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Autore: Evazick    04/05/2011    3 recensioni
(Seguito di "I fell apart, but got back up again". Ultima storia di questa serie!)
"Improvvisamente e lentamente allo stesso tempo, i miei ricordi iniziarono a disfarsi e a cadere nel buio che stava avvolgendo la mia mente, come le tessere di un puzzle quando vengono riposte nella loro scatola. Ma quelle immagini non cadevano in un posto da dove potessi recuperarle in seguito: finivano nel vuoto, nell’oblio, dove non sarei mai più riuscita a ritrovarle. Vidi sparire mia madre che mi abbracciava e mi scarruffava i capelli quando erano ancora lunghi, la mia amica JoJo che mi tirava un cuscino addosso, Simon che mi sovrastava con la sua pistola in mano, io in volo con le mie ali nere, Slay che si preparava ad uccidermi, Bubble Tower chino sulle sue apparecchiature, Grace che correva e rideva, Frank e Gee durante la ricognizione, Mikey e Ray che sparavano, Joshua che mi stringeva forte a sè per consolarmi...
Joshua."
(AU! Killjoys, make some noise!)
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Nuovo personaggio, Ray Toro
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Eve.'
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Once we were lovers… do you remember?

 

Mi tirai su in piedi: era inutile rimanere seduta a piangersi addosso, dovevo fare qualcosa prima che mi succedesse qualcosa di poco piacevole. Lasciai il messaggio per terra, non avevo bisogno di portarmelo dietro.

Mi diedi un’occhiata preoccupata intorno: qual’era la direzione in cui dovevo andare? I ribelli mi avevano detto di seguire la direzione in cui stavamo andando quando mi ero addormentata, ma qual’era? Fissai ancora una volta la strada che si diramava in due direzioni diverse, indecisa. Mi morsi il labbro, nervosa, poi scelsi quella che mi pareva più probabile e iniziai a camminare lungo il bordo della strada: anche se avessi sbagliato direzione, al massimo sarei tornata al rifugio del Dr. Death Defying, e avrei potuto chiedere a lui. Forse. Non sapevo cosa pensare di preciso di lui: sotto un certo aspetto mi veniva spontaneo portargli rispetto, ma sotto un altro mi faceva paura, come se avesse potuto perdere quella sua calma apparente da un momento all’altro.

E la bambina, Grace? Le uniche volte che mi aveva vista mi aveva osservata con gli occhioni azzurri spalancati in un’espressione spaventata. Come era possibile che avesse così tanta paura di me? Eppure nei suoi occhi avevo letto anche qualcos’altro: non voleva perdere una persona a lei cara.

Ma chi? pensai mentre camminavo con gli ultimi raggi del sole che illuminavano la strada. Forse aveva paura di perdere gli altri ragazzi, quelli che sembravano la sua unica famiglia. Eppure sembrava che quello sguardo riguardasse soltanto me. Ma come avrebbe potuto avere paura di perdermi se non ci conoscevamo nemmeno e stavamo nelle fazioni opposte della battaglia?

Mentre ero immersa in questi pensieri, il sole mi lanciò il suo ultimo raggio di luce e poi sparì dietro l’orizzonte, lasciando il posto alla notte, alla luna e alle stelle. La poca luce che mandavano mi bastava per poter individuare la strada su cui stavo camminando, e speravo di poter riconoscere la sagoma del Diner anche al buio. In quel silenzio, però, mi salirono i brividi e la paura e l’unica cosa che potei fare fu iniziare a canticchiare una vecchia canzone che avevo sentito alla radio che c’era nel Diner (i ribelli la chiamavano Boom Box).

I never tell I’d lie and wait forever… if I die we’d be together… I can’t always just forget her, but she could try…” Le parole erano state le prime a colpirmi. Era una canzone disperata, e le parole dure e piene di verità inaccettabili, ma in fondo c’era un pò di speranza. Una speranza dietro la morte, ma pur sempre una speranza.

Ever get the feeling that you’re never all alone, and I remember now… at the top of my lungs in my arms she dies, she dies…” Nonostante le parole tristi, iniziai a ondeggiare al ritmo della melodia che sentivo nella mia testa. Era una musica strana: le note mi ricordavano il dolce dondolio di una barca in mare, una barca che presto sarebbe sbarcata su un inferno in terra. Ma era il verso successivo che mi spaventava di più.

At the end of the world, or the last thing I see, you’re never coming home, never coming home. Could I? Should I? And all the things that you never ever told me, and all the smiles that are ever gonna haunt me…” Eccole lì, le parole più dure di tutte.

You’re never coming home.

Non tornerai mai a casa.

And all the wounds that are ever gonna scar me, for all the ghosts that are never gonna catch me… if I fall… if I fall down…” Chissà perchè, ma un pò mi rispecchiavo in quella canzone. Sapevo che c’erano delle cose che nessuno mi aveva detto, il sorriso triste di Joshua chissà perché vagava nella mia testa e mi tormentava offrendomi una possibilità che non potevo accettare, le cicatrici che portavo addosso sarebbero rimaste lì per sempre a fissarmi, e tutti i fantasmi che invadevano il mio passato erano così invisibili che non mi avrebbero mai preso se fossi caduta.

E io non sarei mai tornata a casa, così come i miei genitori.

Mi fermai un attimo, con le lacrime agli occhi: in quel momento, più che mai, sentii il bisogno di recuperare la memoria, di riprendermi tutti i ricordi che erano scomparsi da più di un mese. Chiusi gli occhi e mi immersi ancora una volta nelle profondità della mia mente, questa volta più velocemente e cercando subito il ricordo dei miei genitori. Questa volta riuscii ad afferrarne un lembo ma, quando feci per riportarlo in superficie, un’altra fitta alla testa me lo strappò di mano e mi riportò bruscamente alla realtà, costringendomi a inginocchiarmi sull’asfalto. Non appena la fitta scomparve, mi rimisi in piedi e continuai a camminare lungo la strada. Ormai era un’ora abbondante che ero in marcia, e chissà quanto ancora ci avrei messo ad arrivare al Diner. Iniziai a vagare dentro i miei pensieri così in profondità che sussultai quando vidi una luce dieci metri davanti a me. Mi preparai a metterla fuori gioco o a fare qualcos’altro, ma quella mi chiamò improvvisamente. “Eve!

“Ma cos…” mormorai mentre la persona si fermava accanto a me e mi illuminava con la torcia. “E tu che ci fai qui?”

“Bè… ero in giro a fare una commissione per il Dr. D, e mi ha detto che ti avevano lasciato nel deserto. Ero preo…” Si interruppe. “Volevo dire, non volevo che ti succedesse qualcosa di male e allora sono venuto a vedere dov’eri. Ma a quanto pare sei riuscita a trovare da sola la strada giusta,” concluse con un sorriso.

“Già.” Ci incamminammo, io a piedi e Joshua sui suoi pattini, verso il Diner, ancora un chilometro più in là. Mi morsi le labbra e presi fiato un paio di volte prima di voltarmi verso il ragazzo e chiedergli: “Hai per caso parlato con Grace?”

Mi guardò confuso. “Perché vuoi saperlo?”

“Niente,” mi affrettai a rispondere. Il silenzio si fece pieno di domande e continuai: “Vedi, stavo pensando alle due volte che ci siamo viste. Mi guardava spaventata, e anche come se… avesse paura di perdere qualcuno di caro.” Feci una smorfia. “Pensavo che foste tu e gli altri ragazzi, ma a ripensarci sembrava avesse paura di perdere me. Secondo te perché?”

Anche alla fievole luce della torcia, riuscii a vedere lo stesso sguardo che aveva nel garage prima che me ne andassi. “Non saprei,” mentì.

Non raccontarmi stronzate, pensai, ma non dissi niente. Camminammo in silenzio ancora per qualche minuto, poi Showpony si fermò e mi chiese: “Ti va di fermarci un po’ a sedere? Sono stanco, e penso che anche tu lo sia.”

Scrollai le spalle. “Okay.”

Il ragazzo si allontanò dalla strada entrando nel deserto, illuminando la sabbia davanti a sé e facendo attenzione che non mi perdessi. Si fermò quando ci eravamo inoltrati di un bel po’ e si mise a sedere, spengendo la torcia. Io lo seguii e mi sedetti accanto a lui: era arrivato il momento che parlassimo di tutto quello che stava succedendo, e soprattutto del suo comportamento che cambiava da un momento all’altro. Quel giorno e quella sera sembrava di nuovo il ragazzo fragile a cui avevo tirato un calcio nelle palle, non il cuore di pietra che mi aveva fissato senza battere ciglio mentre vomitavo. Sospirai. “Sai che noi due dobbiamo parlare, vero?”

Lo sentii fare un sorriso sarcastico. “Secondo te perché sono venuto a cercarti? È anche per questo.”

Annuii e aprii bocca per parlare, ma mi bloccò. “Prima che tu dica qualunque cosa… devo darti una cosa.” Si mise una mano nella tasca dei jeans (stranamente non aveva addosso il suo completo da Showpony, tranne i pattini) e tirò fuori un oggetto che luccicò alla poca luce notturna. Accese di nuovo la torcia per farmelo vedere, e rimasi sorpresa quando vidi che era la stessa collana di quel pomeriggio. “Cosa vuoi farci?” gli chiesi.

“Girati.” Obbedii e sentii le sue mani che mi sfioravano i capelli e il collo. Si ritrassero veloci, come se avessero potuto lasciarmi un’ennesima ferita. Mi portai la mano al collo e sentii il sasso verde-azzurro sotto le mie dita. Mi lasciai sfuggire una sola parola.

“Perché?”

“Perché era di una persona molto importante per me, ed ora voglio che lo tenga tu.”

Sorrisi amara. “Ora sono questo per te? Una persona importante?”

Rimase zitto. Il silenzio divenne ancora una volta troppo pesante da sopportare, così mi voltai verso di lui e parlai di nuovo. “Joshua… mi spieghi perché hai cambiato atteggiamento nei miei confronti?”

“Che vuoi dire?”

“Lo sai benissimo.”

Sorrise di nuovo sarcastico. “Forse per te è tutto facile, Eve. Non ti ricordi niente, non hai la più pallida idea di cosa ti sia successo in tutti i tuoi sedici anni di vita, hai un’idea di chi sei basandoti solamente su un mese di ricordi e su quello che ti hanno raccontato… ma per altri è diverso.” Fece una pausa. “Chi… chi sa meglio di te cosa ti è successo ti ha visto cambiare improvvisamente, e in un modo che nessuno si sarebbe mai aspettato. E quindi si è protetto dal tuo odio nel modo che credeva migliore.”

“E tu sei coinvolto più di tutti gli altri?”

“Sì.” Non c’erano né ironia né sarcasmo nel suo tono, era una affermazione rassegnata. Sospirò. “Forse adesso mi prenderai a calci, ma anch’io continuerò a dirti che era una Killjoy. Perché voglio che tu ti ricordi al più presto tutto, anche perché…” Perse completamente la sua parlantina svelta, mettendo insieme le parole a pezzi e con un tono alquanto imbarazzato. “Noi… tipo… bè, una volta… noi eravamo… eravamo innamorati.”

Lo guardai confusa e stranita per qualche secondo, poi scoppiai a ridere. Mi asciugai le lacrime dagli occhi mentre osservavo l’espressione seria, confusa e ferita del ragazzo accanto a me. “Scusa, forse per te non è divertente,” mi scusai con un’ultima risata. “Ma… io e te? Davvero?” Scossi la testa. “E poi… cosa vorrebbe dire essere innamorati?

Mi guardò ancora più confuso. “In che senso?”

Alzai le spalle. “Questo senso. Non so cosa vuol dire questa parola.”

Fissò il vuoto in lontananza per qualche secondo, poi si morse il labbro inferiore, cercando le parole giuste per iniziare. “È come… come quando… Dio, come posso spiegartelo? È una sensazione che devi provare.” Si voltò di nuovo verso di me. “È quando stai accanto a una persona e tutto il mondo attorno a te sparisce, perché lei è lì davanti a te. Se ti parla lo stomaco ti si attorciglia tutto, se ride sei contagiato dalla sua risata e il sole splende, se piange vorresti essere l’unico a poterla consolare e a vendicarla. E quando poi scopri che anche lei prova le stesse cose… ti senti la persona più felice del mondo.” Sorrise luminoso, come se avesse provato tutto questo. Avrei voluto provarlo anch’io: era possibile che qualcuno potesse essere felice senza bisogno delle pillole? “Dev’essere bello,” commentai.

“Sì.” Gli occhi grigi gli si oscurarono per un attimo mentre mi fissavano con malinconia. Quella tristezza sparì quasi di colpo, ma rimase leggermente visibile, come se, in fondo, non se ne andasse mai veramente. “Sì, lo è.”

“E di chi eri… innamorato?”

Mi guardò ancora con quella strana malinconia addosso, poi iniziò a parlare. “C’è… c’è stata una ragazza, qualche tempo fa. Tu sei… sei quasi uguale a lei, ma quando l’ho conosciuta aveva i capelli lunghi e color biondo cenere. Ma i vostri occhi sono gli stessi e anche l’espressione del viso, e credo… credo che anche il vostro carattere sia uguale, se il suo non è cambiato. La collana che ti ho dato era sua.” Mi guardò come se si aspettasse qualcosa da me, poi sospirò e continuò: “L’ho conosciuta poco meno di un anno fa, e all’inizio… bè, la odiavo. Letteralmente. Perché non sapevo da dove venisse, e dovevo ancora riprendermi da tutto quello che mi era successo due anni prima. Ogni occasione era buona per trattarla male, per farle piccoli scherzi, per mostrare agli altri quanto fosse imbranata e indegna della nostra fiducia. Ma alla fine ho capito che, in fondo, a lei ci tenevo. Che nessuno poteva farle del male, tranne me. Che ogni singola persona che provava a toccarla avrebbe dovuto fare i conti con me. E poi ci siamo… bè, innamorati.” Fece una pausa. “Ne abbiamo passate così tante insieme. Ci chiamavano gli Amanti della Demolizione, come una vecchia canzone, perché eravamo così imperfetti. Lei era perseguitata dalla sfiga ed era così incasinata dentro di sè, e io ero e sono anche ora continuamente inseguito dai sensi di colpa per aver permesso a loro di farle del male. E non sai cosa… cosa si prova ad essere impotenti quando la persona più importante del mondo per te viene ferita in qualunque modo e tu non la puoi aiutare a lenire il dolore.”

Seguì qualche minuto di silenzio, poi chiesi timidamente: “Che le è successo?”

“Un mese fa è scomparsa.” Perché mi sembrava che nei suoi occhi fosse comparsa una traccia di lacrime? “L’ho cercata dappertutto, ho chiesto a chiunque di avvisarmi se la vedeva… ma è stato tutto inutile. Lei non è ancora tornata qui, e ho paura che non lo farà mai.”

“… Bè, non è detto. Forse… forse tra poco tornerà. Qualcosa la trattiene e non riesce a raggiungerti,” provai a consolarlo.

Mi sorrise triste, di nuovo con quella malinconia negli occhi. “Già, forse hai ragione,” disse. “Ma sai… penso a lei ogni giorno, e ogni volta che guardo la direzione in cui è scomparsa mi chiedo se è più vicina o lontana da me. E oggi…” Nel buio, mi sembrò che una lacrima gli stesse scendendo lungo la guancia. “… oggi mi sembra più lontana che mai.”

*
Se vi siete fatta un'iniezione di Nutella vi capisco benissimo, lo avrei fatto anch'io leggendo un capitolo del genere.
Avrete capito, Sunshines, che la canzone è The Ghost Of You, e quel pensiero sulla barca si ispira un pò al video.. *coff, coff*
AnyWay.
Maricuz_M: so che sei fan della coppia, e spero che questo capitolo ti sia piaciuto. AHAH Riponi pure troppa fiducia in me, cara, ma spero di non deluderti comunque :D (E non preoccuparti per il capitolo precedente ;))
Momoka chan: oh sì, per una volta non mi sfotti Joshua XD Hai ragione, è così tenero e "carino e coccoloso" nel capitolo precedente, e gli altri quattro idioti così stronzi... (Più che a un cane, sembra che tu stia parlando al tuo fratellino o cuginetto di tre anni ._.) Come vedi, ho aggiornato subito dopo la tua recensione, spero che questo capitolo ti sia piaciuto!
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
#SINGItForJapan <3
  
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