La Camera dei Segreti
Salazar stava in piedi, pigramente appoggiato al muro esterno della sua
dimora, osservando con attenzione il suo giovane apprendista. La casa, di
mattoni chiari con rifiniture in legno scuro, si trovava sulla cima di una
collina della tranquilla campagna inglese e dominava il villaggio che si
stendeva più in basso, raggiungibile attraverso un polveroso sentiero
ghiaioso.
Alle spalle della casa, un fitto bosco di abeti la cui resina
profumava dolcemente l’aria, turbata da un lieve venticello che scompigliava i
biondi capelli di Samuel. E seguendo i movimenti della chioma del ragazzo,
Salazar si perse nei ricordi, tornando al giorno in cui si erano
incontrati.
Era in cammino alla ricerca di un posto dove stabilire la sua
dimora quando, giunto alle porte di un villaggio, aveva scorto dei ragazzini
cenciosi che giocavano nel fango, sporchi dalla testa ai piedi.
Normalmente
si teneva ben lontano dai babbani, che riteneva una razza inferiore indegna
della sua attenzione ma qualcosa lo spinse, invece, a fermarsi, nonostante la
stanchezza per il lungo cammino, e ad osservare meglio quei ragazzini che
giocavano a rincorrersi schiamazzando allegramente. All’improvviso calò il
silenzio e l’unico rumore nell’aria rimase il ringhio di un cane randagio reso
feroce dalla fame, e ben deciso a mettere fine al lungo digiuno. Tutti i bambini
presero a fuggire terrorizzati, incuranti di chi rimaneva indietro. Tutti,
tranne uno che rimase fermo con lo sguardo fisso in quello dell’animale. Gli
occhi azzurro cielo ardenti di determinazione, i lunghi capelli biondi che
splendevano al sole nonostante lo sporco, una posa che incuteva un certo
rispetto per quel povero bambino cencioso.
Il cane si lanciò ferocemente
contro di lui e quando già aveva spiccato il balzo finale, venne respinto
lontano da una forza invisibile. L’animale si rialzò subito, scosse rapidamente
il muso e poi si lanciò di nuovo all’assalto ma fu respinto come da una sfera
invisibile attorno al ragazzino. Si rimise sulle zampe e cominciò a ringhiare
furiosamente, diviso tra l’incomprensione per ciò che stava accadendo e la fame
lancinante. Una nuova ondata della forza invisibile lo scagliò ancora più
lontano costringendolo alla ritirata.
Salazar era affascinato da ciò che
aveva appena visto: quel ragazzino babbano aveva una precisa percezione dei suoi
poteri ed era in grado di controllarli nonostante non avesse una bacchetta. E
finalmente il mago capì cosa avesse attirato la sua attenzione: la potente aura
magica che quel bambino coperto di stracci emanava. Non aveva neanche riflettuto
prima di parlare, lui che era un tipo molto riflessivo e non si lasciava mai
andare a gesti avventati.
“Come ti chiami?” gli chiese con tono severo
posando i suoi occhi neri in quelli azzurri del bambino che però sostenne lo
sguardo.
“Samuel – rispose con voce chiara – e voi?”
“Io sono Salazar
Serpeverde e vorrei parlare con tuo padre. Guidami da lui.”
Samuel annuì e
gli fece strada verso una casupola diroccata , dove una donna ricoperta di
stracci si occupava di più figli di quanti se ne potesse permettere. Il padre di
Samuel fu ben felice di liberarsi di una bocca da sfamare, peraltro guadagnando
un discreto gruzzolo.
Samuel lo aveva seguito senza fare storie, un breve
saluto alla madre e ai fratelli, un cenno d’assenso al padre e poi si era unito
a lui, nel cammino verso quella che sarebbe diventata la sua nuova casa.
Serpeverde si era occupato della sua istruzione, lo aveva visto crescere e si
era anche affezionato al ragazzo che, nonostante le sue origini babbane, si era
rivelato un mago straordinariamente potente, anzi la sua intelligenza, unita
alla forza d’animo e al coraggio avevano costretto Salazar a rivedere i suoi
pregiudizi sui babbani. Fino a quel momento non era mai riuscito a trovare un
apprendista degno di lui, fino a che non aveva incontrato Samuel, quel ragazzo
dai lunghi capelli biondi e dagli occhi azzurri che non avevano perso la
sincerità e la forza di quel primo incontro. Con il tempo aveva imparato a
leggere e scrivere e si era applicato con costanza, desideroso di imparare
sempre di più dal suo maestro verso cui provava un misto di affetto e
gratitudine e di cui cercava continuamente l’approvazione, proprio come un
figlio avrebbe fatto con suo padre.
E adesso Samuel conversava
tranquillamente con la sua amica Merope, un cobra reale con cui amava
discorrere, dal momento che Salazar gli aveva anche insegnato a parlare
serventese, cosa che gli aveva richiesto non pochi sacrifici, ma il mago era ben
deciso a trasmettergli tutta la sua conoscenza, facendone in un certo senso il
suo erede.
“Samuel, vieni qui.” lo richiamò.
“Ditemi maestro Salazar.” gli
rispose una volta che lo ebbe raggiunto.
Serpeverde rimase un attimo in
silenzio fissando il suo apprendista. In realtà lo aveva chiamato solo per il
piacere di avere la sua attenzione, per averlo vicino, non aveva un motivo
preciso per distoglierlo dalla chiacchierata con la sua amica Merope.
Il
silenzio fu interrotto da un rumore di passi sulla ghiaia e da una voce
profonda.
“Salve, sto cercando Salazar Serpeverde.”
Salazar si girò e vide
un uomo dal fisico possente, sicuramente un mago a giudicare dalla lunga veste
amaranto, così inusuale tra i babbani. Subito la mano scattò alla bacchetta e
poi chiese con aria guardinga: “Chi lo sta cercando?” continuando a studiare lo
sconosciuto.
“Sono Godric Grifondoro – rispose l’uomo avanzando, dal momento
che aveva capito che la sua ricerca era finita – e sto cercando il grande
Salazar Serpeverde” ripeté con una punta di adulazione che sapeva non dispiacere
al mago.
“L’avete trovato – affermò l’altro sicuro, conoscendo di fama il suo
interlocutore – Cosa volete da me?”
“Vorrei parlarvi di un mio progetto,
magari più comodamente che in piedi lungo la strada di casa vostra.
Raggiungetemi questa sera alla locanda del villaggio, potremo parlarrne davanti
ad una buona burrobirra.” dopodiché diede le spalle ai due e riprese il suo
cammino senza dare neanche il tempo di replicare.
“Maestro, chi era
quell’uomo?” chiese Samuel incuriosito, dal momento che le visite erano
decisamente rare dato il carattere scontroso del mago con cui
viveva.
“Nessuno! Torna ai tuoi esercizi” tagliò corto Salazar ben deciso a
passare la serata in casa con il suo apprendista, nonostante la
curiosità.
Era passata da un pezzo l’ora di cena quando Serpeverde si infilò
il pesante mantello di lana nera e si avviò verso la locanda del villaggio
guidato dalla luce della sua bacchetta.
Spinse la porta di legno e dopo una
breve occhiata all’interno del locale individuò quasi subito Grifondoro seduto
ad un tavolo, impegnato a leggere una pergamena. Così si avvicinò a lui e, una
volta raggiuntolo, si schiarì la voce per manifestare la sua presenza.
Grifondoro sollevò lo sguardo e non appena riconobbe l’uomo davanti a sè scattò
in piedi stringendogli calorosamente la mano che, peraltro, non gli era stata
porta.
“Mastro Serpeverde, non speravo più nel vostro arrivo! Ma prego,
sedetevi.” gli disse facendogli cenno di sedersi con lui.
“Posso offrirvi
qualcosa?” chiese poi con un ampio sorriso.
Serpeverde fece un cenno di
diniego con la mano. “Non ho tempo da perdere. Sono qui soltanto per sentire la
proposta che eravate così ansioso di farmi, mastro Grifondoro.” rispose
leggermente spazientito.
“Bene, diretto al punto. Il mio progetto è semplice,
fondare una scuola di magia dove i ragazzi dotati di poteri magici possano
studiare ed essere istruiti.”
“E io cosa c’entro in tutto questo?”
“Sto
cercando i migliori maghi del paese perché possano trasmettere le proprie
conoscenze ai ragazzi, perché siano la loro guida.”
Serpeverde si alzò di
scatto e, mentre già iniziava a muovere i primi passi verso l’uscita del locale,
disse stizzito: “Non mi interessa!”
“Aspettate mastro Serpeverde” lo richiamò
facendolo fermare mentre ancora gli dava le spalle. Lo raggiunse con poche
falcate e gli mise una vecchia pergamena apparentemente bianca tra le
mani.
“Se cambierete idea, questa vi porterà da noi.”
Serpeverde non
rispose, si limitò ad infilare la pergamena in una tasca del mantello e, quindi,
a fare ritorno in tutta fretta a casa sua dove avrebbe potuto passare un po’ di
tempo con Samuel.
Una volta tornato a casa, Serpeverde non accennò mai a
Samuel cosa volesse da lui quel mago, né quella sera, né nei giorni seguenti, ma
il ragazzo, che ormai aveva imparato a conoscerlo, capiva che c’era qualcosa che
lo impensieriva. Il suo maestro era scostante e distratto, ed il suo umore non
era decisamente dei migliori.
Stufo di quella situazione e desideroso di
poter fare qualcosa per l’uomo che si era sempre preso cura di lui, un
pomeriggio Samuel lo raggiunse e fissandolo con i suoi occhi profondi gli disse:
“Maestro Salazar, non so cosa vi preoccupa, ma qualunque cosa sia vorrei che
lasciaste correre quel pensiero. Non permettete a niente di turbarvi. Siete un
uomo dal grande cuore, per me siete stato come un padre. Ci vorrebbero più
persone come voi.”
Salazar fu molto colpito da quelle parole. Oltre
dall’affetto che permeava da ognuna di esse, fu il significato di ciò che Samuel
gli aveva detto a scuoterlo, che c’era bisogno di persone come lui, e il
collegamento con la proposta che Grifondoro gli aveva fatto fu immediato.
“Oh
al diavolo!” disse il mago tra sé mentre ripescava dalla sua scrivania la
pergamena che gli era stata data quella sera alla locanda. La aprì, ma era
bianca proprio come ricordava.
“Dove diavolo sarà quello svitato di
Grifondoro e la sua allegra combriccola?!?” domandò a voce bassa, cercando di
mascherare con finto fastidio l’impazienza per quella nuova
avventura.
Neanche finì di pronunciare quelle parole che sulla pergamena
iniziarono a disegnarsi linee all’inizio astratte ma che, a poco a poco,
tracciarono una mappa dettagliata che dal villaggio dove si trovava conduceva in
un luogo delle campagne inglesi apparentemente disabitato. Il mago scrutò con
attenzione la pergamena, poi la ripiegò e si rivolse al suo apprendista:
“Samuel, prepara i bagagli, partiamo!”
Il ragazzo, felice per il cambiamento
d’umore dell’uomo, che aveva atteso con tanta impazienza, non fece domande, ma
si affrettò ad eseguire l’ordine che gli era stato impartito ed in capo a due
ore, grazie alla magia, tutto era pronto, compresi i loro bauli magicamente
rimpiccioliti e tutto ciò che gli sarebbe servito per il viaggio e per la lunga
permanenza che gli si prospettava davanti.
Il cammino fu lungo ma tutto
sommato piacevole, non incontrarono ostacoli ed il sole li accompagnò per tutto
il tempo, quasi a fare da buon auspicio.
“Maestro Salazar, qual è lo scopo
del nostro viaggio?” gli chiese un giorno Samuel.
“Ricordi l’uomo che tempo
fa si è presentato a casa nostra? – attese un cenno d’assenso dall’altro prima
di continuare – Beh era venuto a chiedere il mio aiuto per fondare una scuola di
magia, dove i ragazzi dotati di poteri magici potessero studiare ed apprendere
tutte le branche del sapere magico. Ed è proprio da lui che ci stiamo recando”
tagliò quindi corto, concentrandosi di nuovo sulla strada che stavano
percorrendo.
Giunsero infine nel luogo indicato dalla mappa, una radura
rigogliosa piuttosto grande, confinante da un lato con una foresta che emanava
una forte aura magica chiaramente percepibile, probabilmente proveniente dalle
creature che la abitavano. Dal lato opposto invece si stendeva un lago dalle
acque insolitamente scure, quasi come se fossero nere. Fu immediatamente
attratto dal fascino della distesa d’acqua e rimase qualche minuto in silenzio a
contemplarla. Un tentacolo di dimensioni gigantesche emerse improvvisamente
agitandosi in aria qualche secondo, per poi scomparire sotto la superficie,
distogliendolo dalle sue riflessioni.
Al centro della radura, su una lieve
altura, stavano quattro tende, tre disposte ai vertici di un quadrato ideale, ed
una al centro, sulla cui punta spiccava un pennone con tre vessilli, tre lingue
di stoffa, ognuna di un colore diverso: rosso, giallo e blu. Salazar si avvicinò
al singolare accampamento e gli venne spontaneo depositare le sue cose nel punto
che avrebbe chiuso il quadrato, dopodiché si diresse verso la tenda centrale ed
infine, dopo aver fatto cenno a Samuel di aspettarlo fuori ed aver preso un
profondo respiro, sollevò il telo ed entrò.
Davanti ai suoi occhi stava una
sala da pranzo finemente arredata, alle cui pareti erano appesi drappi di
velluto rosso, blu e giallo, che richiamavano i colori della tappezzeria, dalle
sedie ai divanetti, fino alle tovagliette poggiate sul tavolo di legno massiccio
che occupava il centro della sala ed attorno a cui Salazar vide Grifondoro
seduto ed intento a discutere con due donne.
“Buongiorno signori.” esclamò
con voce bassa ma sicura per palesare la sua presenza.
Il primo a scorgerlo
fu proprio Grifondoro che subito si alzò in piedi e lo raggiunse con poche
falcate, stringendogli calorosamente la mano.
“Mastro Serpeverde! Che gioia,
siete venuto infine!” esclamò tutto d’un fiato per condurlo poi al tavolo dove
le due donne guardavano la scena stupite.
“Signore, ho l’onore di presentarvi
Salazar Serpeverde, il mago di cui vi avevo parlato. Mastro Serpeverde, queste
sono Cosetta Corvonero e Tosca Tassorosso.”
Serpeverde accennò un inchino di
cortesia, poi posò i suoi occhi neri in quelli di Grifondoro come in attesa di
qualcosa.
“Benvenuto! Prego, sedetevi con noi, stavamo giusto iniziando a
prendere le prime decisioni.”
Serpeverde prese posto accanto a Grifondoro, di
fronte alle due streghe, e non appena si fu seduto, parte dei drappi alle pareti
e della tappezzeria cambiò colore, diventando di un bellissimo verde brillante,
cosa che piacque non poco al nuovo arrivato.
Tuttavia la discussione fu
abbastanza breve, il viaggio era stato lungo e Serpeverde aveva bisogno di
riposare, così si congedò dagli altri, per raggiungere Samuel, con il quale
avrebbe montato anche la sua tenda. Fu quindi sorpreso ma allo stesso tempo
compiaciuto di notare che il suo assistente era stato così solerte da aver già
posizionato e montato la loro dimora provvisoria. Aveva già scostato il telo per
entrare quando diede una fugace occhiata alla tenda centrale, e si accorse che
sul pennone era comparso un quarto vessillo verde smeraldo. Accennò quindi un
sorriso e poi entrò per una notte di meritato riposo.
Il mattino seguente fu
svegliato dall’aroma della tisana e delle focacce che Samuel, come ogni mattina,
gli aveva preparato, ma del giovane non c’era traccia nella tenda. Serpeverde si
alzò e imponendosi di stare calmo consumò la sua colazione anche se sentiva
dentro di sé una certa tensione. Uscì quindi dalla tenda, pronto a riprendere la
discussione con i suoi colleghi e poco distante vide finalmente Samuel, intento
a scherzare con due ragazze ed un ragazzo, quasi sicuramente gli assistenti
degli altri maghi, e questo gli provocò una sensazione quasi di doloroso
fastidio che tuttavia decise saggiamente di ignorare.
Nei giorni successivi
ebbe inizio la costruzione dell’edificio che avrebbe accolto la scuola e a cui
si decise di dare la forma di un castello, come il fortino all’interno del quale
il sapere magico sarebbe stato custodito e difeso.
I quattro maghi lavorarono
alacremente alla realizzazione di un grande spazio dove gli studenti potessero
stare tutti insieme sia per mangiare che per trascorrere il tempo libero o anche
semplicemente per studiare. Così con la magia costruirono una sala enorme, dal
soffitto altissimo, così alto che la sera con l’illuminazione delle lampade a
petrolio era praticamente impossibile scorgerlo. E infatti una sera che i
quattro maghi erano riuniti a consumare la loro cena attorno ad un massiccio
tavolo di legno, Tosca Tassorosso sollevò lo sguardo verso l’alto e mormorò:
“Sembra quasi di stare all’aperto, mancano solo le stelle.”
Cosetta Corvonero
la sentì e così, dopo la cena, prese da una parte Grifondoro e Serpeverde e gli
chiese di fare una sorpresa all’amica. La sera successiva infatti Tassorosso
alzò lo sguardo e con immenso stupore vide un cielo con la luna splendente, poi
spostando lo sguardo poté scorgere alcune costellazioni e perfino qualche
nuvola. Con gli occhi sgranati guardò gli altri che le risposero con un leggero
sorriso.
“E’ stato un bel suggerimento il tuo – iniziò Corvonero – così
abbiamo deciso di incantare il soffitto affinché mostri sempre il cielo come lo
si vedrebbe stando all’esterno. Che sia una notte di cielo stellato o che ci
siano tuoni e fulmini, la volta celeste sarà sempre visibile da
qui.”
“Grazie, di cuore” rispose la donna al limite della commozione per
quella vista tanto inaspettata quanto emozionante, dopodiché corse ad
abbracciarli senza fare caso ad imbarazzi e remore.
“Dove dormiranno i
ragazzi?” chiese a quel punto Serpeverde schiarendosi la voce per superare quel
momento.
“Bisognerebbe innanzitutto decidere come organizzare
l’insegnamento.” prese la parola Grifondoro.
“Credo che sia saggio che ognuno
di noi gli insegni ciò per cui è più portato.” intervenne Corvonero.
“Si, ma
così ognuno di noi si ritroverebbe ad insegnare a troppi ragazzi insieme.”
obiettò Grifondoro.
“Potremmo dividere i ragazzi in quattro gruppi – propose
Serpeverde – e di ognuno, ciascuno di noi sarà responsabile. In questo modo sarà
anche più facile controllare gli studenti, fare in modo che studino e che non
combinino guai, o peggio…”
“Mi sembra una buona proposta” ci pensò su
Corvonero, subito seguita da un cenno di assenso di Grifondoro.
“Scusate, ma
non potrebbe essere stimolante per i ragazzi se invece che in gruppi li
dividessimo in vere e proprie squadre? Insomma un po’ di competizione li
potrebbe spingere a studiare di più e a dare il massimo.” chiese timidamente
Tassorosso che fino a quel punto era rimasta in silenzio a rimirare la volta
celeste sopra le loro teste.
“Brava Tosca! – esclamò Corvonero che assestò
sulla schiena dell’amica una poderosa pacca dettata dall’entusiasmo del momento
– Questo sarebbe stimolante anche per noi insegnanti! A questo punto per rendere
la cosa ancora più incisiva si potrebbe fare in modo che anche nella vita
quotidiana qui alla scuola siano divisi in squadre. Ci vorrebbe un dormitorio
per ognuna di esse. Che ne dite?”
“Mi sembra un’ottima idea, signore” rispose
Grifondoro sorridendo alle due streghe, mentre Serpeverde si limitò ad un cenno
di assenso come suo solito, senza far trapelare alcuna emozione.
“Bene direi
che per stasera è tutto, domattina con il favore della luce del sole potremo
cominciare a mettere in atto le nostre idee. Buonanotte.” disse a quel punto
Grifondoro decisamente soddisfatto del clima di collaborazione che si era
instaurato, e che invece aveva temuto sarebbe stato difficile da ottenere a
causa del carattere chiuso di Serpeverde. Ma evidentemente si sbagliava, lo
aveva giudicato in modo troppo affrettato durante i brevi incontri che aveva
avuto da solo con lui.
Lasciarono quindi la grande sala, l’unico ambiente
realizzato fino a quel momento, e si ritirarono nelle loro tende, con la mente
già al giorno successivo sfornando le idee per i dormitori della loro
squadra.
Ed infatti al sorgere del sole, molto prima del solito orario al
quale si incontravano, erano già al tavolo comune pronti per la
costruzione.
“Credo che come me, anche voi abbiate passato la nottata a
pensare ed immaginare come sarebbe stato il dormitorio della vostra squadra.”
prese la parola Grifondoro, ma fu interrotto dalla timida mano di Tosca
Tassorosso che chiedeva la parola.
“Ecco… a questo proposito, pensavo una
cosa… – e si girò a guardare gli altri come a chiedere un tacito assenso a
continuare – Per i ragazzi sarà come stare in una nuova famiglia, quindi mi
chiedevo se squadra non suonasse un po’ troppo freddo. Immaginavo che magari
potremmo chiamare Casa ogni gruppo, anche per aumentare il senso di
appartenenza.” terminò torturandosi le mani.
“Per me non ci sono problemi.”
rispose subito Corvonero, subito seguita dagli altri due.
“Bene – rispese la
parola Grifondoro – direi che a questo punto possiamo dedicarci ai nostri
dormitori… Io avevo pensato di realizzare una torre per i miei ragazzi, e
voi?”
“Anche io avevo pensato ad una torre” rispose Corvonero.
“Io invece
pensavo a qualcosa di più basso, magari qui al piano terra, o magari nei
sotterranei. Non so, seguirò l’ispirazione del momento – si aprì quindi in un
sorriso Tassorosso – E voi, mastro Serpeverde?”
“Sotterranei anche io.”
replicò asciutto il mago per poi dirigersi fuori della sala per cercare Samuel,
che lo avrebbe aiutato a realizzare i suoi dormitori.
Non fu difficile
individuare il suo assistente, che poco più in là chiacchierava con gli altri
ragazzi che accompagnavano i maghi, dal momento che il sole sui suoi capelli
biondi creava degli intensi bagliori dorati. Salazar fu quasi sopraffatto dalla
sensazione di essere stato privato di qualcosa che gli apparteneva di diritto, e
cosa fosse gli fu subito ben chiaro: la totale attenzione di Samuel. Non gli
piaceva per niente che il ragazzo passasse il suo tempo con qualcuno che non
fosse lui, che rivolgesse la sua attenzione ad altri, che ascoltasse anche idee
e discorsi che non erano i suoi.
“Samuel!” lo richiamò brusco e senza
degnarlo neanche di una parola prese a camminare verso la grande sala,
ordinandogli implicitamente di seguirlo.
Lungo uno dei lati corti, Grifondoro
e Corvonero avevano realizzato una piccola gradinata, da cui partivano due
scalinate distinte più piccole, destinate a portare i loro studenti ai
dormitori.
Ad uno dai lati del pianerottolo, Tassorosso aveva realizzato
un’apertura su cui però si era fermata a pensare, evidentemente ancora indecisa
se procedere in piano o scavare sottoterra.
Partendo dallo stesso
pianerottolo, ma sul lato opposto alla strega, anche Serpeverde ricavò
un’apertura a sesto acuto, poi si rivolse al suo assistente.
“Va in giro e
trova della pietra con cui si possano rivestire e sostenere i dormitori della
nostra casa.” gli disse con tono più aspro di quanto non avesse desiderato, ma
non riusciva proprio a scacciare quel senso di fastidio che lo aveva oppresso
poco prima. Samuel non disse nulla, si limitò a voltargli le spalle per andare
alla ricerca di solide pietre che avrebbe rimpicciolito e poi trasportato fino a
lì, pronte per essere squadrate e quindi posate le une sulle altre.
Salazar
prese a scavare sottoterra un lungo cunicolo, nella direzione che lo avrebbe
condotto esattamente sotto il lago che gli donava pace ogni volta che ne
percorreva le rive. Era giunto alla fine del cunicolo dopo parecchie ore di
lavoro quasi ininterrotto, e si apprestava a scavare l’ambiente che avrebbe
costituito la sala comune di ritrovo per i suoi studenti, quando sentì dei
rumori alle sue spalle. Si girò ed il suo animo finalmente si acquietò. Samuel
stava silenziosamente eseguendo gli ordini che lui non gli aveva neanche
impartito: con cura stava posando le pietre che aveva raccolto a rivestire il
cunicolo, ponendo di tanto in tanto alle pareti delle torce a petrolio per
illuminare l’ambiente, stregandole perché non si spegnessero mai e non facessero
fumo.
Salazar aspettò che lo raggiungesse, riservandogli anche un accenno di
sorriso, per iniziare a scavare insieme il resto dei dormitori. Mentre Samuel si
occupava di costruire un enorme camino in malachite, dall’intenso colore verde
striato di nero, con venature argentate, Salazar realizzò delle aperture sulla
parte alta delle pareti, rendendole trasparenti, facendo in modo che la luce
verdastra, filtrata attraverso le acque del lago conferissero all’interno del
dormitorio un’atmosfera surreale, quasi ultraterrena. Estremamente soddisfatto
del risultato, si aprì finalmente ad un vero sorriso rivolto a Samuel che non
esitò a ricambiarlo.
“Maestro Salazar, se qui abbiamo finito, vorrei unirmi
agli altri ragazzi per passare la notte tutti insieme attorno ad un
falò.”
Subito lo sguardo del mago si indurì ed ogni traccia di serenità e
dolcezza scomparve. “No, tu non ci andrai! Non voglio che passi del tempo
insieme a loro!” tuonò.
“Ma maestro… – esitò Samuel, non abituato a simili
reazioni – si tratta solo di passare la notte tutti insieme a
chiacchierare.”
“No, tu non ci andrai!” troncò il discorso.
“Ditemi almeno
il perché!” rispose allora Samuel, facendo voltare Serpeverde già all’interno
del cunicolo. Il ragazzo non gli aveva mai risposto in quel modo, non aveva mai
discusso un suo ordine, non aveva mai messo in discussione la sua
autorità.
“Perché non voglio che passi del tempo con altri. E non puoi certo
darmi torto. E’ bastato passare un po’ di tempo con loro e già discuti i miei
ordini. Tra un po’ probabilmente ti ribellerai apertamente e magari mi sfiderai
a duello.” concluse con le profonde iridi scure ardenti di sdegno.
“Siete
ingiusto! Non discuto i vostri ordini, semplicemente avrei piacere di passare un
po’ di tempo con gli altri ragazzi. Ma se me lo vietate apertamente, allora
rispetterò il vostro volere, come ho sempre fatto.” rispose con tono fermo, ma
anche con malcelata rabbia.
“Bene, allora stanotte la passerai insieme a me
nella nostra tenda. Non voglio che incontri gli altri apprendisti più del
necessario.”
“Bene maestro.” gli rispose Samuel con tono glaciale, per poi
sorpassarlo e marciare direttamente verso la loro tenda, dove si coricò senza
neanche cenare e senza rivolgere la parola a Serpeverde.
Nei giorni seguenti,
furono tutti impegnati a completare i dormitori e ad arredarli, cosa che
richiese molto tempo e parecchie energie.
Quando i quattro fondatori si
trovarono di nuovo nella grande sala, si posero finalmente il problema di come
richiamare gli studenti alla loro scuola.
“Purtroppo non c’è un modo per
scovare i maghi presenti nel mondo.” iniziò a dire Corvonero.
“Potremmo
mandare i nostri assistenti presso le famiglie di maghi per spiegare in cosa
consiste la nostra scuola ed invitare i ragazzi a frequentarla.” propose
Grifondoro.
“Non se ne parla!” scattò in piedi Serpeverde.
“Mastro
Serpeverde, non abbiamo molta scelta – cercò di farlo ragionare Corvonero – a
meno di non andare noi stessi.”
Serpeverde si mise di nuovo seduto ma si
chiuse in un ostinato mutismo per tutto il resto della discussione, al termine
della quale gli assistenti vennero chiamati e gli fu spiegato quale sarebbe
stato il loro compito.
Samuel, impaziente per quell’incarico, guardò il suo
maestro, come a cercarne il consenso, ma lui girò il volto, poi si alzò e
abbandonò la sala, lasciando Samuel con una sensazione di amaro per la sua
disapprovazione. Il giovane apprendista entrò nella loro tenda, sicuro che lo
avrebbe trovato e avrebbe potuto chiarire, ma le sue speranze andarono deluse, e
a lui non restò che preparare una borsa e partire insieme agli altri.
Nel frattempo al nucleo iniziale, costituito dalla grande sala centrale, o
Sala Grande, come iniziarono a chiamarla, ed ai quattro dormitori, si aggiunsero
ben presto le aule, alcune delle quali erano semplici stanze molto ampie, altre
invece erano attrezzate, come quella di pozioni, un grande ambiente sotterraneo
con delle prese d’aria ed un pozzo. E poi ancora una torre per l’osservazione
delle stelle, una serie di serre per coltivare le piante magiche, un’altra torre
che accoglieva gli uffici dei quattro fondatori, dove gli studenti avrebbero
potuto trovarli durante il giorno se avessero avuto bisogno di loro,
un’infermeria ed infine una grande biblioteca nella quale riposero delle copie
dei libri che ritenevano più utili per l’apprendimento dei loro futuri studenti.
Da lontano l’impressione era che un gigante avesse scomposto per proprio diletto
un bellissimo castello e che poi non fosse più stato in grado di rimontarlo
nella sua forma originaria e si fosse limitato a riaccostare i pezzi alla bene e
meglio. Però osservando con più attenzione si poteva notare come ogni elemento
in realtà si armonizzasse perfettamente con tutto il resto, dando un aspetto
elegante, solenne, ma che conservava un certo calore nell’insieme, pronto ad
accogliere chiunque.
Ben presto iniziarono a giungere ragazzi da tutto il
Paese, segno evidente che gli apprendisti stavano portando avanti con successo
l’incarico che gli era stato affidato. E con il passare del tempo iniziarono a
tornare anche gli assistenti dei fondatori. Tempo dopo, all’appello mancava solo
Samuel, e Salazar si era ormai convinto che dopo il loro ultimo incontro, il
ragazzo non sarebbe più tornato, una volta portata a termine la sua
missione.
Ma non sapeva quanto invece si sbagliava.
Ormai l’estate stava per lasciare spazio all’autunno e Samuel percorreva con
trepidazione tutti i corridoi del castello, alla ricerca del suo maestro, che
finalmente trovò in un bagno del secondo piano, mentre era intento a fissare il
panorama da una finestra bifora.
“Maestro Salazar!” esclamò contento entrando
nell’ambiente, mentre il mago si girava sorpreso per il suo arrivo inaspettato,
e subito un sorriso prese posto sul suo viso.
“Samuel! Quando sei arrivato?”
chiese avvicinandosi a grandi falcate al ragazzo. Poi fece una cosa inaspettata:
lo abbracciò calorosamente.
Samuel si irrigidì tra le sue braccia e si limitò
a mormorare: “Poco fa…”
Salazar non diede importanza alla sua reazione e si
staccò squadrandolo con attenzione, come ad assicurarsi che stesse bene.
“Sei
stato via a lungo, abbiamo sentito la tua mancanza.” si limitò a spiegare,
rendendosi conto di essersi scoperto troppo, lui così abituato a tenere i suoi
sentimenti ben nascosti.
“Grazie maestro – rispose Samuel, che ritrovò il
sorriso – spero che la mia assenza non abbia creato troppi problemi. Ma come
farete allora quando mi sposerò?” si azzardò a prenderlo in giro.
Qualcosa
scattò nella mente di Serpeverde. “Come scusa?” chiese fissando i suoi profondi
occhi neri in quelli azzurri di Samuel.
“Beh maestro – sembrò tergiversare il
ragazzo coraggio – prima o poi vi lascerò per formare una mia famiglia con una
ragazza… Mi sembra normale.”
“TU NON PUOI LASCIARMI!” urlò a quel punto
Salazar.
“Ma maestro, ho diritto ad avere la mia vita!”
“Questo mi sembra
ovvio, ma il tuo posto è accanto a me!”
“Che state dicendo? Non capisco!”
chiese Samuel, mentre un’idea iniziava ad insinuarsi nella sua mente ma la
scacciò con tutte le sue forze, sperando che non fosse possibile.
“Il tuo
posto è accanto a me! Il tuo destino e di stare con me! Noi siamo fatti per
restare insieme, per tutta la vita. Non mi sembra che finora la cosa ti abbia
mai disturbato.”
“Maestro, io rimarrò con voi finchè la mia istruzione non
sarà completa, e resterò accanto a voi finchè avrete bisogno di me, in attesa di
conoscere qualcuno con cui trascorrere il resto della mia vita.”
“E’ proprio
questo il punto! Io ho bisogno di te, e ne avrò sempre!” rispose con ferocia
Salazar, gli occhi ardenti per la rabbia, raggiungendo il suo assistente che
inconsciamente era arretrato, ed afferrandolo per le spalle e scuotendolo con
vigore.
“Maestro lasciatemi! Io non sono destinato a restare con voi! Vi sono
molto affezionato, ma il mio destino non è restarvi accanto per
sempre!”
“Quindi è solo affetto quello che provi per me?”
“Esattamente!
Affetto e gratitudine. E mi sembra che questo sia abbastanza. Cosa altro dovrei
provare per voi?”
Salazar prese a tremare per la rabbia, per il sentimento
troppo forte che provava e che non era ricambiato, ma che anzi il ragazzo che
aveva davanti stava calpestando più e più volte. “Bene, se la metti in questo
modo, non mi sembra che abbiamo altro da dirci. Spero che tu mi abbia rubato
abbastanza conoscenza della magia, che mi abbia sfruttato per bene per tutto
quello che ti potevo dare. Perché è questo che hai fatto. Hai approfittato della
mia ingenuità e dei miei sentimenti per rubare il mio sapere!” rispose con la
voce ridotta ad un sibilo.
“Adesso siete ingiusto! Vi ho portato sempre
rispetto, ho cercato di aiutarvi come potevo, mi sono sforzato di essere un buon
apprendista oltre che un buon aiutante, e non merito questo trattamento! Non vi
ho rubato proprio niente! Se vi siete crogiolato nell’illusione di sentimenti
che non provo e che non potrò mai provare nei vostri confronti, mi dispiace, ma
non è dipeso da me! E se pensate che sia rimasto accanto a voi solo per
opportunismo, allora non abbiamo proprio più niente da dirci.”
Samuel a quel
punto girò le spalle a Serpeverde ed iniziò a marciare verso l’uscita dei bagni
e, senza girarsi, quando ormai aveva quasi raggiunto il corridoio sussurrò:
“Addio maestro Salazar, vi auguro ogni bene” e senza ricevere nessuna risposta
corse a recuperare le sue cose, per lasciare il castello.
Salazar era rimasto
solo in quel bagno, fermo nella medesima posizione che aveva mantenuto durante
tutta la discussione con Samuel. Si sentiva svuotato e derubato. Non delle sue
conoscenze come aveva strillato fino a quel momento, quanto dei suoi sentimenti,
dei suoi sogni e dei suoi desideri. Il suo cuore, fino a quel momento pieno
d’amore per il suo giovane assistente, era stato brutalmente calpestato e
svuotato senza alcun riguardo.
Il silenzio lo stava schiacciando. Tutto il
castello di speranze che aveva faticosamente costruito nel corso degli anni
andando contro il suo naturale modo di essere, gli era miseramente franato
addosso. E lui stava lì fermo incapace di muovere anche solo un muscolo,
respirando quasi con timore. Rimase ore lì fermo finché, quando ormai il sole
era calato e la luna era alta in cielo illuminando debolmente il suo volto che
appariva improvvisamente più vecchio, un’unica lacrima solcò il suo volto. Una
stilla d’acqua salata in cui Serpeverde concentrò tutto il suo dolore, che
percorse lentamente la sua guancia, fino ad abbandonare il suo viso ed andarsi
ad infrangere sulle fredde mattonelle del pavimento. Solo a quel punto, come se
una fragorosa cascata si fosse abbattuta ai suoi piedi, si riscosse dal suo
stato catalettico, e prese una decisione.
Con un tocco di bacchetta sradicò i
lavandini al centro dell’ambiente, fermando poi gli zampilli d’acqua che si
erano levati potenti. Prese a scavare un cunicolo verso il basso, diretto verso
le profondità della terra, dove avrebbe trovato un luogo sicuro dove ricercare
la solitudine che da quel momento sarebbe diventata la sua compagna una volta
finito il suo compito di insegnante.
E così alla fine del cunicolo, con la
magia ricavò un ampio ambiente dalle pareti di pietra così come il pavimento e
l’ampia volta del soffitto. Scavò poi dei canali nei quali potessero scorrere le
acque del suo amato lago, l’unico elemento in quel luogo in grado di concedergli
la pace interiore. A quel punto riuscì fuori e sigillò il condotto con i
lavandini che aveva tolto prima e li stregò perché al suo comando si scostassero
e gli permettessero di raggiungere il suo rifugio.
Nei giorni successivi si
concesse raramente il lusso di una passeggiata sulle rive del Lago Nero, come
l’aveva personalmente ribattezzato, e durante una di queste scorse un rettile di
grandi dimensioni che riconobbe subito come un basilisco. Subito gli si rivolse,
stupendo l’animale, di certo non abituato a parlare con gli esseri umani,
pregandolo innanzitutto di non guardarlo negli occhi e poi chiedendogli cosa
stesse facendo lì. Il basilisco gli disse che era in cerca di un posto dove
stabilire la sua tana, così gli venne naturale indicargli il passaggio
sotterraneo che lo avrebbe condotto al suo rifugio. Gli disse che lì avrebbe
trovato un posto dove rintanarsi ogni volta che avesse voluto, ed infatti
l’animale rapidamente si voltò e si diresse verso il condotto che gli era stato
indicato. Quel pomeriggio ebbe inizio una strana amicizia tra il basilisco e
Serpeverde, che passava spesso del tempo a chiacchierare con l’animale,
informandosi anche nel frattempo su cosa succedesse al di fuori dei confini del
castello, dove il rettile si recava per procurarsi del cibo.
Trascorse così tutto il resto dell’anno scolastico, durante il quale
Serpeverde raramente passava del tempo con i suoi colleghi, al di fuori delle
riunioni per discutere dell’andamento della scuola e delle decisioni da
prendere.
Era già estate inoltrata quando Grifondoro lo avvisò che stava per
svolgersi una riunione per fare il punto della situazione sul passato anno
scolastico e prendere decisioni per quello nuovo.
Così si ritrovò ad un
tavolo della Sala Grande con i suoi tre colleghi a seguire una noiosa
discussione, desideroso di potersi rinchiudere al più presto nel sotterraneo con
il suo amico.
“Cari colleghi – prese la parola Grifondoro – sono abbastanza
soddisfatto di come sia andato quest’anno, tuttavia per il prossimo, vorrei
aprire la nostra scuola anche ai nati babbani.”
“Questo però vuol dire che in
parecchi casi dovremo anche insegnargli a leggere e scrivere.” intervenne subito
Corvonero, centrando il punto della situazione.
“In effetti per loro dovremmo
costituire delle classi apposite, per abituarli innanzitutto all’idea della
magia, poi dovremmo insegnargli a leggere e scrivere, e solo a quel punto
potremmo iniziare davvero la loro istruzione magica.” proseguì
Tassorosso.
Serpeverde era rimasto in silenzio meditando sul passato, quando
Grifondoro lo riscosse. “Mastro Serpeverde cosa ne pensate?”
“I babbani sono
esseri inferiori e non sono degni di praticare la magia. Non devono mettere
piede per nessun motivo nella mia scuola!” disse con voce dura e
tagliente.
“Ma come? Il vostro assistente non era nato babbano?” chiese in
modo poco delicato Tassorosso, rendendosi però subito conto del suo
errore.
“Appunto! – tuonò Salazar – E si è dimostrato indegno di fiducia!
Nessun altro nato babbano apprenderà qualcosa da me! Non dovranno mettere piede
qua dentro.” terminò scattando in piedi e sbattendo veementemente un pugno sul
tavolo che fece sobbalzare le due donne.
“Mastro Serpeverde – tentò allora di
ammansirlo Corvonero – non vi sembra di esagerare generalizzando in questo modo?
I nati babbani non sono tutti uguali…”
Ma non riuscì a concludere che venne
immediatamente interrotta. “Per me sono tutti uguali! Non gli avevo mai permesso
di avvicinarsi a me ed ero sempre stato benissimo. Poi ho ceduto e sono stato
impunemente tradito! Quindi per me i nati babbani non devono assolutamente
venire qui!”, dopodiché si alzò e abbandonò la Sala, lasciando basiti gli altri
tre che avevano solo una vaga idea di cosa fosse successo, in quanto non avevano
voluto invadere la privacy del mago e quindi non avevano mai approfondito la
questione di come fossero andate le cose con Samuel.
Ma questo punto divenne
ben presto causa di grandi e a volte accese discussioni tra i quattro maghi, che
proprio non riuscivano a comprendere e ad accettare la totale chiusura di
Serpeverde.
Al termine di un diverbio più acceso degli altri, quest’ultimo,
messo comunque in minoranza, prese una grave decisione, lasciare la scuola che
lui stesso aveva contribuito a fondare.
Con passo affrettato si diresse verso
il bagno del secondo piano, ordinò ai lavandini di lasciarlo passare, dopodiché
si calò nei sotterranei. A quel punto richiamò a sé il basilisco e prese a
parlargli. “Amico mio, io sto per lasciare questo luogo, ma non temere, potrai
venire qui ogni volta che vorrai, considerandola come casa tua. Tuttavia ho un
unico favore da chiederti – attese un breve cenno d’assenso dall’animale prima
di proseguire – Semmai qui sotto dovesse scendere il mio apprendista Samuel,
venuto per cercarmi, dovrai guidarlo da me.”
“Te lo prometto.” gli rispose
sibilando il basilisco, dopodiché ascoltò attentamente le istruzioni per
giungere nel luogo dove il mago intendeva dirigersi.
A quel punto Salazar si
dedicò a scolpire su una delle pareti un grande busto con le sue sembianze a cui
affidò il suo messaggio per Samuel, che questi avrebbe potuto ascoltare solo
accarezzando la statua e pronunciando: “Maestro Salazar” come solo lui lo
chiamava. Serpeverde pensava che solo se lo avesse cercato con affetto sincero
nei suoi confronti si sarebbe comportato in quel modo.
Infine si puntò la
bacchetta alla tempia e ne estrasse un filamento argenteo che fece penetrare
nella statua, che a quel punto prese a parlare con la sua voce, anche se più
bassa e amplificata.
“Se stai ascoltando questo messaggio, vuol dire che sei
tornato a cercarmi. Ma io non sono più qui, ho abbandonato questo posto tempo
fa, incapace di perdonare il tuo tradimento. Tuttavia, se adesso sei qui, vuol
dire che hai compreso il tuo errore e che desideri tornare a vivere con me. Non
sono tornato nella casa dove abbiamo vissuto per tanto tempo, ma il mio amico
basilisco ti condurrà da me. Ti aspetto.”
Serpeverde fece una lieve carezza
al muso del basilisco che in sua presenza teneva sempre gli occhi chiusi, come
il mago gli aveva chiesto tempo addietro, poi gli voltò le spalle e abbandonò
quella stanza sotterranea dove aveva trascorso tanto tempo. Una volta risalito
nei bagni, incise sui lavandini che avevano richiuso il passaggio il suo
simbolo, come un indizio per Samuel che probabilmente, una volta tornato a
cercarlo, si sarebbe recato nell’ultimo luogo dove erano stati insieme.
Nei
corridoi fu fermato da Grifondoro che gli chiese spiegazioni per il suo
comportamento inammissibile.
“Non vi preoccupate mastro Grifondoro, la cosa
non si ripeterà. Lascio la scuola.” e senza aggiungere nulla lo superò, per poi
fermarsi e mormorare: “Fate attenzione ai vostri studenti da oggi in poi, la
scuola non è poi così sicura. Da qualche parte una camera racchiude i miei
segreti, in attesa del mio erede. Ma non cercatela, perché oltre ai segreti,
quella camera racchiude grandi pericoli. Sappiate solo che tutto questo è stato
causato dalla vostra scelta di ammettere i nati babbani”. E detto questo, si
diresse verso i sotterranei dove radunò in fretta le sue cose e abbandonò per
sempre il castello, lasciandosi alle spalle la Camera dei Segreti, che
contrariamente alle sue speranze, rimase sigillata per secoli, e Samuel, il suo
erede, non vi mise mai piede.
A presto con la prossima ff ;))
P.S. se non volete più mie storie, basta che me lo facciate sapere XP
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