Judit
aveva bisogno del suo sapore
Aveva bisogno di
vederla, di vedersi specchiata in lei.
Aveva bisogno di
sentire il suo sapore, crudo
tra l’odore
dell’abbronzatura e le ciocche di capelli scoloriti al sole.
Sentiva una
spinta
viscerale che le faceva lasciare che il tempo passasse per godere
ancora un po’
di quelle vecchie fotografie ingiallite che stagionavano nella sua
soffitta.
Ogni tanto
riesumava
vecchie cicatrici, sperando che le ferite si riaprissero stavolta senza
lasciar
segni, bianchi sulla pelle scura d’estate.
I capelli rossi
ondeggiavano al vento salmastro, la polvere luccicava nelle scie di
luce che il
sole portava con sé mentre cadeva nell’acqua scura.
Oh no, non
avrebbe
pianto. Judit era forte. Lo era sempre stata.
Sebbene il
baratro
fosse vicino, ce la stava mettendo tutta per arpionarsi a quelle poche
pietre
che sporgevano, graffianti, taglienti.
Così
come sporgeva il
ricordo delle sue labbra impregnate di acqua di mare, screpolate,
ruvide nel
vento gelido della sera.
Delicatamente si
passò
un polpastrello sulle proprie, sperando di catturare
quell’ultimo bacio, ultima
promessa sussurrata alla notte stellata.
Toccò solo uno spirito di bacio.
E mentre la
notte
scendeva sulla cittadina ed il faro illuminava brandelli
d’acqua scura, Judit
si alzò dal muricciolo ed iniziò a camminare
verso il suo destino.
Fanculo
Bill. Fanculo Sara.
Fanculo se stessa, che
non era stata capace di sentire prima il
profumo del mare.