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Autore: Leonhard    06/05/2011    1 recensioni
Alessa Gillespie. La strega. Considerata la figlia del demonio da tutti...da tutti? Un episodio segreto della triste infanzia della bambina sta per sorgere...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alessa Gillespie, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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 10.
 
 
 
E così, eccomi qui. Le gambe mi tremano e bruciano ancora leggermente, ma il pensiero che da domani io e Leon potremo smettere di preoccuparci mi rasserena. La voce della mia purificazione girerà in fretta e, ne sono sicura, poco per volta diventerò anche io una ragazza normale: la mia vita finora diventerà solamente il ricordo di un brutto incubo da cui mi sono, finalmente, svegliata. Ho dato a mia mamma il bigliettino: sarà lei a darlo a Leon. Avrei fatto così comunque: il solo pensiero di essere io a darglielo mi faceva sudare. Nessuno parla, ma è meglio così: non avrei comunque nulla da dire. Non finché sono quello che sono; per il momento, questo limbo di silenzio mi va bene. Guardo fuori dal finestrino e scorgo la vetrina di un negozio di vestiti; ogni tanto fermavo lo sguardo quando passavo con il pullman, ma da domani potrò finalmente prendermi il lusso di entrarci.
 
C’è ancora quella sciarpa che mi piace tanto: era lunga e larga, con maglie lavorate molto bene e variopinta di colori caldi e cangianti. È in vetrina da mesi ormai; ho deciso che domani chiederò alla mamma di comprarmela. Magari inviterò anche Leon, così ci potremo prendere anche una di quelle crepes profumate che vende il bar dall’altra parte della strada. Sono un po’ nervosa, ma anche felice ed euforica. Guardo la mamma e le prendo una mano; questo gesto mi ha sempre rassicurato e spronato ad andare avanti. Funziona anche adesso. Lei mi stringe la mano, ma anziché voltarsi verso di me abbassa lo sguardo.
 
Ci fermiamo davanti ad un grosso edificio. Non sono mai stata da questa parte della città. Scendo dalla macchina e mi guardo intorno; mi sono pettinata con cura e messa il mio miglior vestito. Avevo preso anche il fermacapelli di Leon, ma l’avevo in tasca: era un suo regalo e sentivo di non aver bisogno di indossarlo per sentire il mio amico vicino a me, esattamente come lo sento ogni giorno a scuola.
 
A proposito, sapete che mi hanno rovinato il banco? Leon mi ha detto che adesso la superficie non è più liscia come prima, ma graffiata, ruvida e che se non faccio attenzione, rischio che qualche scheggia mi faccia male. Lui è sempre così: si preoccupa per me. Io gliene sono grata e difficilmente saprò come ringraziarlo. Magari da fidanzati un modo lo troverò. Sento qualcuno che mi sospinge verso la porta d’ingresso e m’impaurisco: uffa, potevano anche lasciar venire Leon!
 
Ma i corridoi degli alberghi sono veramente tutti uguali come quelli di questo qui? Non un quadro, una finestra, un disegno appeso al muro, nulla: solo porte e numeri, porte e numeri, su entrambi i lati. Svoltiamo l’angolo e mi trovo davanti un quadro. Ritrae una donna legata ad un palo ed avvolta dalle fiamme. La sua espressione sconvolta e dolorante è in netto contrasto con quelle felici ed esultanti degli altri soggetti, che la guardano con le braccia alzate o congiunte in preghiera. Quella tela mi inquieta; mi volto verso mia madre in tempo per vedere la zia fermarla con una mano.
 
“Rimani qui, cara” dice, con la sua voce melliflua. “Combattiamo il peccato, non il peccatore”. Dentro di me si scatena il panico: sarò sola, senza mia madre e senza Leon. Mentre mi spingono dentro a forza, la chiamo, cerco di non mettere la mia paura nella voce, ma mi sa che non ho fatto un buon lavoro. L’ultima cosa che vedo è mia madre che mi guarda con occhi sconvolti, mentre arretra lentamente. Sta dicendo qualcosa, ma non capisco cosa.
 
Subito dopo, il buio.
 
 
 
Dahlia prese la macchina e cominciò a guidare come una pazza. Non riusciva a pensare lucidamente: lei, come una povera idiota, aveva ceduto a sua sorella. Alessa era rimasta ammaliata da lei e si era lasciata convincere a purificarsi. Alla vista del quadro aveva capito che il processo di purificazione non le avrebbe fatto vivere una vita normale e che avrebbe lasciato un segno.
 
Un segno? No…l’avrebbe uccisa.
 
Quando tornò padrona di sé stessa, inchiodò. La macchina slittò sull’asfalto con uno stridore di gomme e lei, guardandosi attorno, scoprì di aver guidato fino a Brahams e di essere davanti alla stazione di polizia. Scese e si fiondò dentro. Un poliziotto la accolse allo sportello.
 
“Buonasera” salutò, con voce professionale. “Mi dica”.
 
“Aiuto!” esclamò lei. “La mia bambina…mia sorella…Silent Hill, laggiù!”.
 
“Si calmi signora” rispose lui. Si calmi: una parola! In quel momento, per lei era impossibile calmarsi.
 
“Presto! Mia figlia…la uccideranno…Silent Hill! A Silent Hill!” continuò lei. L’agente prese il telefono e girò la rondella tre volte.
 
“C’è qui una donna credo in stato confusionale” disse. “Credo che stia parlando a proposito di un omicidio: continua a ripetere di sua figlia e di Silent Hill…”. s’interruppe. Stette per qualche secondo in ascolto, poi annuì.
 
“Agli ordini, prendo con me quattro agenti a corro” disse. Riattaccò e prese frettolosamente il cappello. “Ragazzi, con me; credo che a Silent Hill ci sia ancora qualcuno rimasto al tempo della  caccia alle streghe. Lei venga con noi e ci faccia strada”.
 
 
 
Alessa non riusciva più a pensare: tutto ciò che era in grado di fare, ormai, si limitava ad urlare ed a tossire. Teneva gli occhi chiusi, ma poteva chiaramente vedere cosa stava succedendo. Sentiva delle voci attorno a lei, ma non riusciva a capirne il significato. Era così che purificavano la gente? Più che purificata, lei si sentiva arsa, per quel poco che ormai poteva sentire che non fosso dolore. Il suo corpo stava ardendo e non riusciva più a muovere nulla. Le sue stesse urla si stavano arrochendo sempre di più finché non riuscì più a riconoscere la sua voce. Con immensa fatica, desiderò di morire. Proprio in quel momento, sentì un secco rumore metallico. Le budella le si mossero, segno che si stava muovendo. Poi un altro colpo, molto più rimbombante, come se avesse picchiato una campana piena d’acqua. In mezzo ad urla sbigottite e terrificate, Alessa non sentì più nulla.
 
 
 
Il suono lontano e ovattato della voce della madre la riportò alla realtà e la prima cosa che sentì fu dolore. Un immenso ed insopportabile bruciore proveniente da ogni singola cellula del suo corpo. Tentò di urlare, ma scoprì di essere a malapena in grado di muovere la bocca. In quanto alla voce, proprio non riusciva a farla uscire. Aprì lievemente gli occhi: per qualche strano motivo, ci vedeva ancora: la stanza era ridotta ad un catapecchia nera e fuligginosa. La madre era in ginocchio, sorretta da un agente, che urlava e piangeva, mentre un altro uomo si avvicinò a lei, con il terrore dipinto in volto. Sfiorò il metallo rovente contro ciò che restava del polso di Alessa e ritirò immediatamente la mano, con un esclamazione di dolore. Le lanciò un’altra fugace occhiata e, con un ringhio, armeggiò nuovamente con quel ferro, liberandola. Ebbe il tempo di strappare una tenda che Alessa si sbilanciò e cadde in avanti. La accolsero le braccia forti dell’agente; la strinse delicatamente a sé e la allontanò da quel ferro. Contro la sua spalla, Alessa sentiva una sorda paura. Paura e dolore. Tutto ciò che seppe fare fu stringere più forte che poteva la spalla dell’agente. Ciò che l’uomo sentì fu soltanto una lieve pressione sulla spalla, mentre si chiedeva, con le lacrime agli occhi e lanciando occhiate orripilante alla piccola carbonizzata, come si poteva anche solo pensare di fare una cosa del genere ad un essere umano.
 
Per di più ad una bambina di soli nove anni.
 
 
IL DADO E’ TRATTO.
QUELLO CHE SI DOMANDA GUCCI E’ LA STESSA COSA CHE PENSO ANCHE IO QUANDO SENTO DI GENTE COME STUPRATORI E PEDOFILI. BISOGNA ESSERE PROPRIO DELLE BESTIE PER FARE UNA COSA DEL GENERE: VOGLIO DIRE, IO NON RIUSCIREI NEANCHE A PENSARE UNA COSA COSI’.
AD OGNI MODO, LEGGENDO QUESTO CAPITOLO AVRETE CAPITO CHE ORMAI SIAMO AGLI SGOCCIOLI. CI LEGGIAMO PRESTO AL PROSSIMO ED ULTIMO CAPITOLO.
CIAO A TUTTI E SCUSATE ANCORA PER IL RITARDO.
   
 
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