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Autore: KH4    04/05/2011    4 recensioni
Il mio sogno è trovare un sogno. Cercarlo significa vivere? Non lo so perchè io non so se ho il diritto di questa mia vita o di questo mio desiderio. Non so cosa sia un sogno ma lo desidero così tanto perchè forse può darmi la felicità che non ho. Anche se cammino, respiro, osservo...sto forse vivendo come dovrei fare? Non lo so.Ho paura a trovare la risposta.Ho paura a guardare indietro. Ho paura di quello che sono. Ma io....chi sono?(prologo del cap.14).
La vita di Ace prima ancora che entri a far parte della ciurma di Barbabianca e durante la permanenza sulla nave di quest'ultimo, accompagnato da un dolce ragazza dal passato oscuro e ingiusto. Buona lettura a tutti!(introduzione modificata)
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Barba bianca, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ci siamo, eccoci alla fine. Dopo oltre un anno, “Giglio di Picche” è giunto al termine (Dio, che tristezza, mi lascia un vuoto dentro impensabile). E’ strano ma sono soddisfatta di me stessa e non ho mancato di ringraziarvi tutti quanti: in fondo al capitolo, troverete i miei saluti, i ringraziamenti e una piccola sorpresa che posterò mercoledì prossimo. Godetevi l’ultimo e ufficiale capitolo di “Giglio di Picche!”
 
 
Mare Meridionale.
Quarantacinque gradi di latitudine e novantasette di longitudine.

Le coordinate indicavano la posizione di una piccola isola poco conosciuta, abitata da un modesto gruppo di persone che avevano edificato il loro villaggio, battezzandolo di loro proprietà. Non era famoso per i fiorenti commerci, le località turistiche o per qualsiasi altra particolarità  giudicata dai estranei estremamente curiosa e meritevole di essere conosciuta: non possedeva niente di tutto ciò. Quel piccolo lembo di terra era fin troppo banale. ma gli abitanti del posto andavano fieri del loro tenore di vita rasentante la tranquillità: a volte bastava veramente poco per rovinare qualcosa costruito con amore e pazienza e la gente di quell’isola sapeva bene cosa significassero quelle parole. Gli anziani lo ricordavano per l’averlo vissuto in prima persona ma, per grazia divina, il tempo aveva sanato tutte le ferite e, ulteriormente, per non instaurare la paura nei giovani, avevano provveduto a non lasciare trapelare nulla di quel spiacevole evento. Se qualcuno avesse chiesto, loro avrebbero risposto che ciò non era stato altro che una spiacevole conseguenza dovuta alla disgustosa pirateria, niente di più. Se cancellare un fatto era impossibile, dimenticarlo e andare avanti come se nulla fosse risultava più facile, specie se poi ci si convinceva che ogni particolare di quell’atrocità fosse morto con la negazione da parte dei testimoni.

Avevano agito a quel modo per il loro bene, per il bene dei loro bambini e per il bene stesso dell’isola e adesso, la pace era tornata a sedere sul suo legittimo trono, mettendo da parte ogni preoccupazione: il villaggio, coi suoi pochi negozi, viveva del lavoro dei abitanti, le cui giornate erano piene e, nella media, abbastanza produttive.

Con le mani occupate e i piccoli che giocavano a palla o a fare rincorrersi, nessuno si accorse di quella minuscola variante alla loro quotidianità: assuefatti dai loro doveri, non notarono una graziosa fanciulla indossante un bel abito giallo pallido camminare lungo la via principale. La sua presenza non venne minimamente calcolata, come invisibile ai occhi di tutti, addirittura a quelli delle stesse piante. Passeggiava con in mente un posto preciso, senza mostrare un particolare interesse per quel ambiente circostante che tempo addietro l’aveva disprezzata, esattamente come le persone dell’isola.
Oh si, lei era nata lì, ma nessuno avrebbe saputo riconoscerla poiché era stata data per morta. Camminava con la brezza solente ad alzarle appena l’orlo della gonna, lasciandosi alle spalle le abitazioni e le voci popolane per raggiungere l’estremità della zona civilizzata: non vi era molto, salvo qualche frutteto e una casetta grande abbastanza da farci vivere due persone. Questa era abbandonata da tanti anni, sprangata con assi marce e coperta d’edera fino al camino: nessuno vi ci era stabilito e la conseguente mancanza di cure, aveva permesso che una parte delle mura d’essa scoppiasse dall’interno, mostrando l’abitacolo pieno di polvere, ragnatele e detriti. Passandoci davanti, la viaggiatrice non degnò a quelle macerie alcuno sguardo, così come non mostrò la benché minima attrattiva nello scorgere un pozzo riempito appositamente di terra perché risultante inutilizzabile. Un tempo quelle semplici costruzioni avevano fatto tremare non poco il suo animo, spingendola a rinchiudersi dentro sé stessa fino a quando non sarebbe stata sicura che il pericolo fosse passato: era nata lì, ma non era stata amata, benvoluta o accettata. La bambina che ancora viveva dentro il suo cuore era stata odiata, ritenuta un mostro, un perfetto capro espiatorio su cui la gente aveva riversato la propria indignazione, l’odio, arrivando a trasmettere tale sentimento ai figli, i cui maltrattamenti nei suoi confronti non erano mai stati ritenuti una valida ragione per castigarli.

L’amaro scatenato dell’impotenza provata, unito al dolore per quelle ferite dilanianti, era stato così esasperante da perseguitarla anche dopo aver lasciato l’isola. Al posto del rancore vi era l’incomprensione per quel comportamento, incomprensione alla fine colmata e celata dietro una forza d’animo liberata grazie ad un piccolo gesto caritatevole rappresentante il suo solo attimo di felicità in quell’infanzia tanto buia. La piccola bambina indesiderata aveva sofferto, così come aveva sofferto la graziosa fanciulla che adesso si apprestava a inoltrarsi nel bosco, da cui tutti preferivano tenersi alla larga per via di una diceria che ancora, straordinariamente, si reggeva in piedi. Le folte chiome dei alberi impedivano alla maggior parte dei raggi solari di penetrare all’interno, rendendo l’ambiente semioscuro, silenzioso, con qualche chiazza luminosa filtrante dal fogliame. Circondata dal silenzioso frusciare dei alberi, la ragazza non più bambina percorse il sentiero apparentemente inesistente all’occhio umano ma perfettamente visibile nella sua mente, chiaro, come fosse una mappa scritta: a ogni passo il battito del suo cuore si inspessiva, alimentando l’emozione per il sapere la sua meta sempre più vicina. Rimanere impassibile era decisamente chiedere troppo, nessun essere umano poteva riuscire a omettere i propri sentimenti: mostrare indifferenza era il massimo concesso, ma rinnegare una parte di sé equivaleva a gettare al vento le poche qualità che distinguevano l’uomo dalla bestia.

Varcata l’uscita di quel lungo tunnel forestale, la luce del sole, unita a una sferzata ventosa che le sollevò i capelli, spinse la ragazza a coprirsi gli occhi con l’avambraccio: il cinguettio dei gabbiani le solleticò immeditatamente l’udito e nell’abbassare l’arto, lasciò che la sua vista si riabituasse a quel paesaggio rimasto conservato nella sua memoria come un monile prezioso.

Eccomi qua….

Non era cambiato nulla, tutto era al suo posto e di ciò lei ne fu grata. La scogliera, rivestita di un soffice prato verde, stava venendo accarezzata da alcune folate d’aria tiepida proveniente dal oceano , le cui onde solevano adagiarsi pigramente sulla spiaggia, dove ogni tanto qualche paguro si divertiva a zampettare e a scavare buche. Lì la civiltà non aveva messo piede, l’unica costruzione presente era una minuscola casa sigillata che, a differenza dell’ultima vista, era in perfette condizioni, addirittura priva d’edera. Il tettuccio rosso era sbiadito sui bordi, ma le mura dai mattoni biancastri avevano resistito fieramente a ogni capriccio della natura: indubbiamente, dentro dovevano essersi accumulati grossi gomitoli di polvere ma, per quanto il desiderio di andare a dare una sistemata fosse cresciuto abbastanza velocemente da farle prendere in considerazione quell’idea, Sayuri – poiché era questo il nome della ragazza – decise di focalizzare la propria concentrazione su quel ristretto spazio che dava sul mare, dove giacevano i suoi ricordi più importanti, i più significativi.

A meno di un metro da dove si era fermata, stava una lapide grigiastra di medie dimensioni, priva di nome, liscia e appena un po’ smussata sui angoli arrotondati. Non vi erano decori o fregi particolari, salvo dei fiori ai suoi piedi, piantati appositamente perché il defunto non ne sentisse la mancanza. Rappresentavano molto per lui ma anche per lei. I fusti possedevano diverse foglie arricciate di un bel verde chiaro, di cui alcune aperte verso l’esterno. L’estremità era rappresentata da una corona di petali bianchissimi dalle brillanti sfumature, sporgenti, che lasciavano spazio a una minuscola cavità dove facevano capolino i pistilli. Erano pochi, massimo cinque, ma all’apice della loro fioritura. Nell’inginocchiarsi lentamente, sollevando di poco la gonna, Sayuri li ammirò con un misto di dolcezza e sollievo nei occhi: erano stupendi, immacolati, come appena fioriti, esattamente come lei li aveva sempre visti. I più bei gigli che fossero mai esistiti, il cui paragone con altri esemplari era impensabile: lasciavano trasparire con nitidezza l’amore di colui che si era preso cura di loro, senza timore che questo risultasse troppo sfacciato, mostrando al sole quanto di bello possedevano. Nel far scorrere su ciascuno di essi il proprio sguardo, la castana infine guardò la muta lapide davanti a sé, sciogliendo le labbra in un sorriso nostalgico.

“Sono tornata, nonno” mormorò “Spero di non averti fatto aspettare troppo”

Al di fuori di Sayuri, nessuno era a conoscenza di quel posto, di quella casa e tanto meno di quella tomba.
Quella zona dell’isola rappresentava un’incognita che nessuno aveva mai avuto il coraggio di svelare ed era in quella sorta di isolamento, che la ragazza aveva iniziato ad aprirsi dopo tanto dolore. Lì la gente del villaggio non ci veniva, preferivano stare dov’erano, al sicuro, nelle vie che conoscevano bene quanto le loro tasche, dove il pericolo stava sotto la soglia dello zero.

“Immagino considererai la mia presenza qui alquanto strana sebbene tu l’avessi prevista. D’altro canto, mi ero ripromessa di non fare più ritorno: sai bene cosa rappresenti per me quest’isola ma vedi, il fatto è che…avevo davvero bisogno di vederti” mormorò chiudendo gli occhi per pochissimo “Mi manchi tantissimo”

Emanando un flebile sospiro, accarezzò la lapide col palmo della mano.
La piccola baia dove l’oceano si stagliava in lungo e in largo senza confini personificava l’inizio, il suo inizio, dove tutto era cominciato. Logicamente qualche intellettuale avrebbe corretto tale affermazioni, replicando che la sua vita fosse iniziata al momento della sua nascita, ma per quei cinque lunghi anni passati a soffrire, Sayuri era rimasta estranea a molte cose, compresa la sua stessa esistenza: le percosse, gli insulti, gli sguardi disgustati, le risate pungenti dei suoi coetanei…tutto ciò che poteva rendere un vero inferno la vita di un figlio della pirateria,  lei l’aveva provato sulla sua pelle e i segni lasciati erano andati a scolpirsi da prima sul suo fisico, poi nella mente, con calco indelebile. Prigioniera in quel limbo, era arrivata a meno di un passo dal vuoto emotivo, pronta a rinunciare alla sua vita perché convinta che così facendo, avrebbe giovato alla felicità di quella donna; seppur talvolta avesse sorriso, sicura di poter fare qualcosa di buono per lei, quelle fitte dolorose non avevano mai smesso di tormentarla. Soltanto in quell’angolino perduto, in quella specie di bolla dove la serenità aleggiava senza venir scalzata dal suo trono, Bianco Giglio, aveva cominciato a intravvedere il primo spiraglio di felicità. Non si trattava soltanto dell’ambiente, ma anche della presenza di quell’insolito signore che aveva deciso di prenderla con sé e di trattarla come fosse sangue del suo sangue.

“Temevo di non riuscire a mettere piede su quest’isola, ho cominciato ad emozionarmi non appena ho attraversato la Reverse Mountain. No, aspetta…” si corresse ritraendo la mano “Forse, è più corretto dire che ero spaventata. Anche se lo negassi fino alla fine dei miei giorni, ciò non cancellerebbe che cosa questa terra sia stata per me” proseguì.

Un leggero velo di malinconia calò sulle sue iridi color cioccolato, risvegliando la parte di lei che per diversi anni aveva tenuto segreta a tutti coloro che le si erano avvicinati. Il cuore le batteva forte, come se stesse per ricevere una risposta talmente importante da incidere sul suo futuro. Nel lungo viaggio compiuto per tornare alla sua patria, l’emozione dentro di lei era cresciuta man mano che la distanza s’assottigliava ma, una volta scorta in lontananza l’ombra dell’obbiettivo, gambe e braccia si erano irrigidite quanto bastava per farle venire il fiato corto. Aveva deciso di compiere quel viaggio per una ragione precisa e voleva arrivare in fondo con le sue sole forze: ne Ace ne nessun altro dei suoi fratelli l’aveva accompagnata, si trattava di qualcosa di strettamente personale, fra lei e il suo adorato nonno. Non era stata una scelta progettata da tempo, curata nei minimi dettagli e studiata appositamente perché venisse ad attuarsi in un preciso momento, al contrario: il desiderio di rivedere la tomba del nonno era stato un getto impulsivo, improvviso, potente a sufficienza da farle prendere un’imbarcazione decente e iniziare così la sua attraversata senza alcuna forma di ripensamento.
Un simile gesto non era da lei, ma poiché c’è sempre una prima volta per tutto, una decisione del genere non era risultata ai occhi del suo capitano così assurda e impensabile. Rivedere quella lapide, con i suoi fiori preferiti, tranquillizzò Sayuri, restituendole la consapevolezza di essere in un posto sicuro, dentro al primo ritaglio di felicità arrivatole incontro, permettendole così di sorridere, come se davanti a sé ci fosse in carne e ossa suo nonno, pronto ad ascoltarla come lei soleva fare quando lui le raccontava le sue storie. Il problema era che se lui non aveva mai avuto problemi a parlare, lei al momento si trovava nella confusione più totale, tanto da sistemarsi in continuazione i ciuffi castani dietro le orecchie.

“Eh eh, non so proprio da dove iniziare..” ridacchiò sommessamente “Ho così tante cose da dirti e da chiederti che non riesco a decidermi. Ho provato perfino a segnarmele, ma non sarebbe stata la stessa cosa una volta arrivata da te. No, credo proprio che sarebbe stato squallido..”

Dei molti argomenti che si stavano accalcando sulla punta della lingua, spintonandosi a vicenda, non sapeva quale scegliere per primo. Avrebbe potuto iniziare con una panoramica delle sue avventure, dei importanti incontri fatti e di come si erano concluse le ultime vicende che le avevano fatto guadagnare una taglia da capogiro; certamente, se fosse partita dal suo primo sbarco, ci avrebbe impiegato come minimo due giorni a raccontare tutto, se non di più. Benché non le sarebbe dispiaciuto raccontare ogni singolo avvenimento capitatole, in cuor suo capì che non poteva tergiversare seppur il tempo non fosse tiranno come a suo solito. Non si trattava di scegliere da quale argomento partire, ma di isolare il sentimento che più le premeva sul petto e di far leva su di esso per farsi coraggio e iniziare a parlare senza perdersi ulteriormente. Le pressoché impercettibili spintarelle del vento la stavano come esortando ad andare avanti mentre il cielo, nella sua limpidezza, diveniva un poco opaco, per via di alcuni stracci di nuvole passeggere. Esitante, doveva solo trovare il coraggio di prendere un bel respiro e tuffarsi, tutto qui.

“Sono tornata qua da te perché è il solo posto esistente al mondo, al di fuori di quello dentro cui vivo ora, dove posso essere me stessa. So che qui troverò sempre il tuo affetto e il tuo appoggio, in qualunque situazione io mi trovi, ma so altrettanto bene, che al di là di questi confini, ci sono troppi ricordi che mi impediscono di considerare quest’isola come un’effettiva casa. Perdonami se puoi, mi hai dato così tanto….” riuscì a dire nell’affondare i pugni nella gonna “E io non ti ho mai ringraziato per tutto quello che hai fatto per me”

Le braccia tese e gli occhi occultati sotto la frangia resero quella frase più sincera di quanto già non fosse e, come a volerla spronare a continuare, il vento tornò a solleticarle i capelli e il collo appena scoperto. I petali dei gigli ballarono fra di loro, sfrusciandosi a vicenda con tocchi leggerissimi, sbattendo con delicatezza contro la liscia pietra grigia della lapide.

“Ti devo molto e se sono arrivata dove sono adesso è per merito tuo: mi hai dato la forza per combattere, per credere in me stessa, mi hai indicato la strada ed io ho sempre cercato di non fuoriuscirne. Che cosa dovessi cercare esattamente non lo sapevo, però ero certa, che se avessi proseguito senza fare deviazioni, avrei trovato quello il sogno di cui tu mi parlavi”

Quella parola in passato per lei non aveva costituito niente, neppure sapeva cosa fosse. Era solo un insieme di sillabe privo di significato, vuoto, ma non appena il nonno lo citava, vedeva il suo volto illuminarsi di una gioia stupefacente, stanca, ma vivissima. Sebbene la sua mente di bambina allora imparasse precocemente, la felicità del nonno in quel momenti non era mai riuscita a capirla: se si voleva veramente vivere a quel mondo, cercare e realizzare un sogno era pressoché un richiamo irresistibile. Si trattava di qualcosa che poteva essere descritto con semplicità, ma lei allora non comprendeva comunque la sua reale importanza, i molti significati nascosti al suo interno: era solo una bambina a quel tempo, con troppo dolore addosso perché si convincesse subito della veridicità di quelle parole.

“A volte mi sentivo così sola….che avevo paura ad addormentarmi” confessò flebilmente “Ti volevo accanto e quando mi rendevo conto che tu non c’eri, l’angoscia mi assaliva a tal punto che non volevo far altro che piangere”

Il primo anno passato dopo la morte del parente adottivo era stato molto duro: non si stava parlando solamente degli allenamenti fatti per rafforzarsi, ma anche dei molti sentimenti affrontati da sola e gestiti al meglio delle sue possibilità. I cuscini inzuppati delle sue lacrime delle varie locande dove aveva alloggiato avrebbero potuto benissimo testimoniare quella versione: era stato difficile ma poi, rendendosi conto che niente le sarebbe piombato dal cielo così spontaneamente si era fatta coraggio, smettendo di aggrapparsi costantemente al ricordo del nonno. Se tutto quanto poteva ferirla, quel poco che aveva poteva renderla più forte dei suoi avversari, che fossero marine, pirati, mercenari o demoni radicati nel suo cuore. Non poteva trarre sostentamento dalle memorie come se queste fossero state l’effettiva realtà; quelle, per quanto belle e idilliache, rimanevano e sarebbero sempre rimaste delle mere illusioni. Doveva andare avanti, proseguire sulla strada che lui le aveva indirizzato e così aveva fatto, nonostante questa avesse fatto di tutto per ostacolarla: si era impegnata, aveva sigillato tutto ciò che la spaventava e la rendeva triste nell’angolo più remoto di sé, per poi proseguire senza mai mostrarsi caratterialmente diversa.

“Mi ero ripromessa che avrei fatto l’impossibile per diventare più forte, non volevo che ne il mio passato ne il mio sangue mi penalizzassero con così tanta pesantezza ma probabilmente, mi sono fatta influenzare senza che ne me accorgessi. Non avevo compreso a fondo i tuoi discorsi e me ne sono resa conto solo poco tempo fa: le ali che tanto mi piacevano e che tu decantavi….non le avrei mai potute vedere fintanto che mi limitavo a proteggere la mia vita, non è così?”
Volevi che mi aprissi, che mi fidassi di qualcun altro al di fuori di me stessa, vero nonno?

Le gote le si arrossarono quanto bastava perché la dolcezza dei suoi ricordi fosse sufficientemente visibile anche dall’esterno, permettendo al suo cuore di bearsi di quel momento così meraviglioso e unico al mondo: riuscì a percepire la presenza del parente con tanta nitidezza da permetterle di vederlo davanti a lei, esattamente come lo ricordava. In tutta sincerità, le notizie scoperte al suo riguardo non le interessavano minimamente: a dispetto di chi fosse stato in passato e di cosa avesse fatto, per lei, Aron sarebbe sempre rimasto l’anziano signore con cui aveva passato intere giornate a guardare il mare in silenzio, che le aveva insegnato a difendersi su sua esplicita richiesta, che le narrava le favole per farla addormentare e che la faceva dormire con lui se impaurita da un incubo o scossa per quelle sconvenienze notturne che più di una volta l’aveva vista corrucciare il faccino nel vedere il materasso bagnato.

Se ne era sempre vergognata e quando capitava, era sempre troppo tardi per porvi rimedio: la prima volta che le era successo, aveva temuto seriamente che lui la potesse picchiare e invece, in meno di mezz’ora, si era ritrovata nel lettone di quest’ultimo, con lui che la tranquillizzava, raccontandole dei simpatici aneddoti su un suo vecchio amico avente il vizio di affondare le navi, mangiare dolcetti nelle occasioni più disparate e di imbucarsi in missioni altrui senza richiedere l’autorizzazione. 
A quel particolare, le scappò uno sbuffo divertito: aveva avuto modo di conoscere l’ex collega di suo nonno e dovette ammettere che quell’uomo - che poi era il nonno di Ace e Rufy - era esattamente come le era sempre stato descritto: un marine pazzerello che alternava la serietà all’assurdità totale.
Sperò che non fosse stato scoperto per averla aiutata, non se lo sarebbe mai perdonata se fosse successo qualcosa al signor Garp: seppur si trattasse di un uomo grande e vaccinato, le leggi della Marina erano terribilmente severe riguardo i patteggiamenti coi pirati. Fu quella punta di timore nei confronti del nonno di Ace che la incupì a tal punto da far incrinare la serenità emersa con tanta spontaneità: l’ambiente attorno a lei era lussureggiante, immutato, eppure, nella sua mente, era dipinto con nuvole nere e minacciose, che si stagliavano lungo l’orizzonte, accompagnate da folate di vento burrascose, gelide, annuncianti una grande tempesta. Una tempesta pronta a inghiottire tutti loro e a farli cadere in ginocchio davanti all’avanzare delle tenebre più nere che si fossero mai viste. L’immaginarla le fece accapponare la pelle e lo scorgere il volto causante di quel caos le gravò sul cuore abbastanza da alimentare la sua ansia, accorciandole il fiato e pizzicandogli il collo appena guarito.

La sensazione di quelle dita scure che le strangolavano la pelle, bloccandole le vie respiratorie, sottomettendola contro la sua volontà, era a dir poco che raccapricciante, ma mai quanto la brutalità riversata sul povero Satch, la cui promessa ancora giaceva in bilico fra due sponde distantissime. Lo sfiorare il suo nome la scosse, lasciando che dalla sua bocca fuoriuscisse un singulto che subito tentò di inghiottire ma, nel realizzare che era da sola, tolse lentamente le mani dalle labbra, per farle ricadere in grembo, con la visuale bassa. Non temeva di essere giudicata o criticata, era venuta per rafforzarsi emotivamente e soltanto parlando per prima, soltanto aprendosi come aveva imparato a fare coi suoi amici, sarebbe riuscita a togliersi quel macigni dall’anima.

“Una volta mi dicesti, che i sentimenti che si provano nei confronti di una persona ti danno la certezza di essere viva. E’ impossibile mostrarsi freddi o privi di coscienza, nessun essere umano sarebbe capace di una cosa simile: io ho pianto e mi sento tutt’ora male per il non essere riuscita a impedire che un mio caro amico morisse”

Parlò con l’istinto, con le prime parole dettate da quella impellente necessità che tuttavia ancora non riusciva a farle alzare la testa. Da quel dolore aveva tratto una forza così straordinaria da permetterle di camminare e di lottare come mai fatto fino ad ora, ma esso aveva provveduto a lasciarle impressa quell’impotenza umana capace di vanificare ogni suo sforzo. Non era forte come alcuni avevano pensato, non era così in gamba come pareva aver dimostrato più volte ne si considerava all’altezza delle sue stesse aspettative e ciò la rattristava non poco: che ogni passo compiuto fosse stato solo un errore? Forse non tutti ma alcuni probabilmente si.
La verità era che aveva vissuto la stessa esperienza di Ace e ne era uscita alla stessa maniera: si era scontrata con un nemico più forte di lei, al di sopra, anzi, al di fuori di ogni scala gerarchica mai stilata, arrivando così vicina alla morte da vederne le porte.

Aveva perso ma era sopravissuta.
Teach era fuggito nuovamente ma Ace era tornato da lei.
La famiglia si era nuovamente riunita ma la promessa fatta giaceva ancora sospesa nel vuoto.

In sostanza, una vittoria a metà: se nella prima poteva immergersi fino a percepire le fiamme di cui aveva tanto sentito la mancanza, nella seconda non poteva fare a meno di provare un forte senso di incompletezza, di squallore.

“Non tornerà più da noi, non sorriderà più con noi, ne combatterà e mi fa male…sapere che è morto per un potere che io neppure volevo” mormorò con una nota di rancore nel mentre stringeva con le dita i lembi della gonna “Fa male” ripetè “E per quanto io continui a ripetermelo, questo dolore mi accompagnerà fino a quando non avrò esaudito il suo ultimo desiderio. Sarà sempre dentro di me, ci attingerò forza se necessario, ma non so se basterà, perché il sogno di quell’uomo è così spaventoso da risultare un incubo incontrastabile”

Dovette fermarsi un istante per controllare il bruciore ai occhi e i propri battiti cardiaci: affannarsi più del dovuto era inutile, lo sapeva, ma il suo corpo reagiva in simbiosi alle sue emozioni: se piangeva tremava, se scattava si irrigidiva…
Il fisico era lo specchio esteriore dell’anima e in quel momento, Sayuri, una persona sempre stata particolarmente attenta ai propri gesti e alle proprie parole, non si contenne ne ci provò. Scoperta sotto tutti i punti di vista, lasciò vedere alla lapide di suo nonno quanto covava dentro, come se avesse atteso quel preciso istante per lasciarsi andare.

“Ho riflettuto molto ultimamente” continuò intrecciando le dita “E considerata la decisione presa, la mia visita qui ha assunto ancor più importanza: se prima potevo contare sulla possibilità di tornare, adesso non potrò più farlo, non con quello che dobbiamo prepararci ad affrontare”

Molte volte, quando ancora non aveva raggiunto i sedici anni, si era lasciata accarezzare dal desiderio di prendere le sue cose e tornare in quella casetta ora ben chiusa per nascondersi sotto le coperte, sperando che fosse stato tutto un brutto incubo. Lo aveva desiderato, non lo negava e in quei momenti di crisi vissuti, la sua pelle e la sua anima erano stati lacerati a tal punto che non aveva potuto far altro, che creare nuove barriere emotive, nuove fortezze dentro cui porre il salvabile. Si vergognava un po’ al riguardo ed era una delle tante ragioni per cui ancora non trovava il coraggio di scoprire le sue iridi color cioccolato alla luce del sole, ma in cuor suo, non si sentì mai pronta come in quell’istante: dentro di lei si era formata come una strana sfera piena di calore, mischiata alla felicità, alla commozione, alla soddisfazione, all’orgoglio….tutte cose che non stavano facendo altro che ingrandirsi a dismisura, gonfiandole il petto di così tanta positività da risultare quasi irreale. Aveva preso la sua decisione e il volerla comunicare al nonno equivaleva a porre una svolta significativa alla sua vita: forse non sarebbe stata la notizia del secolo, ma per Sayuri contava estremamente, perché i risultati d’essa avrebbero sortito un effetto rilevante in futuro.

“Voglio diventare più forte, nonno” affermò decisa, con finalmente gli occhi puntati sulla tomba del parente e un sorriso determinato dalle labbra “Fino ad ora ho sempre cercato di migliorarmi, di essere più forte di qualunque ostacolo mi si parasse davanti, ma da tempo continuo a sentirmi non potente come vorrei e le ultime vicende mi hanno aperto ancor di più gli occhi: il mio livello attualmente….no” si corresse abbassando le pupille “ Io non sono all’altezza di misurarmi coi pirati che si nascondono nel nuovo mondo, men che meno con lui”

Il riemergere dal sonno dentro cui era stata tenuta forzatamente dalle sue gravi condizioni fisiche le aveva concesso di riflettere lucidamente sul proprio operato: per quanto fosse stata ammirata e lodata, restava il fatto che contro Teach aveva perso e che senza aiuto non ce l’avrebbe fatta a uscire viva dalla prigione. Tutti i suoi allenamenti, le sue fatiche e la sua determinazione…tutto quanto erano stato convogliato nel Divine Recall, tecnica che le era costata molto più di quanto un semplice osservatore potesse pensare, ma del tutto inefficace poiché il suo avversario era riuscito a resisterle e a restituirle quanto patito.

Il prenderne coscienza l’aveva distrutta: si era sentita così debole al suo confronto, così pateticamente inerme davanti ai suoi occhi, che non sarebbe stata in grado di sopportare il peso di quei occhietti soddisfatti una seconda volta. Amareggiata e umiliata, le forze che sempre le avevano permesso di vincere gli scontri si erano rivelati insufficienti, scarsissime a dispetto di quanto aveva previsto e Teach ci aveva pochissimo a mostrarle quell’abissale differenza: si era permesso di giocare con le vite delle persone a lei care con una facilità tanto disumana da lasciarsi alle spalle una scia di disgusto dal odore pungente, per poi calpestare brutalmente quanto gli era occorso senza la benché minima traccia di rimorso, includendo anche lei, come ulteriore dimostrazione della sua forza brutale.

“Voglio diventare più forte” ripetè sostenendo a testa alta i ricordi che le stavano facendo rivivere la sua sconfitta “Voglio realizzare il mio sogno. Non mi interessa se ci impiegherò tutta la vita, non mi importa quanti ostacoli si porranno sulla mia strada: io realizzerò il mio sogno anche se dovesse costarmi la vita e ci riuscirò” affermò con rinnovato vigore. “Ci riuscirò”
Quindi ti prego, se puoi, prestami la tua forza per un altro po’.
“A volte sarà doloroso…” mormorò per poi addolcire lo sguardo “Ma non sarò sola. Non lo sarò più, nonno: ho una famiglia adesso”

I gigli sfrusciarono nuovamente fra di loro, come a voler riprodurre una specie di risposta naturale alla sua affermazione. Pareva così assurdo che la bambina abitante insieme al vecchio marine fosse cambiata così tanto: stava addirittura sorridendo e il suo volto traspariva di una così grande felicità che, unita ai suoi lineamenti, divenne ancor più fine e dolce.

“E’ strana, numerosa, ma bellissima ed è lei che voglio proteggere” riprese “Tutto il mio mondo si concentra su questa nave piena di persone e se dovesse scomparire non avrei più la forza di vivere. Non c’è nessun legame di sangue ad unirci, ma non potrei mai desiderare dei altri fratelli, così……” si fermò un istante, con l’indice tamburellante sull’angolo del labbro e le guance appena arrossate “ Così come non potrei mai volere qualcun altro al di fuori di Ace”

Se nel piccolo mondo di Sayuri esisteva una persona sempre illuminata dal sole, quella era proprio Ace, il singolare ragazzo che l’aveva portata sulla sua nave e reclutata senza neppure farle una proposta quanto meno decente. A nessuno piaceva sentirsi dire quello che si doveva fare senza prima esprimere una propria opinione al riguardo, eppure lei, quella notte…. non era riuscita a opporsi al allegro sorriso del moro. Fu strano passare da una navigazione solitaria a una dove la privacy era ridotta sul filo del rasoio ma a ripensarci, la cosa riusciva ancora a farla sorridere genuinamente, con il rischio di farle venire i crampi allo stomaco: non si era mai abituata a tutte le stranezze dei suoi compagni, in special modo ai attacchi narcolettici di Ace, che il più delle volte l’avevano fatta preoccupare. Fosse stato soltanto quello, si sarebbe ben premurata di rimanergli accanto nel caso si addormentasse troppo vicino all’acqua, ma Ace….era a dir poco che straordinario: c’era qualcosa in lui che ardeva quanto il fuoco che creava e governava senza problemi, una sorta di fiamma interiore che splendeva vivacemente come appena nata. Per quanto invisibile ai occhi umani, la castana era riuscita a scorgerla: se ne stava ben in vista e con fare giocherellante, danzava su quel sorriso che contraddistingueva il ragazzo da chiunque altro.

Lo stesso che si accentuava grazie alle buffe lentiggini che gli tempestavano le guance.
Lo stesso che sapeva tingersi di arroganza e serietà quando qualcosa per lui prezioso rischiava di essere ferito.

Lei, che nemmeno riusciva a concepire l’importanza di avere dei amici, si era ritrovata scombussolata e confusa, con la mente e il cuore uniti, in combutta per tartassarla con l’immagine di Ace. Inspiegabilmente, si era ritrovata ad osservarlo anche nelle piccolezze, scoprendo che il proprio corpo e la propria anima reagivano a certe sue provocazioni: se ciò da una parte l’aveva spaventata, dall’altra le aveva aperto una specie di via per la libertà, la possibilità di aprirsi, ma la paura insita in lei non le aveva permesso che quanto desiderato potesse avverarsi subito.
Temeva l’impensabile, ne era terrorizzata, ma quando aveva gettato la spugna, distrutta da quel silenzio forzato e da quel dolore che non l’avrebbero mai lasciata in pace, lui era arrivato: aveva ascoltato ogni parola, raccolto una per una le sue lacrime e disfatto i suoi timori con un bellissimo bacio.L’aveva salvata da sé stessa.

“Ricomincerò da capo, come se fosse la prima volta, ma non ti devi preoccupare per me: adesso sto bene” inclinò la testa sulla destra nel mentre lo rassicurava “Questa volta so veramente quale scopo voglio raggiungere e mi impegnerò per arrivare fino in fondo. Non potrò più tornare a trovarti e di questo me ne rammarico..” mormorò dispiaciuta “Ma, in qualunque occasione, so che sarai con me e che mi sosterrai, ovunque tu ti trovi”
Anche se non ti vedrò, riuscirò sempre a sentirti..

In ogni momento, che si trovasse sotto il sole, la pioggia o sul punto di esalare l’ultimo respiro, Sayuri era sicura, che il nonno le sarebbe sempre rimasto a fianco nello spirito: l’aveva sempre percepito intorno a sé, quando a volte non sapeva cosa fare oppure quando si allenava, ricordando perfettamente i suoi consigli. Riallungando l’avambraccio, sfiorò delicatamente con la punta dei polpastrelli la pietra della tomba, cercando di memorizzare quel tocco nella sua mente insieme al lento scrosciare delle onde, il fruscio dei gigli, il cinguettio dei gabbiani….tutto. Ogni elemento di quel lembo di terra, dall’erba alle nuvole, aveva assunto un aspetto più radioso, quasi volesse congratularsi con la ragazza per i risultati ottenuti. L’attendeva un nuovo inizio: più duro, difficoltoso ma dopo aver fatto tanta strada, sarebbe stato sciocco da parte sua fermarsi o, peggio, tornare indietro.

Non le importava quanto avrebbe dovuto impegnarsi, se si sarebbe spezzata tutti gli arti per rafforzarsi, se avesse dovuto sputare sangue o subire prove talmente intricate da risultare impossibili.

“Manterrò la mia promessa, nonno: io..li proteggerò tutti quanti. Lì proteggerò e realizzerò il mio sogno”
Diventerò più forte per loro. Per lui.

Giurò sulla sua tomba con solennità, decisa a mantenere la parola data. Lasciò che nella sua mente quelle parole venissero scolpite sulla lapide grigia e pulita del parente, divenendo così incancellabili. Seppur realmente queste fossero rimaste confinate nella mente della ragazza, ella seppe comunque di averle depositate insieme a una minuscola parte di sé. Forse non avrebbe mai avuto il coraggio di chiamare quell’isola “Casa”, ma quel minuscolo angolo, immune all’odio del mondo, sarebbe sempre stato aperto per lei, lontano dalle battaglie che l’attendevano. Per quanto lo si negasse o si facesse finta di vederlo, il pericolo stava proprio davanti a tutti loro, senza premurarsi di nascondersi. Il male era giunto e presto la marea sarebbe mutata: ogni angolo della terra ne avrebbe risentito, il cielo si sarebbe tinto di un rosso mischiato al catrame, le più importanti istituzioni avrebbero incontrato la rovina e probabilmente qualcuno sarebbe caduto. Benché lei avesse contribuito a realizzare un autentico miracolo nel liberare Ace, senza che nessuno venisse coinvolto mortalmente, era ben conscia che un simile evento non si sarebbe mai ripetuto e tale sicurezza, derivava da due ragioni: la prima, era che non c’era guerra senza morti, la seconda, che i miracoli non esistevano. Nessuna entità divina aveva fatto sfoggio dei suoi poteri per aiutarli, niente che appartenesse al soprannaturale era venuto in loro aiuto: avevano combattuto fieramente senza mai indietreggiare, con le loro sole forze, arrivando a compiere l’impensabile, improvvisando a volte, ma senza mai abbassare la testa.

Dubitava fortemente che in futuro, un simile evento si sarebbe ripetuto, ma certamente Sayuri avrebbe fatto da scudo a chiunque suo compagno in difficoltà, difendendo suo padre, la sua bandiera ed Ace e poco a poco, avrebbe concretizzato il suo sogno, senza alcuna fretta.

“Per me è arrivata ora di andare, nonno. Mi stanno aspettando tutti” mormorò conscia del fatto che si fosse fatto tardi.

Prima di alzarsi e porgere gli ultimi saluti, volle dedicare nuovamente la sua attenzione sui fiori che abbellivano con modestia la tomba: sistemandosi un lunga ciocca dietro l’orecchio, controllò delicatamente che i gigli fossero sani e che i boccioli non ancora dischiusi non fossero stati beccati dai uccelli. Nel constatare con più sicurezza che  quei tesori erano pressoché intatti, scostò la mano dai petali, quando, d’uno tratto, scorse qualcosa che la stupì.

“Uh? Che cos’è?”

Con un sopraciglio alzato e la curiosità solleticata, allargò di pochissimo i fiori per cogliere al meglio quella stranezza che se ne stava nascosta fra i gambi d’essi. Era balzata subito all’occhio per l’essere di un colore completamente diverso dai gigli: un rosso acceso, facilmente distinguibile in mezzo al bianco. Quand’ebbe scostato anche l’ultima foglia, Sayuri scoprì che la stranezza che faceva capolino fra i suoi gigli non era altresì che….

“Un fiore di ibisco? Come ci è arrivato?” si domandò.

Sayuri non seppe contenere il proprio stupore: la piantina che vedeva, con solo un fiore a presso, cresceva prevalentemente in zone tropicali e quindi, era piuttosto difficile che se ne trovassero dei esemplari da quelle parti, se si considerava poi il fatto che la fascia calda si trovava più a sud rispetto a dove stava ora. Eppure questo era cresciuto proprio lì, in mezzo ai suoi gigli e con un secondo bocciolo prossimo all’apertura: i petali del fiore già aperto erano sottili e svolazzanti, di un rosso molto forte, con il gambo e le radici  resistenti. Non ce ne erano altri nei paraggi e la ragazza non seppe proprio spiegarsi come fosse stato possibile che un fiore del genere fosse cresciuto proprio lì. Pensò a un seme trasportato dal vento ma stranamente, non si sentì sicura della propria teoria.

Fece inoltrare la mano nel fogliame, cercando di sfiorare il fiore senza maligne intenzioni, ignara di una misteriosa figura venutasi a creare alle sue spalle. Presa da quella novità non percepì la sua presenza, non la riconobbe ma, anche se fosse riuscita ad avvertirla vicina a lei, non sarebbe stata in grado di darle un nome: apparteneva ad un passato non suo ma che per una ragione chiara sola a quell’entità, avente le fattezze di una splendida donna dai capelli rossicci e col volto pieno di lentiggini, era comparsa proprio lì, con un sorriso a incresparle le labbra. 
Come Sayuri si sentì sfiorare il tatuaggio disegnato dietro la sua spalla, riuscì a captare quella presenza rimasta in silenzio all’istante: quella che le stava delicatamente toccando la pelle era una mano umana, ma non percepì alcuna ostilità e il trovarsi lì, destò non poco stupore in lei. Purtroppo, come si girò per vedere chi fosse, fu investita da una folata d’aria  calda e profumata che le scompigliò i capelli, costringendola così a ripararsi gli occhi con le braccia.

" Grazie….."

Oltre al calore naturale, quel venticello rapido si portò dietro una manciata di petali bianchi e rossi; questi volarono via immediatamente, lontano, verso una nuova isola, accompagnati da quella voce mai udita prima. Quel sussurro gentile e appena udibile, che era sopraggiunto alle orecchie di Sayuri, non fu un’illusione o uno scherzo ordito dalla sua mente: in quel ringraziamento semplice aveva espresso una sincerità priva di macchie, ma lasciante un vuoto enigmatico nell’anima della principessa dei gigli. Quella voce le era nuova e probabilmente non avrebbe mai scoperto chi ne fosse la proprietaria, così come non sarebbe mai riuscita a spiegarsi perché quel vento così piacevole profumasse di fiori. In quel frangente, mentre si allontanava dalla tomba del nonno, Bianco Giglio ebbe l’impressione che il tepore percepito, possedesse qualcosa di tremendamente familiare, una vaga somiglianza suscitante il lei emozioni rasserenanti.

E considerando il fatto che tali emozioni emergevano solo in particolari occasioni, Sayuri non seppe darsi spiegazione per quell’avvenimento.




Aveva abbandonato la radura senza riuscire a darsi risposta, percorrendo i suoi stessi passi e senza che il paesino destasse in lei interesse. Era immersa nei suoi pensieri troppo a fondo per soffermarsi su altro ma, anche se la sua mente fosse stata sgombra da dubbi e pensieri,  ogni cosa al di fuori del minuscolo rifugio da lei tanto amato, non sarebbe stato capace di suscitare proprio nulla. Di ragioni ve ne erano, poche ma plausibili e poiché rifletterci sarebbe stata una perdita di tempo, Sayuri preferì focalizzare la propria concentrazione sul viaggio del ritorno.Con la visita al nonno, il suo cuore aveva trovato sollievo e il senso di completezza per ogni parola espressa davanti alla lapide si era fatto sentire subito, tanto da conferirle la forza che aveva chiesto al parente. Ogni centimetro di lei scalpitava come fosse un puledro appena nato e tanta era quell’apprezzata energia, che sorrise teneramente, pronta a tornare alla Moby Dick.
Incamminatasi lungo la bassa costa rocciosa, solitaria e con una vegetazione mediamente fitta, Sayuri stette per arrivare al punto dov’era approdata, quand’ecco, che a sorprenderla ulteriormente, fu la presenza di una persona a lei molto ben nota, che conosceva ma che non si aspettava di vedere lì.

“Ace..?”

Dischiudendo la bocca per pronunciare il suo nome, sbattè le palpebre un paio di volte nel mentre il comandante della seconda flotta di Barbabianca, seduto beatamente sul suo fidato Striker, alzava con l’indice il prezioso cappello arancione per guardarla con il suo immancabile sorriso sghembo.

“Ace, che cosa ci fai qua?” riuscì lei a domandargli, compiendo un paio di passi in avanti.
“Sono venuto a prenderti, che domande” le rispose compiendo un piccolo balzo dal suo veicolo nautico alla terra ferma.
“Oh, ma non ce n’era bisogno che ti scomodassi” gli disse “Potevo tranquillamente tornare per conto mio, come ho fatto per l’andata”

Teoricamente, Ace avrebbe dovuto trovarsi con Barbabianca nel nuovo mondo, insieme a tutti i suoi fratelli, non certo lì. Con ciò non voleva certo dire che le dispiacesse, anzi; vedere il moro la faceva sentire bene con sé stessa e il tutto migliorava se poteva osservare anche quel sorriso sbarazzino da piccola peste che metteva molto in evidenza il lato fanciullesco di lui, che ogni tanto soleva far saltare fuori involontariamente.

“Lo so che te la puoi cavare” le disse avvicinandosi quanto bastava perché potesse appoggiare le sue mani sopra le spalle di lei “Ma volevo assicurarmi che andasse tutto bene. Sai che non mi perdonerei se tu stessi male”

La castana sorrise, arrossando le gote.
Conosceva fin troppo bene il significato di quella frase; il sentirla ripetere le ricordava sempre che le premure di Ace nei suoi confronti erano qualcosa a cui non si sarebbe mai abituata. Fu solo per un istante ma il percepire i palmi del ragazzo sulla sua pelle, le riportò alla mente quel vento e la voce udita poco prima di lasciare la tomba del nonno.


E’ identico…

Gli occhi le si riempirono di stupore incantato. Non poteva sbagliarsi ma ugualmente non comprese cosa quel collegamento potesse significare.

“Sayuri, tutto bene?”
“Ah…….” si ridestò in fretta, tornando a sorridere “Si, si, certo. Scusami, mi sono incantata”

Poteva essere veramente una coincidenza? Chissà…..
Per quanto potesse rimuginarci sopra, la sola certezza che riusciva ad estrapolare dal suo pensare, era che quel tepore possedeva un che di materno e protettivo. Decisamente qualcosa capace di addolcire anche la più dura delle corazze emotive.

“Allora, sei pronta?” saltato sul suo Striker, Ace si era sistemato velocemente il cappello, per poi tendere la mano alla sua ragazza “Ci aspetta un bel viaggetto di ritorno”

Con la coda dell’occhio, la castana volse un ultimissimo sguardo a quel posto, ma senza rivolgergli un particolare pensiero: in fondo, escluso il suo personale rifugio, quell’isola non aveva mai assunto un particolare significato e mai ne avrebbe assunto uno.

“Si, sono pronta” mormorò nell’afferrare la mano del ragazzo “Andiamo”

Afferrata saldamente la vita di Ace, il fuoco scaturito dai piedi del ragazzo andò a convogliarsi nel motore, che subito mosse la barca a velocità inaudita. Lasciandosi una scia di onde alle spalle, lo Striker sfrecciò come una piccola saetta rossa verso la Reverse Mountain, quasi intenzionato ad attraversarla in un sol colpo, ma deciso in tutto e per tutto ad arrivare al nuovo mondo: li attendevano tante persone, tanti avversari e il resto della loro vita da percorrere insieme, chiara o buia che fosse.

Non era che il preludio quello: la meta era ancora molto lontana dall’essere raggiunta, così come lo erano le ambizioni e i sogni che li accompagnavano quasi fossero dei angeli custodi. C’era ancora tanto da fare, tanto da vedere e ognuno di loro avrebbe fatto l’impossibile per non perdersi nulla di quanto sarebbe capitato fra le loro mani. Nessuno di loro avrebbe rinunciato a vivere o a essere libero come i gabbiani che volavano alti nel cielo e di qualunque entità fossero stati gli ostacoli che si sarebbero venuti a creare, loro li avrebbero distrutti senza alcuna esitazione.

Andiamo avanti. Tutti insieme.

 
 





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Vorrei ringraziare tutti voi per aver letto, seguito e apprezzato la mia storia, nonostante ci siano ancora qua e là alcuni errori ortografici “^^.
E’ la prima volta che scrivo così tanto e non pensavo che così tante persone avrebbero seguito la mia storia, il che mi fa sentire molto onorata, visto che di storie con Ace, ultimamente, ce ne sono molte. E’ stato un lavoro lunghissimo e devo molto anche ad alcune lettrici che mi hanno sostenuto e che hanno preso in simpatia il mio Oc, Sayuri.

Ringrazio in particolare:
Yuki689, per avermi spronato a postare la mia fict (grazie amora, ti stritolerei di abbracci!!!!). Già che ci sono, metto con te Beatrix, ciao cara!!!!

MBCharcoal, alias la cara Marta-chan, amica su DA, dove siamo solite perderci in chiacchierate su spoiler e idee pazzerelle per le nostre storie. Sei sempre la più grande di tutte, lunga vita a KHO e a Golden Ed! Grazie anche per i tuoi disegni!!

Tre88, la prima a leggere e a recensire i miei capitoli. Grazie mille cara!!

Giulio91: il primo ragazzo che ha letto la mia fict. Grazie, sei stato gentilissimo a seguirmi!

Chibi-Hunter, altra socia su DA i cui lavori sono stupendi e molto apprezzati. Grazie gioia!

Valy-chan: lo so, lei non segue per motivi personali ma il fatto che apprezzi il mio personaggi e che ogni tanto riusciamo a scambiarci qualche bella battutina sulle nostre coppiette ( la BellexSanji è la coppia più romantica ed esilarante mai creata nel mondo di One piece).

TopazSunset: la tua storia mi ha sempre incantata e mi onora sapere che avresti voluto inserire anche Sayuri, ma pazienza, non si è potuto fare. Grazie tesoro!!

Maya90: so che ci sei tesoro, non ti ho ancora dato per dispersa! Un mega abbraccio dalla sottoscritta!

Ovviamente poi ci sono Angela90, happylight, Niki 96, Sachi Mitsuki, Gaara the Best e molti altri ancora.
A tutti quanti, dico grazie di cuore!

 Il prossimo mercoledì posterò un extra che ho appositamente preparato per tutti voi, mi auguro che sarete tutti li per leggerlo!

  
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