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Autore: _Shantel    03/05/2011    15 recensioni
Liceo scientifico L.
Prendete Alice, liceale di diciotto anni che vive in un mondo fantastico; aggiungete Davide, il bello-e-dannato della scuola che è il suo sogno proibito: sommate anche Federico, il migliore amico di Alice, di cui lei si invaghisce; infine moltiplicate per Edoardo, il fidanzato immaginario della ragazza che assume le fattezze dell'affascinante "Blaine", uno gigolò. Risultato?! Un gran pasticcio per la povera Alice da lei stessa creato, senza immaginarsi quello che poteva succedere. Ma in questo caos riuscirà anche a scoprire l'amore per la prima volta. Già perchè, come dice lei stessa...
Mi chiamo Alice Livraghi e non ho mai baciato un ragazzo
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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C a p i t o l o 7

Three is better than two



Più lo guardavo e più mi rendevo conto che Dario era l'unica persona con cui potevo essere me stessa, l'unica persona che aveva conosciuto la vera Alice Livraghi, senza bugie, senza finte vite parallele. Con lui non c'era bisogno di fingere, con lui potevo sfogare le mie frustrazioni provocate da Federico. Da semplice gigolò-estraneo si stava trasformano in un punto fisso per me e il pensiero che tra meno di nove giorni lo avrei dovuto salutare mi rattristava parecchio.
«Mi fai paura quando mi guardi così» mi disse con un sopracciglio abbassato.
«Temi che io possa ucciderti in un impeto di rabbia?!» domandai sarcastica.
«Non si sa mai» scrollò le spalle, sorridendomi.
Cavoli, quanto era bello quando sorrideva. Lo era sempre, ma quell'aria felice lo rendeva ancora più meraviglioso. I suoi occhi si socchiudevano, divenendo intensi e luminosi, così come il suo viso, assolutamente splendente. Mi guardai subito le scarpe, sentivo le guance infuocate, il cuore batteva all'impazzata e respirare mi costava fatica. Dario aveva sempre più un brutto effetto sul mio corpo, sui miei pensieri. Non c'era istante in cui non mi balenava in testa il suo viso, così come capitava con Federico. Che mi stessi...no, impossibile! Assolutamente non poteva essere! E anche se fosse stato, mi sarei imposta di farmela passare. Anche se quando mi imponevo qualcosa, tutto andava nel verso opposto. In fondo, però, questa volta mi sarebbe andata meglio: dopo il 14 niente più Dario e niente più sbalzi ormonali nocivi per il mio corpo.
«Ti capita spesso di cadere in trance?» mi domandò, sventolandomi una mano davanti agli occhi.
«Abbastanza» risposi, guardandolo negli occhi e sorridendogli «Comunque, dove mi porti oggi?» domandai, congiungendo le mani dietro la schiena.
Dario allargò le braccia, scuotendo la testa.
«A dire il vero non lo so nemmeno io!» sghignazzò divertito.
Bene! Mi invitava ad uscire e non sapeva nemmeno dove portarmi. Organizzazione fantastica, non c'è che dire. Vagava
mo come delle anime in pena per le strade di quel piccolo paese con il freddo pungente che si abbatteva sui nostri visi.
Avevo una domanda che rimbalzava come una pallina impazzita nella mia mente, mi opprimeva e non riuscivo più a tenermela solo per me.
«Perchè fai il gigolò?»
Dario s'irrigidì a quella domanda spiazzante che, forse, non avrei dovuto fare. Sospirò e mi sorrise.
«Vedi, l'unica cosa che so fare è il sesso ed è l'unica cosa che mi garantisce di trovare qualcosa da mangiare»
Annuii, scossa da quelle parole, ma soprattutto da quelle che non mi aveva sicuramente detto. Qualcosa mi diceva che, in realtà, mi stesse nascondendo qualcosa. Ma mi ero intromessa fin troppo nella sua vita senza averne il diritto, per cui misi a tacere la mia curiosità.
Riprendemmo a camminare, silenziosi. Mi bloccai improvvisamente in mezzo al marciapiede colta da una strana preoccupazione. Quella era già la seconda uscita e se contavo quella di San Valentino e mettendo in conto anche il nostro primo incontro, avrei dovuto sborsargli 1200 euro! Uno stipendio mensile di un impiegato medio. Stavo sbagliando tutto, non avrei dovuto affatto chiamarlo.
«Dario!» lo richiamai, facendolo voltare «Non credo sia una buona idea continuare ad uscire. Sai, i soldi non crescono sugli alberi»
Lui mi sorrise, raggiungendomi con le mani in tasca.
«E quindi?» disse con strafottenza.
«Quindi?!» ripetei incredula «Devo sborsarli io 10.000 euro per pagare uno gigolò» sorrisi ironica.
Lo guardai truce mentre scrollava le spalle. Se avesse detto Non è un problema mio lo avrei liquidato all'istante con un Avada Kedavra.
«Partendo dal fatto che non sono 10.000 euro» esordì con sufficienza e una faccia che avrei preso volentieri a schiaffi «Tu hai voluto chiamare uno gigolò, non te l'ho imposto di certo io»
«Non avevo alternativa!» esclamai nervosa.
«Invece sì» sorrise supponente «Non mentire»
Alzai il dito indice pronta a rispondergli, anche se non avevo una risposta da dargli. Aveva ragione, cavoli! Tutto quel trambusto era nato per quella stupida bugia. Se fossi stata più menefreghista e se la mia vita non pendeva dai giudizi altrui, in quel momento mi sarei vissuta la mia splendida storia d'amore con Federico e sarebbe stato lui ad accompagnarmi a quella festa. Invece no, dovevo parlare a sproposito e San Valentino lo avrei passato con uno gigolò. Anche se, tutto sommato, non mi dispiaceva affatto stare con Dario, anzi, tutt'altro. Stavo fin troppo bene con lui e questo mi spaventava.
Abbassai lo sguardo sconsolata e preoccupata. Il lavoro di baby-sitter che avevo trovato non mi avrebbe permesso comunque di pagarlo, a meno di non accudire i figli di una qualche famiglia reale. Dario si affiancò a me stringendomi la spalla e facendomi un buffetto sulla guancia.
«Non ti preoccupare» disse in un soffio «Queste uscite non sono state richieste da te, per cui non le metterò in conto»
Gli occhi mi si illuminarono d'improvviso, stupita da quella notizia che era come un raggio di sole durante una tempesta. Non risposi più di me. Mi portai davanti a lui, avvinghiandomi al suo collo e saltandogli addosso, circondandogli i fianchi con le gambe. Dario indietreggiò e si lasciò andare ad un Oh! di stupore. Inizialmente le sue mani erano ferme a mezz'aria, poi lo sentii ricambiare il mio abbraccio.
«Grazie!» esclamai.
«Che entusiasmo!» commentò Dario, la voce incrinata dallo sgomento «Non c'è bisogno che mi ringrazi. È giusto che sia così»
Tornai di nuovo a terra, senza però sciogliere l'abbraccio. Lo guardavo, lui mi guardava. Ogni volta che lo avevo a pochi centimetri di distanza da me, occhi negli occhi, venivo intrappolata in un altro mondo, ma non il mio, fatto di sciocchezze e di infantilità, uno in cui c'eravamo solo noi due, in cui il tempo ero scandito dal ritmo del mio cuore.
Avevo una strana ed irrefrenabile voglia di baciarlo. Mi misi sulle punte e, deglutendo, mi avvicinai alle sue labbra. Dario mi accarezzò i capelli, scivolando con la mano sulla mia guancia, abbassandosi pericolosamente verso di me. Un istante e le sue morbide dita si posarono sulle mie labbra.
«Non sono io quello giusto» mormorò con voce tremante.
Mi baciò la fronte, passando la mano tra i miei capelli. Chiusi gli occhi, godendo appieno di quel momento e cercando di imprimere nella memoria quell'istante le sue labbra e il suo profumo.
Sciolsi l'abbraccio, abbassando lo sguardo ad osservare il marciapiede e torturandomi le mani per l'imbarazzo. Forse era stato meglio che non ci fossimo baciati. Lui non sarebbe mai stato nulla per me, solo un semplice accompagnatore e soprattutto io, per Dario, ero e sarei sempre stata solo una semplice e stupida ragazzina che lo aveva chiamato per un incarico fin troppo sciocco.
Non era da me un comportamento simile. Forse era la frustrazione, la delusione di Federico, magari la voglia di dare il mio primo bacio o perché, semplicemente, Dario aveva un brutto ascendente su di me.
«Io torno a casa» mormorai, continuando a fissarmi le Converse.
Quella specie di appuntamento, quei pochi minuti insieme, erano stati troppo intensi per me e non sarei riuscita a continuare a stare con lui e far finta di nulla. Non mi girai nemmeno a guardarlo, camminavo con sguardo fisso davanti a me con l'unica voglia di tornare a casa mia e fare un po' di chiarezza nei miei pensieri e nel mio cuore.
Nonostante tutto, continuavo ad essere invaghita di Federico, inutile continuare a mentirsi facendo finta che per lui il mio cuore non batteva più. Ma da quando era arrivato Dario mi sentivo confusa e scombussolata. Quando stavo con lui, quando pensavo a lui, Abbate diventava come un lontano ricordo offuscato, mi sentivo quasi un'altra, anzi, mi sentivo me stessa. Ed ero felice.
Dario, Federico, Federico, Dario.
Due ragazzi che mi tormentavano e che mai sarebbero stati miei. Era assolutamente da masochisti continuare a pensare che uno dei due, prima o poi, sarebbe diventato il mio fidanzato, che uno dei due, prima o poi, mi avrebbe fatto conoscere l'amore in tutte le sue sfaccettature.
Mi gettai sul letto a guardare il soffitto. Quanto stavo diventando paranoica, ossessiva, scassa palle?! Dov'era andata a finire l'Alice spensierata senza ragazzi per la testa, se non i suoi immaginari? Sparita chissà dove, sommersa dai pensieri opprimenti di quei due ragazzi.
Chiusi gli occhi, cominciando a pregare che San Valentino arrivasse il prima possibile, portando via con sé questa mia stupida confusione.


Sospirai, guardandomi allo specchio un'ultima volta prima di uscire di casa. Ero preoccupata e nervosa, quella sarebbe stata la mia prima serata da baby-sitter. Il fatto che dovessi badare ad un bambino m'impauriva. E se avrebbe incendiato casa? E se avesse messo le dita nella presa di corrente? E se avesse distrutto tutto? E se fosse stato uno di una baby-gang? Ok, stavo esagerando, ma dovevo prepararmi al peggio. Avevo paura di non essere all'altezza, di fare qualche guaio, di ucciderlo per sbaglio o chessò io.
«Alice sei pronta?» urlò mia madre dal salotto.
«Sì!» risposi.
Mi feci coraggio da sola e uscii dalla mia stanza.
«Veloce che non puoi arrivare in ritardo!» mi incitò mia madre, sempre così apprensiva.
Scendemmo velocemente in garage, montando sulla Panda rosso fuoco di mia madre. Appoggiai la fronte al finestrino freddo. Nulla a che vedere con la Mito di Dario. Accidenti, ma perchè doveva sempre intromettersi nei miei pensieri?! Facendo così complicava ancora di più la mia situazione di sanità mentale precaria!
«È bello che tu abbia deciso di iniziare a lavorare» la voce di mia madre mi riportò nella Panda.
«Già» risposi poco convinta, sospirando sonoramente.
«Ma non ho capito perchè lo fai» continuò «È perchè il tuo ragazzo già lavora e quindi non vuoi essere da meno, perchè devi fargli un regalo...»
«Esatto» la interruppi sorridendo falsamente.
No mia cara mamma, devo pagare uno gigolò.
«Allora ammetti di avere un fidanzato?!» trillò mia madre incredula.
Tradimento! Mi aveva teso una trappola e io c'ero cascata con tutte le Converse. Sgranai gli occhi e cominciai a boccheggiare.
«Non è proprio il mio ragazzo» mi arrampicai sugli specchi insaponati.
Mia mamma mi guardò con aria di sufficienza, la tipica espressione delle madri che pensano di aver capito tutto della vita intricata della figlia. Ma in realtà, e mi dispiaceva per lei,non aveva compreso assolutamente nulla di me. Però la colpa non era sua, ma mia che non mi confidavo con lei quasi mai.
Dieci minuti dopo avevamo raggiunto il palazzo in cui avrei vissuto il mio inferno personale con un piccolo Bart Simpson.
«Stai attenta» si raccomandò mia madre «Non dire sempre sì, alle nove e mezza mettilo a letto, non trattarlo male e sii simpatica»
Rotei gli occhi ed annuii, schioccando un bacio sulla guancia di mamma. Scesi dalla macchina, ritrovandomi davanti ad una piccola palazzina dai muri gialli che avrà avuto al massimo cinque piani, coperta sulla faccia laterale da rami di edera. Mi avvicinai al citofono suonando alla famiglia Bettini. Mi rispose una dolce voce femminile che mi aprì subito il portoncino indicandomi il piano.
A fatica, mi trascinai per i tre piani, affannata e sudata. Non ero per nulla abituata al moto, soprattutto non alle nove di sera e dopo essermi rimpinzata di panzerotti.
Una donna estremamente bella mi stava attendendo sulla porta con un sorriso sgargiante. Aveva dei lunghi capelli castani naturalmente mossi e leggermente gonfi, degli enormi occhi azzurri e un corpo morbido coperto da un leggero abito nero.
«Piacere, Paola» mi allungò la mano.
«Alice» risposi con un sorriso, stringendola.
Mi invitò ad entrare in quel piccolo appartamento. Si apriva direttamente su un salotto modesto, arredato semplicemente con un divano rosso attaccato alla parete e un televisore davanti ad esso. Qualche quadro riempiva le spoglie pareti bianche. Sulla parete di fronte al sofà, un tavolo di legno chiaro con tre sedie e nell'angolo, una piccola cucina laccata di bianco.
Un piccolo bambino mi apparve davanti, mentre correva, trasportando con sé un aeroplano, emettendo con la bocca il suono del suo motore.
«Alice, questo è Lorenzo» mi disse la signora Paola, stringendo il bambino.
Si accovacciò poi davanti a lui, guardandolo intensamente negli occhi.
«Fai il bravo, mi raccomando. Non fare disperare la signorina e sii educato»
Tornò poi in piedi a guardarmi.
«È le prima volta che lo lascio con una baby-sitter. Solitamente se ne occupa suo fratello, ma» si interruppe sospirando «sono più le sere che passa fuori che in casa, oramai» scrollò la testa «Se hai bisogno, ti ho lasciato i numeri importanti attaccati al frigorifero. C'è il mio cellulare, quello di mio figlio, della nonna, del pediatra»
Quell'elenco non fece altro che aumentare la mia preoccupazione, ma sorrisi cercando di non far trasparire il mio disagio.
«Io tornerò domani mattina presto» mi informò «Ma appena torna mio figlio, puoi tornare a casa. Ci penserà lui poi a darti i soldi»
La signora Paola si congedò, lasciandomi da sola in casa, insieme a quel bambino. Lui mi guardava con la testa alzata, sbattendo più volte le palpebre. Come sua madre, Lorenzo aveva dei bellissimi occhi azzurri.
«Tu chi sei?» mi indicò, corrugando la fronte.
«Alice, piacere» mi abbassai alla sua altezza, sorridendogli dolcemente.
«E cosa vuoi da me?»
«Sono la tua baby-sitter» risposi.
«Dov'è mio fratello?»
Ancora un'altra domanda. Cominciavo a non sopportarlo più quel bambino troppo curioso.
«Non lo so, ma tornerà presto, fidati» gli passai una mano tra i capelli.
Lorenzo mi guardò truce, il ché mi spaventò, anche se era solo un piccolo bimbo indifeso di circa sei anni. Mi assestò un calcio sul ginocchio, facendomi lacrimare dal dolore. Trattenni un urlo, che non sapevo se era di rabbia o per il male che mi aveva fatto quella piccola peste. Lorenzo mi guardò di nuovo prima di cominciare a sbraitare come una poiana in calore. Andava ad intermittenza, i toni erano prima più alti e poi si abbassavano improvvisamente, stile antifurto.
«Voglio mio fratello!» si buttò a terra, cominciando a scalciare e continuando ad urlare.
Mi tappai le orecchie, cercando di avvinarmi a lui.
«Tuo fratello arriva presto» cercai di tranquillizzarlo, ma non servì a nulla.
Mi era impossibile accostarmi a lui, non volevo essere di certo colpita da un altro calcio doloroso. Come mi prospettavo, badare ad un piccolo marmocchio capriccioso era più difficile del previsto.
«Ti prego, basta» piagnucolai, senza sapere cosa fare, se non mettermi le mani tra i capelli.
Proprio quella sera il fratello di Lorenzo doveva dare buca?! Speravo con tutto il cuore che quel ragazzo giungesse il prima possibile a salvarmi come un supereroe.
«Ti faccio mangiare le patatine se la smetti!» me ne uscii.
Quale bambino non adorava le patatine? Se ce n'erano in quella casa, ovviamente.
Lorenzo smise di urlare e di dimenarsi e mi guardò con aria furbetta. Mi sorrise mostrando che gli mancavano i due denti davanti. Si rialzò e prese a tirarmi i jeans.
«Le patatine. Le patatine. Le patatine. Le patatine» continuava a ripetermi, seguendomi verso la cucina. Aprii ogni scaffale mentre la voce del bambino mi trapanava il cervello. Stavo per avere un crollo nervoso, ma cercavo di mantenere la calma ripetendomi che era solo un moccioso e sarebbe stato controproducente urlare con lui. Trovai un sacchetto di patatine al formaggio e tirai un sospiro di sollievo.
«Le patatine!» esclamò agitandosi in una specie di danza della felicità.
Mi andai a sedere sul divano e lui fece lo stesso. Mangiammo quei cornetti al formaggio guardando Alla ricerca di Nemo, uno dei miei film preferiti. Per poco non mi misi a piangere, quel cartone riusciva a intenerirmi ancora, come qualsiasi altra creazione Disney. Lorenzo si addormentò verso metà film, lasciandomi metà pacchetto di patatine che mangiai tutto e la libertà di frignare come una bambina alla fine del film.
Con la maglietta e la bocca sporche di briciole, sollevai il marmocchio che pesava più di un bisonte e a fatica lo portai nella sua stanza. C'era un letto a castello appena entrati, un armadio verde e azzurro e una semplice scrivania. Lo adagiai sul letto accarezzandogli al fronte e respirai dopo quella faticaccia.
Mi richiusi la porta della stanza alle spalle appoggiandomici. Un po' di silenzio ci voleva, anche per poter permettere alla mia mente di fantasticare. Era strano che né Paola né Lorenzo avessero menzionato il padre, ma solo il fratello maggiore. Poteva benissimo essere che si erano lasciati, come i miei genitori. Ma il fatto che la signora Bettini uscisse di casa così tardi per rincasare la mattina mi faceva credere che svolgesse un doppio lavoro. La conclusione migliore era che o il marito era un viscido che l'aveva abbandonata oppure che fosse...morto. Una morsa allo stomaco solo a pensarci. Visto che non sapevo farmi gli affari miei, andai nella camera da letto di Paola, esattamente di fronte a quella di Lorenzo.
Accesi la luce per illuminare la stanza, puntando lo sguardo subito sulla colonnetta di fianco al letto matrimoniale. Una fotografia di un uomo affascinante che sorrideva tenendo in braccio un piccolo bambino di nemmeno un anno era adagiata sul comodino. Accanto alle cornice dorata c'erano due cerini accesi, quasi del tutto consumati, però, dal loro ardere nel perpetuo ricordo di quell'uomo. La mia supposizione era giusta, Paola era vedova. La morsa che poco prima avevo allo stomaco s'intensificò, impossessandosi anche del mio cuore.
Non mi accorsi che qualcuno aveva aperto la porta ed era entrato, beccandomi in pieno mentre mi facevo gli affari degli altri.
«Non ti hanno insegnato che non si ficca il naso in cose altrui?» una voce fin troppo familiare risuonò alle mie spalle.
Mi irrigidii a sentirlo parlare mentre un altro attacco di tachicardia mi colse. Se continuavo così sarei dovuta andare in cura da un cardiologo per il resto della mia vita. Mi voltai e gli sorrisi mestamente, dispiaciuta e imbarazzata.
«Scusa» mormorai, mordendomi le labbra.
Lui scrollò le spalle e sorrise sghembo.
«Tranquilla» mi disse con un tono di voce che non gli avevo mai sentito utilizzare.
Solitamente era così deciso e sicuro di sé, ma in quel momento sembrava così vulnerabile. Anche lui era, quindi, un essere umano con dei sentimenti, inerme e abbandonato ai sentimenti di fronte alla fotografia di suo padre. Ero andata in apnea, non respiravo quasi più e il cuore era ormai guizzato via. Due ragazzi non bastavano, no! Doveva aggiungersi anche Davide alla mia già travagliata mente. Lo avevo dimenticato, sicura che lui fosse solo una cotta adolescenziale, di quelle d'obbligo per una ragazza sfigata come me. Ma vederlo di fronte a me così mi fece capire che, no, non lo avevo dimenticato, anzi mi faceva sempre lo stesso effetto, se non peggiore.
Mai avrei pensato che Davide fosse il fratello di Lorenzo, anche perchè lui di cognome faceva Saronno e non Bettini. Probabilmente, dopo la morte del padre, si erano trasferiti mantenendo sul citofono solo il cognome di Paola.
«Non dirlo a nessuno, però» disse ad un tratto, regalandomi un sorriso da farmi perdere il fiato «Non voglio che si sappia. Verrebbe sfruttata solo per compatirmi» aggiunse.
Mi strinsi le mani ed annuii,
«Vuoi qualcosa da bere, RovesciaCappuccini?» mi guardò seducente, tornando d'un tratto il Davide di sempre.
«No grazie» sorrisi imbarazzata.
«Dai! Non farti pregare. Un bicchiere di succo» continuò.
Non aspettò nemmeno la mia risposta che abbandonò la camera da letto. Lo seguii in salotto, osservandolo mentre riempiva due bicchieri con del succo alla pera. Li afferrò e me ne porse uno gentilmente, sorridendomi ancora. E ancora il mio cuore si fermò. Bevvi tutto d'un fiato, nonostante la mano tremante.
«Ti ha dato problemi Lorenzo?» mi domandò, pulendosi la bocca con la manica della maglia.
«Non molti. Solo all'inizio perchè voleva stare con te» risposi, vagando con lo sguardo, cercando di non posarlo nel suo.
«Non è mai stato con una persona che non fossi io o mia madre» spiegò ridacchiando «Però è un bravo bambino, nonostante i capricci»
Annuii. L'unica cosa che riuscivo a fare era annuire. Lui continuava a parlare ed io muovevo solo la testa. Idiota! Ma era come se, stando insieme ad un ragazzo, le pile si scaricassero d'un tratto, non permettendomi di dire e fare quello che volevo.
«Sarà il caso che ci presentiamo, no?! Visto che il destino continua a farci incontrare» il suo tono di voce era roco e seducente «Davide»
Allungò la mano e io l'afferrai con la mia sudaticcia.
«A-Alice» tentennai.
«Finalmente ho scoperto il nome di quella ragazza che mi ha conquistato con la sua timidezza» disse Davide, spiazzandomi completamente.
Davide Saronno aveva realmente detto conquistato riferendosi alla sottoscritta?!
«Co-come?» balbettai, con gli occhi spalancati.
«È da un po' che pensavo a te. La tua dolcezza mi ha davvero spiazzato» continuò «Ho sempre avuto a che fare con ragazze dalla gonna corta e dal letto facile. Ammetto che non mi è mai dispiaciuto» sogghignò «Ma è da un po' di tempo che desidero qualcosa di più del semplice sesso. Ti ho cercata a scuola, ma sei sempre così sfuggente»
Più parlava e più le mie guance andavano a fuoco, più il mo cuore accelerava la sua corsa, più le mie gambe diventavano molli.
«Sono sicuro che non è casuale il fatto che tu sia la baby-sitter di mio fratello, che tu abbia scoperto la mia debolezza. Tu credi nel destino, Alice?»
Il mio nome pronunciato dalla sua voce dolce e sensuale batteva quasi quella di Dario. Magari ero solo condizionata da quella specie di dichiarazione d'amore inaspettata, o forse Davide aveva ragione. Il destino. Non ci avevo mai creduto più del dovuto, ma in quel momento iniziavo a ricredermi.
«Sì» risposi in un sussurro.
La sua mano scivolò sulla mia guancia in una carezza carica di dolcezza, di ardore e di passione.
«Ti dispiacerebbe se cominciassi a corteggiarti?»
Sgranai gli occhi, spiazzata da quella domanda. Saronno voleva corteggiare me! La stupida e ingenua Alice Livraghi?!
Deglutii a fatica. Mi sembrava tutto così strano, sembrava impossibile che Davide si fosse accorto di me così, all'improvviso e che mi dicesse cose simili. Ma in un momento come quello pensare mi risultava complicato e la parte irrazionale di me prendeva il sopravvento annebbiando qualsiasi dubbi sul suo conto. Mi strinsi nelle spalle scrollandole, senza dare una risposta alla sua domanda. Ma a lui non interessavano, a quanto pareva, decideva da solo, senza aspettare la conferma dell'altro.
«Domani sera sarei dovuto andare a pattinare ma mi hanno dato buca» mi guardò con un sopracciglio alzato e un sorriso da mozzare il fiato «Ti andrebbe di venire con me?»
Annaspavo, cercavo in tutti i modi di respirare più aria possibile per continuare a vivere.
«Credo che dovrò badare a Lorenzo» risposi.
«Domani sera mia madre non lavora» spiegò come se fosse la cosa più ovvia del mondo «Allora, vieni?» insistette.
Guardai il pavimento, dubbiosa, spiazzata, incredula per quello che stava accadendo in così poco tempo. Deglutii e alzai la testa per incontrare finalmente il suo sguardo oceanico. Annuii con un sorriso timido e lui fece lo stesso. Mi prese per un braccio, trascinandomi verso di lui e facendomi sbattere contro il suo petto. Mi strinse forte, dondolando da una parte all'altra e schioccandomi un lungo bacio tra i capelli.
Se quel pomeriggio ero confusa, la sera lo divenni ancora di più. Qualche settimana prima nessuno mi filava, ero invisibile, mentre ora avevo tre ragazzi che popolavano la mia mente, uno più incredibile dell'altro.
Three is better than two.
Ma non per la me e la mia vita fin troppo scombussolata.





Alice e Dario



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Buon martedì pomeriggio a tutte/i!
Piaciuta la sorpresina a fine capitolo? ^^
Che dire?! Questo capitolo mi ha dato un sacco di problemi, colpa di Davide, anzi, di Alice. Avevo un'altra idea n mente, ma scrivendo l'ho vista allontanarsi sempre di più, per cui Davide ha cominciato ad andarmi "stretto", non sapevo davvero come inserirlo. Ma, pensando e ripensando, non dormendo la notte e durante i viaggi in metropolitana ho rimediato ^^
 Alice è assai confusa. Inizia ad affezionarsi molto a Dario (come non darle torto), ma sa che lui dopo San Valentino non ci sarà più per lei, che tornerà alla sua vita. Non avendo già abbastanza problemi, si è ritrovata a fare da babysitter in casa di Davide, facendo una scoperta inaspettata, anzi due: non ha più il papà e che lui si è accorto di lei. Sconvolgente! xD
Sto iniziando a pensare ad una piccola raccolta di Missing Moments, degli episodi di questa storia visti però con gli occhi di Dario, per ringraziarvi di tutto il sostegno e l'affetto che mi date. Poi, perchè no, magari scriverò anche una storia su di lui, ma vedremo. Ho deciso di farvi questo regalo perchè mi è parso di capire che il nostro gigolò vi piaccia molto e ne sono contenta. La raccolta si intitolerà In un giorno qualunque, come la canzone del mitico Mengoni. Poi capirete il perchè quando arriverà la festa di San Valentino ^^
Ora, i ringraziamenti. Allora, innanzitutto sono felice di dirvi che questa storia ha ricevuto oltre 600 visite! Wow! So che le visite non contano molto, ma mi rende felice comunqu :) Quindi grazie lettori silenziosi!
Poi, Grazie alle 14 persone che hanno inserito la storia fra le preferite, alle 6 che l'hanno inserita nelle ricordate e alle 45 che l'hanno inserita nelle seguite, siete la mia forza :')
Grazie anche a chi ha recensito lo scorso capitolo, siete adorabili :)
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Grazie ancora e alla prossima!
Un bacio, Manu ♥

   
 
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