che lo avrebbe annunciato.
La scintilla era a pochi passi dalla porta della cantina quando l'ombra arrivò rapace a portare via dagli occhi di Balise Bertrand il suo momento di gloria.
L'ombra era come spuntata dal nulla, aveva spento la fiammella. Nel silenzio della notte Bertrand poteva sentire gli angeli ridere di lui.
L'ombra restò immobile, Bertrand l'avrebbe riconosciuta ovunque. Aveva persino un nome... cosa insolita per un Fantasma.
«Erik» mormorò l'investigatore, pronunciando quel nome come se stesse scagliando una maledizione.

Erik teneva ancora il piede premuto sul terreno, lì dove aveva spento la miccia. Guardava incredulo i pochi centimetri che separavano il cordoncino dalla porta della cantina. Sentì un alito di vento gelargli il sudore sulla nuca.
Se solo fosse arrivato una manciata di secondi più tardi...
«Erik!». La voce di Bertrand lo colse alle spalle, aveva il tono gioviale di un saluto quasi affettuoso, ma il clik della pistola che veniva caricata suonava come il respiro della Morte.
«Ho bestemmiato un attimo fa, quando ti ho visto comparire e spegnere la miccia...» disse l'investigatore. La canna della rivoltella aveva riflessi cupi nella blanda luce delle stelle, come il bianco della maschera del Fantasma.
«Bertrand!» ringhiò Erik voltandosi di scatto verso di lui.
«... ma ora sono quasi contento di vederti» proseguì l'investigatore. «Tu non sei uomo che merita di essere ucciso nel sonno, quelli come te vale la pena guardarli negli occhi mentre tirano le cuoia. Ma più di tutto, mi piace pensare che lo sai... lo sai che non mi fermerò, che dopo che ti avrò sparato accenderò di nuovo quella miccia».
Il vento si era fatto più freddo e spazzava impietoso il piccolo spiazzo dietro la casa.
«Pensandoci, è davvero un bene che tu sia qui, Erik. Ho una storia: la fanciulla e i suoi amici lasciano Parigi per scappare alla persecuzione del Fantasma, ma il Fantasma si mette sulle loro tracce e li trova. Io lo inseguo, ma non riesco a fermarlo se non dopo che egli ha già compiuto la sua vendetta facendo saltare in aria la casa dove si erano rifugiati Mademoiselle Daae e i suoi amici. Non contavo di uscirne come un eroe e nemmeno mi importava... ma già che siamo qui, uniamo l'utile al dilettevole, non ti pare?».
La rabbia stava trasformando il sangue di Erik in un fiume di lava. E così Bertrand l'avrebbe avuta vinta. E così lui sarebbe rimasto un mostro per l'eternità... e così Christine e Alexandre avrebbero pagato con la vita il loro amore nei suoi confronti...

Hai paura, Figlio del Diavolo?

Se la furia avesse potuto essere una musica avrebbe avuto quelle note, il suono dell'urlo che Erik lanciò scagliandosi contro Bertrand. Non c'era logica in quel gesto, non c'era ragione, non c'era più nemmeno voglia di vivere, non a quel prezzo, non con quella colpa sul cuore.
Lo sparo squarciò la notte risucchiandone tutto il buio e tutto il silenzio e restituendoglieli poi tutti interi in un colpo solo.
Non fu il Fantasma a cadere, fu Bertrand.
Erik rimase impietrito, proteso in avanti, con le gambe pronte a scattare. Impiegò qualche secondo a realizzare cosa era successo.
Blaise Bertrand rimase ritto in mezzo allo spiazzo di rena. Sarebbe parso immobile come una fotografia se non fosse stato per quel rivolo di sangue che gli scorreva lento da un angolo della bocca.
Dopo qualche secondo pesante come l'eternità, cadde a faccia in terra, sollevando uno sbuffo di polvere.
Alexandre era in piedi alle spalle di Bertrand, tremava come una foglia a ogni soffio di vento. Il suo volto era più bianco della maschera del Fantasma, le mani che reggevano la pistola con la quale aveva sparato lasciarono la presa come se il peso dell'arma si fosse fatto di colpo insostenibile.
Ci sono mani che non possono trattenere il peso della Morte. Le mani di Alexandre non erano fatte per quello...
Erik vide il ragazzo cadere in ginocchio, con gli occhi sbarrati, puntati sulla pozza di sangue che si allargava accanto al corpo di Bertrand, e le sue labbra mormorarono un “No” gonfio di dolore poi finalmente si scosse e corse verso suo fratello, si gettò in terra accanto a lui e gli cinse le spalle con un braccio.
«Io... io...». La voce di Alexandre moriva nelle loro orecchie ancora intontite dal suono dello sparo. «Io... sono stato... io...».
Il corpo del ragazzo era scosso da fremiti di puro orrore.
Erik lo abbracciò, come un fratello, come un padre, come un amico. Per un attimo i loro cuori batterono alla stessa maniera, come cuori che si stanno spaccando.
«Avrei dato ogni goccia del mio sangue perché non dovessi essere tu a fare questo, fratello» sussurrò Erik. Voleva trattenere tra le dita l'anima del ragazzo che sentiva andare via.
«... fratello» ripeté Alexandre. «Ora è tutto finito».


EPILOGO

«Eravamo andati via da Parigi. Bertrand ci credeva coinvolti in chissà che complotti criminali e ci ha inseguiti fino qui, voleva farci saltare in aria... a tanto arrivava la sua follia. Monsieur Dubois ha dovuto difendere la sua casa, se stesso e noi». Furono queste le parole che Raoul De Chagny riferì ai gendarmi per informarli di ciò che era accaduto. Se non fosse bastata la parola di un visconte di Francia a bollare Bertrand come un individuo pericoloso e a giustificare i terribili fatti avvenuti, bastarono comunque poche indagini. Si scoprì la pessima reputazione che si era guadagnato a Parigi, il fatto che fosse stato sollevato dal suoi incarico nelle autorità della capitale e la testimonianza di chi lo aveva visto parlare con qualche malvivente locale le sere precedenti. Senza contare che alla vista dei barili di polvere da sparo sistemati nella cantina di casa Dubois, l'ispettore locale aveva quasi avuto un mancamento: cose del genere non erano mai successe in quel placido paesino che era Saint Gaudens.
Erik era rimasto opportunamente nascosto, lontano dalla casa, fino a quando, in pochi giorni, la gendarmeria non aveva deciso che non c'era altro su cui indagare: era esattamente tutto come aveva detto il visconte, non c'era altra spiegazione.

*

Erik era in piedi sull'uscio della porta della camera da letto. Il volto di Alexandre era pallido tra le lenzuola. Il medico che lo aveva visitato aveva detto che si sarebbe ripreso e che lentamente sarebbe guarito anche il suo spirito.
In paese parlavano di lui come un eroe, sui volti di Christine e Raoul era dipinta la più viva riconoscenza. Solo Erik soffriva in silenzio per lui e rimaneva ogni notte seduto al suo capezzale, sperando che suo fratello si riavesse, aprisse gli occhi e cominciasse a inveire contro di lui.
Voleva sentirgli dire che era tutta colpa sua, che era un mostro capace solo di rovinare tutto ciò che toccava. Perché era questo che aveva fatto con lui.

Odiami, Alexandre, l'odio lava via un sacco di cose...

Una sera Alexandre aprì gli occhi di colpo, nella pallida luce del lume cercò lo sguardo di Erik e lui sentì il pavimento venire meno sotto i piedi.
«E adesso cosa farete tu e Christine?» domandò Alexandre con voce spenta. Erik si sentì del tutto preso alla sprovvista,
«Alexandre... io...».
Il  ragazzo accennò un sorriso,
«Non venirmi a dire che devo imparare a farmi i fatti miei. Rispondi alla mia domanda» mormorò.
Le labbra dell'uomo si schiusero in una smorfia di stupore,
«Io... intendo sposarla, appena tu ti sarai ripreso... se... poi non lo so, ti giuro, io non so più nulla» disse colui che una volta era stato il Fantasma dell'Opera, coprendosi il volto con le mani.
Alexandre si mise a sedere e posò una mano su quelle di suo fratello per lasciare che si scoprisse il viso. I due restarono a guardarsi in silenzio per qualche secondo, quasi stupiti di quanto i loro occhi fossero uguali. Poi Alexandre strinse un pugno e, racimolando tutta la forza che aveva, sferrò un sonoro colpo a Erik in pieno viso.
L'umo scivolò sul pavimento con il labbro rotto e guardò il ragazzo seduto sul materasso che arrancava per lo sforzo.
«Sii felice, razza di idiota!» lo ammonì Alexandre spalancando gli occhi chiari. «Non osare mai più piagnucolare o piangerti addosso! Non osare... perché se renderai vano tutto questo, io ti giuro, sarai la prima persona che imparerò ad odiare. E non osare mai più dirmi che sono un impiccione... e dirmi che non sono tuo fratello...».
Erik si sollevò tamponandosi l'angolo della bocca che già si stava illividendo. Afferrò saldamente la mano di Alexandre e la strinse in un muto giuramento pieno di promesse pesanti come il dolore e belle come la felicità.

Alcuni anni dopo, un altro giornalista francese avrebbe tentato l'impresa che Alexandre finì poi, per ovvi motivi, per abbandonare: scrivere la vicenda del Fantasma dell'Opera. Raccontò di un mostro, di un angelo caduto e del suo amore impossibile. Raccontò che i mostri sono destinati a perdere, che ci sono luoghi e cuori che la luce non riesce a sfiorare... ma questa è un'altra storia.



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At last...
 In questo ultimo capitolo ho voluto dare spazio non tanto all'aMMore, che tanto lì abbiamo capito come stanno le cose, quanto alla questione dei due fratelli (sta cosa di aver dato una famiglia al Maestro mi gasa un sacco, abbiate pazienza). DOVEVA per forza essere Alexandre a uccidere Berty e non nego che la cosa mi abbia fatto molto male. Ho sempre pensato che la storia del Fantasma parli di molte cose, una di queste è la rovina delle cose buone, come un sentimento come l'amore può diventare odio e follia, come il genio può traformarsi in pazzia, come l'innocenza può essere violata con la paura e il dolore... e la mia idea per questa fanfiction era appunto quella di mantenere questi temi, era quella che il mio amato Alex sacrificasse la sua anima in nome della salvezza di Erik e di tutti loro.
 Non so se la mia visione di tutto ciò risulta chiara...diciamo solo che sono fermamente convinta che una persona buona come lo è questo mio personaggio che tanto ho adorato, non riuscirebbe a passare sopra con tanta facilità al fatto di aver ucciso qualcuno anche se, per come si erano messe le cose, quella appariva come l'unica soluzione.
 In quanto al paragrafetto finale... ehm, è la mia dichiarazione non dico di odio, ma quanto meno di "disaccordo" con il romanzo il cui modo di porre la storia proprio non riesce a piacermi, malgrado senza quel certo giornalista francese che si prese la briga di raccontare in un'unica strabiliante vicenda tutto quello che c'era da dire sull'amore, sicuramente non saremmo qui.

 Detto ciò... chiedo ancora scusa per il terribile ritardo e rinnovo i miei ringraziamenti a chi ha seguito, letto, commentato.
 Il Maestro è sempre il mio musO e anche se ultimamente ho poco tempo da dedicargli sono profondamente convinta che non posso vivere senza scrivere di lui.
 Stay Tuned! 

... your obidient servant.
Elby

Capitolo reinserito il 30\12\2011
   
 
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