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Autore: tersicore150187    08/05/2011    9 recensioni
La coppia Castle/Beckett si trova ad affrontare un caso difficile, soprattutto denso di risvolti emozionali, che li porterà a sentirsi coinvolti man mano sempre di più e a mettere in discussione alcune loro convinzioni e modi di agire e pensare. Questo caso causerà anche ripercussioni sull'evoluzione del rapporto personale tra i due? Per risolvere il rompicapo davanti al quale si trovano, i nostri due protagonisti si serviranno dell'aiuto di David, un ragazzino di 13 anni molto speciale.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo
 

Kate fissò lo sguardo  sullo schermo del computer davanti a lei e stette immobile per un attimo.
 
Sentì la testa completamente vuota e pesante, segno che la notte passata in bianco sulle carte non era stata una buona idea. Abbassò le palpebre leggermente e riaprì gli occhi sentendo il collo e la nuca dolerle come non mai.
Questo caso la stava facendo impazzire. Oltre alla solita complessità delle indagini, si erano inseriti degli elementi nuovi con cui fare i conti professionalmente, umanamente ma anche emotivamente e Kate, non essendosi praticamente mai più esposta negli ultimi dieci anni, non sapeva davvero da che parte cominciare. Certo con i parenti delle vittime ci sapeva fare. Non aveva mai avuto bisogno che le spiegassero come fare il suo lavoro. Lei era stata ossessionata dal rapporto invischiato e allo stesso tempo delicatissimo che intercorre tra la giustizia e le vittime con le loro famiglie fin dal giorno in cui si era svegliata consapevole del fatto che una delle persone che amava di più al mondo le era stata portata via per sempre. Così aveva iniziato metodicamente ad elencare e catalogare nella sua mente tutti i dettagli di quei giorni: chi aveva fatto cosa, chi detto quale parola con quale intonazione o fatto quale particolare gesto, affinchè nulla, giusto o sbagliato che fosse, le sfugisse mai più dal controllo. C'erano voluti anni affinché lei capisse che non poteva essere  control freak* in ogni ambito della sua vita, anni solo per farle abbandonare i propositi di ispezioni a sorpresa con tanto di mandato in aereoporto ogni qual volta decideva di fare un viaggio o indagini dell'ufficio di igiene se andava a mangiare un gelato o una pizza in un posto nuovo.
 
Una volta uno a cui aveva quasi fatto revocare la licenza di un piccolo ristorante e che doveva pagare una multa davvero salata, le aveva gridato contro “Ma lei non scopa mai?” evidentemente adirato e colpito dalla “rigidità” che la detective aveva manifestato in quella circostanza.
 
Per fortuna quella sera non c'era Castle con lei, non c'era neanche nella sua vita allora, almeno non come “detective volontario”, braccio destro, partner e neanche lei sapeva cosa ancora altro. E per fortuna stavolta invece sì.  Con il modo di fare più sereno e non curante che conosceva, Castle si era addentrato anche nelle pieghe dell'indagine più delicata, senza fare il minimo accenno ad una situazione di disagio o imbarazzo.
 
A volte quel suo senso di leggerezza le dava fastidio. Si irritava osservando come lui potesse fare con estrema facilità cose che per lei erano a volte addirittura impensabili. A volte quella irritazione mal sopita diventava perfino invidia. Avrebbe voluto quasi dargli un pugno di sfogo sul braccio e dirgli “Ma come ci riesci?”. Ma poi la vita, le esperienze, nonché la sua profonda onestà morale nei confronti delle persone, le avevano fatto rapidamente cambiare idea su di lui. Qualche tempo prima, avendo visto Alexis entrare sconvolta al distretto per quella lite degenerata con il suo fidanzato si era messa in disparte, osservando le ombre dello scrittore e della figlia dietro i vetri smerigliati della sala relax, camminando ogni tanto lì intorno per evitare che qualcuno decidesse proprio in quel momento di andare a prendere un caffè e trovasse Alexis in lacrime con il moccio al naso e la “tosse da pianto” proprio come una bambina piccola. Quando erano usciti finalmente, la figlia col volto lucido, muta, con lo zaino in spalla e un fazzoletto stropicciato in mano e il padre che le trotterellava dietro con atteggiamento da chioccia, lei li aveva guardati sentendo una tenerezza dentro, nel profondo del suo cuore, una tenerezza della quale avrebbe voluto assolutamente fare parte. Poi Castle aveva ricominciato con il suo atteggiamento scherzoso, non esagerando, ma la cosa le aveva dato fastidio. Allora non la aveva confortata dolcemente, non aveva consolato le sue lacrime? La aveva coinvolta in uno dei suoi soliti discorsetti senza senso ridicolizzando il suo litigio? Non poteva crederci, se suo padre si fosse comportato così con lei, quando aveva sedici anni, Kate avrebbe buttato zaino e libri all'aria e sarebbe corsa via rifugiandosi da un'amica e forse non tornando a casa neanche a dormire. Invece Alexis aveva abbassato la testa e si era avvicinata al fianco del padre, al quale stava appoggiata immobile. Dopo un po', con lo stesso tono Castle la invitò a raggiungere Paige che la aspettava nella caffetteria dall'altro lato della strada. Alexis allora alzò un attimo lo sguardo verso il padre, poi gli fece un velocissimo sorriso e mentre se ne andava lungo il corridoio agitò la mano in segno di saluto per gli altri. Castle la guardava allontanarsi con sguardo divertito, quasi beffardo. Beckett, appoggiata alla scrivania vicino a lui, era al colmo dello sdegno e il suo viso lo stava dimostrando, stava per iniziare ad inveire contro di lui che probabilmente con la coda dell'occhio la aveva vista. Aspettava solo che le porte dell'ascensore si richiudessero completamente e nascondessero la ragazza ai loro sguardi, si spostò leggermente e gli fu quasi di fronte, ma in quell'attimo accadde l'esatto contrario di ciò che la detective si sarebbe mai aspettata.
Non ebbe tempo di proferire una parola che Castle cambiò espressione in un secondo. Il suo volto si tramutò come se fosse stato fatto di cera che si stava sciogliendo, facendolo sembrare quasi dolorante. Gli angoli della bocca gli si piegarono come ad una maschera di teatro. Abbassò la testa velocemente probabilmente per non tradire un lontano accenno di quasi pianto e un brivido lo scosse. Respirò profondamente al punto che Kate pensò che stesse per sentirsi male. Al colmo dello stupore, e della vergogna per se stessa davanti alla sua sofferenza, Beckett riuscì solo a sentire uscire dalla sua bocca poche deboli parole “Scusa, ho bisogno di un minuto”. Rimase allibita guardandolo  che si dirigeva verso il bagno degli uomini.
 
Allora quel suo modo di comportarsi era solo una maschera per coprire la sua sofferenza? Ma cosa gli impediva di aprirsi con lei, col resto del mondo? “Che domanda detective! E soprattutto da che pulpito!” si disse. Allora questo significava che il dolore nel vedere sua figlia soffrire lo aveva sopraffatto così tanto che era riuscito a fare finta di niente davanti a lei per spronarla a reagire positivamente, ma non appena aveva potuto era letteralmente crollato. Questo lei non lo aveva pensato e ora seduta a quella scrivania, con quel fascicolo in mano, si sentiva terribilmente in colpa.
 
Castle si sedette al suo posto, a fianco alla sua scrivania.
Lei lo guardò, con degli occhi che si sforzavano disperatamente di non esprimere pietà ma che, in quella e altre mille circostanze avrebbero voluto dire quello che la donna provava.
Lui resse il suo sguardo per qualche istante, ma non durò a lungo. Quando c'erano di mezzo i sentimenti che provava per le persone care si sentiva fragile, scoperto, vulnerabile. Da quando aveva conosciuto la detective poi, questa cosa gli accadeva sempre più di frequente e aveva dovuto iniziare ad imparare a farci i conti.
Kate raccolse tutte le forze che aveva e disse “secondo te perchè non riusciamo a farci dire da David quello che sa?”
Castle alzo la testa, la guardò meno pensieroso e concentrandosi su quella risposta che conosceva perfettamente, disse: “Stavo pensando che forse non ci stiamo mettendo sufficientemente dalla sua parte. Abbiamo cercato di assecondarlo, o meglio di assecondare quelli che ci hanno detto essere i suoi bisogni, ma non ci siamo chiesti realmente cosa volesse lui. Ci siamo ostinati a parlare con i suoi genitori, ad entrare nei dettagli, ad incontrarlo sempre con la madre e il padre vicino, ma ora credo che abbiamo sbagliato. È un ragazzino di tredici anni, solo perché è diverso dagli altri non vuol dire che dobbiamo presupporre che sia “opposto”. A volte i ragazzi hanno bisogno di avere vicino qualcuno con cui condividere qualcosa, un amico, un compagno di giochi o di scuola, qualcuno simile a loro, con cui mangiare un gelato o fare una gara in bicicletta, senza bisogno di troppe spiegazioni o intrusioni adulte.”
Kate non ci mise più di un secondo a capire che aveva detto quella frase riferendosi ad Alexis.
Quel giorno non solo aveva capito che Castle non era affatto superficiale e leggero così semplicemente come poteva apparire, stava realizzando come compiere alcuni gesti gli costasse molto più di quanto lei potesse immaginare, ma lui, per amore, fosse disposto a farli con un sorriso sulle labbra. Non falso, ma protettivo.
“Rick, io...”
Lo scrittore alzò lo sguardo, sereno, non interrogativo. Sentire che lei gli si rivolgeva così semplicemente gli alleviò quella sensazione di peso sullo stomaco che aveva.
 
“Scusami, mi dispiace”.
 
“E di cosa dovrei scusarti Kate, del fatto che pensi che io sia diverso da quello che sono perchè hai paura di conoscermi realmente? Del fatto che per questo motivo mi stai negando una parte di te? Non potrò mai farti una colpa di questo perchè io so che se io ho sofferto in passato e sto soffrendo con te ora, tu probabilmente hai sofferto e stai soffrendo molto più di me.”
 
Avrebbe dovuto dirglielo, ma non lo fece. Lo penso solamente, con tanta forza che si illuse che dal suo viso calmo e amorevole fosse trapelata la passione di quel travaglio interiore, che da mesi ormai lo accompagnava ogni giorno.
 
Invece fece un profondo sospiro e sorrise.
 
“Non vado fiero di molte delle cose che ho fatto nella mia vita, ma ho comunque tante esperienze, forse alcune in più di te. Spero che un giorno, quando tu avrai un figlio tuo, io possa esserti d'aiuto con il mio bagaglio pesante.”
 
Disse tuo. Avrebbe voluto dire nostro.
 
 
 
 
 
* to be a control freak è un'espressione che viene tradotta proprio con “voler avere tutto sotto controllo”.
Giusto per motivare la mia scelta, questa espressione viene utilizzata nel programma  “Between Takes” dell'emittente tv.com da Seamus Deaver (e ripetuta da Nathan Fillion) al quale Stana Katic ha chiesto di rispondere al posto suo alla domanda “What do you enjoy most about playing Richard Castle” and Detective Kate Beckett?”. Nathan, dovendo rispondere per primo chiede scherzosamente a Seamus di rispondere al suo posto, e Stana per stare allo scherzo fa lo stesso.
 
http://www.youtube.com/user/ForeverStanatic#p/u/10/q51nkYOEcWw
 
 


Angolo dell'autrice:

Cari lettori,
questa è in assoluto la prima fanfiction che scrivo e pubblico in tutta la mia vita...e non vi nascondo che una certa emozione mi tradisce un po'.
Vi invito a leggere, commentare, recensire, criticare e richiedere e vi prometto che, se anche non esaudirò tutti i vostri desideri come autrice, sicuramente li terrò in considerazione.

Ringrazio davvero molto advocat per il suo sostegno ed incoraggiamento fondamentale per la scrittura di questo prologo, che è venuto da sè questa mattina, completamente di getto.

Attendo notizie da voi,

Grazie a tutti e.....benvenuta a me!

Tersicore

  
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