I motivi del
cuore
“Menippo
attento” l’urlo di
Learco arrivò appena in tempo ad avvisare il compagno di
battaglia. Menippo si
abbassò e schivò il fendente che probabilmente
avrebbe potuto tranciargli la
testa di netto. L’infuriare della lotta continuava ormai da
più di un’ora.
Tutti gli uomini erano stanchi ed affaticati, l’esercito
nemico era troppo più
esteso per poter sperare di avere la meglio, però con
determinazione
continuavano a combattere senza ritirarsi, tutti pronti a sacrificare
la vita
per la causa della libertà. Learco attraversò con
fatica il campo di battaglia,
roteando la spada e facendosi largo tra gli avversari che parevano non
finire
mai.
Finalmente dopo innumerevoli sforzi riuscì a giungere al
fianco del suo fedele
secondo:
“Learco, qui si sta mettendo male, che decisione hai
preso?” domandò Menippo
mentre appoggiava la propria schiena contro quella del suo comandante,
in modo
da poter combattere meglio.
Learco si scostò i lunghi capelli bianchi che gli erano
ricaduti scomposti sul
viso e fissò di sfuggita il suo fratello di sangue negli
occhi.
“Non ci possiamo arrendere, se indietreggiamo le donne e i
bambini che trovano
riparo in quel bosco saranno perduti” affermò
ansimando ed indicando il fitto
bosco alle loro spalle.
“ Si lo so ma ormai siamo spacciati, siamo troppo inferiori
di numero per
poterci opporre… figurarsi per riuscire a vincere”.
Learco annuì tetro con la testa, Menippo aveva ragione, non
avevano più scampo.
In preda all’ansia fece scorrere lo sguardo per tutto il
campo di battaglia, in
cerca di un’idea, un’ispirazione che potesse
portarli alla vittoria.
Ad un certo punto i suoi occhi grigi si fermarono ad osservare un
grande carro
che stava in cima ad una piccola pendenza.
“Menippo, ho un’idea, raduna gli altri e cominciate
ad indietreggiare. Lo vedi
quel carro là in alto?” chiese, indicando con la
punta della spada il basso
promontorio che stava di fronte a loro. Menippo tirò un
calcio ad un soldato e
si volse per seguire ciò che gli stava dicendo il suo
comandante.
“Sì, cosa hai in mente?”
“Quel carro è senza dubbio pieno di polvere nera.
Sai quella strana sostanza
che da un po’ di tempo a questa parte stanno usando i soldati
dei re Alarico
per distruggere i villaggi?”
L’uomo annuì, sapeva
a cosa si riferiva
Learco… per colpa di quella sostanza esplosiva e distruttiva
lui aveva perso
sua sorella.
“Ne sei sicuro? Ma se sono in possesso della polvere nera
perché non l’hanno
utilizzata contro di noi?” domandò Menippo
dubbioso.
Learco fece un sorriso stiracchiato “ Perché
quell’idiota del
generale Emiliano è talmente convinto della
superiorità schiacciante del
suo esercito che pensa di non averne bisogno… Stupido,
così manda i suoi uomini
al massacro…”
Learco pronunciò l’ultima
frase con disgusto. Erano avversari e la stupidità di
Emiliano giocava a suo
favore, però non riusciva a tollerare un comandante che
giocava senza ritegno
con la vita dei propri uomini.
“ Allora qual è il piano?” chiese
Menippo ansioso.
“Voi vi radunate, mentre io
raggiungo il
carro e lo lanciò giù dalla collina dandogli
fuoco. Appena vedette il carro
arrivare cominciate a scappare nella boscaglia, i nostri avversari vi
inseguiranno non accorgendosi del pericolo che sta arrivando e per loro
sarà la
fine. Esploderanno senza accorgersene… Tutto
chiaro?”
“Si” fu la rapida risposta del secondo.
Senza perdere altro tempo Learco si lanciò in una corsa
sfrenata abbattendo
chiunque si trovasse sulla sua strada dirigendosi verso il carro
esplosivo,
doveva fare in fretta prima che Emiliano intuisse le sue intenzioni e
lo
fermasse.
Era quasi giunto sulla collina quando una fitta di dolore gli trafisse
la
spalla destra. Learco cadde a terra sopraffatto dalla sofferenza mentre
si
voltava per capire cosa era successo. Davanti a lui il volto adirato e
al
contempo derisorio di Emiliano lo fissava con sfida.
“Brutto pezzente, credevi di farmela vero? Con chi credi di
avere a che fare?
Tu sei solo un ragazzetto che fino ad ora è stato molto
fortunato, io invece
sono un generale al servizio di re Alarico, addestrato nella nobile
arte della
guerra… contro di me non hai speranza alcuna.”
Disse quelle parole come se le
stesse sputando e infine, sollevata la lama di un pugnale,
l’abbassò mirando al
cuore di Learco.
Learco chiuse gli occhi infuriato contro sè stesso. No, non
poteva
assolutamente soccombere così, si era fatto una promessa e
l’avrebbe mantenuta.
Doveva salvarlo, salvarlo a tutti i costi… un giorno sarebbe
riuscito ad
arrivare davanti a re Alarico, a fissarlo negli occhi e a proteggerlo
dalla sua
stessa follia.
L’unico scopo della sua inutile vita, l’unico vero
motivo per il quale
combatteva, era salvare Alarico da sé stesso.
Con un poderoso calcio –che probabilmente ruppe alcune ossa
all’avversario-
riuscì ad allontanare da se Emiliano.
Senza perdere altro tempo, stringendosi con una mano la spalla ferita,
percorse
di corsa i pochi metri che lo separavano dal suo obbiettivo.
Con due pietre focaie riuscì dopo alcuni tentativi ad
accendere la miccia che
pendeva dal carro e poi, raccogliendo le ultime energie che gli erano
rimaste
in corpo, spinse nella valle il piccolo carro esplosivo.
Pochi istanti, in cui il tempo parve fermarsi, mentre il carretto
caracollava
verso i due eserciti impegnati nello scontro, infine il grido di
Menippo che
ordinava ai suoi uomini la ritirata e lo scoppio fragoroso
dell’esplosivo.
Quel rumore sordo fu l’ultima cosa che sentì,
prima di cadere a terra esausto e
stremato dalla ferita.
Quando Learco si riprese il sole
ormai era calato da un
pezzo e la luna brillava magnifica nella sua pienezza.
Si sollevò avvertendo subito un dolore sordo alla spalla, ma
non ci badò. Girò
lo sguardo curioso per capire dove
fosse. Era sdraiato su di una brandina e la luce della luna filtrava
attraverso
la stoffa di una tenda.
“Ben svegliato fratello” la voce di Menippo gli
arrivò un po’ ovattata alle
orecchie per via della spossatezza che si sentiva addosso.
La mano del suo secondo si poggiò sul suo petto, nella
tacita richiesta di
farlo sdraiare nuovamente e Learco l’accontentò. Menippo sorrise di questa
sua strana
remissività –che non faceva parte certamente del
carattere testardo e ombroso
di Learco- e lo coprì con una coperta di lana.
“Allora?” domandò Learco impaziente.
“Vittoria” si limitò a confermare
l’altro.
Learco sorrise compiaciuto e chiuse gli occhi, troppo stanco per
aggiungere
altro.
L’amico vedendolo assopito, in silenzio, lasciò la
tenda per andare anche lui a
riposarsi.
“Vi
prego permettetemi
di unirmi alla vostra causa” il viso sporco e rigato dalle
lacrime di un
giovanissimo Menippo lo fissava supplichevole. Ormai era più
di un anno che lui:
Learco, combatteva contro le truppe regolari di re Alarico e il suo
scalcagnato
esercito trovava ogni giorno nuovi uomini disposti a dare la vita pur
di
spodestare il tiranno dal trono.
Menippo quel giorno era riuscito a trovare il suo piccolo esercito ed
ora,
inginocchiato davanti a lui, lo stava supplicando di poterne fare parte.
Learco lo fissò scuro in volto, quel ragazzo doveva avere si
e no vent’anni,
anzi probabilmente erano coetanei. Non se la sentiva di coinvolgere una
persona
tanto giovane in quell’assurda guerra… lui sapeva
quanto si soffriva sui campi
di battaglia e non voleva assolutamente che altri patissero la stessa
sofferenza se non era assolutamente necessario, perciò
chiese:
“Che motivo hai di unirti alla nostra causa?”
Menippo sollevò lo sguardo e poi con decisione rispose:
“Il motivo che spinge tutti voi a combattere… la
sete di giustizia, il
desiderio di libertà, la disperazione del dolore”
Learco lo fissò sospirando, gli occhi persi in pensieri
indecifrabili.
“L’odio nei confronti di re Alarico?”
chiese infine.
Menippo scosse forte il capo.
“Su ordine di re Alarico ho perso i miei genitori, uccisi
dalle guardie durante
una raccolta di tasse, l’unica persona che mi rimane
è mia sorella Amelia”
disse indicando col
dito una ragazza poco più
piccola di lui che se ne stava in disparte tremando spaurita ma con lo
sguardo
alto e fiero “però non lo odio, i miei genitori
erano molto credenti, mi hanno
insegnato a non portare rancore… semmai lo compatisco,
malvagio e tiranno com’è
sarà certamente un essere solo… No, io voglio
combattere al vostro fianco non
per desiderio di vendetta, ma per poter assicurare un futuro degno di
tale nome
a mia sorella… voglio la possibilità di crescere
i miei futuri figli in serenità…”
Learco lo fissò sorpreso , cercando di scorgere negli occhi
scuri del suo
interlocutore l’ombra del rancore, però non
riuscì a leggervi null’altro se non
la fiera determinazione e il desiderio di libertà.
“Sicuro che i motivi che spingono il tuo cuore siano
questi?” domandò comunque
insistente.
Menippo arcuò un sopracciglio:
“Ognuno di noi è spinto da motivi differenti, i
miei non sono meno importanti o
meno nobili dei vostri… Se posso chiedere, quali sono i
motivi che spingono voi
alla lotta?”
Learco si irrigidì, quel ragazzo ne aveva di coraggio per
andare a fare una
domanda simile a lui, il famigerato capo della resistenza ed inoltre era stato preso
alla sprovvista,
cosa doveva rispondergli? Nessuno degli uomini che combattevano con lui
sapeva
il reale motivo del suo desiderio di vittoria su re Alarico. I suoi
occhi grigi
si scurirono mentre per la prima volta, da più di un anno,
abbassava il capo
incapace di sostenere uno sguardo:
“ I motivi che spingono me sono molto meno nobili dei
tuoi… io lo faccio solo
per egoismo, inseguo una felicità che non so se
riuscirò mai a raggiungere… D’accordo,
benvenuto nella resistenza Menippo” e così dicendo
si allontanò voltando a
tutti i presenti le spalle.
Learco si svegliò di
soprassalto madido di sudore e febbricitante.
Perché aveva sognato l’incontro con Menippo? Ormai
erano passati tre anni. Tre
lunghi anni in cui attraverso le battaglie, gli stenti e il dolore, il
loro
legame si era rafforzato talmente tanto da renderli come fratelli.
Eppure ogni volta che nello sguardo pulito dell’amico leggeva
la sua
determinazione a un futuro migliore si sentiva tremendamente in colpa.
Nonostante tutto lui non aveva avuto il coraggio di confessare a
Menippo che
cosa in realtà lo spingesse alla lotta. Come avrebbe potuto
ammettere che a
spingerlo era l’amore… l’amore per quel
tiranno che passava sotto il nome di re
Alarico?
Non riusciva più a restare in quella tenda, gli pareva di
soffocare, perciò si
rivestì con fatica ed uscì iniziando a vagare,
incurante della febbre e del
dolore.
Camminò senza meta per un tempo indefinito e ad un certo
punto si ritrovò,
senza sapere bene come, nel grande spiazzo che quel giorno era stato
teatro
della loro battaglia.
Tutto il prato, rischiarato dalla debole luce della luna piena, era
bruciato
per via dell’esplosione che lui stesso aveva provocato.
Quello scenario di
desolazione e di morte gli ricordava tanto la condizione del suo povero
cuore.
Fece vagare lo sguardo annebbiato dalla febbre per tutto il prato,
scrutando
con dolore ogni singolo filo d’erba nero e bruciato. Ad un
certo punto la sua
attenzione venne catturata da un piccolo puntino bianco che faceva
bella mostra
di sè in mezzo a tutto quel grigiore.
Si avvicinò sulle gambe traballati e si chinò per
osservare meglio quel
miracolo. Una piccola margherita, un fiorellino quasi insignificante
era
riuscita a sopravvivere a quella strage. Era lì, con la
piccola corolla chiusa
per il riposo notturno, sopravvissuta ai piedi ferrati dei cavalieri,
agli
zoccoli dei cavalli, al fuoco dell’esplosione.
Tutto intorno a lei era morte ma nonostante tutto era sopravvissuta.
Sorrise.
Quella margherita rappresentava così bene i suoi sentimenti
per Alarico…
quell’amore che caparbio continuava a provare nonostante
tutta la distruzione
che lo circondava.
In fondo non era così difficile amare Alarico, certo ora era
divenuto un mostro
–anche se non ne capiva il perché- ma un tempo non
era così, era tutto diverso.
Allungò una mano ed accarezzò lievemente la
corolla delicata della margherita
mormorando in un singhiozzo:
“…Alarico…”
Learco stava
camminando per le sale del palazzo cercando ovunque il suo allievo.
Come al solito il giovane principe spariva e si nascondeva da qualche
parte,
perso in chissà quali sogni fantastici, senza ricordare che
doveva seguire le
lezioni.
Decise di cercarlo fuori in giardino, ormai il tempo si stava facendo
più
piacevole e quasi certamente il piccolo Alarico non si era lasciato
scappare la
ghiotta occasione per uscire a divertirsi.
Infatti , poco più tardi , lo trovò intento a
giocare con l’acqua che sgorgava
della fontana.
Aveva quattordici anni ed ormai stava crescendo, però molto
spesso si
comportava ancora come un bambino. Non era uno stupido anzi , la sua
intelligenza acuta e puntuale lo aveva sorpreso piacevolmente molte
volte. Però
una parte fondamentale del suo carattere era quella straordinaria
semplicità
con la quale affrontava la vita e i piccoli problemi che ogni giorno la
sua
posizione gli portava.
Learco osservò il viso fresco e solare del ragazzo stendersi
in un sorriso
dolce e caldo, mentre con una mano schizzava l’acqua addosso
al levriero che
gli scodinzolava accanto.
“Giovane signore” lo apostrofò Learco
appena gli fu vicino “Non vi pare di aver
dimenticato qualcosa?” chiese con una punta di ironia nella
voce.
Alarico sollevò lo sguardo arrossendo leggermente per
l’imbarazzo e poi cacciò
fuori la lingua scherzosamente.
“Hai ragione, mi dispiace di averti fatto perdere del tempo,
però oggi è una
così bella giornata che i libri e lo studio mi sono passati
d mente” mormorò il
ragazzo mentre con una mossa agile si metteva in piedi sul bordo della
fontana
e ne percorreva in equilibrio tutto il perimetro.
“Mio signore, ora è il caso di rientrare, tra
l’altro rischiate di farvi male
se continuate a giocare così” ribatté
Learco, un po’ in apprensione per la
sorte del suo pupillo.
“Suvvia Learco, a sentirti parlare nessuno penserebbe mai che
tu abbia appena
cinque anni più di me… ti comporti come un
vecchio”
A quelle parole Learco, punto sul vivo, si irrigidì. Si
rendeva conto che
quando stava con Alarico tendeva ad essere troppo rigido,
però quello era
l’unico modo che era riuscito a trovare per tenere nascosti i
sentimenti
profondi che provava nei confronti del suo principe. Ormai era
già da un po’ di
tempo che si era reso conto di amare Alarico.
Amava tutto di lui, la sua purezza, la sua intelligenza, la freschezza
con cui
affrontava ciò che la vita gli presentava, sempre senza
lamentarsi o senza
imporsi. Seppure molto giovane il
fascino di Alarico gli aveva stregato il cuore. Ecco perché
con il suo
atteggiamento intransigente cercava disperatamente di mantenere le
distanze.
Lui era solo un misero insegnate, mentre Alarico il futuro erede al
trono… tra
di loro non poteva nascere nulla.
Uno schizzò d’acqua lo colpì in pieno
viso distogliendolo dai suoi pensieri.
Alarico era caduto nella fontana!
“Maestà…”
Alarico riemerse ridendo di gusto per il bagno fuori programma, ma
appena si
accorse dello sguardo serio di Learco si zittì abbassando lo
sguardo:
“Mi spiace… Learco potresti aiutarmi ad
uscire?” chiese infine mesto.
Learco sbuffò nella speranza di poter
trattenere
un sorriso che gli saliva alle labbra, allungò la mano che
prontamente venne
stretta da quella del ragazzo.
Stava per tirarlo su quando Alarico lo tirò verso di
sé, facendogli perdere
l’equilibrio e trascinandolo con sé ,
costringendolo ad un tuffo
nell’acqua gelida. In un istante si ritrovò
completamente bagnato con del
muschio strano e puzzolente che gli sporcava il naso.
“Maestà!” esclamò
esterrefatto e sconvolto.
Alarico dal canto suo, per
nulla
pentito, si stava sbellicando dalle risate sbattendo i piedi e
schizzando
ripetutamente il povero Learco.
“Oddio Learco ti dovresti vedere, sei buffissimo conciato
così…”
e riprese a ridere incapace di smettere.
Learco sbuffò infastidito poi preso da un desiderio di
vendetta improvviso,
afferrò uno dei pesci che giravano spaventati nella fontana
e con gesto rapido
lo infilò dentro la tunica di Alarico.
Il ragazzo non se ne accorse subito, ma poi iniziò a
muoversi come un
forsennato, tentando di scrollarsi di dosso l’ospite
indesiderato.
Ora era Learco a non riuscire più a trattenersi dalle risate.
Il principe lottò ancora per alcuni istanti con il povero
pesciolino rosso,
fintanto che non riuscì a farlo scivolare nuovamente
nell’acqua.
Ora che erano entrambi più tranquilli, Learco si perse ad
ammirare il viso del
suo allievo. I lineamenti fanciulleschi e morbidi, ormai da qualche
tempo
stavano lasciando il passo a forme molto più pronunciate e
virili. La bellezza di
Alarico, con quei capelli corvini appiccicati al volto e la tunica che
ne
delineava i muscoli accennati ma
promettenti , era davvero innegabile.
Learco non riuscì a trattenersi ed in un impeto di follia
poggiò le sue labbra
su quelle del principe.
In quell’istante il rumore di porcellana infranta li fece
voltare entrambi.
La piccola serva, vedendoli mentre si baciavano, aveva fatto cadere per
la
sorpresa il vassoio con il thè.
“Mio sovrano mi scusi non vi volevo interrompere” biascicò
mortificata la ragazza.
Alarico per tutta risposta si alzò e uscendo dalla fontana
si diresse verso di
lei sorridendo.
“Su non ti preoccupare… va tutto bene, io e Learco
ci amiamo, ma avremmo dovuto
essere un poco più discreti” e così
dicendo si chinò lui stesso per raccogliere
i cocci delle tazzine.
Dopo che la ragazza si fu allontanata Alarico si voltò con
un sorriso
smagliante verso Learco.
“Allora anche io ti piaccio” disse correndo come un
forsennato in direzione del
maggiore e scagliandosi con tutto sè stesso tra le braccia
di quest’ultimo.
Learco non poté fare altro se non aprire le braccia ed
accogliere quel
ragazzino avventato, per evitare che si facesse male.
“Maestà noi non …”
tentò di protestare.
“Suvvia, io ti amo e adesso so per certo che mi ami anche
tu… almeno per una
volta non rimproverami e baciami… i problemi li risolveremo
poi…”
Learco non poté fare a meno di accontentarlo, stringendo a
se il corpo bagnato
fradicio del ragazzino.
“Fratello ,finalmente ti ho
trovato…”
Menippo gli corse incontro tutto trafelato.
“Ma cosa ti è saltato in mente? Sei
convalescente” e così dicendo gli passò
una
mano sulla fronte.
Scottava.
“Accidenti vieni che ti riporto subito al campo…
oltretutto questa zona è
pericolosa. Cosa avresti fatto se ti avesse attaccato una pattuglia del
re?”
Learco alzò i suoi occhi grigi, leggermente opachi per via
della febbre, e
sorrise mesto.
“Scusa… ma avevo bisogno di ritrovare il motivo
che mi spinge a combattere…
alle volte mi pare così inutile”
Menippo lo abbracciò stando attento a non stringergli troppo
la spalla ferita.
“Learco, il motivo che spinge te a combattere è il
più forte di tutti. Tu non
me lo hai mai confessato ma io lo so che combatti mosso
dall’amore…”
Il comandante a quelle parole sussultò, salvo poi rilassarsi
nuovamente quando
Menippo finì la sua frase “Anche se non capisco di
chi tu sia così tanto
innamorato”
Learco sorrise mesto mormorando un:
“ Si hai ragione il motivo che spinge il mio cuore
è amore…” avrebbe tanto
voluto finire la frase, e confessare il suo segreto
all’amico, però sapeva di
non poterlo fare.
Così si limitò a lasciare la frase a
metà e a sprofondare il volto nel petto
forte di Menippo, lasciando che l’altro lo cullasse.
Con la mente e il cuore rivolti al suo Alarico, il ragazzino semplice e
fresco
che solo lui conosceva, si addormentò ma non prima di aver
rinnovato con sé
stesso la solenne promessa di salvarlo.
Piccolo spazio privato
Storia partecipante al Flowers for life classificata quinta
e al contest Smok on Water classifica ulitima ç.ç
Questo è uno spin off della long Destino
Bhè? che fate ancora qui? correte! Ci divertiremo un sacco
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