Ti
chiederai se è colpa
tua
“Lo
sanno da sempre,
lo sanno comunque per prime.”
C’è
qualcosa di strano
nell’aria, in questa giornata di Ottobre. Se qualcuno me lo chiedesse,
non
saprei spiegarlo, ma è una sensazione che mi accompagna da quando ho
aperto gli
occhi, tre ore fa. Ne ho parlato con James, ma lui ha detto che sono
paranoica,
che sono gli ormoni di ogni donna che è diventata madre da poco.
Istinto
materno, l’ha chiamato. Ma io so che non è quello, è qualcosa di
interamente
diverso, qualcosa che non ha a che fare con Harry.
È
una sensazione di generale
pericolo, quella che provo. Pericolo per me, per mio marito, e sì,
anche per
mio figlio. La sensazione che da un momento all’altro qualcosa possa
far del
male alla mia famiglia. Qualcosa, o qualcuno.
La
tonalità del cielo è quella
dell’alba, tra il rosa e il blu; non c’è nemmeno una nuvola che lo
puntelli di
bianco: sopra di me, solo una distesa di sereni pastelli che sono
incredibilmente in contrasto con il mio turbamento. Come se la Natura
cercasse
di parlarmi, di dirmi che quello che provo non è nulla.
Nel
giardino di casa mia,
seduta su una sdraio, sento i rumori che provengono da dentro la
villetta alle
mie spalle. Mi volto e vedo James alla finestra, con una tazza in mano
ed i
capelli scompigliati. Gli sorrido, e lui solleva una mano e, con un
cenno,
ricambia. Sto per alzarmi e raggiungerlo, quando lui scuote la testa e
mi fa
cenno di rimanere seduta; non c’è più bisogno di parole, fra noi. So
che mi sta
regalando qualche minuto di pace prima che il pianto di nostro figlio
segnali
l’inizio dei miei compiti di madre.
Così
mi ristendo e chiudo gli
occhi, ma solo per un secondo, perché il rumore di rametti secchi che
si
spezzano interrompe la mia apparente quiete. Apro gli occhi e balzo in
posizione seduta, guardandomi attorno. Sposto lo sguardo sulla
finestra, James
non è più in vista; quindi mi guardo attorno e per un attimo mi sembra
di
vedere qualcosa vicino al cancello. Un’ombra, un movimento, qualcuno nascosto dietro il
muro di mattoni.
Sono
tempi bui. Lord Voldemort
lavora nell’ombra, e non possiamo sapere di chi fidarci. Perché
nascondersi, se
si hanno buone intenzioni? Le mie dita scivolano sulla bacchetta che
riposa al
mio fianco, e delle scintille rosse sprizzano dalla punta al contatto,
come se lei
stessa abbia avvertito il pericolo. Mi alzo lentamente, di nuovo lancio
un’occhiata alla finestra, ma James non si vede.
Siamo
solo io e l’intruso.
“Chi
sei?” chiedo, ma nella mia
voce non c’è alcuna traccia di cortesia. “Identificati!” Forse solo
paura.
Non
ottengo risposta. Solo lo
sventolare di un mantello, che indica che la persona è ancora lì, che
ha
sentito la mia voce, ma non vuole uscire allo scoperto. Prendo una
sorsata
d’aria, e con essa cerco di raccogliere tutto il coraggio che ho, e
cammino in
direzione del cancello, con passi lenti e misurati, vigile.
“Ho
detto di identificarti!”
ripeto.
Perché
James non esce? Perché
non sente la mia voce?
Sono
a meno di un metro dalla
persona che si ostina a nascondersi, pochi passi e la raggiungerò.
Stringo la
bacchetta con più forza, pregando che non sia l’ultima cosa che faccio.
Con uno
scatto giro l’angolo e punto la bacchetta verso l’intruso, che a sua
volta la
punta contro di me.
“Tu.”
Mi
trovo, per la prima volta
dopo anni, faccia a faccia con quegli occhi che mi hanno accompagnato
per tanto
tempo. Sono cerchiati, stanchi, però li riconosco. E proprio in virtù
di
questo, non abbasso la bacchetta. Anzi, la punto con più determinazione.
“Non
voglio farti del male,”
dice.
“Magari
pensi anche che sia
così stupida da crederti, Severus?”
Ad
Hogwarts mi hanno insegnato
tante cose. Quello cui nessuno ha mai accennato, è come comportarsi
quando ti
trovi faccia a faccia con la persona che un tempo era il tuo migliore
amico, e
che ora fa parte di quel gruppo di persone sanguinarie che combatte
contro
tutto ciò che io ho a cuore.
“Mi
basta un gesto, e sarai
circondato dall’Ordine della Fenice.”
“A
me basta ancora meno, e
sarai circondata da Mangiamorte.”
Gli
occhi mi scivolano sul suo
avambraccio.
“Cosa
vuoi?” gli chiedo.
“Perché sei qui, se non per ordine del tuo padrone?”
Non
risponde, esita; poi fa
qualcosa che non avrei mai immaginato. Abbassa la bacchetta e la ripone
sotto
il mantello, lasciando che io sia in vantaggio. Mi guarda, e poi guarda
la mia
bacchetta. Forse si aspetta che la abbassi anch’io, ma non succederà.
Non posso
fidarmi, non più.
Anche
se lo vorrei.
“Che
cosa vuoi, Severus?”
ripeto. La mano mi trema, lo vedo dalla punta instabile della bacchetta.
Severus
sospira e scuote la
testa. “Avvertirti.”
“Di
cosa?”
Per
un attimo sembra ponderare
quello che deve dire, pesare le parole, come se non volesse lasciarsi
andare.
Come se quello che sta per dire fosse immensamente più grande di lui.
“Quando
Silente verrà da voi, e
mi aspetto succederà a breve, voglio che tu ricordi che… Non credevo
fossi tu. Credevo
fosse qualcun altro, ma lui è
convinto che sia tu. Ho provato a persuaderlo, ho provato a convincerlo
che si
tratta dei Paciock, ma non è servito.”
“Tu
stai delirando!” esclamo.
“Capirai,
a suo tempo,”
sussurra. “Non ho mai voluto farti del male.”
Sono
senza parole. In parte
perché il mio cervello sta ancora cercando di decifrare l’avvertimento
che mi
ha voluto dare, e in parte perché non riesco a credere che nonostante
tutto
sono così stupida da provare ancora affetto per una persona che si è
rivelata
l’opposto di quello che credevo.
Anche
ora, mentre mi porta
presagi di pericolo, non riesco a non pensare ai giorni in cui eravamo
io e
lui, quei giorni in cui credevamo che la nostra amicizia sarebbe durata
per
sempre. Quei giorni in cui Severus era tutto ciò che avevo.
“Pensi
che ti lascerò andar
via?” dico. “Sei un Mangiamorte! Devo consegnarti!”
“Non
lo farai,” dice, con la
voce rasserenante che mi ha accompagnata per tanto tempo. “Dovresti, ma
non lo
farai.”
“Tu
pensi?” esclamo, in tono di
sfida.
Lo
so che non lo farò.
“Ti
conosco,” continua. “Mi
lascerai andare, e passerai il resto della giornata a chiederti cosa
avresti
potuto fare per evitare che oltrepassassi il confine tra il bene e il
male. Ti
chiederai se è colpa tua, ti chiederai se per tua sbadataggine tu abbia
potuto
mancare qualche piccolo dettaglio, qualche grido d’aiuto, qualcosa che
ti
poteva indicare già da allora quello che sarebbe potuto succedere. E
poi
arriverai alla conclusione che hai fatto tutto il possibile, che io ho
fatto le
mie decisioni, le mie scelte, mentre tu hai fatto le tue. Che siamo su
due
strade parallele e opposte, bianco e nero, e che il passato non può
essere
recuperato. Però, prima di addormentarti, chiuderai gli occhi, e
capirai che
dopotutto la nostra amicizia era importante, e che in qualche modo ti
manca.”
Severus
non è mai stato
particolarmente loquace, né diretto, ed è per quello che vengo presa
alla
sprovvista dal carico emozionale di ciò che dice, ma soprattutto da
quanto,
nonostante il tempo trascorso, egli mi conosca ancora meglio di
qualsiasi altra
persona.
Abbasso
la bacchetta anche io,
ed un sorriso sereno appare sul suo volto per un secondo, prima di
voltarsi e
cominciare a camminare nella direzione opposta. Lo guardo allontanarsi,
seguo
la sua ombra sulle strade bianche ancora deserte. Quando è abbastanza
lontano,
prendo coraggio.
“Avrei
potuto?” grido.
Si
volta e mi guarda, confuso.
“Fare
qualcosa?” spiego.
Rimane
immobile e silenzioso
per un minuto, poi alza la testa e la scuote, rassegnato. Poi una
giravolta, e
sparisce.
Sapevo
che sarebbe successo
qualcosa. Lo sentivo.