C a p i t o l o 7
Three is better than two
Più lo guardavo e
più mi rendevo conto che Dario era l'unica persona con cui
potevo
essere me stessa, l'unica persona che aveva conosciuto la vera Alice
Livraghi, senza bugie, senza finte vite parallele. Con lui non c'era
bisogno di fingere, con lui potevo sfogare le mie frustrazioni
provocate da Federico. Da semplice gigolò-estraneo si stava
trasformano in un punto fisso per me e il pensiero che tra meno di
nove giorni lo avrei dovuto salutare mi rattristava parecchio.
«Mi fai paura
quando mi guardi così» mi disse con un
sopracciglio abbassato.
«Temi che io
possa ucciderti in un impeto di rabbia?!» domandai sarcastica.
«Non si sa mai»
scrollò le spalle, sorridendomi.
Cavoli, quanto era
bello quando sorrideva. Lo era sempre, ma quell'aria felice lo
rendeva ancora più meraviglioso. I suoi occhi si
socchiudevano,
divenendo intensi e luminosi, così come il suo viso,
assolutamente
splendente. Mi guardai subito le scarpe, sentivo le guance infuocate,
il cuore batteva all'impazzata e respirare mi costava fatica. Dario
aveva sempre più un brutto effetto sul mio corpo, sui miei
pensieri.
Non c'era istante in cui non mi balenava in testa il suo viso,
così
come capitava con Federico. Che mi stessi...no, impossibile!
Assolutamente non poteva essere! E anche se fosse stato, mi sarei
imposta di farmela passare. Anche se quando mi imponevo qualcosa,
tutto andava nel verso opposto. In fondo, però, questa volta
mi
sarebbe andata meglio: dopo il 14 niente più Dario e niente
più
sbalzi ormonali nocivi per il mio corpo.
«Ti capita spesso
di cadere in trance?» mi domandò, sventolandomi
una mano davanti
agli occhi.
«Abbastanza»
risposi, guardandolo negli occhi e sorridendogli «Comunque,
dove mi
porti oggi?» domandai, congiungendo le mani dietro la schiena.
Dario allargò le
braccia, scuotendo la testa.
«A dire il vero
non lo so nemmeno io!» sghignazzò divertito.
Bene!
Mi invitava ad uscire e non sapeva nemmeno dove portarmi.
Organizzazione fantastica, non c'è che dire. Vagavamo
come delle anime in pena per le strade di quel piccolo paese con il
freddo pungente che si abbatteva sui nostri visi.
Avevo una domanda che rimbalzava come una pallina
impazzita nella mia mente, mi opprimeva e non riuscivo più a
tenermela solo per me.
«Perchè fai il gigolò?»
Dario s'irrigidì a
quella domanda spiazzante che, forse, non avrei dovuto fare.
Sospirò
e mi sorrise.
«Vedi, l'unica cosa che so fare è il sesso ed è l'unica cosa che mi garantisce di trovare qualcosa da mangiare»
Annuii, scossa da quelle
parole, ma soprattutto da quelle che non mi aveva sicuramente detto.
Qualcosa mi diceva che, in realtà, mi stesse nascondendo
qualcosa.
Ma mi ero intromessa fin troppo nella sua vita senza averne il
diritto, per cui misi a tacere la mia curiosità.
Riprendemmo a
camminare, silenziosi. Mi bloccai improvvisamente in mezzo al
marciapiede colta da una strana preoccupazione. Quella era
già la
seconda uscita e se contavo quella di San Valentino e mettendo in
conto anche il nostro primo incontro, avrei dovuto sborsargli 1200
euro! Uno stipendio mensile di un impiegato medio. Stavo sbagliando
tutto, non avrei dovuto affatto chiamarlo.
«Dario!» lo
richiamai, facendolo voltare «Non credo sia una buona idea
continuare ad uscire. Sai, i soldi non crescono sugli alberi»
Lui mi sorrise,
raggiungendomi con le mani in tasca.
«E quindi?»
disse con strafottenza.
«Quindi?!»
ripetei incredula «Devo sborsarli io 10.000 euro per pagare
uno
gigolò» sorrisi ironica.
Lo guardai truce
mentre scrollava le spalle. Se avesse detto Non è
un problema mio
lo avrei liquidato all'istante con un Avada Kedavra.
«Partendo dal
fatto che non sono 10.000 euro» esordì con
sufficienza e una faccia
che avrei preso volentieri a schiaffi «Tu hai voluto chiamare
uno
gigolò, non te l'ho imposto di certo io»
«Non avevo
alternativa!» esclamai nervosa.
«Invece sì»
sorrise supponente «Non mentire»
Alzai il dito
indice pronta a rispondergli, anche se non avevo una risposta da
dargli. Aveva ragione, cavoli! Tutto quel trambusto era nato per
quella stupida bugia. Se fossi stata più menefreghista e se
la mia
vita non pendeva dai giudizi altrui, in quel momento mi sarei vissuta
la mia splendida storia d'amore con Federico e sarebbe stato lui ad
accompagnarmi a quella festa. Invece no, dovevo parlare a sproposito
e San Valentino lo avrei passato con uno gigolò. Anche se,
tutto
sommato, non mi dispiaceva affatto stare con Dario, anzi, tutt'altro.
Stavo fin troppo bene con lui e questo mi spaventava.
Abbassai lo
sguardo sconsolata e preoccupata. Il lavoro di baby-sitter che avevo
trovato non mi avrebbe permesso comunque di pagarlo, a meno di non
accudire i figli di una qualche famiglia reale. Dario si
affiancò a
me stringendomi la spalla e facendomi un buffetto sulla guancia.
«Non ti
preoccupare» disse in un soffio «Queste uscite non
sono state
richieste da te, per cui non le metterò in conto»
Gli occhi mi si
illuminarono d'improvviso, stupita da quella notizia che era come un
raggio di sole durante una tempesta. Non risposi più di me.
Mi
portai davanti a lui, avvinghiandomi al suo collo e saltandogli
addosso, circondandogli i fianchi con le gambe. Dario
indietreggiò e
si lasciò andare ad un Oh! di stupore.
Inizialmente le sue
mani erano ferme a mezz'aria, poi lo sentii ricambiare il mio
abbraccio.
«Grazie!»
esclamai.
«Che entusiasmo!»
commentò Dario, la voce incrinata dallo sgomento
«Non c'è bisogno
che mi ringrazi. È giusto che sia così»
Tornai di nuovo a
terra, senza però sciogliere l'abbraccio. Lo guardavo, lui
mi
guardava. Ogni volta che lo avevo a pochi centimetri di distanza da
me, occhi negli occhi, venivo intrappolata in un altro mondo, ma non
il mio, fatto di sciocchezze e di infantilità, uno in cui
c'eravamo
solo noi due, in cui il tempo ero scandito dal ritmo del mio cuore.
Avevo una strana
ed irrefrenabile voglia di baciarlo. Mi misi sulle punte e,
deglutendo, mi avvicinai alle sue labbra. Dario mi accarezzò
i
capelli, scivolando con la mano sulla mia guancia, abbassandosi
pericolosamente verso di me. Un istante e le sue morbide dita si
posarono sulle mie labbra.
«Non sono io
quello giusto» mormorò con voce tremante.
Mi baciò la
fronte, passando la mano tra i miei capelli. Chiusi gli occhi,
godendo appieno di quel momento e cercando di imprimere nella memoria
quell'istante le sue labbra e il suo profumo.
Sciolsi
l'abbraccio, abbassando lo sguardo ad osservare il marciapiede e
torturandomi le mani per l'imbarazzo. Forse era stato meglio che non
ci fossimo baciati. Lui non sarebbe mai stato nulla per me, solo un
semplice accompagnatore e soprattutto io, per Dario, ero e sarei
sempre stata solo una semplice e stupida ragazzina che lo aveva
chiamato per un incarico fin troppo sciocco.
Non era da me un
comportamento simile. Forse era la frustrazione, la delusione di
Federico, magari la voglia di dare il mio primo bacio o
perché,
semplicemente, Dario aveva un brutto ascendente su di me.
«Io torno a casa»
mormorai, continuando a fissarmi le Converse.
Quella specie di
appuntamento, quei pochi minuti insieme, erano stati troppo intensi
per me e non sarei riuscita a continuare a stare con lui e far finta
di nulla. Non mi girai nemmeno a guardarlo, camminavo con sguardo
fisso davanti a me con l'unica voglia di tornare a casa mia e fare un
po' di chiarezza nei miei pensieri e nel mio cuore.
Nonostante tutto,
continuavo ad essere invaghita di Federico, inutile continuare a
mentirsi facendo finta che per lui il mio cuore non batteva
più. Ma
da quando era arrivato Dario mi sentivo confusa e scombussolata.
Quando stavo con lui, quando pensavo a lui, Abbate diventava come un
lontano ricordo offuscato, mi sentivo quasi un'altra, anzi, mi
sentivo me stessa. Ed ero felice.
Dario,
Federico, Federico, Dario.
Due ragazzi che mi
tormentavano e che mai sarebbero stati miei. Era assolutamente da
masochisti continuare a pensare che uno dei due, prima o poi, sarebbe
diventato il mio fidanzato, che uno dei due, prima o poi, mi avrebbe
fatto conoscere l'amore in tutte le sue sfaccettature.
Mi gettai sul
letto a guardare il soffitto. Quanto stavo diventando paranoica,
ossessiva, scassa palle?! Dov'era andata a finire l'Alice spensierata
senza ragazzi per la testa, se non i suoi immaginari? Sparita
chissà
dove, sommersa dai pensieri opprimenti di quei due ragazzi.
Chiusi gli occhi,
cominciando a pregare che San Valentino arrivasse il prima possibile,
portando via con sé questa mia stupida confusione.
Sospirai,
guardandomi allo specchio un'ultima volta prima di uscire di casa.
Ero preoccupata e nervosa, quella sarebbe stata la mia prima serata
da baby-sitter. Il fatto che dovessi badare ad un bambino
m'impauriva. E se avrebbe incendiato casa? E se avesse messo le dita
nella presa di corrente? E se avesse distrutto tutto? E se fosse
stato uno di una baby-gang? Ok, stavo esagerando, ma dovevo
prepararmi al peggio. Avevo paura di non essere all'altezza, di fare
qualche guaio, di ucciderlo per sbaglio o chessò io.
«Alice sei
pronta?» urlò mia madre dal salotto.
«Sì!» risposi.
Mi feci coraggio
da sola e uscii dalla mia stanza.
«Veloce che non
puoi arrivare in ritardo!» mi incitò mia madre,
sempre così
apprensiva.
Scendemmo
velocemente in garage, montando sulla Panda rosso fuoco di mia madre.
Appoggiai la fronte al finestrino freddo. Nulla a che vedere con la
Mito di Dario. Accidenti, ma perchè doveva sempre
intromettersi nei
miei pensieri?! Facendo così complicava ancora di
più la mia
situazione di sanità mentale precaria!
«È bello che tu
abbia deciso di iniziare a lavorare» la voce di mia madre mi
riportò
nella Panda.
«Già» risposi
poco convinta, sospirando sonoramente.
«Ma non ho capito
perchè lo fai» continuò
«È perchè il tuo ragazzo già
lavora e
quindi non vuoi essere da meno, perchè devi fargli un
regalo...»
«Esatto» la
interruppi sorridendo falsamente.
No mia cara
mamma, devo pagare uno gigolò.
«Allora ammetti
di avere un fidanzato?!» trillò mia madre
incredula.
Tradimento! Mi
aveva teso una trappola e io c'ero cascata con tutte le Converse.
Sgranai gli occhi e cominciai a boccheggiare.
«Non è proprio
il mio ragazzo» mi arrampicai sugli specchi insaponati.
Mia mamma mi
guardò con aria di sufficienza, la tipica espressione delle
madri
che pensano di aver capito tutto della vita intricata della figlia.
Ma in realtà, e mi dispiaceva per lei,non aveva compreso
assolutamente nulla di me. Però la colpa non era sua, ma mia
che non
mi confidavo con lei quasi mai.
Dieci minuti dopo
avevamo raggiunto il palazzo in cui avrei vissuto il mio inferno
personale con un piccolo Bart Simpson.
«Stai attenta»
si raccomandò mia madre «Non dire sempre
sì, alle nove e mezza
mettilo a letto, non trattarlo male e sii simpatica»
Rotei gli occhi ed
annuii, schioccando un bacio sulla guancia di mamma. Scesi dalla
macchina, ritrovandomi davanti ad una piccola palazzina dai muri
gialli che avrà avuto al massimo cinque piani, coperta sulla
faccia
laterale da rami di edera. Mi avvicinai al citofono suonando alla
famiglia Bettini. Mi rispose una dolce voce femminile che mi
aprì
subito il portoncino indicandomi il piano.
A fatica, mi
trascinai per i tre piani, affannata e sudata. Non ero per nulla
abituata al moto, soprattutto non alle nove di sera e dopo essermi
rimpinzata di panzerotti.
Una donna
estremamente bella mi stava attendendo sulla porta con un sorriso
sgargiante. Aveva dei lunghi capelli castani naturalmente mossi e
leggermente gonfi, degli enormi occhi azzurri e un corpo morbido
coperto da un leggero abito nero.
«Piacere, Paola»
mi allungò la mano.
«Alice» risposi
con un sorriso, stringendola.
Mi invitò ad
entrare in quel piccolo appartamento. Si apriva direttamente su un
salotto modesto, arredato semplicemente con un divano rosso attaccato
alla parete e un televisore davanti ad esso. Qualche quadro riempiva
le spoglie pareti bianche. Sulla parete di fronte al sofà,
un tavolo
di legno chiaro con tre sedie e nell'angolo, una piccola cucina
laccata di bianco.
Un piccolo bambino
mi apparve davanti, mentre correva, trasportando con sé un
aeroplano, emettendo con la bocca il suono del suo motore.
«Alice, questo è
Lorenzo» mi disse la signora Paola, stringendo il bambino.
Si accovacciò poi
davanti a lui, guardandolo intensamente negli occhi.
«Fai il bravo, mi
raccomando. Non fare disperare la signorina e sii educato»
Tornò poi in
piedi a guardarmi.
«È le prima
volta che lo lascio con una baby-sitter. Solitamente se ne occupa suo
fratello, ma» si interruppe sospirando «sono
più le sere che passa
fuori che in casa, oramai» scrollò la testa
«Se hai bisogno, ti ho
lasciato i numeri importanti attaccati al frigorifero. C'è
il mio
cellulare, quello di mio figlio, della nonna, del pediatra»
Quell'elenco non
fece altro che aumentare la mia preoccupazione, ma sorrisi cercando
di non far trasparire il mio disagio.
«Io tornerò
domani mattina presto» mi informò «Ma
appena torna mio figlio,
puoi tornare a casa. Ci penserà lui poi a darti i
soldi»
La signora Paola
si congedò, lasciandomi da sola in casa, insieme a quel
bambino. Lui
mi guardava con la testa alzata, sbattendo più volte le
palpebre.
Come sua madre, Lorenzo aveva dei bellissimi occhi azzurri.
«Tu chi sei?» mi
indicò, corrugando la fronte.
«Alice, piacere»
mi abbassai alla sua altezza, sorridendogli dolcemente.
«E cosa vuoi da
me?»
«Sono la tua
baby-sitter» risposi.
«Dov'è mio
fratello?»
Ancora un'altra
domanda. Cominciavo a non sopportarlo più quel bambino
troppo
curioso.
«Non lo so, ma
tornerà presto, fidati» gli passai una mano tra i
capelli.
Lorenzo mi guardò
truce, il ché mi spaventò, anche se era solo un
piccolo bimbo
indifeso di circa sei anni. Mi assestò un calcio sul
ginocchio,
facendomi lacrimare dal dolore. Trattenni un urlo, che non sapevo se
era di rabbia o per il male che mi aveva fatto quella piccola peste.
Lorenzo mi guardò di nuovo prima di cominciare a sbraitare
come una
poiana in calore. Andava ad intermittenza, i toni erano prima
più
alti e poi si abbassavano improvvisamente, stile antifurto.
«Voglio mio
fratello!» si buttò a terra, cominciando a
scalciare e continuando
ad urlare.
Mi tappai le
orecchie, cercando di avvinarmi a lui.
«Tuo fratello
arriva presto» cercai di tranquillizzarlo, ma non
servì a nulla.
Mi era impossibile
accostarmi a lui, non volevo essere di certo colpita da un altro
calcio doloroso. Come mi prospettavo, badare ad un piccolo marmocchio
capriccioso era più difficile del previsto.
«Ti prego, basta»
piagnucolai, senza sapere cosa fare, se non mettermi le mani tra i
capelli.
Proprio quella
sera il fratello di Lorenzo doveva dare buca?! Speravo con tutto il
cuore che quel ragazzo giungesse il prima possibile a salvarmi come
un supereroe.
«Ti faccio
mangiare le patatine se la smetti!» me ne uscii.
Quale bambino non
adorava le patatine? Se ce n'erano in quella casa, ovviamente.
Lorenzo smise di
urlare e di dimenarsi e mi guardò con aria furbetta. Mi
sorrise
mostrando che gli mancavano i due denti davanti. Si rialzò e
prese a
tirarmi i jeans.
«Le patatine. Le
patatine. Le patatine. Le patatine» continuava a ripetermi,
seguendomi verso la cucina. Aprii ogni scaffale mentre la voce del
bambino mi trapanava il cervello. Stavo per avere un crollo nervoso,
ma cercavo di mantenere la calma ripetendomi che era solo un moccioso
e sarebbe stato controproducente urlare con lui. Trovai un sacchetto
di patatine al formaggio e tirai un sospiro di sollievo.
«Le patatine!»
esclamò agitandosi in una specie di danza della
felicità.
Mi andai a sedere
sul divano e lui fece lo stesso. Mangiammo quei cornetti al formaggio
guardando Alla ricerca di Nemo, uno dei miei film
preferiti.
Per poco non mi misi a piangere, quel cartone riusciva a intenerirmi
ancora, come qualsiasi altra creazione Disney. Lorenzo si
addormentò
verso metà film, lasciandomi metà pacchetto di
patatine che mangiai
tutto e la libertà di frignare come una bambina alla fine
del film.
Con la maglietta e
la bocca sporche di briciole, sollevai il marmocchio che pesava
più
di un bisonte e a fatica lo portai nella sua stanza. C'era un letto a
castello appena entrati, un armadio verde e azzurro e una semplice
scrivania. Lo adagiai sul letto accarezzandogli al fronte e respirai
dopo quella faticaccia.
Mi richiusi la
porta della stanza alle spalle appoggiandomici. Un po' di silenzio ci
voleva, anche per poter permettere alla mia mente di fantasticare.
Era strano che né Paola né Lorenzo avessero
menzionato il padre, ma
solo il fratello maggiore. Poteva benissimo essere che si erano
lasciati, come i miei genitori. Ma il fatto che la signora Bettini
uscisse di casa così tardi per rincasare la mattina mi
faceva
credere che svolgesse un doppio lavoro. La conclusione migliore era
che o il marito era un viscido che l'aveva abbandonata oppure che
fosse...morto. Una morsa allo stomaco solo a
pensarci. Visto
che non sapevo farmi gli affari miei, andai nella camera da letto di
Paola, esattamente di fronte a quella di Lorenzo.
Accesi la luce per
illuminare la stanza, puntando lo sguardo subito sulla colonnetta di
fianco al letto matrimoniale. Una fotografia di un uomo affascinante
che sorrideva tenendo in braccio un piccolo bambino di nemmeno un
anno era adagiata sul comodino. Accanto alle cornice dorata c'erano
due cerini accesi, quasi del tutto consumati, però, dal loro
ardere
nel perpetuo ricordo di quell'uomo. La mia supposizione era giusta,
Paola era vedova. La morsa che poco prima avevo allo stomaco
s'intensificò, impossessandosi anche del mio cuore.
Non mi accorsi che
qualcuno aveva aperto la porta ed era entrato, beccandomi in pieno
mentre mi facevo gli affari degli altri.
«Non ti hanno
insegnato che non si ficca il naso in cose altrui?» una voce
fin
troppo familiare risuonò alle mie spalle.
Mi irrigidii a
sentirlo parlare mentre un altro attacco di tachicardia mi colse. Se
continuavo così sarei dovuta andare in cura da un cardiologo
per il
resto della mia vita. Mi voltai e gli sorrisi mestamente, dispiaciuta
e imbarazzata.
«Scusa»
mormorai, mordendomi le labbra.
Lui scrollò le
spalle e sorrise sghembo.
«Tranquilla» mi
disse con un tono di voce che non gli avevo mai sentito utilizzare.
Solitamente era
così deciso e sicuro di sé, ma in quel momento
sembrava così
vulnerabile. Anche lui era, quindi, un essere umano con dei
sentimenti, inerme e abbandonato ai sentimenti di fronte alla
fotografia di suo padre. Ero andata in apnea, non respiravo quasi
più
e il cuore era ormai guizzato via. Due ragazzi non bastavano, no!
Doveva aggiungersi anche Davide alla mia già travagliata
mente. Lo
avevo dimenticato, sicura che lui fosse solo una cotta
adolescenziale, di quelle d'obbligo per una ragazza sfigata come me.
Ma vederlo di fronte a me così mi fece capire che, no, non
lo avevo
dimenticato, anzi mi faceva sempre lo stesso effetto, se non
peggiore.
Mai avrei pensato
che Davide fosse il fratello di Lorenzo, anche perchè lui di
cognome
faceva Saronno e non Bettini. Probabilmente, dopo la morte del padre,
si erano trasferiti mantenendo sul citofono solo il cognome di Paola.
«Non dirlo a
nessuno, però» disse ad un tratto, regalandomi un
sorriso da farmi
perdere il fiato «Non voglio che si sappia. Verrebbe
sfruttata solo
per compatirmi» aggiunse.
Mi strinsi le mani
ed annuii,
«Vuoi qualcosa da
bere, RovesciaCappuccini?» mi
guardò seducente, tornando
d'un tratto il Davide di sempre.
«No grazie»
sorrisi imbarazzata.
«Dai! Non farti
pregare. Un bicchiere di succo» continuò.
Non aspettò
nemmeno la mia risposta che abbandonò la camera da letto. Lo
seguii
in salotto, osservandolo mentre riempiva due bicchieri con del succo
alla pera. Li afferrò e me ne porse uno gentilmente,
sorridendomi
ancora. E ancora il mio cuore si fermò. Bevvi tutto d'un
fiato,
nonostante la mano tremante.
«Ti ha dato
problemi Lorenzo?» mi domandò, pulendosi la bocca
con la manica
della maglia.
«Non molti. Solo
all'inizio perchè voleva stare con te» risposi,
vagando con lo
sguardo, cercando di non posarlo nel suo.
«Non è mai stato
con una persona che non fossi io o mia madre»
spiegò ridacchiando
«Però è un bravo bambino, nonostante i
capricci»
Annuii. L'unica
cosa che riuscivo a fare era annuire. Lui continuava a parlare ed io
muovevo solo la testa. Idiota! Ma era come se,
stando insieme
ad un ragazzo, le pile si scaricassero d'un tratto, non permettendomi
di dire e fare quello che volevo.
«Sarà il caso
che ci presentiamo, no?! Visto che il destino continua a farci
incontrare» il suo tono di voce era roco e seducente
«Davide»
Allungò la mano e
io l'afferrai con la mia sudaticcia.
«A-Alice»
tentennai.
«Finalmente ho
scoperto il nome di quella ragazza che mi ha conquistato con la sua
timidezza» disse Davide, spiazzandomi completamente.
Davide Saronno
aveva realmente detto conquistato riferendosi alla
sottoscritta?!
«Co-come?»
balbettai, con gli occhi spalancati.
«È da un po' che
pensavo a te. La tua dolcezza mi ha davvero spiazzato»
continuò «Ho
sempre avuto a che fare con ragazze dalla gonna corta e dal letto
facile. Ammetto che non mi è mai dispiaciuto»
sogghignò «Ma è da
un po' di tempo che desidero qualcosa di più del semplice
sesso. Ti
ho cercata a scuola, ma sei sempre così sfuggente»
Più parlava e più
le mie guance andavano a fuoco, più il mo cuore accelerava
la sua
corsa, più le mie gambe diventavano molli.
«Sono sicuro che
non è casuale il fatto che tu sia la baby-sitter di mio
fratello,
che tu abbia scoperto la mia debolezza. Tu credi nel destino,
Alice?»
Il mio nome
pronunciato dalla sua voce dolce e sensuale batteva quasi quella di
Dario. Magari ero solo condizionata da quella specie di dichiarazione
d'amore inaspettata, o forse Davide aveva ragione. Il destino.
Non ci avevo mai creduto più del dovuto, ma in quel momento
iniziavo
a ricredermi.
«Sì» risposi in
un sussurro.
La sua mano
scivolò sulla mia guancia in una carezza carica di dolcezza,
di
ardore e di passione.
«Ti dispiacerebbe
se cominciassi a corteggiarti?»
Sgranai gli occhi,
spiazzata da quella domanda. Saronno voleva corteggiare me! La
stupida e ingenua Alice Livraghi?!
Deglutii a fatica.
Mi sembrava tutto così strano, sembrava impossibile che
Davide si
fosse accorto di me così, all'improvviso e che mi dicesse
cose
simili. Ma in un momento come quello pensare mi risultava complicato
e la parte irrazionale di me prendeva il sopravvento annebbiando
qualsiasi dubbi sul suo conto. Mi strinsi nelle spalle scrollandole,
senza dare una risposta alla sua domanda. Ma a lui non interessavano,
a quanto pareva, decideva da solo, senza aspettare la conferma
dell'altro.
«Domani sera
sarei dovuto andare a pattinare ma mi hanno dato buca» mi
guardò
con un sopracciglio alzato e un sorriso da mozzare il fiato
«Ti
andrebbe di venire con me?»
Annaspavo, cercavo
in tutti i modi di respirare più aria possibile per
continuare a
vivere.
«Credo che dovrò
badare a Lorenzo» risposi.
«Domani sera mia
madre non lavora» spiegò come se fosse la cosa
più ovvia del mondo
«Allora, vieni?» insistette.
Guardai il
pavimento, dubbiosa, spiazzata, incredula per quello che stava
accadendo in così poco tempo. Deglutii e alzai la testa per
incontrare finalmente il suo sguardo oceanico. Annuii con un sorriso
timido e lui fece lo stesso. Mi prese per un braccio, trascinandomi
verso di lui e facendomi sbattere contro il suo petto. Mi strinse
forte, dondolando da una parte all'altra e schioccandomi un lungo
bacio tra i capelli.
Se quel pomeriggio
ero confusa, la sera lo divenni ancora di più. Qualche
settimana
prima nessuno mi filava, ero invisibile, mentre ora avevo tre ragazzi
che popolavano la mia mente, uno più incredibile dell'altro.
Three is better
than two.
Ma non per la me e
la mia vita fin troppo scombussolata.
Alice e Dario
>
Buon
martedì pomeriggio a tutte/i!
Piaciuta
la sorpresina a fine capitolo? ^^
Che
dire?! Questo capitolo mi ha dato un sacco di problemi, colpa di Davide,
anzi, di Alice. Avevo un'altra idea n mente, ma scrivendo l'ho vista
allontanarsi sempre di più, per cui Davide ha cominciato ad
andarmi "stretto", non sapevo davvero come inserirlo. Ma, pensando e
ripensando, non dormendo la notte e durante i viaggi in metropolitana
ho rimediato ^^
Alice
è assai confusa. Inizia ad affezionarsi molto a Dario (come
non darle torto), ma sa che lui dopo San Valentino non ci
sarà più per lei, che tornerà alla sua
vita. Non avendo già abbastanza problemi, si è
ritrovata a fare da babysitter in casa di Davide, facendo una scoperta
inaspettata, anzi due: non ha più il papà e che
lui si è accorto di lei. Sconvolgente! xD
Sto
iniziando a pensare ad una piccola raccolta di Missing Moments, degli
episodi di questa storia visti però con gli occhi di Dario,
per ringraziarvi di tutto il sostegno e l'affetto che mi date. Poi,
perchè no, magari scriverò anche una storia su di
lui, ma vedremo. Ho deciso di farvi questo regalo perchè mi
è parso di capire che il nostro gigolò vi piaccia
molto e ne sono contenta. La raccolta si intitolerà In un
giorno qualunque, come la
canzone del mitico Mengoni. Poi capirete il perchè quando
arriverà la festa di San Valentino ^^
Ora,
i ringraziamenti. Allora, innanzitutto sono felice di dirvi che questa
storia ha ricevuto oltre 600 visite! Wow! So che le visite non contano
molto, ma mi rende felice comunqu :) Quindi grazie lettori silenziosi!
Poi,
Grazie alle 14 persone che hanno inserito la storia fra le preferite,
alle 6 che l'hanno inserita nelle ricordate e alle 45 che l'hanno
inserita nelle seguite, siete la mia forza :')
Grazie
anche a chi ha recensito lo scorso capitolo, siete adorabili :)
Ora,
Pubblicità!
Red
District
Pagina Facebook
Grazie
ancora e alla prossima!
Un
bacio, Manu ♥