New Troubles
-Quella è Mefisto in un corpo da donna,
ne sono certa! Come è certo che quest'insalata odora di sudore...
bleah!- commentai disgustata, allontanando con l'avambraccio il
piatto di insalata e pomodori che avevo davanti e buttandomi sulla
macedonia che avevo comprato al supermercato prima di entrare in
ufficio. Gabrielle sospirò pazientemente pulendosi le labbra col
tovagliolo di carta. Ero solo al mio secondo giorno e mi sembrava di
impazzire.
Almeno stamattina avevo chiamato la babysitter, quindi
i miei figli erano a posto. Ora, l'unica cosa di cui mi dovevo
preoccupare era organizzare un matrimonio soddisfacente per i futuri
signori Dupree.
-Credimi, Pamela non è cattiva, il suo compito è
assecondare le richieste dei clienti e dar loro quello che vogliono,
come lo vogliono, quando e dove. Qui dentro non è facile per
nessuno!
-Allora questi clienti sono pazzi! Tanto per cominciare
non esistono piatti cruditè di origine italiana dal momento che
tendiamo ad esagerare col burro e o la margarina in quasi ogni
piatto, e poi dove trovo una location raffinata ma semplice quando
gli aggettivi stessi sono esatti contrari?!- ed eravamo solo al menu
e al luogo, non le avevo ancora parlato degli inviti che dovevano
essere fatti con la carta da riso quando mezzo mondo sapeva che è un
materiale che si sgretola con la sola forza del pensiero. Ma in che
dimensione parallela ero finita?
-Eva non esistono i problemi,
solo le soluzioni.- mi rispose in tutta calma e prendendo un'altra
forchettata della sua insalata, come se richieste come quelle le
capitassero tutti i giorni, ma ormai non l'ascoltavo neanche più.
Come cavolo faceva a mangiare solo quella
roba a pranzo prima o poi me lo dovrà dire. Io, se a pranzo non
mangio almeno un coniglio intero rischio di non arrivare viva a sera.
Va bene che mi aveva invitata anche oggi a pranzare nel suo ufficio,
ma l'insalata di pomodori e macedonia per il secondo giorno di fila
non li avrei retti; da domani voglio qualcosa che si possa definire
pasto, e questo comprende la pasta o la carne.
-Ah sì, e qual'è
la soluzione? Il suicidio?- domandai sull'orlo del pianto.
-Ma
no, non essere così tragica. Allora, da quello che mi hai detto i
Dupree non sanno niente di cibo italiano. Puoi preparare il menu
cruditè semplicemente abbellendolo con nomi tipici italiani. È un
trucchetto che usiamo spesso qui... - mormorò facendomi
l'occhiolino.
-Ma questo non è imbrogliare?
-Forse, ma la
gente che passa da quella porta bada solo alla forma, non al
contenuto. Fidati, alla maggior parte delle attrici puoi far passare
una bottiglia di spumante da quattro soldi per champagne Cristal
d'annata e loro manco se ne accorgono, l'importante è che ci sia la
scritta dorata in francese.
-Quindi mi basterebbe camuffare il
nome dei cibi, tutto qui?- domandai basita. Se era così semplice
perchè non me lo avevano detto subito? Ah, giusto... ero la nuova
arrivata.
-Devi solo avere fantasia, in tutto quello che fai. Devi
prenderci la mano, ma vedrai che col tempo diventerà più facile.-
mi spiegò svitando il tappo azzurro della sua bottiglietta d'acqua
minerale e prendendone un piccolo sorso.
-Stamattina li ho
incontrati, per il momento sono solo riuscita a fargli scegliere le
partecipazioni... secondo te è fisicamente possibile stampare sulla
carta da riso?
Lei scoppiò a ridere mandando giù l'acqua di
traverso, ma recuperò subito l'autocontrollo e quella che poteva
essere una risata cristallina e sentita le uscì come un verso
smorzato e acuto. Gabrielle era veramente una ragazza tenerissima, ma
mi sembrava soffocare... mentalmente intendo, era come se trattenesse
qualcosa; era troppo rigida, troppo controllata, troppo
posata...insomma, una qualsiasi altra ragazza della sua età
indosserebbe meno della metà della quantità di stoffa che invece
indossava lei, e in effetti il suo abbigliamento quotidiano parlava
da sè: ballerine coordinate ad un abito lungo al ginocchio indossati
quasi religiosamente ogni giorno. Tutto quello che le vedevo addosso
non aveva niente a che fare con l'immagine che mi ero appena fatta di
lei: ragazza modello di giorno, femme fatale di notte. Qui c'era solo
una donna perfetta in abiti perfetti. E le donne perfette non
esistono.
La suoneria interruppe il mio pasto, costringendomi
ad asciugarmi al volo le dita bagnate dal succo di limone e zucchero
della macedonia e a rispondere ad un numero che non avevo mai visto
prima. Sperai che fosse uno dei nuovi avvocati leccapiedi di Daniel
che mi chiamava per rimproverarmi del fatto che avevo sbattuto la
porta in faccia al loro cliente, così mi preparai al volo una bella
e colorita compilation di insulti appena creati da potergli tirare...
almeno avrebbe avuto un vero motivo per chiamarmi.
-Eva Brivio Van
De Mason
-Signora Van De Mason, sono il preside Preston della
scuola elementare pubblica di Beverly Hills.
Per poco non
soffocai nella mia stessa saliva per lo spavento, avevo appena
rischiato di fare una colossale figuraccia.
-È successo qualcosa ad Andrew?- strano,
la sua scuola non mi aveva mai chiamata, cosa poteva essere successo
di così grave da meritare una telefonata da parte del preside?
-Andrew sta bene. La chiamo perché avrei urgenza di parlarle di
una questione che mi preoccupa da qualche tempo. È possibile avere
un colloquio oggi?
-Devo chiedere un permesso al mio superiore,
la posso richiamare tra cinque minuti?
-Certamente, a più tardi.
-Salve.
Riposi il cellulare nella borsa, afferrando i manici
di pelle tra le dita e stringendoli con forza. Il tono di voce che
aveva il preside Preston non mi era piaciuto neanche un po', ma
cos'altro avrebbe potuto andare storto?
Gabrielle mi guardò con aria
interrogativa, in attesa di una mia reazione.
-Devo andare alla
scuola di Andrew, a chi devo chiedere per un permesso?
-Pamela è
la tua responsabile, dovresti chiedere a lei.- molto bene. Già mi
immaginavo il suo volto avvolto dalle fiamme e gli occhi iniettati di
sangue che mi guardavano come per dire “tu prova ad alzarti dalla
tua scrivania e io ti rovino”, e magari non si sarebbe limitata
solo a comunicarmelo con gli occhi. Il preside Preston avrebbe dovuto
aspettare la fine della giornata, mal che vada direttamente il
week-end.
-Oh cazzo, ed ora come faccio?
-Fortunatamente lei
è dall'estetista, quindi il tuo superiore sono io- aggiunse
facendomi l'occhiolino da dietro gli occhiali da vista.
-Signora Van De Mason. Prego, si
accomodi.- Lo ammetto, senza peli sulla lingua, il preside della
scuola elementare di Andrew era una persona piuttosto
inquietante...con quella testa così piccola rispetto al resto del
corpo... se avessi provato a fare il gioco delle otto differenze tra
lui e l'immagine di un koala non ne avrei trovata neanche una. E poi
quella venuzza azzurra che gli partiva dalla tempia sinistra per poi
risalire sulla fronte mi incuteva un certo timore, come se
minacciasse di esplodere da un momento all'altro. Mi guardò entrare
nel suo studio da dietro ad una sbilenca scrivania di legno chiaro su
cui erano sparsi mezza dozzina di fogli. Ero agitatissima, anche se
non lo davo a vedere, mi limitai a sedermi sulla sedia davanti a lui
accavallando le gambe ed incrociando le dita di fronte al ginocchio
nel tentativo di acquistare un po' di quella sicurezza che la sua
testa di koala aveva brutalmente ucciso.
-Grazie.
-Gradisce
del caffè?- mi domandò indicando la macchinetta per l'espresso.
-Oh, no grazie.
-Come desidera... signora Van De Mason, lo
convocata perché sono un po' preoccupato per Andrew.- affermò
cominciando a sistemare in modo assolutamente privo di senso i fogli
posti davanti a sè.
-In che senso?- lo sapevo, guai in arrivo.
Ed io non ero assolutamente preparata ad affrontarli.
-Negli
ultimi tempi si distrae spesso, i suoi voti hanno subito un calo a
dir poco vertiginoso rispetto alla sua media e non socializza coi
suoi compagni di classe.
-Preside Preston, mio figlio è
incredibilmente sveglio, a casa fa tutti i compiti assegnati, come è
possibile che abbia un calo dei voti?
-Questo speravo che me lo
dicesse lei. Signora Van De Mason, è successo qualcosa nella sua
famiglia che abbia potuto influenzare in qualche modo la quiete
domestica?- Un velo di sudore apparve sulla fronte del preside, come
se volesse trovarsi in qualsiasi altro posto tranne in quello
attuale.
-Beh, poco più di due mesi fa ho divorziato, ma non ha
in alcun modo traumatizzato i miei figli.
-Signora Van De Mason,
non ho detto questo...
-E allora cosa voleva dire? Io non la
capisco, sembra così nervoso.- dal momento che da lui non sarei mai
riuscita a capire dove volesse arrivare, abbassai lo sguardo sui
fogli che stava precedentemente leggendo di sfuggita.
-La psiche
di un bambino è particolarmente fragile e la separazione dei
genitori può risultare un trauma nella maggior parte dei casi... e
la smetta di leggere al contrario i fogli sulla mia scrivania!
-Qual'è il suo problema? Voglio solo sapere se sono la causa dei
problemi di mio figlio!
-No, assolutamente no. Comunque ho già
avuto la risposta che mi aspettavo.
-E quale sarebbe?
-A suo
figlio manca una figura paterna e una situazione domestica
tranquilla.
-Cos'è? Ha studiato psicologia infantile per caso?-
prima o poi avrei trovato qualcuno che mi avrebbe cucito la lingua,
ma quell'uomo risvegliò in me la parte che cercava di trattenere gli
insulti che avevo coniato poco prima.
-Non ce n'è bisogno,
trovare risposte a questi problemi è piuttosto facile. Comunque
ritengo che suo figlio si troverebbe meglio in una scuola dove lo
possano seguire con più attenzione. Oppure le posso suggerire il
nome di uno specialista di terapia familiare.
-Non ho bisogno
della terapia familiare, e lei è davvero privo di qualunque forma di
rispetto! Se ne può andare al diavolo, lei e la sua scuola di
sputasentenze!- ero talmente ferita nell'orgoglio che solo dopo mi
accorsi dell'enorme cazzata che avevo appena fatto.
-Come
desidera, signora Van De Mason. - rispose nella più totale
tranquillità, come se si fosse appena tolto un peso di dosso. A quel
punto mi alzai dalla sedia voltandogli le spalle e mi diressi verso
l'uscita, fermandomi sulla soglia per lanciargli una frecciata
velenosa tanto quanto lui.
-A proposito, il 26 si goda la
colonscopia!- mi fermai ancora un secondo per godermi la sua
espressione di sgomento e lasciai quella topaia per andare dritta
dritta nella classe in cui si trovava Andrew, del tutto intenzionata
a portarlo via con me.
Il mio arrivo a Los Angeles non conta, avevo solo 18 anni ed era stata una decisione sofferta e obbligatoria per molti versi... aver abbandonato quell'inferno in Italia fu solo il primo passo; poi fu tutta una discesa, almeno per me.
Ero stata impulsiva quando scelsi di tenere Andrew nonostante non avessi i mezzi per mantenerlo e il padre fosse sparito nel nulla, ero stata impulsiva quando scelsi di lavorare insieme a Melanie ed ero stata ancora più impulsiva nel momento in cui accettai la proposta di matrimonio di Daniel.
Togliere Andrew dalla scuola era solo l'ultima delle mie decisioni.
Qualche giorno prima avevo letto su Los Angeles Times la recensione di una fantastica scuola privata che si trovava vicino al mio quartiere e che non mi potevo assolutamente permettere, ed era proprio lì che mi stavo dirigendo. Non mi ero fermata a riflettere sul fatto che non mi potessi assolutamente permettere la retta di una scuola privata, ma quella da cui avevo appena fatto togliere Andrew era l'unica pubblica abbastanza vicina da permettermi di non fare levatacce alle cinque e mezzo del mattino. Tutte le altre scuole in zona erano rigorosamente mantenute dagli assegni delle famiglie. Quando eravamo ancora sposati, Daniel aveva insistito affinché iscrivessi Andrew a quella scuola e aveva anche parlato col preside affinché lo iscrivesse subito nonostante ci fosse una selezionatissima lista di attesa a cui sottoporsi. Ma la famiglia di Daniel era stata una finanziatrice della scuola, le pressioni che aveva esercitato sul preside avevano fatto si che Andrew venisse iscritto nel giro di tre giorni. Il progetto era crollato sotto il mio diritto di veto, allora avevo la repulsione verso gli istituti privati di qualsiasi genere, le scuole pubbliche non avevano niente da invidiare in fatto di istruzione e non costavano un occhio della testa a semestre.
Una volta riconosciuta la zona cominciai a seguire i cartelli delle indicazioni che recitavano “Istituto privato Oakridge”. L'edificio era piazzato nel bel mezzo di un parco costellato da aiuole multicolori e da pacchiani putti di marmo posti su altrettanto pacchiane fontane, ma nel complesso sembrava promettente. Parcheggiai di fianco al cancello nell'area parcheggio, all'ombra di un pino argentato; almeno ero sicura che i raggi solari non mi avrebbero squagliato la macchina e che non avrei avuto le vampate come se fossi stata in menopausa.
-Mamma, che cosa facciamo qui?- mi chiese Andrew dal suo seggiolino posteriore, ancora scosso per essere uscito da scuola così presto. Non sapeva ancora che là non ci sarebbe più andato.
-D'ora in poi verrai a scuola qui, ci stiamo andando a iscrivere- risposi io scendendo dalla macchina, più brusca di quanto volessi.
-Ma siamo a Maggio.- mormorò confuso mentre lo aiutavo a scendere dalla macchina.
-Lo so tesoro, ma adesso andiamo a parlare col preside di questa scuola e tu d'ora in poi verrai qui, d'accordo?
Andrew annuì e mi strinse la mano un po' più forte, fiducioso. Percorrendo gli ampi e luminosi corridoi riuscimmo ad intravedere l'interno delle aule attraverso le porte semiaperte, dove varie classi di ragazzini in divisa ascoltavano le lezioni di matematica o disegnavano su banchi colorati. Ci dirigemmo al primo piano, verso la segreteria e verso l'ufficio del preside, dove l'unico rumore udibile era quello prodotto dai miei tacchi sul liscio pavimento in cotto.
Mi avvicinai ad una grande porta di legno scuro con una targhetta in ottone e picchiettai un paio di volte sul legno della porta con le nocche, poi rimasi pazientemente in attesa.
-Avanti.- aprii la porta lentamente, facendo entrare prima Andrew.
-Preside Hobson, salve. Sono Eva Van DeMason e lui è mio figlio Andrew. La disturbiamo?- domandai piano, per paura di essere cacciata dall'ufficio. Invece, la reazione che ottenni fu completamente opposta. Gli occhi del signor Hobson si illuminarono come se avesse appena visto un dinosauro comprare la focaccia bianca in un panificio, la bocca gli si allargò in un sorriso a tremila denti e cominciò a sfregarsi le mani l'unica contro l'altra per il compiacimento.
-Allora lei è la moglie di Daniel! È un vero piacere conoscerla, si è parlato tanto dell'iscrizione di vostro figlio nel nostro istituto, è un vero peccato che ciò non sia più accaduto. Sedetevi, sedetevi!
La sua reazione mi aveva quasi spaventata, sapevo che lui e Daniel si conoscevano, ma che lui lo citasse chiamandolo col nome di battesimo mi spiazzò ed Andrew non era da meno.
Prendemmo posto nelle due poltroncine di pelle beige chiaro davanti alla scrivania mentre il signor Hobson si accomodò di fronte a noi con l'aria di un bambino che era appena stato rinchiuso per una notte in un negozio di caramelle.
-Sì, in realtà avrei cambiato idea... riguardo all'iscrizione...- ammisi a bassa voce, anche se dentro di me sapevo di essere falsa come Giuda. Seduto accanto a me, Andrew stava cominciando ad agitarsi, ne era un chiaro segno il movimento incontrollato del suo piede sinistro che cominciò a tirare dei piccoli colpetti alla gamba scrivania, ma il rumore venne attutito dalla gomma sulle sue scarpe da ginnastica. Con molta nonchalance e senza distogliere il contatto visivo col signor Hobson, appoggiai la mano destra sul suo ginocchio, fermandolo e dandogli poi delle leggere pacche coi polpastrelli. Andrew mi tirò un'occhiata contrariata e cominciò a guardare in un'altra direzione, come se non si trovasse nemmeno nella stanza.
-Davvero? Daniel non mi ha avvisato di questo suo cambiamento di decisione.
-Diciamo che è stata una scelta improvvisa, è un problema? Mi rendo conto che sia tardi...
-Oh no, niente affatto! Tutti i Van DeMason hanno imparato a leggere e a scrivere in questa scuola e di sicuro non vogliamo escludere il piccolo Andrew da questa tradizione e, nel prossimo futuro, vostra figlia Lidia- il riferimento a mia figlia mi fece definitivamente convincere che lui era completamente ignaro del fatto che io e Daniel avevamo divorziato più di due mesi prima. Non era sicuramente Daniel il suo pensiero principale, in realtà il suo solo obiettivo era poter vantare l'iscrizione di altri discendenti dei Van DeMason nella sua scuola.
-Un attimo solo che cerco i documenti da firmare, nel frattempo le mostro la tabella con la retta.
-Eccola qua, faccia pure con comodo!- esclamò tutto compiaciuto mostrandomi una tabella con elencate le cifre della retta. Mi sentii mancare.
-È questa allora... ma noi dovremo pagare solo metà retta visto che ci siamo iscritti a metà del mese, giusto?- domandai, ancora sbigottita dalla quantità di zeri segnati su quel foglio di carta.
Per caso compravano i gessetti d'oro massiccio per scrivere alla lavagna?
-La cifra è già stata dimezzata, questa che vede è quella corretta.
Credetti di stare per avere un collasso cardiaco e neurologico nello stesso momento, ma siamo impazziti?! Parliamo di una cifra a tre zeri per due settimane e mezzo!
Purtroppo, giunta a questo punto non mi potevo più tirare indietro. Se mi fossi rifiutata una seconda volta di mandare Andrew in quella scuola sarebbero successe due cose, una peggiore dell'altra: avrei dovuto assumere un'insegnante privata che lo istruisse a casa e il signor Hobson avrebbe chiamato Daniel per esternare la sua disapprovazione. A quel punto il mio ex-marito avrebbe scoperto che usufruivo ancora del suo cognome per farmi aprire qualche porta e a quel punto sarebbe stato capace di trascinarmi in tribunale... ero in trappola.
Sentii qualcosa sfiorarmi il ginocchio con insistenza, abbassai lo sguardo sulle mie gambe accavallate e vidi Andrew che, con una manina, mi tirava delle pacche per fermare il tic nervoso che mi era appena venuto alla gamba.
ANGOLO DELL'AUTRICE
Buona domenica a tutte, finalmente sono riuscita a trovare il tempo di aggiornare il nuovo capitolo e, col prossimo, arriverà anche il tanto atteso co-protagonista maschile di questa storia e la prima One-Shot a rating rosso, che sarà messa in una storia a parte e unita a questa in una serie. Spero che vi piaccia.
Un bacione,
Aching4perfection