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Autore: Selene Black    06/05/2011    1 recensioni
Ginevra, una ragazza italiana, nei dintorni di Londra. Uno scontro particolare, reale, che cambia lentamente la sua vita.
"- Ah … - diede un ultima controllata in giro e, soddisfatta, ebbe finalmente il coraggio di guardarlo negli occhi. –vuoi qualcosa? Un tè?-
- Veramente preferirei un caffè – stava osservando quel trilocale con aria interessata e si accorse solo dopo un po’ che lei lo stava fissando in cagnesco, come dire: se sei venuto per essere servito, fai prima a portare il tuo bel culo reale fuori di qui.
"Ma sono davvero un idiota allora" Diventò ancora più rosso del solito quando disse: -Scusa, cioè.. quello che vuoi, non volevo…ehm… un bicchiere d’acqua va benissimo.- “Com’è che riesce sempre a sconvolgere i miei piani?”." (Tratto dal capitolo 5)
[Harry del Galles + nuovo personaggio]
Genere: Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bip. Bip. Bip. Bip. Bip.
“Ospedale”, pensò. Si era svegliata da poco, con un gran mal di testa, ma non aveva ancora aperto gli occhi. Si sentiva strana, come se il suo corpo non le appartenesse, e per qualche strano motivo aveva preferito aspettare e cercare di capire dove si trovava solamente ascoltando. Ed era rimasta così per quei primi dieci minuti, in una specie di dormiveglia, ad ascoltare quello strano “bip”, il proprio respiro e quello regolare di qualcuno, lo stesso qualcuno che ogni tanto muoveva le gambe o giocherellava con qualcosa di metallico, oggetto momentaneamente non identificato dal cervello ancora  scosso di Ginevra. Ogni tanto qualcosa gracchiava, forse un walkie-talkie.
Aprire gli occhi fu quasi traumatico; venne subito costretta a chiuderli. Non era riuscita a distinguere niente, e le era parso che qualunque fosse il luogo in cui si trovava, le fossero puntati addosso enormi fari teatrali che le impedivano di guardare. “Luce”. Appena chiuse le palpebre le apparse uno stralcio di immagine, un'altra luce, meno forte, più concentrata, al cui pensiero era legato un dolore fisico. I ricordi affioravano alla mente.
“Merda, sono stata investita.” La sfiorò anche il pensiero di essere morta, ma poi si diede della stupida da sola, ricordandosi il monotono “bip” di sottofondo che la aveva accompagnata nel risveglio. Socchiuse lentamente le palpebre, pronta ad accogliere la verità. Piano piano i suoi occhi si abituarono, e cominciò a distinguere e a delineare la stanza in cui si trovava. Non era molto grande, e la luce che le era sembrata tanto forte era quella del sole, che entrava da una larga finestra alla sua destra. Davanti a lei c’era una parete, perfettamente imbiancata, a cui era inchiodato un megaschermo piatto. “Si trattano bene per essere un ospedale…”. Cercò di girarsi lentamente, ma tutto ciò che ottenne fu una fitta tremenda al collo, che la costrinse a fermarsi e a guardare a sinistra solamente girando gli occhi. Seduto su una delle poltrone di pelle azzurrina ( “altra cosa strana per un ospedale)  c’era un uomo, che la fissava. Sembrava un personaggio di un film, con quel suo completo nero, e gli occhiali da sole alzati sulla testa. Guardando meglio scorse una pistola argentea tra le sue mani. Era quella che faceva rumore, quella con cui giocherellava. Lo guardò in faccia, preoccupata dall’apparizione dell’arma, ma trovò un viso calmo che le fece un sorriso forzato.
-Buongiorno. - disse, e poi, estraendo una radiolina dalla tasca della giacca e premendone il pulsante, aggiunse: -Si è svegliata-
Se si fosse aspettato che avrebbe ricambiato il saluto si sbagliava di grosso. Di certo quello non era un medico. E un uomo sconosciuto, per di più armato!, in un ospedale, dove lei si era risvegliata dolorante, attaccata a qualche macchinario, dopo essere quasi morta,  non era di certo rassicurante. La guardia la guardò ridacchiando, davanti all’ espressione stralunata e appena offesa della ragazza, stesa sul letto e attaccata alla flebo.
La porta, accanto alle poltronette, si aprì ed  entrò un uomo probabilmente sulla cinquantina, dai capelli brizzolati, e il viso allegro, le guancie rosse e un sorriso cordiale. Aveva una specie di..divisa, bianca con decori rossi sulle spalle. Ebbene era il camice dei medici di quell’ospedale.
-Grazie- disse rivolto alla guardia, senza neanche voltarsi. Poi le si avvicinò –Bene, vedo che si è svegliata- e le controllò i riflessi degli occhi, e monitorò il respiro. Poi, sempre sorridendo disse :
-Dottor Leyton, piacere. Sono il primario dell’ospedale in cui si trova, signorina Milani. Il King Edward VII hospital.- e le porse la mano – riesce a stringerla?-
Ginevra lo guardò ancora confusa, e dopo un attimo di indecisione alzò il braccio dolorante, constatando con sollievo di non essere paralizzata o cose del genere, e strinse debolmente la mano di quel certo Leyton, che stava riuscendo a ispirarle fiducia.
-Bene, benissimo! Allora signorina, come si sente? Provi a muovere le dita dei piedi, per controllare se il sistema nervoso è tutto a posto-. Le mosse.
-Perfetto, e la voce? Non ho ancora sentito la sua voce, non l’avrà mica persa?-
Okay, dal cordiale stava passando al demenziale, quel tipo. Non era mica una bambina di due anni!
-Allora, sente un punto in particolare dove prova più dolore? Su, signorina Milani, parli!- insistette sempre sorridendo, un perfetto sorriso a trentadue denti bianchissimi.
Ginevra deglutì e si schiarì la gola, poi con voce rauca disse: -No, grazie. Sono solo un po’ dolorante…-
-Ma allora sta benissimo! Devo confessarle che pensavamo le sue condizioni fossero molto più gravi, quando è arrivata qui, ma si sta riprendendo benissimo.- “E se benissimo vuol dire sentirsi come appena schiacciata da un asfaltatore..”-Bene, la lascio riposare, la nostra Emmy, la capo infermiera, le spiegherà tutto nei dettagli. Buona serata signorina Milani.- E indietreggiando, uscì dalla porta.
Emmy arrivò, era una donna paffuta, con un abito bluette con le maniche a sbuffo, che avevano tutte le infermiere al King Edward. Le spiegò, con il suo accento del nord, che era stata investita, era caduta ed si era tagliata alla testa, sotto l’attaccatura dei capelli. Si toccò dietro la nuca, e trovò una linea di punti. Inoltre aveva riportato un paio di minuscole fratture, per le quali non c’era stato il bisogno di alcun intervento, e aveva un paio di costole incrinate, ma niente di cui preoccuparsi, disse Emmy. “Niente di cui preoccuparsi? Sto cadendo a pezzi!”
Ma la cosa che li aveva preoccupati di più era la botta che aveva preso cadendo e che l’aveva fatta svenire dal dolore. Aveva dormito per due giorni. Dopo una serie di termini tecnici le chiese gentilmente se aveva bisogno di qualcosa, le mostrò come alzare lo schienale del letto, come funzionava la televisione, e il menù per la cena. Avevano un menù, per la cena. Emmy rise quando Ginevra sgranò gli occhi a sentirselo dire. La guardia era sempre seduta sulla poltrona, sembrava psrte dell’arredamento. Mentre sistemava alcune cose, e le mostrava le vestaglie che si era fatta consegnare, entrarono altre due infermiere, sempre in bluette,  la staccarono dal macchinario che segnalava il battito del suo cuore e lo portarono fuori. “Caspita, sono al King Edward..” Era l’ospedale, privato, più meraviglioso di Londra, e del circondario.”Mi ha visitato il primario, la capo infermiera sta mettendo a posto le mie cose…”
-Emmy… Chi mi ha investita?-
La donna si girò, quasi imbarazzata e sussurro qualcosa.
-Non capisco..- disse Ginevra. Voleva sapere chi era stato, e cosa era successo di preciso.
In quel momento si sentì un trambusto provenire dal corridoio, qualcuno esclamare frasi come –Lasciatemi passare. Devo entrare, devo vederla!- e infine la porta si spalancò, lasciando entrare l’uomo dalla voce profonda, che aveva sentito la sera dell’incidente.

“Impossibile”. Ginevra non seppe se arrossire, sgranare gli occhi, tentare un inchino dal letto o semplicemente starsene immobile con gli occhi spalancati, pallida e tesissima, come inconsciamente stava facendo.
Davanti a lei aveva appena varcato la soglia, un ragazzo. Alto, i capelli rossi un po’ spettinati, con un paio di jeans e un cardigan blu scuro. Aveva le guance rosse, e gli occhi azzurri sembravano preoccupati. Accorgendosi che lo stavano fissando tutti, si rizzò e si diede una sistemata,mise le mani dietro la schiena.
-Signorina Milani,- disse schiarendo la sua voce profonda, facendo un cenno con la testa –sono dispiaciuto per essermi presentato qui all’improvviso. Le porgo le mie scuse, le prime di una lunga serie.-  E le si avvicinò. L’aveva investita il principe Henry Charles Albert David. Harry del Galles si stava realmente scusando con lei.
 

  
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