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Autore: Selene Black    05/05/2011    4 recensioni
Ginevra, una ragazza italiana, nei dintorni di Londra. Uno scontro particolare, reale, che cambia lentamente la sua vita.
"- Ah … - diede un ultima controllata in giro e, soddisfatta, ebbe finalmente il coraggio di guardarlo negli occhi. –vuoi qualcosa? Un tè?-
- Veramente preferirei un caffè – stava osservando quel trilocale con aria interessata e si accorse solo dopo un po’ che lei lo stava fissando in cagnesco, come dire: se sei venuto per essere servito, fai prima a portare il tuo bel culo reale fuori di qui.
"Ma sono davvero un idiota allora" Diventò ancora più rosso del solito quando disse: -Scusa, cioè.. quello che vuoi, non volevo…ehm… un bicchiere d’acqua va benissimo.- “Com’è che riesce sempre a sconvolgere i miei piani?”." (Tratto dal capitolo 5)
[Harry del Galles + nuovo personaggio]
Genere: Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piove.
 “Che novità..” pensò Ginevra,  guardando fuori dal finestrone che si apriva sul parcheggio della CER, il centro di ricerche per sviluppo delle energie, dove da pochi mesi lavorava. O meglio, si sforzava di apprendere il massimo e mettere a disposizione le sue conoscenze, facendo da spalla ai veri ricercatori. In fondo lei era solo una studentessa straniera, con ottime prestazioni, che si era trasferita a Londra da poco più di sei mesi dopo aver vinto una borsa di studio per i laboratori di Harlow.  E ora guadagnava 850 sterline al mese, tanto quanto bastava per l’affitto dell’appartamento nella periferia del centro (lei amava definirla così) di Londra, e per mantenersi. Magari mettendo da parte qualcosa per, chissà, un viaggio?
Era un giorno d’Aprile, a casa, in Italia, le piante probabilmente stavano dando già sfoggio di sé e dei loro bellissimi fiori, colorati dai vivaci raggi del sole. Invece lì pioveva. Come ben 113 giorni l’anno. Certo, per almeno un centinaio dei restanti però il sole non faceva neanche capolino, restando coperto da ammassi di nuvole grigiastre. Grigie come quasi tutto lì, eccetto le bandiere britanniche che spuntavano dappertutto, e alcuni angoli delle case, alcuni alberi, ricoperti di verde muschio. Ma ormai si era preparata, dopo aver passato le prime settimane a scordarsene e di conseguenza infradiciarsi o farsi scortare all’auto dai “colleghi”, e aveva sempre con sé il suo grande ombrello con una stampa che riproduceva il cielo sereno (un cielo che le mancava così tanto!).
-Io vado Emm, ci vediamo lunedì- salutò il portiere con un gesto della mano, pronta ad affrontare l’acquazzone di turno. Il suo inglese era migliorato moltissimo, ma manteneva sempre un certo tono italiano, che faceva sempre sorridere tutti.
-Buon weekend Ginny- Emmet Jhonson aveva una voce così flebile per essere uno scuro gigante mastodontico di due metri, che le aveva dato un senso di sicurezza appena lo aveva visto, la prima volta che aveva messo piede al CER. Non era proprio una guardia, in realtà era un semplice portiere, che teneva d’occhio gli oggetti dei ricercatori del padiglione in cui lavorava Ginevra. Ma nonostante questo aveva una pistola alla cintola, “per ogni evenienza” diceva lui, strizzandole l’occhio. Effettivamente il centro di Harlow era importante, altrettanto segreto, tanto che neanche lei conosceva tutti i padiglioni e quello che ci si facesse. E le ricerche che vi si compivano erano altrettanto rilevanti e misteriose, c’era addirittura un padiglione dove si trattavano  quelle che riguardavano il nucleare. Negli ultimi giorni poi era tutto sotto sopra e confuso, erano tutti un po’ agitati perché delle lussuose macchine nere dai finestrini oscurati continuavano a fare avanti e indietro da un padiglione un po’ distante dagli altri, dalla parte opposta del parcheggio dove si trovava in quel momento Ginevra. Giravano voci diverse tra gli scienziati: privati che vogliono comprare la società, i servizi segreti, il capo del governo, addirittura la regina. “E gli inglesi, per far scomodare la loro amata regina …” pensava Ginevra … Nutriva una forte curiosità per il legame che c’era tra il popolo britannico e la Regina Elizabeth. Inizialmente quando si era trasferita in Inghilterra, non capiva quel sentimento patriottico, in quanto lei non era mai stata molto legata al proprio paese, e poi insomma, avevano la camera dei lord e quella dei common, la famiglia reale le sembrava solo una specie di figura di sfondo. Ma ora era attratta, e cercava di capire quel legame. Gli inglesi seguivano la famiglia reale, i giornali erano un gossip unico, e gioivano quando qualcosa andava bene, per esempio si ricordava di quando il principe, nipote della regina, quello più grande, si era fidanzato con la sua storica ragazza. Quasi tutti erano felici dell’unione del principe William e di Kate, a parte alcuni, forse gelosi, forse invidiosi, forse solo per avere un parere diverso da quello degli altri. E lei ancora non comprendeva, non gioiva, non riteneva i reali parte della sua vita. Non ne capiva un bel niente, ma le sarebbe piaciuto farlo. Ma considerava quelle persone talmente distanti dal suo mondo che non la riteneva una priorità, e restava nella sua beata ignoranza.
Le porte scorrevoli si aprirono, e lei uscì avviandosi verso la sua macchina, tentando d aprire l’ombrello. Inutilmente. “Eddai, apriti! C’è tanta acqua da affogare!”. Era ormai sera, c’era poca luce e la pioggia era fittissima, lasciando a malapena vedere la prima fila di auto davanti a lei. Nelle orecchie aveva solo il rumore assordante delle gocce che si schiantavano al suolo, lo scroscio fortissimo. Si fermò in mezzo alla strada, strattonando l’ombrello, con i capelli e il cappotto ormai bagnati e gocciolanti. -APRITI!-
Poi una luce sul lato la illuminò, e si voltò verso la sua fonte, e dopo essere stata abbagliata per una frazione di secondo dalla luce improvvisa, capì che erano due fari di un auto che aveva appena svoltato l’angolo ad alta velocità, e che ora inchiodava sull’asfalto bagnato, stridendo. Non le fu lasciato il tempo per altri ragionamenti.
Sentì l’urto fortissimo, vide la terra avvicinarsi e di nuovo una botta contro l’asfalto del parcheggio, del sangue le annebbiò un poco la vista. Poi rumore di portiere, qualche frase urlata da uomini in nero, lo scorrere delle porte, Emmet che urlava a sua volta spaventato, e un uomo. Capelli rossi. Mani forti sotto le sue braccia. Dolore. Muoio.  Un “Chiamate un’ ambulanza presto!”, una voce profonda, che sfumava lentamente. L’ultima. Poi il nulla la inghiottì.

  
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