La Promessa
1966
I Black
avevano sempre
trascorso il Natale a Grimmauld Place. Zia Walburga si prendeva un
grande
affanno, ogni anno: nessuno più di lei sapeva quanto fosse difficile
starsene
seduta in poltrona e gridare contro gli elfi domestici di metter su le
decorazioni, preparare il ricco pranzo di Natale e far sì che ogni
angolo della
casa fosse splendente. L’argenteria, in particolare, doveva essere
lucente,
tanto da abbagliare chiunque tentasse di specchiarvicisi dentro.
Grimmauld
Place era splendida,
ma nel periodo natalizio diveniva regale. Bellatrix amava quel posto,
forse
ancor più del loro maniero. Adorava la sala dell’arazzo, dove sarebbe
volentieri rimasta ore ed ore a riflettere sui suoi antenati, su quanta
gente
nobile l’avesse preceduta, e su quanto fosse fortunata ad essere nata
in una
famiglia così distinta.
Voleva
bene a zia
Walburga, nonostante fosse una donna fredda e anaffettiva; le voleva
bene
perché rappresentava ancor più di sua madre quella purezza del sangue
di cui
tanto si parlava nei pranzi di famiglia; aveva una classe che la
distingueva
dalle persone che le stavano attorno.
Nonostante
tutto ciò,
Bellatrix odiava passare il Natale a Grimmauld Place. Era diverso da
tutti gli
altri pranzi e le altre cene; l’attenzione si spostava sui bambini. Lei
non
voleva che si parlasse di lei, soprattutto quando Narcissa, due anni
più
piccola di lei, veniva messa su un piedistallo ed usata come metro di
paragone.
“Bella,
dovresti
comportarti come Narcissa.”
“Bella, perché non raccogli i capelli come Narcissa?”
“Bella, sai che Narcissa è la più brava del suo anno in
Trasfigurazione?”
Bellatrix
aveva quindici
anni, ma sapeva già che nel suo futuro non c’erano vestitini in tulle e
matrimoni combinati. Non l’avrebbe permesso, in quanto non era ciò che
sentiva
nel suo cuore. Aveva un presentimento, un presagio che si allontanava
molto dal
sogno di seta e pizzo che i suoi genitori avevano da anni in serbo per
lei.
Anche
ora, mentre se ne
stava solitaria nella soffitta di Grimmauld Place, lasciava che la sua
mente
vagasse, e sognava di avventure impossibili ed improbabili. Avventure
che
l’avrebbero portata un giorno ad essere la guerriera più forte,
invincibile,
avventure in cui il mondo temeva la sua bacchetta e quello che essa era
capace
di fare.
Ma una
ragazza non
avrebbe mai potuto diventare una guerriera. Per una donna il duello non
era
lecito, non era appropriato.
La porta
cigolò,
distraendo Bellatrix dalle sue fantasie. Si alzò di scatto e puntò la
bacchetta, per poi abbassarla non appena ebbe visto chi c’era sulla
soglia.
“Possiamo
entrare?”
chiese Andromeda.
Bellatrix
abbassò lo
sguardo sul piccolo attaccato alla gonna di Andromeda: uno sgambettante
Sirius
la guardava con occhi spalancati, come se la venerasse.
“Anche il
piccolo
mostro?” Bellatrix chiese, riferendosi a Sirius.
“Ehi!” il
bambino esclamò
in protesta.
“Scherzavo,
dai,”
continuò Bellatrix, tornando a sedersi su un baule in legno. “Però
chiudete la
porta. Narcissa non la sopporto. Se salisse anche lei sarebbe la fine.”
Sirius
corse nella
stanza, lasciando Andromeda indietro. Cercò di arrampicarsi sul baule
al fianco
di Bellatrix, ma era troppo alto per lui. Bellatrix alzò gli occhi al
cielo e,
non appena sembrò che il bambino ce l’avesse fatta, con una spintarella
lo fece
tornare a terra. Sirius, imbronciato, prese la rincorsa e riuscì a
saltar su,
senza che Bellatrix potesse fare niente.
“Sei
davvero un piccolo
mostro,” disse guardando il cugino. “Andy, è vero che è un piccolo
mostro?”
“Assolutamente
sì,”
convenne Andromeda, dandogli uno schiaffetto sulla nuca. “Un piccolo
mostro
arrogante.”
Sirius
sorrise
soddisfatto dell’attenzione delle cugine più grandi. “Ma sono il vostro
cugino
preferito.”
“Oh, non
saprei,”
Bellatrix disse, seria. “Regulus ha più potenziale.”
La
menzione del fratello
più piccolo irritò Sirius, che a fatica si mise in piedi sul baule,
afferrando
Bellatrix per i capelli. “Non è vero!” Bellatrix cercò di scrollarselo
di
dosso, ma senza successo; Andromeda intervenne e, ridendo, cerco di
districare
le mani del piccolo dai capelli ricci di Bellatrix.
“Lasciami!”
Bellatrix
strillò.
Andromeda
riuscì a
staccare Sirius dalla sorella, tenendolo in braccio mentre scalciava
per
liberarsi. Persero l’equilibrio, e caddero all’indietro. Nella caduta,
Andromeda cercò di aggrapparsi alla scrivania in noce, che però non
l’aiutò per
nulla. L’unica cosa che Andromeda riuscì a fare fu rovesciare una
boccetta di
nero di seppia antico, che suo zio usava per le pozioni.
Colpirono
il pavimento
con un tonfo, mentre l’inchiostro colava dalla scrivania, allargandosi
in una
pozza ai piedi di Bellatrix, la quale seguiva l’allargarsi della
macchia.
“Oh,
maledizione,”
mormorò, sbarrando gli occhi.
“Cosa?”
chiese Andromeda,
rialzandosi.
“Il
mantello di zia
Walburga!” esclamò Bellatrix, saltando giù. Camminando in punta di
piedi
raggiunse il manichino in ferro, sul quale era poggiato un antichissimo
mantello con le cuciture in oro. L’inchiostro era arrivato al
manichino, macchiando
l’orlo del mantello. “È un disastro!”
“Sicuramente
mamma
riuscirà a risolverlo,” provò Andromeda. “Ha lavato via macchie
peggiori.”
“Ma sei
stupida? Il nero
di seppia usato per le pozioni è permanente! Non l’hai sentito
Lumacorno?”
Bellatrix era nel panico. “Sirius, tua madre usa ancora questo
mantello?”
chiese, afferrando il bambino per il braccio e trascinandolo vicino al
manichino.
“Mamma
dice che quel
mantello era della nonna.”
Un
lamento scappò dalle
labbra di Bellatrix. “Andy, non dobbiamo dirlo a nessuno. Mi hai
capita?”
Andromeda non rispose, guardandosi i piedi. “ANDY, guardami!”
Andromeda
sollevò lo
sguardo, e sapeva che Bellatrix l’avrebbe avuta vinta: l’aveva sempre
vinta.
“Va bene,” disse.
“Prometti,
Andy,”
continuò Bellatrix. “Prometti che non lo dirai mai! A nessuno! Neanche
tra
cento anni!”
Era in
questo che
Andromeda vedeva la bambina che era in Bellatrix. Lei, che era sempre
la più
grande, nei momenti di panico diventava la più piccola. Non sapeva di
cosa
avesse paura, ma Andromeda annuì. “Prometto.”
1997
Yaxley
aveva rotto
l’Incanto Fidelius. Aveva afferrato la Mezzosangue e, così facendo, era
riuscito a seguirli a Grimmauld Place. Se li era fatti scappare, ma
Grimmauld
Place era finalmente libera.
Bellatrix
aveva convinto
il Signore Oscuro a perlustrare Grimmauld Place, perché lei più di
tutti gli
altri Mangiamorte sarebbe stata in grado di metterla sottosopra. Lei,
più di
chiunque altro, ne conosceva ogni angolo, ogni anfratto segreto.
Mentre
camminava
nell’ingresso, in cui erano stati sollevati gli incantesimi di
protezione,
faceva scivolare la punta della bacchetta sulla parete ruvida, creando
un
effetto sonoro sinistro nel silenzio totale che avvolgeva la casa. I
suoi passi
erano attutiti dal tappeto nero , oramai completamente rovinato.
Alla sua
sinistra una
tenda rossa era avvolta attorno ad un dipinto. Con la mano libera
afferro il
drappo e lo tirò via, rivelando un vecchio dipinto di Walburga Black.
“Ciao
Zia.”
Il
ritratto sorrise,
orgoglioso, gli occhi fissi sull’avambraccio di Bellatrix, come se
avvertisse
il Marchio Nero tatuato sulla pelle bianca.
Quando
Bellatrix giunse
ai piedi delle scale, si fermò ed un ghigno apparve sul suo viso. Salì
molto
lentamente, un gradino alla volta, continuando a tenere la bacchetta
contro il
muro.
Arrivata
sul
pianerottolo, si voltò verso le prime porte, che sapeva esser state un
tempo le
camere da letto dei cugini e degli zii. Piegò la testa di lato, e
continuò a
salire l’ultima rampa di scale. Punto la bacchetta contro la serratura
della
pesante porta in mogano, bisbigliando: “Alohomora.”
Ci fu un clac, e la porta cigolò, aprendosi.
Bellatrix
scivolò nella
stanza, e si guardò intorno, mentre faceva roteare la punta della
bacchetta.
Sembrava un animale predatore pronto a balzare su una gazzella ferita.
I suoi
occhi saettavano da una parte all’altra della stanza, come se cercasse
il
minimo dettaglio fuori posto rispetto a ciò che ricordava.
Ma tutto
era uguale a
come era sempre stato, il che le fece pensare che forse i mocciosi
avevano
avuto il buon gusto di rimanere fuori dai ricordi della famiglia. O
forse
avevano avuto semplicemente paura, perché non sapevano cosa vi fosse
nascosto.
Si fermò,
il ghigno sparì
dal suo volto, rimpiazzato da una smorfia, perché quello che era
nascosto in
quella stanza era pericoloso perfino per una donna senza scrupoli e
coscienza
come Bellatrix Lestrange. In quella stanza vi era ciò che di più
pericoloso
esista al mondo.
Ricordi.
Va tutto bene finchè giochi e corri, ma poi quando
diventi grande e devi scegliere diventa tutto più difficile. Cominci a
chiederti perché.
Bellatrix
camminava fra
quei ricordi, ben attenta a non sfiorarli, a lasciarli al di fuori
della sua
sfera di emozioni; era lì per calpestarli, distruggerli. Perché i
ricordi non
le piacevano. Lei amava il suo presente, un presente in cui era
diventata quello
che aveva sognato da bambina.
Era una
guerriera, ora.
Era temuta, era invincibile come il suo maestro.
Abbassò
lo sguardo e
notò, sul pavimento, una larga porzione di legno più scuro del resto.
Si piegò,
lo analizzò da vicino, chiedendosi cosa potessero aver fatto quei
maledetti
ragazzini; poi capì, quando con la coda dell’occhio notò un luccichio
dorato,
alla sua sinistra.
Era il
vecchio mantello
di zia Walburga. Di nuovo in piedi, si avvicinò al vecchio manichino
impolverato e sollevò l’orlo del mantello, lasciandoselo scivolare fra
le dita,
avvertendo la seta ed il ricamo sotto i polpastrelli. Un’ombra le
attraversò il
viso, e lo lasciò ricadere. Con una mano, spinse il manichino, non con
violenza, ma con disprezzo.
Il
sostegno di ferro
cadde a terra con tutto il mantello, sollevando una nuvola di polvere.
“Prometti, Andy. Prometti che non lo dirai mai! A
nessuno! Neanche tra cento anni!”
“Prometto.”
Bellatrix
non l’aveva mai
detto a nessuno, neanche dopo il tradimento di Andromeda.
2015
“Nonna,
sei sicura di
questa cosa?” chiese Teddy, mentre seguiva la nonna nell’ingresso di
Grimmauld
Place. “Forse è meglio tornare un’altra volta. Forse dobbiamo prima
essere
sicuri che il Ministero dichiari la casa agibile. Forse-”
“Teddy,
non ti
preoccupare,” rispose Andromeda, prendendo il nipote per mano. “In
questa casa
non c’è nulla che possa farmi del male. Non fisicamente.” Fece una
pausa,
guardando la porta della stanza dell’arazzo. “E poi, qualcuno deve pur
svuotare
la soffitta. Questa casa appartiene ad Harry oramai, e non credo
vorrebbe tutta
la roba che sta in soffitta, ora che i bambini sono abbastanza grandi
da
scorrazzare per casa. Non quella che appartiene ai Black, almeno. Devo
liberarmi delle cianfrusaglie, e sono l’unica Black rimasta. Se non lo
faccio io,
chi pensi che lo possa fare?”
“Forse
Narcissa
potrebbe-”
“Narcissa
ha smesso di
preoccuparsi degli affari di famiglia il giorno in cui ha sposato
Lucius
Malfoy. E poi, ha altro a cui pensare, con un marito in prigione e la
confisca
di tutti i suoi beni.”
Andromeda
cominciò a
salire la scale rapidamente, ed il nipote le seguì. “Ma nonna, tu non
hai più
niente a che fare con questa casa. Non sei una Black!”
Andromeda
sorrise, amara,
e non rispose, continuando a salire l’ultima rampa di scale. La porta
della
soffitta era aperta. Entrò e Teddy scosse la testa, seguendola.
La stanza
era buia, con
pochi, solitari raggi di sole che filtravano dalle pesanti tende di
velluto. La
stanza era stata messa a soqquadro anni prima, quando il Ministero
sembrava
convinto che i restanti Mangiamorte a piede libero potessero
nascondersi a
Grimmauld Place, quella che un tempo era stata la roccaforte dei
Purosangue.
“Da dove
pensi di
cominciare?” Teddy chiese, guardandosi intorno. “Questo posto è immerso
nel
caos.”
Non
ricevendo risposta,
il ragazzo si voltò verso la nonna, che era accovacciata per terra. Le
si
avvicinò e guardò oltre la spalla della nonna, cercando di capire cosa
avesse
in mano. Era qualcosa di scuro, con ricami dorati. Teddy notò la
macchia
rappresa sul pavimento. “Nonna, ti prego dimmi che non è sangue quello.”
Andromeda
spostò lo
sguardo sulla macchia e sorrise. “No. È nero di seppia. Lo usava il tuo
prozio -
il padre di Sirius, per le pozioni.” Poi la donna tornò a concentrarsi
sul
tessuto che aveva in grembo, accarezzandolo. “Questo mantello era della
tua
bisnonna. Poi passò nelle mani di mia zia, ma credo che si fosse
dimenticata di
averlo. Non lo usava mai.”
Teddy si
sedette sul
pavimento, affianco alla nonna, e passò una mano sul mantello prezioso.
“Forse
dovresti tenerlo.”
“Questo?”
Andromeda
chiese. “Scherzi? Non ho intenzione di tenere nulla. Non ho bei ricordi
di
questo posto. Non tanti, almeno. E questo, poi, è inutilizzabile.”
“Perché?”
chiese il
ragazzo, incuriosito.
Andromeda
rigirò il
mantello e sollevò l’orlo, mostrandolo al nipote da vicino. “Non si
nota,
perché il mantello è molto scuro e rovinato, ma l’orlo è completamente
rovinato
dal nero di seppia.”
Teddy
rise. “E chi è
stato? Scommetto Sirius, vero?”
Andromeda
rimase in
silenzio per qualche secondo.
“Prometti, Andy. Prometti che non lo dirai mai! A
nessuno! Neanche tra cento anni!”
“Prometto.”
Poi
rispose: “Non
ricordo.”