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Autore: IoNarrante    10/05/2011    8 recensioni
Cosa vi aspettereste da una vacanza in un villaggio? Sole, mare, magari qualche flirt estivo.. niente di più! Questo è ciò cui pensava Francesco, quando, con i suoi amici dell'università, è partito per la Puglia, per una vacanza post-laurea. Ma è bene fare attenzione a scegliersi le compagnie con cui passare quattordici giorni della propria vita.. altrimenti si può incappare in una scommessuccia, dapprima innocente, ma che costringe il nostro povero protagonista, sciupafemmine e perennemente single, ad imbarcarsi in un'avventura con una ragazza.. come dire.. non proprio della sua 'taglia'..
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve! Eccomi con un nuovissimo chappy di 'Tutto per una scommessa' e vi anticipo che la storia comincerà a farsi più piccante d'ora in poi.. uhuh.. vi lascio alla lettura!


Capitolo sei
Meglio non averla, una coscienza

Mi risvegliai nel mio letto, il mattino dopo, completamente frastornato e con un immenso mal di testa. La luce del sole filtrava attraverso le tende della stanza e non appena mossi un braccio compresi di essere sudato fradicio. Quella camera era un forno e facevo fatica a respirare.
Mi guardai intorno e apparentemente non c’era nessuno, ma non appena abbassai lo sguardo trovai Sole addormentata su una sedia, con il capo abbandonato sul mio letto. Sembrava esausta, forse più di me, perciò decisi di non svegliarla. Cercai di muovermi il più lentamente possibile, fino a quando non notai la fasciatura bianca che mi avvolgeva la coscia, ancora lievemente macchiata di sangue. Tutto quello che avevamo passato nel bosco cominciò a scorrere davanti ai miei occhi come a rallentatore, facendomi rabbrividire. Prima c’era stato il capriolo, poi il bacio mancato, dopodiché il dolore e la corsa per non rimanere al buio nella foresta.. infine riuscii solamente a ricordare delle luci nell’oscurità e nient’altro.
Qualcuno doveva averci trovati ed erano riusciti a riportarci al villaggio per fortuna. Mi tornò alla mente il viso di Sole e le sue mani sporche del mio sangue. Adesso giaceva vicino a me e sul suo viso non sembrava esserci rimasto nulla di quella terribile esperienza, nemmeno il minimo accenno d’inquietudine.
Ne approfittai per scostarle una ciocca di capelli davanti al viso e riscoprire quelle sue lentiggini color caffè, mentre dalle sue labbra dischiuse usciva un sospiro appena percettibile. Mi aveva salvato la vita in quel bosco e mi sentii inaspettatamente riconoscente nei suoi confronti.
Come un fulmine a ciel sereno, il bacio che ci eravamo quasi dati tornò a tormentarmi, accompagnato dall’egoistico pensiero che se quei bracconieri bastardi non avessero preso me di mira, invece del cervo, avrei potuto sfiorare quelle morbide labbra che ora non riuscivo a smettere di fissare.
Niente di quel giorno era stato premeditato. Tutto era successo per puro caso.
Quando l’avevo vista lì, a pochi passi da me, mentre guardava rapita quella creatura che mangiava direttamente dalle mie mani, era scattato qualcosa che mi aveva impedito di pensare lucidamente. In quel preciso istante, Sole mi era apparsa irrimediabilmente stupenda.
Lei non aveva fatto nulla per esserlo. Non si era truccata, non aveva indossato un bell’abito e non si era nemmeno sciolta i capelli. Era rimasta semplicemente sé stessa.. e allora com’era stato possibile?
Sei tu che la guardi con occhi diversi, ora.
Quel pensiero sfuggì incontrollato dalla mia mente e mi colpì diretto al cuore. Avrei tanto voluto non averla, una coscienza, sarebbe stato tutto più semplice, e invece era lì, pronta a punzecchiarmi con le sue osservazioni argute che io non volevo ascoltare.
Decisi che gli antibiotici con cui mi avevano imbottito stavano facendo sfarfallare il mio cervello, visto i segnali imbecilli che continuava ad inviarmi, ma non potei fare a meno di credere che un fondo di verità, quei pensieri, l’avessero in qualche modo.
Dovevo fare qualcosa, vedere gente e ristabilirmi, altrimenti avrei avuto un esaurimento nervoso già al terzo giorno di vacanza, e non mi pareva proprio il caso. Mi alzai dal letto, deciso a recarmi in bagno per darmi una bella svegliata con dell’acqua gelida, ma non appena mossi i primi passi mi resi conto che la gamba ferita non rispondeva affatto ai miei voleri. Era come se fosse addormentata.. quasi anestetizzata.
Non feci in tempo ad elaborare quei pensieri che misi il piede in fallo e caddi a terra come la proverbiale ‘pera cotta’, facendo un rumore sordo che svegliò la povera Sole dallo spavento.
«Dio, che dolore!» mi lagnai, con la faccia completamente spiaccicata sul cotto.
«Oddio!» sussultò Sole, guardandosi intorno terrorizzata, poi però, non appena inquadrò la mia figura spalmata sul pavimento, non riuscì a trattenere un sorriso.
Com’è bella quando sorride.. BASTA! Piantala di ragionare con gli ormoni e datti una svegliata!
«Brava, brava, continua a ridacchiare mentre il povero ferito si dimena tentando di rialzarsi a fatica» le feci notare indignato.
Dovevo cercare di smetterla di fare quel genere di pensieri, soprattutto su Sole, dannazione! Lei era parte della scommessa, nient’altro. Se avessi dovuto provare una qualche attrazione fisica per qualcuna, perché non poteva essere una semplice animatrice bona?
«Perdonami» disse ridacchiando e accucciandosi per aiutarmi. «È solo che eri così buffo e non sono riuscita a trattenermi..».
Bene, ero diventato perfino lo zimbello di Moby. Non poteva andare peggio di così..
Mi afferrò per un braccio, passandoselo attorno alle spalle, poi ci tirammo su con un grande sforzo e fummo in piedi. La gamba era del tutto assente, ma un leggero formicolio mi suggerì che l’anestesia stava per finire. Purtroppo dovevo ancora appoggiarmi quasi del tutto a Sole e i nostri corpi erano dannatamente vicini, tanto che il profumo di caramello che emanava la sua pelle mi ottenebrò la mente come dopo una sbronza.
«Dannati bracconieri del cazzo..» imprecai, più per quella incresciosa situazione in cui ero capitato con Sole che per lo sparo in sé. Stavo pericolosamente facendo un salto nel vuoto con lei e dovevo redimermi prima di rimanere invischiato in una rete che non si sarebbe più districata.
È solo attrazione fisica, nient’altro, mi dissi, autoconvincendomi. È semplice, Francesco, visto che ti dovevi laureare, hai tralasciato un po’ troppo i tuoi rapporti con l’altro sesso e adesso ne risenti perché sei in forte astinenza, tutto qui!
I miei dialoghi con me stesso erano piuttosto frequenti, soprattutto quando dovevo tirarmi fuori da situazioni spinose come quella.
«Come ti senti, gamba a parte?» mi domandò lei, maledettamente premurosa.
Cercai di non guardarla in faccia, almeno per togliermi dalla testa quei dannati particolari del suo viso che mandavano il mio cervello direttamente in vacanza, ma fu un’impresa titanica riuscire nel mio intento.
«Sto benissimo» le risposi, forse un po’ brusco. Dovevo trovare un modo per interrompere quella situazione e rimanere qualche ora per conto mio, a pensare.
Non appena fummo abbastanza vicino al letto, mi staccai da lei per fiondarmi di peso sul materasso e sdraiarmi alla bell’è meglio, come potevo. Evitai il suo sguardo, ma tanto sapevo che c’era solamente un’espressione confusa dipinta sul suo viso e mi sarei sentito ulteriormente in colpa se avessi incrociato il suo sguardo. 
Ero troppo frastornato per riuscire a pensare lucidamente, ma se l’avessi allontanata da me ancora, non avrei più potuto avvicinarmi. Mi aveva già concesso una seconda chance per miracolo, non potevo mandare ogni progresso a farsi friggere soltanto perché mi sentivo strano con lei. Reputai più giusto dare tutta la colpa agli antibiotici e farmene una ragione.
«Insomma, chi ha vinto la sfida?» le domandai, respirando profondamente e ritrovando un contatto con i suoi occhi grigio perla.
Sole mi sorrise perplessa, in una sorta di cortesia.
Fino a poco fa l’avevo evitata come la peste, mentre ora cercavo di ristabilire miseramente una conversazione civile per non apparire un malato mentale. 
«Beh..» cominciò lei, in evidente imbarazzo. «Ci mancava poco per vincere.. in effetti soltanto la foto dell’orchidea e avevamo attraversato quel ponte traballante per fotografarla..».
Non sapevo se mi stesse dando una buona o una cattiva notizia. Si stava impappinando, quello era evidente, ma il rossore sulle sue guance continuò a prendermi alla sprovvista, facendomi voltare d’improvviso lo sguardo e fissarlo in un punto vuoto sul materasso.
«Siamo arrivati dall’altra parte, alla fine» le feci notare, ricordando perfettamente la radura del capriolo.
«Sì, ma..» e s’interruppe di nuovo, torcendosi le mani in grembo. «Io..» balbettò, sempre più confusa. Alla fine si voltò e recuperò dal suo zainetto la Reflex, poi me la porse.
Con l’aiuto delle frecce, guardai tutte le nove foto che aveva fatto, corrispondenti ai punti della lista datoci dalla guida, ma, arrivato alla fine, non vi trovai alcuna foto dell’orchidea in questione o, almeno, nessun primo piano.
La foto numero dieci, l’ultima della memoria, ritraeva me. C’ero io in primo piano, col mio sorriso più smagliante e le foglie verdi in mano, mentre in secondo piano, piuttosto sfocato, riconobbi il capriolo. Sullo sfondo s’intravedevano solo delle pallide macchiette viola, ma niente che potesse indurre l’osservatore a pensare si trattasse dell’Ophrys apulica.
«Non l’hai scattata» pensai ad alta voce.
Sole se ne risentì subito, infatti s’irrigidì sulla sedia come un pezzo di legno. Dall’incontro con il capriolo, mi ero completamente dimenticato dell’orchidea e la responsabilità della foto mancata era, per metà, anche mia.
«Mi dispiace..» sospirò affranta. «A causa mia abbiamo perso la sfida».
Il mio primo pensiero non poté che andare a quel bastardo di Tarzan. Ero sicuro che ora se ne stava sdraiato nella sua topaia puzzolente a godersi la notizia, pensando di avermi stracciato. Si sbagliava di grosso, quello stronzo. Doveva solamente provarci ad invitare Sole.
«Beh, io vado» disse lei all’improvviso, ridestandomi dalle mie maledizioni quotidiane rivolte all’indirizzo di quella scimmia mancata.
«Perché?» risposi di getto, senza pensare.
Il caldo mi aveva tirato un brutto scherzo quel giorno e avrei voluto mordermi la lingua. Avevo espresso il desiderio di starmene finalmente da solo, magari a pensare, e allora perché mi uscivano delle domande del genere?
Sole continuò a guardarmi con il suo cipiglio più interrogativo, mentre io tentavo di accampare una qualche scusa per rimangiarmi quello che avevo detto o, almeno, di modificare il tono disperato con cui lo avevo espresso. Non c’era verso di riuscire ad evitare quello sguardo. I suoi occhi erano come una calamita per me e il caldo torrido che faceva in quella stanza non aiutava di certo la mia pressione, già sotto lo zero.
«Devo raggiungere Becca e Sere» ridacchiò, portandosi una mano dietro la nuca e massaggiandosela nervosamente. «Volevano andare in spiaggia».
Okay, forse mi ero salvato in calcio d’angolo. Da quanto mi aveva detto Sara, Sole non era certo la ragazza più sveglia in campo di relazioni sentimentali, perciò aveva interpretato quel mio ‘perché’ disperato, come una semplice domanda.
«Ah..» mormorai, abbassando nuovamente lo sguardo.
«Beh, allora rimettiti!» mi sorrise, sparendo dalla stanza il più velocemente possibile, quasi a fuggire da quelle quattro mura che cominciavano ad essere strette per entrambi.
Solo quand’era troppo tardi mi accorsi di avere ancora la sua Reflex tra le mani.
Alzai lo sguardo, come se di punto in bianco la sua figura potesse riapparire davanti ai miei occhi, ma vidi solamente il giallo della carta da parati. Guardai ancora la fotografia che mi ritraeva e per la quale avevo perso la sfida contro Tarzan. Era come guardare un estraneo.
Non avrei mai creduto di apparire così.. come dire.. semplice. Di solito, in tutte le foto che mi avevano fatto e in cui mi avevano taggato su facebook, avevo sempre la stessa espressione, quella da figo per intenderci, studiata anno dopo anno davanti allo specchio, ma che mi procurava un’infinità di commenti positivi da parte delle ragazze che la guardavano.
Invece quella era così diversa, sembrava quasi fossi tornato ai primi anni del liceo. Sembravo quasi un ragazzino, dannazione. Una cosa impossibile per Francesco Russo.
Sole era riuscita ad immortalare una parte di me che pensavo di aver perso e l’aveva fatto senza che io mi accorgessi di nulla.
Le foto rubano l’anima..
Quei pensieri subliminali che s’insinuavano di tanto in tanto cominciavano a farmi rabbrividire sul serio, soprattutto perché una parte di me cominciava a crederci. Che quella foto rappresentasse il vero me stesso quando mi trovavo con Sole?
Spensi la macchina fotografica e mi rigirai sul letto, sprofondando la testa nel cuscino. Faceva tremendamente caldo, dannazione, mi stavo sciogliendo come un ghiacciolo.
«Ecco il nostro malatino!» gridò una voce alle mie spalle, seguita da altri tre individui che irruppero nella stanza come dei tori di Pamplona.
«Amico, come ti senti?» mi domandò Stefano, sedendosi pesantemente sul letto e sfiorando, di poco, la mia ferita. «Cazzo, sei il mio idolo! Ti hanno addirittura sparato.. bello, tu gli fai una pippa a Justin Bieber!».
Il solito Stefano, i cui pensieri partivano più dalla parte bassa del suo ventre che da quella alta, se capite cosa intendo.
«Il dottore ha detto che non era grave, ma era molto preoccupato dalla tua bassa pressione» mi spiegò Giorgio. «Sei svenuto per quasi mezza giornata».
«Almeno te la sarai schiacciata Moby, o no?» domandò Giacomo, diretto come sempre.
«Schiacciata?» domandai incredulo.
«Dai, bello, non fare il prezioso. Giò ci ha detto che siete andati soli soletti nel bosco e chissà se le hai mostrato quello per cui tutte le ragazze ti osannano, eh?» si aggiunse Ale, ammiccando.
«Ma piantala, idiota. Mi hanno sparato..» gli dissi io, lievemente imbarazzato.
Non che volessi nascondere chissà cosa, il fatto era che non c’era proprio nulla da nascondere perché tra me e Sole non c’era stato nemmeno un bacio.
«Allora dovremmo aspettare la cenetta romantica a Peschici per vedere qualcosa» suggerì Stefano.
«Mi dispiace, ma non abbiamo vinto un bel niente» gli comunicai affranto.
L’idea che Emanuele –animatore senza cervello- potesse in qualche modo riuscire ad uscire con Sole mi mandava il sangue alla testa, facendolo ribollire per bene.
Invece di trovare un’espressione delusa sul volto dei miei amici, riuscii a scorgervi solamente un sorriso divertito.
«Che c’è da ridere?» chiesi confuso.
«Beh, si dia il caso che non sei il solo ad avere un cervello e un bell’aspetto» sogghignò Stefano.
«Non ti montare la testa, tigre» lo rimbeccò Giacomo. «La bellezza può anche passare, ma di cervello ne vedo ben poco».
«Ma vaffanculo!» e cominciarono a darsele di santa ragione.
«Mi spiegate cosa cazzo sta succedendo?» dissi innervosendomi.
A quel punto intervenne Giorgio, il più pacato del gruppo. «La squadra di Stefano comprendeva anche la guida e, senza giri di parole, posso dirti che hanno barato e si sono aggiudicati una cena a Peschici».
«Cosa?!» esordii incredulo. Forse non tutte le speranze erano perdute.
«Bello, ti cedo il mio posto e l’amica gnocca di Moby farà altrettanto, così avrete un appuntamento servito su un piatto d’argento!» sorrise Stefano.
A quel punto irruppero nella stanza anche Ginevra e Claudia, sorridendo complici.
«Abbiamo organizzato tutto per domani sera» ridacchiarono in coro, guardandosi l’un l’altra con un cenno d’intesa. «Sarai bellissimo, come sempre».
Ero caduto in una sorta di trance mentre loro ancora parlavano. Non avevo nemmeno avuto la forza di smettere di pensare a Sole e domani avrei avuto addirittura un appuntamento con lei. D’altronde sarebbe stato difficile evitarla. Quella scommessa si faceva sempre più difficile da portare a termine, soprattutto se avevo intenzione di non rimanere coinvolto emotivamente.
«Cos’è, amico, sei sbiancato di colpo..» osservò Giorgio preoccupato.
«N-no.. n-non è niente» balbettai confuso, come se mi avessero sorpreso con le mani nella marmellata.
«Abbiamo una proposta da farti, in cambio della cena» se ne uscì Giacomo, rendendo l’atmosfera ancora più calda di quanto non lo fosse già.
«Cosa volete ancora, un’alta scommessa?» sospirai stanco.
«No, una prova» disse Ale.
Non avevo idea di cosa avessero in mente questa volta, ma Sara non era con il gruppetto, perciò pensai non si trattasse di qualcosa di orribilmente diabolico.
«Spara» mormorai secco e serio.
«Vogliamo una foto del tuo bacio con Moby» disse Stefano, guardandomi negli occhi. «Perché non l’hai ancora baciata, vero?» ridacchiò.
«Che cazzo te ne frega!» risposi scontroso. Quella storia stava diventando una vera offesa alla mia virilità e non sapevo quanto ancora sarei potuto andare avanti.
«Allora ci stai?» chiesero in coro, un po’ tutti.
Ormai ero in ballo, tanto valeva ballare. «Affare fatto».

Dopo pranzo m’infilai a forza un paio di sundek e scesi in spiaggia, dove gli altri mi aspettavano sotto gli ombrelloni invasi dalla calura. Camminai zoppicando lungo la passerella e cercai di tenere la testa ben dritta non appena vidi, in lontananza, Tarzan che faceva una delle sue lezioni di windsurf.
La partita è ancora aperta, bastardo, pensai tra me e me, sogghignando come uno stupido.
Non appena raggiunsi le sdraio, notai che anche Sole e le sue amiche erano presenti, sedute in un angolo. Stefano, come al solito, aveva assalito la povera biondina, quella che somigliava a Hilary Duff, mentre l’altra, quella mora e dinoccolata, li guardava come se volesse fulminarli entrambi con lo sguardo.
Il mio, però, non poté evitare d’incrociare quello di Sole.
Mentre gli altri se ne stavano in costume, sbracati sulle sdraio o seduti a ridacchiare tra loro, lei indossava una sorta di vestitino da mare dieci volte la sua taglia, e, notevolmente imbarazzata, cercava di non far notare le gambe un po’ rotonde che spuntavano al di sotto della stoffa. In quel momento mi sembrò così poco a suo agio, come un pesce fuor d’acqua.
«Ehi, bello, non startene lì impalato» mi disse Giorgio. «Siediti».
Obbedii senza fiatare e non potei fare a meno di trovarmi pericolosamente vicino a Sara che se ne stava seduta, in un mini-bikini, intenta a leccare troppo maliziosamente un cono gelato. I suoi occhi verdi erano fissi nei miei, mentre io tentavo di trovare più interessante la mia unghia dell’alluce piuttosto che ritrovarmi davanti a quella scena ambigua.
La mia sofferenza, però, s’interruppe quando Sara decise di alzarsi e di fare qualche passo in direzione del bagnasciuga, muovendo sinuosamente i fianchi solo per farsi guardare il culo. Un trucco vecchio come il cucco, ma quello che mi ero immaginato non corrispose affatto con ciò che accadde realmente.
Sara andò da Sole, invitandola a sedersi accanto a me, cedendole gentilmente il suo posto. Rimasi sorpreso da quella sua cortesia, ma non appena vidi il sorriso, anzi il ghigno, che le si era dipinto in volto, tentai di fermarla in ogni modo. Senza che Sole potesse fare nulla, ‘casualmente’ Sara le fece cadere tutto il gelato addosso, macchiandole completamente il vestito e spalmando per bene il cioccolato dappertutto.
«Ah!» strillò Sole, mentre Sara accampava false scuse.
«Oddio come mi dispiace, togliti il vestito» le disse, cominciando a sfilarlo con la forza.
«No, ferma.. ti prego» insistette Sole, tirando i lembi dell’indumento verso il basso.
A quel punto mi sentii in dovere di intervenire, almeno per allontanare quella pazza maniaca dalla povera Sole, ma fui battuto sul tempo.
«Voi due, piantatela» s’impuntò Giorgio, tirando fuori una personalità forte che non gli avevo mai visto.
Sara lo guardò stupita, rimanendo completamente sorpresa da come avesse potuto anche pensare di remarle contro. Gli occhi nocciola di Giorgio, però, erano fermi e non ammettevano replica.
«Le stavo solo suggerendo di togliersi il vestito» si giustificò. «Non vedo dove sia il problema, fanno quaranta gradi all’ombra e siamo al mare».
Era evidente quale fosse il vero intento di Sara: umiliare Sole ancora di più, facendole mostrare il suo fisico coperto unicamente dal costume. L’avevo capita sin dal primo sguardo che mi aveva rivolto e sarei dovuto intervenire tempestivamente, senza che Giorgio si mettesse di mezzo.
«Perché non te lo togli?» le domandò ingenuo, non capendo affatto il motivo del suo imbarazzo.
Sole si tenne il vestito ancor più stretto al petto, fissando in basso con le guance che man mano le s’imporporavano sempre di più.
«Senti, tu, brutta baldracca!» gridò una delle amiche di Sole.
«Vedi di girare alla larga da lei, noi ti teniamo d’occhio» rispose l’altra, schierandosi davanti a Sara come a fare da scudo.
A quel punto dovevo dare un taglio a tutta quella pantomima che si era creata, anche perché cominciava ad attirare l’attenzione anche di altri villeggianti. Mi alzai in piedi, ancora un po’ traballante, e mi diressi verso Sole prendendola per mano.
«Vieni con me» le dissi, mentre lei non accennava a muoversi. Il comportamento di Sara l’aveva completamente scossa, tanto che non riusciva più a fidarsi. Non sapevo come fare per convincerla, non mi veniva in mente nulla. Cosa avrebbe fatto lei, se le posizioni si fossero invertite?
«Ti fidi di me?» le dissi, cercando in tutti i modi di non guardare gli altri. Cos’ero? Ammattito tutto d’un botto? Quale altra frase strappalacrime avrei tirato fuori dal repertorio?
Sole sembrava dubbiosa e incerta. Se fossi stato al suo posto mi sarei risposto un secco e deciso NO, girandomi dall’altra parte, e quella sarebbe stata la risposta più giusta per entrambi.
«Sì..» ammise timidamente, afferrando la mia mano e lasciando gli altri completamente sbigottiti a fissarci, mentre ci allontanavamo sul bagnasciuga.
Camminammo per un po’ di tempo, trovando una nicchia dove ripararci e dove tentare di rimediare al danno fattole da Sara. Con un gesto di rinnovata cavalleria mi sfilai la maglia che avevo indosso e gliela porsi.
«Fai a cambio con il tuo vestito» le suggerii, capendo quanto potesse essere difficile, per lei, stare semplicemente in costume davanti agli altri.
O magari davanti a te..
Quel pensiero egoistico mi fece gonfiare il petto d’orgoglio. Non mi ero mai sentito così strano in tutta la mia vita, nemmeno quando ero stato con quella letterina della tv. Possibile che il giudizio di Sole contasse così tanto?
«Grazie.. ma..» farfugliò lei, sempre più rossa in viso.
Forse non mi ero sbagliato poi tanto, magari il problema ero davvero io.
«O-oh, scusa.. mi giro se vuoi» le dissi, voltandomi di scatto.
Lei attese qualche secondo, poi sentii il fruscio della stoffa e compresi che si stava cambiando. Da vero gentiluomo avrei dovuto attendere pazientemente senza sbirciare.. ma io, gentiluomo, non lo ero mai stato, perciò, con la coda dell’occhio, non riuscii a resistere.
Si stava sfilando il vestitino dalla testa, rimanendo completamente esposta al mio sguardo ingordo mentre potei appurare che, anche se bella in carne, non era poi fatta male. Le curve erano ai punti giusti, lasciandole la vita piuttosto sottile e il seno.. beh.. perfetto. Mi sentii come un ragazzino maniaco che spiava le compagne di classe nello spogliatoio femminile, magari facendosi una sega, ma tentai di reprimere quei pensieri sconci o avrei avuto seri problemi. Il mio caro Walter già era in astinenza da almeno due mesi, non serviva che venisse ulteriormente stimolato.
«Hai fatto?» le chiesi, deglutendo in risposta ad una nuova vampata di calore.
Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso, nonostante la sua posizione fosse talmente goffa e ridicola che non avrebbe attirato l’attenzione di nessuno, se non per una grossa risata. Il vestito le si era incastrato con il mollettone che teneva nei capelli e le mani erano rimaste intrecciate nelle maniche, bloccandogliele sopra la testa. Di tanto in tanto saltellava sgraziatamente, nella speranza di districarsi, ma non faceva altro che ondeggiare tutte quelle curve, tanto da farmi girare la testa come dopo aver visto un Gran Premio di F1. Dovevo mettere fine a tutto quello, anche perché il mio amico Walter cominciava a lamentarsi ai piani bassi.
«Ti aiuto» le dissi e prima che potesse fermarmi in qualche modo, le tolsi il vestito con un gesto secco e le infilai la maglietta con altrettanta velocità, sperando di coprire tutto e pregando che la mia fantasia non si spingesse oltre.
Fortunatamente la T-shirt era talmente enorme che funzionò alla perfezione, respingendo qualsiasi pensiero a sfondo sessuale dalla mia testa pervertita. Ero salvo, almeno per il momento.
«Credo tu abbia qualcosa in tasca» mi fece notare Sole, ingenuamente, indicando il mio cavallo un po’ troppo ingombrante. Sarebbe stato confortante se, a quel punto, le avessi restituito la Reflex, tirandola fuori direttamente dalla mia tasca e giustificando tale gonfiore.
Purtroppo non avevo nulla, ahimè.
«L’acqua è fantastica, credo mi farò un bel bagno nel frattempo» dissi in fretta, cercando in tutti i modi di nascondere quel piccolo problema che era sorto in relazione al caldo e alle emozioni che avevo provato poco prima.
«Ma l’acqua è gelata!» mi disse lei, ignara di tutto ciò che era successo.
«Tanto meglio» borbottai, tuffandomi e spegnendo tutti  quei bollori che m’invadevano ogni fibra del corpo.
Era una fortuna che Sole fosse così ingenua e inesperta in materia di relazioni sentimentali, almeno mi ero salvato una figura di merda grande come il Canada.
«Ci sono dei bambini, maiale che non sei altro!» sorrise Tarzan sadico, passando con il suo windsurf e finendo di umiliarmi per bene, come se non mi fossi meritato abbastanza.
«Attento agli squali» gli risposi, vendicativo. «So che preferiscono le checche tatuate come te!».
Quello alzò il dito medio senza fare tanti complimenti e mandò un bacio a Sole, che lo salutò imbarazzata. Non c’era modo per descrivere l’odio che provavo nei suoi confronti, era incommensurabile. L’unica nota positiva, allo scadere di quelle due settimane, sarebbe stato il non rivedere più quella sua brutta faccia in giro.
Sole si riprese subito da quella situazione imbarazzante e si sedette sugli scogli, immergendo i piedi nell’acqua e rivolgendo il viso verso l’alto. Non appena appurai che l’acqua gelida mi aveva completamente pietrificato, nuotai verso di lei e la raggiusi, sdraiandomi su uno scoglio quasi interamente coperto dall’acqua.
Era sempre meglio non rischiare che mi vedesse, anche perché Sole era un po’ ingenua ma non stupida.
«E insomma domani sera abbiamo un bell’appuntamento» me ne uscii, sorridendole come un’imbecille.
Lei si riscosse immediatamente dai suoi pensieri e strinse ancor di più le gambe al petto, abbassandosi la maglietta fin quasi a lacerarla. Le lentiggini erano più scure del solito, a causa del sole, ma il rossore sulle sue guance tornava ad essere disorientante per me.
«E già..» sussurrò imbarazzata.
«Non sembri molto entusiasta» la punzecchiai, tastando il terreno. Dal momento che Sole era un grosso punto interrogativo per me, decisi di affidarmi alle parole che, perlomeno, non sarebbero state fraintese.
«No, no!» si affrettò a rispondere, guardandomi con quei suoi occhi d’onice spalancati. A quel punto si accorse di aver avuto una reazione piuttosto esagerata e abbassò il capo tentando di nascondere un ulteriore rossore, ma a me non sfuggì nulla della sua magnifica espressione.
Quelle sue reazioni spontanee mi prendevano sempre alla sprovvista e non sapevo come reagire ad esse. Era tutto nuovo per me, stare a contatto con una persona tanto emotiva. Le week-girl con cui ero sempre uscito riuscivano a stento ad esprimersi a parole, ovviamente compensando in altro ambito, ma in quanto ad espressività facevano concorrenza alle scimmie del Bioparco.
«Non è che sia scontenta» cercò di riprendersi, facendomi sorridere, «ma io.. i-io non sono molto abituata a questo genere di cose».
Continuava a torturare il lembo della mia maglietta e il suo nervosismo cominciava ad infastidirmi. Capirai, saremo andati a cena fuori, mica le sarei saltato addosso!
Come hai quasi rischiato di fare prima? Mi ricordò la mia coscienza, sempre pronta a punzecchiarmi.
«È solo una cena» le dissi, capendo tardi di aver sminuito un po’ troppo la cosa.
«Beh, sì..» soffiò lei, con un tono appena udibile.
Mi maledissi per essere così dannatamente insensibile in certi momenti e quando vidi il suo sguardo rabbuiarsi, fu come se la sua infelicità contagiasse anche me.
«Con ciò» cercai di riprendermi, «non vuol dire che dobbiamo andare vestiti come due straccioni, ho ragione?» e le feci l’occhiolino. «Propongo di rispolverare il galateo e vestirci eleganti per una volta».
Non appena vidi un timido sorriso riaffiorare all’angolo delle sue morbide labbra, non potei fare a meno di sentirmi leggero come una piuma, neanche avessi fumato dell’erba. Quella sua emotività mi stava sempre più contagiando, maledizione, e non sapevo se sarei riuscito a farci mai l’abitudine.
Seguì un lungo momento di silenzio, dove i nostri sguardi puntarono contemporaneamente all’orizzonte. Il fruscio del vento e l’infrangersi delle onde sugli scogli davano a quel posto un senso di tranquillità quasi etereo e mi sentii stranamente felice di condividere quel momento con Sole.
Anche se a sua insaputa c’era ancora la scommessa in ballo e c’erano le foto del primo bacio e la prima volta che le avrei dovuto rubare come un ladro, la prospettiva di altri giorni come quello non mi spaventava più come all’inizio.
Dovevo solo stare attento a non farmi sparare.. di nuovo.


RINGRAZIAMENTI:
Che parto, questo capitolo! Non riuscivo a vederne la fine, perchè non sapevo davvero cos'altro inventarmi.. uff.. alla fine, però, sono riuscita a scribacchiare qualcosina. Povero Francy, la sua coscienza non lo lascia in pace, è una tortura bella e buona, inoltre, ci si mette anche Walter (omaggio alla fantastica Lucianina Littizzetto xD) non so proprio come sia riuscito a trattenersi, soprattutto perchè Sole non si rende conto di essere molto appetibile :3
Beh, vogli ringraziare i 5 commentini che mi avete lasciato lo scorso capitolo [abbiamo battuto un nuovo record! La prox volta arriviamo a 6!!! uhuhuh]: La Viola, Caline, rei22688, Clithia (ti lovvo xD -> solo noi possiamo intenderci <-) e nes_sie.
Inoltre ringrazio le 21 persone che seguono questa storia e le 254 visite ricevute, ringrazio anche i lettori silenziosi.
Un bacio,
Marty


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