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Autore: Eredel    04/05/2011    4 recensioni
Vi siete mai chiesti cosa sia successo alle Gocce Astrali? Dove siano finite, con quale aspetto, se si incontreranno ancora? Perché l'Oracolo ha fatto loro quei "segni" sulla spalla sinistra? E cosa dovranno fare, quando quel segno si sarà illuminato?
Questa fanfic vuole essere una tra le tante possibili risposte.
E' tempo che le Gocce Astrali scrivano la loro storia e vivano finalmente la loro vita!
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, The Oracle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Talia aprì gli occhi. Si chiese se la voce del sogno avesse parlato di nuovo e se la cosa l’avesse svegliata, dato che nel sogno sembrava che si fosse appena addormentata…
…Sogno. Già, che sogno stava facendo?
Sbatté più volte le palpebre, infastidita. Che importanza aveva, bastava tornare a dormire! Si girò nel letto, tirandosi le coperte fino al mento, e il suo mugolio di piacere fu soffocato solo dal suo sbadiglio. La stanza era ancora buia, ed era silenziosa. Aggrottò la fronte. Se c’era silenzio, perché lei sentiva rumore?
Con un sobbalzo si riscosse dagli incoerenti pensieri mattutini e si ricordò di aver puntato la radio sveglia. Altro che voce del sogno! Chissà per quanto aveva parlato il presentatore radio, prima che lei se ne accorgesse! Gettò da un lato le lenzuola e saltò giù dal letto per trovare i vestiti. A tentoni, nel buio, afferrò il paio di jeans e la maglietta che aveva lasciato (vedi: gettato) la sera prima sulla poltroncina mezza rotta della sua stanza. Beh, in teoria la camera non era solo sua, si ricordò mentre urtava con forza un paio di anfibi. A quel rumore qualcuno bofonchiò dall’altro letto.
-Svegliati, Ione!- sussurrò disperata.
La figura nel groviglio di lenzuola grugnì di nuovo, stavolta per comporre un suono più o meno articolato che avrebbe voluto dire: -Che ore sono?-
-È lunedì!- rispose perentoria Talia, come se l’altra le avesse chiesto non l’ora ma il giorno. In effetti, per quanto riguardava loro due, "lunedì" voleva dire "alzarsi un’ora prima rispetto alle altre ragazze dell’orfanotrofio per arrivare in classe a un orario decente."
La regola l’avevano stabilita solo per il lunedì. Perché quell’anno a scuola il lunedì mattina iniziava con la professoressa Leench, e sia Talia che Ione sapevano che da loro non avrebbe tollerato ritardi.
Quella è già tanto che tollera che respiriamo! Ma perché ce l’ha tanto con noi?!
Comunque la risposta di Talia parve ottenere risultati più della radio sveglia: dal grumo di coperte uscì un braccio magrolino a stiracchiarsi e affiorarono pian piano ciocche ribelli di capelli rossi.
A proposito di capelli.
-Ti precedo!- avvisò prima di uscire dalla stanza e dirigersi verso il bagno. Quando fu arrivata, poté finalmente accendere la luce.
Beh, i suoi lunghi capelli biondo paglia erano un disastro, davano l’idea di un fienile rivoltato. Con un grosso sospiro, si armò di pettine e pazienza e cominciò a districare i nodi.
Aveva quasi finito la treccia quando comparve Ione sulla porta. Sembrava uno zombie con la testa in fiamme. Peggio del peggio, era ancora in pigiama.
Talia gemette.
-Che ci fai ancora vestita così?!-
Ione mugolò qualcosa che suonava come "doccia". Fu per pura volontà che l’amica non strillò.
-Doccia? Doccia?! Ma non dovevi farla ieri sera dopo di me?!-
Scrollata di spalle da parte della rossa.
Talia si aggrappò con forza a tutte le briciole di autocontrollo che le rimanevano e la spinse nella prima cabina doccia. Poi aprì il rubinetto con una mano mentre con l’altra chiudeva velocemente la porta.
-CHE ACCIDENTI FAI, È, GHIACCIATA!!!-
Sospirò. Perlomeno si era svegliata.

***

L’auto si fermò davanti al cancello della scuola superiore Voltaire. La ragazza seduta sul sedile posteriore schizzò fuori con un’energia invidiabile di primo mattino: non erano neanche le 7.30.
-Sbrigati, sbrigati!- esclamò all’uomo alla guida. Questi scese con più fatica, ma in un attimo fu accanto alla sua protetta. Lei già stava sbirciando all’interno del cortile quadrato: posta al centro faceva la sua bella figura l’imponente statua bianca del pensatore francese, che aveva dato il nome alla scuola. Si riuscivano a vedere il campo da pallavolo e quello di atletica sulla sinistra, mentre molto più a destra, circondati da dei sottili alberelli, c’erano dei posti macchina riservati ai professori. Il vialetto circondava tutto il cortile correndo sotto ai portici; su di esso si affacciavano le classi al piano terra, mentre per accedere ai laboratori di scienze, lingua e informatica, nonché alla biblioteca, al bar e alle altre classi, bisognava salire le scale fino al primo piano.
Ma la ragazza e il suo accompagnatore non si sarebbero fermati che al secondo piano, agli uffici di segreteria. Era lì che accettavano le nuove iscrizioni.
-Andiamo?-
La ragazza annuì decisa.

***

-Non mi piace.-
Il signor Fyfield alzò lo sguardo dal suo giornale.
-Che hai detto, tesoro?-
Sua figlia aveva un’espressione imbronciata e preoccupata allo stesso tempo: si mordeva le labbra carnose coi denti bianchi e le sopracciglia scure erano aggrottate; gli occhi grandi e castani non lo fissavano, ma erano rivolti alla tazza di caffelatte che stringeva tra le mani. Il signor Fyfield si perse un momento a riflettere sulla bellezza del contrasto di quei toni, il bianco della tazza, il colore del caffelatte e della mani di Shara. Con quella bella tinta calda che aveva la sua pelle, si sarebbe potuto dire che Shara fosse nata da quella bevanda dolceamara.
Lei lo riscosse dai suoi pensieri.
-Papà, il tempo! È bruttissimo, il cielo è così nuvoloso!-
Lei lo chiamava "papà", e lui ne era più che felice, anche se non erano veramente padre e figlia. No, era anche evidente a guardarli: il signor Fyfield e sua moglie erano i tipici americani, lui biondo, un po’ stempiato, con gli occhi verde azzurro e un fisico da giocatore di football, lei castana, ancora atletica nonostante i quarant’anni, sorridente e pragmatica. Se una coppia simile avesse potuto avere figli loro, non avrebbero certo avuto i tratti mediorientali di Shara. Lei era stata un piccolo miracolo. Tredici anni prima, Mike Fyfield, come primario dell’unità medica di soccorso dell’esercito americano, si trovava in Iran quando scoppiò uno dei tanti attentati che avevano sconvolto quella zona. Un’intera zona di Theran era stata rasa al suolo. Negozi, case distrutte bruciavano ancora, quando arrivò con la sua squadra. A terra era pieno di cadaveri e feriti, pieni di ustioni terribili. In tutto quel caos, mentre dirigeva le operazioni, determinato a salvare ogni vita in pericolo, sentì piangere un bambino da dentro una casa in fiamme. Non pensò neanche, si gettò a cercarlo mettendo a repentaglio se stesso. Uscì tra le grida di sollievo dei suoi colleghi, tenendo tra le braccia un fagottino. Quella era Shara. Sembrava che non fosse sopravvissuto nessuno dei suoi cari, e nessuno si fece vivo nei giorni seguenti al campo per venirla a prendere. Di fatto, la bambina era già stata adottata dai medici americani, anche se, ufficialmente, aveva acquisito la cittadinanza americana solo un anno dopo: Mike Fyfield e sua moglie Liza, dopo una serie di peripezie burocratiche, ne erano diventati i genitori. Ricevettero la notizia lo stesso giorno in cui Shara era stata salvata, il 1 dicembre. Decisero che da allora avrebbero festeggiato il compleanno di Shara il primo di dicembre.
Da allora non le avevano fatto mancare nulla, era loro figlia e per lei volevano solo felicità. Ora però Shara non era felice, e suo padre aveva un’idea del perché.
-Davvero è solo per il brutto tempo che hai quella faccia?-
Negli occhi della ragazza ci fu un guizzo indispettito.
-Pensavo solo…è un brutto giorno, per cominciare a frequentare una scuola nuova.-
Il signor Fyfield sospirò. Ne avevano già parlato. Prima Shara frequentava una scuola pubblica, pure abbastanza lontana da casa, ma da quell’anno avevano deciso di iscriverla a un liceo privato, più vicino, più sicuro e con ottimi sbocchi per il college. Il vero motivo però era la preoccupazione di Mike e Liza per Shara che, malgrado non lo ammettesse, era stata presa di mira da alcuni bulli razzisti. Non volevano che accadesse di nuovo, quindi, ecco l’iscrizione al liceo Voltaire! Il signor Fyfield pensava che Shara fosse contraria solo perché non le piaceva il fatto che, essendo privato, gli altri studenti sarebbero stati un po’ snob.
Meglio snob che teppisti, rifletté. La sua opinione non sarebbe cambiata e nemmeno la sua decisione.
-Ti piacerà la nuova scuola, Shara. Fidati di me. Ora finisci il tuo caffelatte e andiamo, che siamo già in ritardo.-

***

Ritardo.
Quella parola riecheggiava nelle orecchie di Naide con lo stesso ritmo del ticchettio delle lancette dell’orologio. E, come non faceva caso a quelle, Naide aveva imparato a ignorare anche quella vocina fastidiosa. Aveva imparato a ignorare molte cose. Gli sguardi che le lanciavano gli altri, per esempio. L’invidia, il desiderio, la sorpresa, la gelosia che avvertiva non le facevano più ne caldo né freddo. Anche il rimprovero negli occhi del custode che le apriva il cancello la lasciò indifferente. Scivolò nel cortile della scuola a passi tranquilli e con la stessa calma si diresse verso l’aula di Storia. Dal cielo cominciarono a cadere delle goccioline rade e sottili, ma lei non ci fece caso, anche perché stava camminando sotto il portico. Una volta arrivata, aprì la porta senza bussare e rispose all’espressione attonita della professoressa Bloomfield con una voce neutra e distaccata.
-Scusi il ritardo, professoressa. Mi sono svegliata tardi.-
Senza aspettare una replica, andò a sedersi a uno dei banchi in prima fila (gli unici, come ogni inizio anno, a rimanere vuoti).
-Persino il primo giorno di scuola, signorina Millet? Da domani ricordi alla sua sveglia che non siamo più in vacanza!-
-Senz’altro.-
Naide avvertì quasi un brivido. Sapeva che nessuno aveva davvero ascoltato la battuta stentata della professoressa. Sapeva cosa pensavano di lei. I sussurri che udì, o che pensò di udire, alle sue spalle le diedero solo la conferma.
-Chi si crede di essere, quella?! Sempre con quella faccia da snob!-
-Si comporta da superiore solo perché suo padre è il proprietario della scuola, e poi è francese!-
E questo che c’entra?
-Crederà di poter comandare tutti a bacchetta, grazie a babbino..-
L’improvviso dolore che sentì al petto le rammentò perché aveva deciso di ignorare tutto quello che veniva detto di lei. Dissimulò il disagio e la sofferenza alla perfezione, ma, dentro, l’amarezza rimase.
Non era stato sempre così. Era felice, prima…ma da due anni andava avanti con questa situazione, sentiva pesantezza nel cuore, d’altronde non aveva nessuno con cui confidarsi. Aveva tanti vestiti e da piccola aveva ricevuto tanti giocattoli, prendeva lezioni di piano e canto, faceva parte della squadra di nuoto sincronizzato della città, era bella e slanciata e tutti l’ammiravano. Ma in realtà sentiva che non aveva niente, perché da due anni sentiva mancare le cose più importanti.
Solo due anni prima aveva scoperto di essere stata adottata, e non lo aveva detto a nessuno, neanche ai suoi genitori adottivi, che glielo tenevano ancora nascosto. Non aveva nessuno con cui confidarsi.
Non aveva amiche.
Bussarono alla porta.

 

 

Spero che i primi due capitoli vi siano piaciuti! Beh il prologo è più o meno la versione introspettiva romanzata dell'episodio nel fumetto...
Ora che ci penso, avrei potuto scegliere tantissime altre destinazioni per le Gocce! Aaah, mi piacerebbe leggere una fanfic dove l'Oracolo non le ha mandate sulla Terra ma su un altro mondo! *^* Per ora le Gocce (ormai chiamiamole Twins XD) che sono nate nella mia mente sono umane, poi magari si vedrà...
Avete indovinato chi è la Goccia di chi?^^
Recensite e fatemi sapere cosa ne pensate voi! Ditemi magari dove le avreste mandate voi! *^* (N.B. La terza Twins che appare, al secondo paragrafo, non dico ancora chi è e da vove viene...eheh arà una sorpresa! Continuate a leggermi! >.< Arigatou!!!)

  
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