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Autore: lyrapotter    10/05/2011    3 recensioni
Quarta classificata al terzo turno del Club dei Duellanti di Fabi_, Vogue91 e lilyblack
[Charlus Potter/Dorea Black]
La prima volta che si erano parlati erano sulla strada di ritorno da Hogsmeade, in quello che si sarebbe rivelato il più gelido pomeriggio di gennaio del loro sesto anno.
Forse dire per la prima volta è un po’ estremo: in fondo, nei cinque anni e mezzo precedenti qualche occasione di scambiare due parole tra una lezione e l’altra era sicuramente capitata. Diciamo che quella fu la prima volta che parlarono davvero
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Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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DISCLAIMER: Harry Potter e tutti i suoi personaggi appartengono a JK Rowling e a chi ne detiene i diritti. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

N.B. le parti in corsivo sono i pensieri dei personaggi.

Fanfiction partecipante al terzo turno del Club dei duellanti indetto da Vogue91, Fabi_ e Lilyblack sul forum di EFP

LA PRIMA VOLTA CHE…

La prima volta che si erano visti erano in Sala Grande, il primo settembre di molti anni fa, la sera del loro Smistamento.

Quella cerimonia non sortiva per loro un grande interesse. Entrambi sapevano già a quali case erano destinati: le tradizioni di famiglia sono dure a morire.

Lei fu una delle prime a essere chiamata. Era piccola e minuta, dall’aria quasi fragile, ma gli occhi azzurri brillavano di orgoglio, l’orgoglio proprio della sua famiglia. Nessuno si stupì quando, quasi senza esitazione, il Cappello Parlante la smistò a Serpeverde: con grazia raggiunse i fratelli e cugini che già la stavano aspettando, fieri e alteri.

Lui, per contro, dovette aspettare parecchio prima che arrivasse il suo turno… E la pazienza non era mai stata il suo forte: per quando il professor Silente era arrivato a chiamare la P, praticamente non riusciva a stare più fermo sul posto dall’eccitazione. Inciampò tre volte nella foga di arrivare allo sgabello e appena il Cappello pronunciò il suo prevedibile verdetto, si era già precipitato al tavolo di Grifondoro con la sua tipica irruenza, guadagnandosi un’occhiata di rassegnata sopportazione dalla sorella maggiore.

Non avrebbero probabilmente potuto comportarsi in modo più diverso.

Si guardarono soltanto un’altra volta quella sera, durante il banchetto di inizio anno dai rispettivi tavoli: nessuno dei due lo fece con vera consapevolezza e nessuno dei due notò l’occhiata dell’altro. Lei pensò che quel ragazzino avrebbe forse potuto starle anche simpatico se qualcuno gli avesse insegnato come ci si comporta a tavola (e se non fosse stato un Potter, ovviamente); lui pensò che quella bambina avrebbe potuto anche essere carina se qualcuno le avesse tolto il manico di scopa che sembrava magicamente attaccato alla sua schiena (e se non fosse stata una Black, ovviamente).

Si liquidarono a vicenda con una scrollata di spalle prima di tornare a prestare attenzione ai rispettivi parenti: non fosse bastata la rivalità tra case a metterli l’uno contro l’altra, ci avrebbero pensato il più o meno cordiale astio che regnava tra le loro famiglie e ideali più o meno opposti a tenerli separati.

A nessuno dei due la cosa pareva una grande tragedia.

*******

La prima volta che si erano parlati erano sulla strada di ritorno da Hogsmeade, in quello che si sarebbe rivelato il più gelido pomeriggio di gennaio del loro sesto anno.

Forse dire per la prima volta è un po’ estremo: in fondo, nei cinque anni e mezzo precedenti qualche occasione di scambiare due parole tra una lezione e l’altra era sicuramente capitata. Diciamo che quella fu la prima volta che parlarono davvero.

Parecchie cose erano cambiate dal loro smistamento.

Dorea Black era la più giovane della sua generazione e pertanto ormai l’unica a frequentare ancora Hogwarts: privata della barriera protettiva che le avevano offerto i suoi fratelli e cugine negli anni precedenti, le sue debolezze erano inevitabilmente venute alla luce. Era sola e ne soffriva, schiacciata dal peso di una salute non proprio florida e della responsabilità che i suoi genitori le avevano caricato sulle spalle: spettava a lei portare un po’ di lustro alla casata dei Black, dopo lo scandalo che aveva portato Pollux, l’ostinazione di Cassiopea e la vergogna di Marius. E Dorea non era affatto certa di essere forte abbastanza per sopportare quella responsabilità.

Charlus Potter, al contrario, non era l’unico Potter ad Hogwarts e questo aveva in gran parte contribuito a levigare la sua irruenza e vivacità infantili. Che comunque non erano nulla se confrontate con quelle del fratello minore, John, che frequentava il terzo anno ed era causa di perenne disperazione dei suoi genitori, dei suoi insegnanti e di Charlus stesso. La prospettiva di dover fare da babysitter a John ed evitare che si cacciasse in più guai del normale erano stati determinanti perché Charlus si desse la calmata necessaria per guadagnarsi, con sua sorpresa, anche la carica di Prefetto l’anno precedente.

Fu una palla di neve a metterli l’uno sulla strada dell’altra, una palla di neve che Charlus aveva diretto all’esasperante fratellino e che invece centrò Dorea in pieno volto.

Avrebbe dovuto finire tutto con molte scuse imbarazzate e il probabile annegamento di John nel lago, non fosse che quando Charlus aveva guardato la ragazza in volto vi aveva visto qualcosa che assomigliava spaventosamente a lacrime. E il suo senso della cavalleria gli impediva di abbandonare una damigella in difficoltà, fosse pure una Serpeverde e una Black.

Liberarsi di John era stato facile (il ragazzino era ben lieto di poter andare a combinare un po’ di danni lontano dalla supervisione del noioso fratello maggiore), così Charlus era stato libero di chiederle: "C’è qualcosa che non va?".

Dorea gli aveva scoccato uno sguardo di sufficienza, addestrata a nascondere il suo vero stato d’animo dietro la maschera più impenetrabile. "Cosa ti fa pensare che io abbia un problema, Potter? E, soprattutto, perché pensi che la cosa dovrebbe riguardarti?".

"Non te l’ha mai detto nessuno che è maleducazione rispondere a una domanda con un’altra domanda?".

Dorea arrossì di indignazione e rabbia: come si permetteva quel Potter di parlare in quel modo? E darle lezioni di galateo, poi, considerato che sapeva a malapena come stare seduto composto in classe. "Non sono affari tuoi" dichiarò, indispettita.

Si voltò per andarsene, ma Charlus era abbastanza ostinato da non farsi scoraggiare dalla prima risposta sgarbata che riceveva. In effetti, era difficile che si facesse scoraggiare da alcunché: aveva una visione della vita estremamente positiva.

"Sai, non dovresti andare in giro con questo freddo: sei uscita dall’Infermeria nemmeno una settimana fa".

Dorea si voltò verso di lui, sorpresa e anche un po’ sospettosa. "E tu che ne sai, Potter? Mi spii forse?".

"Chi, io? Ho di meglio da fare che spiare te, Black. Ma ormai lo sanno anche le armature che se non sei in classe, sei in Infermeria a riprenderti dall’ultimo dei tuoi malori: te l’ha mai detto nessuno che hai la salute più cagionevole di un uccellino?".

Dorea scrollò le spalle, senza sapere cos’altro dire. Quel ragazzo la confondeva, l’aveva sempre fatto: era sempre così dannatamente allegro e pieno di energia e irritante e così diverso da lei che non avrebbe saputo da che parte intavolare una conversazione nemmeno se avesse voluto. E non riusciva proprio a capire perché, dopo cinque anni di reciproco ignorarsi, Potter fosse lì, in quel momento, a preoccuparsi per lei.

"Perché ti interessa? Non mi hai mai rivolto la parola prima d’ora".

Charlus alzò le spalle a sua volta, sorridendo. "Non lo so. Ma è piuttosto strano che qualcuno decida volontariamente di uscire in una giornata come questa per andare al villaggio con il rischio di congelare a meno che non sia successo qualcosa di brutto".

"Non è successo nulla di brutto" ribatté Dorea. "E comunque anche tu sei andato ad Hogsmeade, mi pare".

"Stavo facendo da accompagnatore a mio fratello" spiegò Charlus. "I nostri genitori non si fidano a lasciarlo andare in giro da solo: piuttosto triste, considerato che ha tredici anni, ma tant’è… E tu? Perché all’aperto a congelarti il naso?".

Dorea sospirò, guardando ovunque tranne il ragazzo con cui stava parlando. "Oggi è il compleanno di mio fratello Marius".

"Credevo che tuo fratello si chiamasse Pollux" osservò Charlus perplesso.

"Infatti. Marius è l’altro mio fratello, quello di cui non dovrei nemmeno parlare".

"Non ti seguo".

"Marius è stato diseredato" spiegò Dorea, sempre tenendo lo sguardo fisso sugli alberi innevati. "I miei genitori l’hanno cacciato di casa quando ha compiuto undici anni… Perché era un Magonò".

Charlus aprì la bocca per dire qualcosa, ma non ne uscì nessuno suono: era troppo disgustato da quello che Dorea gli aveva appena detto. Sapeva delle idee radicali dei Black riguardo la purezza di sangue e che i Magonò non erano visti di buon occhi anche in famiglie ben meno radicali, ma la sola idea di abbandonare al suo destino un ragazzino di undici anni solo perché privo di magia gli faceva orrore. Come si poteva fare una cosa del genere?

"Avevo otto anni quando Marius se n’è andato" proseguì Dorea, apparentemente inconsapevole della reazione del suo ascoltatore. "Era il mio preferito, sai, l’unico che mi stava sempre a sentire, che si comportava da fratello con me… E ora non so nemmeno se sia ancora vivo".

"È raccapricciante" sbottò Charlus senza riuscire a trattenersi. "Come hanno potuto i tuoi genitori fare una cosa del genere?".

"È così che funziona tra i Black: ogni motivo di disonore è accuratamente nascosto sotto il tappeto e mai più menzionato. Avere partorito un Magonò è una delle peggiori vergogne che si possa immaginare, perciò Marius doveva sparire".

"E tu credi sul serio a questa vagonata di stupidaggini?".

"Sei un Potter, non puoi capire".

"Prova a spiegarmelo" la sfidò Charlus. "Perché da come sei sconvolta in questo momento, non mi sembra proprio che tu creda a quello che hai appena detto".

Dorea non rispose. Non poteva certo dire a Potter che aveva ragione, che non credeva più da tempo che il modo di agire della sua famiglia fosse giusto, che avrebbe dato qualunque cosa per riavere indietro suo fratello… Ma non poteva, non era quello che i suoi genitori si aspettavano da lei: era una Black, doveva essere forte e sprezzante e non sprecare nemmeno un secondo del suo tempo con Purosangue di seconda categoria come Charlus Potter.

"Scusami, Potter, devo andare. E ti sarei immensamente grata se non mi seguissi… O riferissi a qualcuno di questa conversazione".

E si allontanò più velocemente che poteva, prima che Charlus potesse trovare una nuova scusa per trattenerla, per confonderla ancora di più.

Il ragazzo rimase indietro a osservarla diventare un punto nero sempre più piccolo in quell’oceano di neve bianca e non poté fare a meno di pensare che Dorea Black era diversa da come l’aveva sempre immaginata. E non in senso cattivo.

*******

La prima volta che si erano baciati erano in Infermeria, dove Dorea era ricoverata per un brutto raffreddore autunnale.

Era settembre, quasi nove mesi dopo quella loro prima, strana chiacchierata e alcune cose erano cambiate, più che altro per merito di Charlus, che in qualche momento non meglio precisabile aveva deciso di dover salvare la ragazza prima che la sua famiglia divorasse completamente la sua anima e la trasformasse in una fredda strega senza sentimenti.

Dorea all’inizio aveva cercato di evitarlo, perché Charlus era in pratica riuniva in sé tutto quello che lei avrebbe dovuto disapprovare (se non addirittura odiare), ma aveva scoperto in fretta che sbarazzarsi di lui non era affatto facile.

E, con sua somma sorpresa, aveva anche constatato che tutto sommato la compagnia di Potter non le dispiaceva, anche se parlava decisamente troppo per i suoi gusti (talvolta le veniva da chiedersi se si fermasse mai per respirare) e spesso finivano per litigare e non parlarsi per qualche giorno. Ma poi Potter tornava sempre all’attacco, come se nulla fosse successo.

Questa era forse la cosa che più la confondeva di quello strano rapporto: lei e Charlus erano diversi come il giorno e la notte, non avrebbe potuto essere più evidente, eppure il ragazzo continuava a starle dietro anche se nessuno lo costringeva a farlo. Per lei, abituata a frequentare perlopiù persone perché obbligata a farlo (che fosse per questione di parentela o di convenienza sociale non faceva differenza), era una cosa strana e un po’ destabilizzante, ma anche piuttosto piacevole.

Quanto a Charlus, se qualcuno glielo avesse chiesto (e John glielo chiedeva praticamente ogni giorno che Dio mandava in terra), nemmeno lui avrebbe saputo dire con esattezza perché diventare amico di Dorea Black gli sembrasse tanto importante, né cosa ci fosse di così affascinante in quella ragazza.

Fatto sta che per l’inizio del loro settimo anno, avevano sviluppato una sorta di amicizia non meglio definibile ed avevano cominciato a chiamarsi per nome.

"Un giorno di questi mi spiegherai come riesci a essere sempre ammalata" ridacchiò Charlus, prendendo posto su una sedia accanto al letto della ragazza. "Insomma, ormai l’Infermeria dovrebbe essere intitolata a tuo nome".

Dorea scrollò le spalle, soffiandosi il naso. "È poco più di un raffreddore: starò meglio in un paio di giorni. E questi commenti sul mio stato di salute iniziano a diventare monotoni, sai?".

"Già, probabilmente hai ragione, dovrei proprio trovare qualcosa di nuovo su cui prenderti in giro".

"Non era questo che intendevo, Charlus!" sbottò Dorea, indignata, dandogli una pacca sul braccio.

"Farti arrabbiare è sempre così divertente, Black!" rise il ragazzo. "Per passare ad un argomento più serio, ti ho portato un po’ di compiti e appunti". Tirò fuori una pila di fogli di pergamena e gliela scaricò in grembo. "Parola mia, se Trasfigurazione continua di questo passo, avrò bisogno di un miracolo per prendere un M.A.G.O. decente".

"Sei troppo melodrammatico" sbuffò Dorea, dando una rapida occhiata ai fogli. "Silente è il miglior insegnante che abbiamo".

"Aspetta, aspetta, aspetta".

"Cosa?".

"Tu, una Serpeverde e per di più una Black, hai appena detto che Silente, il direttore della Casa di Grifondoro nonché più noto Babbanofilo dell’intera comunità magica, è il nostro migliore insegnante? Sicura di non avere la febbre e star delirando?".

Dorea alzò gli occhi al cielo. "Quando mi comporto da Black, ti arrabbi con me, quando faccio qualche commento gentile, mi prendi in giro… Non c’è proprio modo di accontentarti, vero? Comunque, Silente è davvero l’insegnante migliore che abbiamo e lo sanno pure gli altri Serpeverde, anche se non lo ammetterebbero nemmeno sotto Cruciatus".

Charlus ridacchiò, lanciandole un’occhiata pensierosa. "Sei fantastica, Dorea".

"Grazie. Perchè?".

"Non lo so: mi andava di dirlo".

La ragazza sbuffò, scuotendo il capo. Non c’era nulla da fare, per quanto si sforzasse, a volte non riusciva proprio a capirlo. "E tu sei senza speranza, Charlus".

"Lo prenderò per un complimento. Meglio che vada: tra poco serviranno la cena e non voglio fare tardi".

"Non sia mai" commentò Dorea in tono sarcastico. "Grazie della visita, ci vediamo domani".

"Come no" le assicurò Charlus, alzandosi in piedi. Stava per girarsi e andarsene quando si fermò bruscamente, colto da un’idea improvvisa.

"Che c’è?" domandò Dorea.

Prima che potesse aggiungere altro, Charlus si chinò verso di lei e le diede un bacio. Nulla di davvero serio, poco più di uno sfiorarsi di labbra, ma era pur sempre un bacio.

Dorea lo guardò sorpresa e pure un po’ indignata. "Perché diavolo l’hai fatto".

"Non lo so: mi andava di farlo".

"Sparisci dalla mia vista, Potter".

Charlus si limitò a sorridere e salutarla con la mano mentre usciva. "Guarisci presto".

Dorea si accasciò contro i cuscini, le braccia incrociate al petto, una smorfia imbronciata non proprio matura dipinta in volto. Aveva cercato di suonare più arrabbiata di quanto in realtà non si sentisse, perché era quella la reazione che avrebbe dovuto avere, perché Potter non avrebbe mai nemmeno dovuto pensare di baciarla, non avrebbe nemmeno dovuto parlarle tanto per cominciare, perché i suoi genitori l’avrebbero probabilmente fatta a pezzi se fossero venuti a saperlo…

Ma giudicare dall’espressione di Charlus, nemmeno lui ci aveva creduto per un solo secondo. E non era sicura se la cosa fosse un bene o un male.

*******

La prima volta che Dorea aveva capito che la loro relazione era davvero seria passeggiavano nel parco, sulle rive del Lago Nero.

La neve cominciava a sciogliersi mentre febbraio cedeva il passo a marzo e loro ne approfittavano per stare insieme, lontano dalle occhiate indiscrete degli altri studenti.

Non sapevano più dare un nome al loro rapporto, ormai: non erano più semplici amici, ma non erano nemmeno fidanzati.

C’erano stati altri baci, dopo quel primo in settembre, e ogni volta Dorea si era ritrovata combattuta tra il desiderio di stare con Charlus in eterno e il pensiero che fosse qualcosa di sbagliato. Finora aveva prevalso il secondo: le bastava immaginare i probabili sguardi di disapprovazione dei suoi famigliare per respingere Charlus e prendere la decisione di non rivederlo più.

Fino a quel momento, quell’ultima parte non era riuscita a metterla in pratica. Non voleva rinunciare a Charlus, le piaceva stare con lui, parlare con qualcuno che stava davvero a sentire cosa diceva e non la giudicava. E per non perdere tutto ciò, doveva semplicemente ripulire il loro rapporto da qualunque cosa di fisico fosse scattata tra loro e riportare il tutto sui sicuri binari dell’amicizia.

Sarebbe stato facile se Charlus fosse stato d’accordo. Ma lui non voleva tornare ad essere semplici amici, voleva proprio il contrario: quel primo bacio venuto dal nulla gli aveva fatto capire quanto davvero volesse bene a Dorea, ben più di quanto avesse pensato in principio. Gli piaceva, gli piaceva davvero, ma ben più di come avrebbe potuto piacergli un’amica.

Così, mentre camminavano fianco a fianco nel parco ancora bianco, lei cercava le parole per rompere e lui per rendere le cose ufficiali.

"Dobbiamo parlare".

Si sorrisero imbarazzati per aver deciso di parlare proprio nello stesso momento.

"Prima tu" gli offrì Dorea, nella speranza così di guadagnare un altro po’ di tempo per mettere insieme le parole giuste.

Charlus prese un respiro profondo. "Se ti chiedessi di stare con me, cosa mi risponderesti?".

"Non siamo già insieme?".

"Non in quel senso".

Dorea corrugò la fronte, perplessa, mentre il reale significato della domanda si faceva strada nella sua mente. Sgranò gli occhi, improvvisamente spaventata. "Charlus, non possiamo".

"Perché no? Non mi risulta che tu abbia un altro fidanzato o qualcosa del genere e non mi pare che la mia compagnia ti dispiaccia più di tanto…".

La ragazza arrossì leggermente, pensando a cosa facevano ormai il più delle volte che si trovavano insieme. Che comportamento disdicevole, si ritrovò a pensare all’improvviso. Mamma mi prenderebbe a frustate se sapesse cosa sto facendo. "Non è questo il punto, Charlus".

"E allora qual è il problema?".

"I miei genitori non approveranno mai".

Di colpo, mentre si girava verso di lui e lo guardava dritto nei suoi occhi nocciola, si sentì molto ipocrita: da quanto tempo aveva ormai smesso di prestare davvero attenzione a quello che i suoi genitori pensavano?

Ubbidiva perché doveva farlo, perché non voleva essere scacciata e perché una parte di lei desiderava ancora la loro approvazione, ma la verità era che tra i Black non si era mia sentita davvero felice, non da quando Marius se n’era andato, perlomeno. Con Charlus, invece, era tutto così stranamente facile, nonostante le loro molte differenze: era tutto così facile e perfetto da farle paura, una paura matta. E nascondersi dietro agli ideali dei Black era il modo migliore per scappare da tutto questo, per non farlo diventare reale. Che cosa vuoi davvero, Dorea? Hai una possibilità di essere felice, perché non vuoi sfruttarla?

Charlus la guardò con un’espressione insolitamente seria dipinta in volto. "Perché pensi che i tuoi genitori non mi approveranno? Sono Purosangue, di famiglia abbastanza antica, piuttosto ricco…".

"E un Grifondoro babbanofilo" aggiunse Dorea. "Senza contare che mio padre odia il tuo con una devozione che oserei definire quasi religiosa da quando gli ha messo i bastoni dalle ruote alle ultime elezioni".

"Le questione dei nostri vecchi non dovrebbero riguardarci Dorea, non credi? Quanto al resto, sono quello che sono e non ho intenzione di cambiare il mio modo di pensare per compiacere tuo padre".

Dorea annuì, facendo per dire qualcosa, ma fu subito interrotta. "Ciò non di meno, sono anche convinto che con la giusta dose di persuasione, riuscirò a convincerlo a darci la sua benedizione".

"Come?".

"Beh, tanto per cominciare sono adorabile" rispose Charlus con un sorriso sghembo, guadagnandosi una pacca sulla spalla. "Secondo sono incredibilmente ostinato, il che vuol dire che se mi metto in testa qualcosa niente e nessuno mi farà cambiare idea. E io ho deciso di voler stare con te, perciò farò tutto quanto è in mio potere e anche di più per far sì che ciò si realizzi".

"Tu sei pazzo".

"Probabile" commentò il ragazzo con un’alzata di spalle, come se il commento non lo riguardasse. "Ti va di essere pazza insieme a me?".

"Cosa dirà la tua famiglia?" domandò Dorea, ancora incerta se abbandonarsi o no a quella proposta tanto allettante. "Non cercheranno di opporsi?".

"Mio padre brontolerà un po’, minaccerà di togliermi l’eredità, si renderà conto che in quel caso andrà tutto a John, tornerà sui suoi passi alla velocità della luce e alla fine riuscirà pure a essere felice per me. Quanto a mia madre, sono convinto che si metterà a piangere di gioia e ti adorerà dal primo momento: lei adora tutti, del resto".

"Sembra meraviglioso" sospirò Dorea, desiderando all’improvviso di poter avere una madre del genere.

"Allora, cosa mi rispondi?".

Dorea esitò a lungo prima di rispondere, fissandolo: la speranza brillava nei suoi occhi, insieme all’ombra della paura di un possibile rifiuto. Una sola parola poteva distruggerlo o renderlo l’uomo più felice della terra. Era tutto nelle sue mani.

"Sì".

Ed era una scelta che non avrebbe mai rimpianto.

*******

La prima e unica volta in cui Charlus ebbe davvero paura di perderla, era al numero dodici di Grimmauld Place, la residenza dei Black, per l’esattezza nello studio di Cygnus Black I.

Il padre di Dorea, forse uno degli uomini più inquietanti che avesse mai visto, gli stava di fronte, un’espressione di gelida indifferenza dipinta in volto, mentre soppesava le parole che il giovane gli aveva appena detto.

Era novembre, cinque mesi dopo i suoi M.A.G.O e Charlus non si era mai sentito tanto nervoso come in quel momento. Poche parole e quest’uomo potrebbe distruggere il mio futuro. Il nostro futuro.

Aveva trascorso ogni istante dal momento in cui aveva lasciato Hogwarts a cercare di farsi ben volere dalla famiglia Black, in particolare da Cygnus, in modo da poter ottenere il permesso di fidanzarsi ufficialmente con Dorea quando si fosse fatto avanti.

Non era stato facile: al loro primo incontro, Cygnus l’aveva quasi cacciato di casa a calci, appena aveva scoperto che non solo era un Potter, ma proprio il figlio di quel Jamison Potter che alcuni anni prima gli aveva impedito di diventare Ministro della Magia. Per loro fortuna, Dorea aveva scelto un’occasione ufficiale (la festa di fidanzamento di sua cugina Charis), perciò ragioni di decoro avevano impedito che accadesse sul serio, ma l’inizio non era stato dei migliori.

Da quel momento, con somma irritazione del signor Black, Charlus aveva continuato a presentarsi a Grimmauld Place sfruttando ogni minima scusa che gli si presentasse, cercando di rendersi il più piacente possibile. Non aveva finto di approvare la mentalità dei Black (non sarebbe stato disposto a mentire nemmeno per Dorea), ma era stato abbastanza furbo dal non fare mai commenti e tenersi sul generico quando certe questioni venivano a galla nelle conversazioni.

Così, lentamente, lui e Dorea erano arrivati alla convinzione che Cygnus fosse arrivato, se non proprio a farselo piacere, quanto meno ad accettarlo. Di certo, la proposta che gli faceva quel giorno non poteva essere una sorpresa: quanti motivi potevano esserci perché un ragazzo celibe ronzasse costantemente intorno a una ragazza in età da marito?

Ma quale sarebbe stata la sua risposta?

"Dunque" esordì infine Cygnus, dopo una lunga riflessione. Charlus raddrizzò immediatamente le spalle, sperando di non lasciar trasparire l’enorme ansia che lo attanagliava in quel momento. "Se ho ben capito, tu pensi di essere degno di sposare mia figlia".

"Sì, signore".

"Ed entrare a far parte di questa famiglia".

"Sì, signore".

"Cosa ti fa credere che ti dirò di sì?".

Charlus esitò, consapevole che il minimo sbaglio poteva mandare tutto a monte. "Ritengo di essere un buon partito, signore: sono Purosangue, appartengo a una famiglia piuttosto in vista…".

"Una famiglia di traditori del loro sangue" sbuffò Cygnus in tono acido.

"La definizione mi sembra eccessiva, signore. Non nego che abbiamo posizioni meno radicali delle vostre, ma non siamo certo diversi dai MacMillan o i Paciock… Due famiglie con cui vi siete imparentati di recente, se non erro".

"Non sbagli, infatti". Sembrava infastidito: di certo non si aspettava un’obiezione del genere, ma Charlus si preparava a quel momento da mesi, era certo di poter rispondere a ogni colpo basso che Cygnus tentasse di giocargli. "E dal punto di vista finanziario? Mia figlia si merita il meglio".

"Il denaro non sarà un problema, signore. Mio nonno materno mi ha già lasciato una discreta somma, più che sufficiente per cominciare una vita insieme. Alla morte di mio padre, io e mio fratello ci spartiremo equamente la sua eredità piuttosto considerevole".

"So che hai anche una sorella".

"Leah ovviamente riceverà la sua parte, ma è già sposata e economicamente indipendente, perciò non peserà sul mio bilancio famigliare".

"E tuo fratello?".

"Mio fratello cosa, signore?".

"Mi è giunta voce che sia un certo piantagrane, se mi passi l’espressione".

Charlus sorrise, cominciando a sentirsi vittorioso. Deve essere proprio con l’acqua alla gola se questa è l’unica obiezione che riesce ancora a trovare. "John è ancora un ragazzo che non ha avuto modo di maturare appieno, signore. Metterà la testa a posto quando verrà il suo momento, come fanno tutti. E anche in caso contrario, non è certo mia intenzione fargli da balia per il resto dei miei giorni". Quest’ultima era una bugia, in realtà, ma ora come ora non era necessario che Cygnus lo sapesse.

Il signor Black annuì, poi tacque per un lungo momento. "Tu non mi vai particolarmente a genio, Potter" disse infine. "Ma penso tu l’abbia già capito da solo".

"Sì, signore".

Il momento della verità, pensò, il cuore che batteva così furiosamente che temette potesse saltargli fuori dal petto.

"Ma Dorea ha bisogno di un marito, di un buon marito che possa offrirle il meglio e renderla felice. Per quanto odi doverlo ammettere, ritengo che tu abbia queste caratteristiche, perciò vi do il mio consenso".

Charlus rilasciò il fiato che non si era nemmeno reso conto di trattenere, sentendo il nodo di ansia e paura che aveva nel petto dissolversi come neve al sole. È fatta, è fatta sul serio. Dovette trattenersi dal mettersi al saltare per lo studio e gridare come un idiota (era quasi certo che Cygnus aspettasse solo un’occasione simile per rimangiarsi la parola), ma non riuscì proprio a impedire a un sorriso ebete di spuntargli sul volto. Possiamo sposarci, possiamo sposarci, possiamo sposarci. E stare insieme per sempre.

"Grazie, signore, grazie infinite".

"Sì, sì, ora sparisci prima che cambi idea".

Non se lo fece ripetere due volte: per quel che lo riguardava sperava di non dover rimettere mai più piede in quella stanza. Incespicando nelle proprie gambe, fece un cenno di saluto e uscì. Appena si fu chiuso la porta alle spalle, non poté esimersi dal sollevare in alto il pugno in un gesto di trionfo, prima ancora di accorgersi che Dorea era lì ad aspettarlo.

"Allora? Cosa ha detto?" domandò la ragazza, che si stava letteralmente consumando dall’ansia.

"Ha detto sì".

"Sì?".

Charlus annuì. "Ci possiamo sposare".

Abbandonando anche l’ultima traccia di decoro che le era rimasta, Dorea lanciò un piccolo strillo di gioia, saltandogli al collo, con gli occhi umidi.

Charlus la strinse a sé come se da un momento all’altro potesse sparire davanti ai suoi occhi, felice come non mai.

Lyrapotter’s corner

Okay, è passato così tanto tempo dall’ultima volta che ho scritto uno dei miei "corner" che la cosa mi fa abbastanza strano, mi sono un po’ persa per strada, come si nota anche dal fatto che non mi sono nemmeno più presa la briga di aggiornare Mi racconti una storia?, che pure è là bella che conclusa che aspetta solo me. Diciamo che è il fandom di HP ad avermi persa per strada: il fatto è che dopo quasi 10 anni di fedeltà, il mio interesse verso la saga è ridotto sotto i minimi storici (manco il nuovo trailer è riuscito a risvegliarmi) e la mia testolina trova molto più divertente passare il suo tempo a fantasticare su altri fandom. Da qui il mio annuncio che non so dove, come e quando tornerò a dedicarmi alle mie sempiterne incompiute long di HP: mi dispiace, sono affranta e mortificata, ma al momento Harry Potter è proprio in fondo alla lista dei miei interessi (sì, è triste, lo so).

Detto ciò, questa storia è il frutto di un lungo e travagliato percorso costellato di lacrime, sudore e sangue (quattro mesi per scrivere questa cosa, ragazzi, non so se mi spiego) per partecipare al terzo turno del Club dei Duellanti, dove si è classificata quarta con un punteggio che ha mi ha lasciato senza parole perché detto sinceramente, questa è forse la cosa che meno mi piace tra tutto quello che ho mai prodotto e probabilmente mai produrrò. Lascio a voi stabilire se la mia opinione è fallata da eccessiva autocritica e in realtà è una cosa decente.

Tanto per chiarire, anche se ai fini della storia è assolutamente irrilevante, nel mio canon personale Dorea e Charlus non sono i genitori di James, bensì gli zii: l’onere di essere il padre di James l’ho lasciato al John Potter nominato qua e là nella storia.

Bon, grazie di essere arrivati fin qui, se qualcuno è arrivato, penso di poter dire con una certa sicurezza che questa sarà la mia ultima storia nel fandom di HP per un po’ di tempo, a meno che la mia Musa non impazzisca un’altra volta e torni sui suoi passi.

See you soon!

 

Lyrapotter "La prima volta che..."

Grammatica e sintassi: 9.5/10

Lessico e Stile: 9.5/10

Originalità: 9/10

Caratterizzazione dei personaggi: 14.5/15

Attinenza al prompt e sviluppo della trama: 13.5/15

Gradimento personale: 9.4/10

totale: 65.4/70

Giudizio di Fabi_:

Giusto un paio di errori di grammatica, dovuti più che altro alla fretta: 'era in pratica riuniva in sé', 'dei suoi famigliare', 'non si era mia sentita'. Per il resto è tutto perfetto. Lo stile è ottimo come sempre: avvincente e scorrevole, vivace. Anche la caratterizzazione è curata.

I dialoghi mi sono piaciuti molto, pungenti e vivaci, danno ritmo alla lettura.

I personaggi che hai scelto sono ben delineati, mi complimento per la scelta originale e interessante. Trovo che anche i personaggi di contorno alla storia aiutino a dare un senso alla trama, forse anche qui c'è una piccola dose di stereotipi, ma credo che sia dovuta soprattutto al momento in cui la storia è ambientata. Ho trovato l'ambiente ben descritto proprio in relazione all'anno in cui la storia è ambientata. Hai scelto personaggi forti e hai saputo dare loro personalità.

La storia è divertente, fresca e positiva, mi è piaciuta molto. L'immagine è presente, l'ambiente è ben descritto e utile alla trama. Trama che è ben sviluppata.

L'originalità c'è sicuramente nella scelta dei personaggi e nei dettagli della storia.

Complimenti.

cit: 'Fu una palla di neve a metterli l’uno sulla strada dell’altra, una palla di neve che Charlus aveva diretto all’esasperante fratellino e che invece centrò Dorea in pieno volto.'

Giudizio di LilyBlack:

Da dove parto?

Dal ritmo, dal modo in cui hai strutturato la storia, facendo in modo che i dialoghi facessero da perno, da colonne e che devo dire, mi è piaciuto molto. Io sono una frana con i dialoghi, li scrivo in un modo tutto mio e totalmente sconclusionato, tanto che a volte penso sia sbagliato; ora, non so come tu li stenda e li pensi, ma il risultato finale aiuta sicuramente la trama, che scorre con il giusto ritmo.

Quando una storia ha una sua struttura di base ben delineata, quando non è scritta a caso, tutto il resto ne giova, nel tuo caso ne giovano dei personaggi con caratterizzazioni veramente veramente buone, che siano essi principali o meno, ne giova la luminosità e positività di fondo che la conclusione della storia dà.

Qualche errore l'ho trovato nella grammatica e nella battitura, quasi sicuramente dovuti alla fretta e ai problei che hai avuto nel consegnare.

Concludendo, è veramente una bella storia, una storia da leggere quando si vuole sorridere e gustare un bel Happy Ending.

Giudizio di Vogue:

Una storia sicuramente apprezzabile, checché tu ne possa pensare.

Ha uno stile narrativo lineare, adatto ad un susseguirsi di eventi e ad un’introspezione –non troppo fitta- che accentua come Dorea si sia pian piano lasciata andare, come abbia anteposto Charlus all’essere una Black, come abbia deciso di pensare prima di tutto a se stessa; forse la lettura risulta troppo ‘fitta’ per l’articolazione delle frasi e la lieve (lievissima) carenza di punti fermi, ma nonostante tutto la narrazione procede in modo abbastanza scorrevole.

Non originalissima la contrapposizione di una Black con ciò che la sua famiglia desidera per lei, con i dubbi e le incertezze che derivano da un amore che non può fare a meno di nascere, pur essendo "sbagliato" per quelli che sono i canoni della famiglia; di buono c’è certamente il fatto che, pur non essendo Charlus appartenente ad una delle famiglie che maggiormente i Black avrebbero apprezzato, è comunque un Purosangue, quindi non è un sogno irrealizzabile per Dorea, come poi effettivamente accade (con il consenso del padre al loro matrimonio).

Buona la caratterizzazione di entrambi; non presentano degli spunti particolari, ma sono ben delineati, in modo tale che il lettore possa comprendere le loro ragioni e il loro modo di approcciarsi sia l’un l’altro che alla vita, ai propri stessi pensieri e, nel caso di Dorea e del fratello Magonò, al proprio passato.

L’immagine è in qualche modo rievocata all’interno della storia, sebbene il suo inserimento sia sfumato, non definito e dettagliato come mi sarebbe piaciuto che fosse. Niente di grave, comunque, e non influente ai fini della piacevolezza della storia.

Una vicenda semplice, insomma, che rientra benissimo nei canoni della storia d’amore non priva di ostacoli, ma con un classico lieto fine che di certo non guasta mai. Brava!

   
 
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