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Autore: tersicore150187    11/05/2011    8 recensioni
La coppia Castle/Beckett si trova ad affrontare un caso difficile, soprattutto denso di risvolti emozionali, che li porterà a sentirsi coinvolti man mano sempre di più e a mettere in discussione alcune loro convinzioni e modi di agire e pensare. Questo caso causerà anche ripercussioni sull'evoluzione del rapporto personale tra i due? Per risolvere il rompicapo davanti al quale si trovano, i nostri due protagonisti si serviranno dell'aiuto di David, un ragazzino di 13 anni molto speciale.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una realtà nuova.

 

Quando si fermarono all'ingresso dell'elegante edificio a Tribeca, Castle era immerso nella lettura appoggiato con la schiena alla parete. L'auto della detective era posteggiata appena 100 metri prima, così decise di scendere un attimo per attirare la sua attenzione, invece di telefonargli o suonare il clacson in un orario già rumoroso per il traffico. Mentre percorreva velocemente il marciapiede che la separava da lui, Kate guardò i raggi del sole riflettersi sul suo volto e sui suoi capelli e la sua espressione distesa e concentrata. Non sentì farfalle nello stomaco, brividi o la testa vuota. Kate non era una ragazza di quel tipo. O meglio, non più. Quello che provava invece era un benessere maturo, adulto, una serenità che la pervadeva, dal centro del suo corpo si diffondeva fino alla punta della mani e dei piedi. Era come essersi appena risvegliata da un sonno lungo e ristoratore, pieno di bei sogni e di respiri profondi. Poteva sentire nell'aria il profumo di quella sensazione. Odorava di caffè e di prima mattina. Odorava di famiglia.

 

Castle non si accorse ovviamente di nulla di tutto quello che stava accadendo dentro la sua “compagna”. Lui sì che li provava i brividi, quando la vedeva agire guidata da scariche di adrenalina potentissime, quando sotto copertura mostrava lati di sé sconosciuti e nascosti...nonchè posteriori...quando lo guardava con quegli occhi di cristallo e quello splendido sorriso. Era un po' che si era accorto della profondità dei sentimenti che provava per quella donna, ma non aveva avuto il coraggio di ammetterli neanche a se stesso, fino a quando c'era stata quella svolta nel caso dell'omicidio della madre di Beckett. Allora la aveva sentita allontanarsi da lui, aveva temuto di perderla, era come se lei gli stesse scivolando via dalle mani come acqua. Era verissimo. Per quanto banale, lo scrittore dovette ammettere che “si comprende l'importanza di ciò che si ha solo quando si è davvero sul punto di perderlo”.

 

“Credevo che fossi uno scrittore non un lettore”.

Lui le sorrise come se avesse visto una santa.

“Metà del mio lavoro è leggere detective, e comunque questa è lettura personale”.

Si avviarono verso la macchina camminando vicini.

“Come mai la copertina del tuo libro è foderata con quella strana carta natalizia?”

“Ho un grande rispetto per i libri, odio rovinarli” le rispose.

Kate roteò gli occhi come solo lei sapeva fare. Questa volta i suoi occhi dicevano “è una balla mio caro, non me la bevo!”. “Ok, colto il messaggio”. Mentre si sedeva in macchina Castle continuò serio. “Sai mantenere un segreto Kate?”. “Ok Castle, non devi dirmelo se non vuoi...” la detective sembrava aver capito che lui era un po' in difficoltà. “No, no, va bene...è solo che mi vergogno un po'.” Tirò un profondo sospiro e disse “Questo libro che sto leggendo si intitola . Me lo ha dato uno psicologo che lavora a scuola di Alexis, l'ultima volta che sono andato al colloquio con i suoi insegnanti.” “Alexis ha dei problemi?” chiese lei evidentemente preoccupata “Beh..Castle, perchè non me ne hai parlato? Voglio dire io non sono sua madre e certamente non...tua...cioè...ma avrei voluto...” “No, no Kate, hey tranquilla, Alexis sta benissimo....è...è di me che l'insegnante era preoccupata. Quando parlo con loro forse mi dimostro un po' apprensivo e ansioso e il fatto che sia noto che Alexis praticamente faccia da madre a se stessa, a volte mi fa sentire un po'...diciamo in difficoltà. Così ho coperto il libro con la carta per evitare che lei e mia madre leggessero il titolo in copertina”. Kate sorrise e pensò a quello che stava per dire un attimo prima. Dopo pochi attimi Castle ruppe il silenzio. “Allora, che mi dici del caso?”.

 

Quando arrivarono davanti all'istituto Castle scese dall'auto e andò incontro ai due “colleghi” per augurare loro il buongiorno. Mentre si dirigeva verso l'auto notò la donna uscire e capì che si trattava della dottoressa di cui Beckett gli aveva appena parlato. Si avvicinò alla donna e le porse la mano con un espressione seria. “Buongiorno, immagino lei sia la direttrice dell'istituto” “Sarah Felder, molto lieta” disse la donna stringendo la mano a Castle. “Dott.ssa Felder io sono Richard Castle, collaboro in qualità di volontario con il dipartimento di polizia di New York, assisterò i detective nello svolgimento delle indagini se lei non ha nulla in contrario.”. “Ero già stata informata della sua presenza signor Castle, non mi sembra possano esserci ostacoli a che lei svolga il suo lavoro come sempre. D'altro canto la conoscevo già per fama, solo come scrittore si intende, ma se il capitano Montgomery le consente di svolgere questo lavoro, non c'è dubbio che abbia fiducia in lei, perciò non vedo perchè non dovrei averne io. Certo, lei capirà la mia diffidenza...è una situazione molto delicata.” “Non si preoccupi dott.ssa Felder, posso garantirle che utilizzerò il massimo della mia discrezione e delicatezza, quanto alla polizia...posso assicurarle che a guidare le indagini c'è la migliore detective che questa città abbia mai avuto”. Mentre pronunciava questa frase i suoi occhi incontrarono quelli di Kate che, da lontano, osservava la scena, e gli sfuggì un sorriso e nel suo cuore sentì un lieve palpito. La dott.ssa Felder lo guardò, comprendendo la sincerità delle sue parole. “Lo spero”, disse con la voce tremante, mentre una lacrima le rigava la guancia. Castle le prese una mano con dolcezza. Quella donna avrebbe potuto essere sua madre e vedere quel dolore così innocente nei suoi occhi lo colpì. “Andiamo” le disse “non c'è tempo da perdere.

 

Quando entrarono nell'edificio Beckett sfruttò il tempo durante il quale percorsero il corridoio per prepararsi. La struttura non era stupenda, un caseggiato di quattro piani in cemento armato, sembrava essere stato una scuola in precedenza, lo si poteva immaginare dalla disposizione delle finestre, dalla guardiola, dal cortile spoglio intorno, tipico delle scuole pubbliche degli anni '70. sul davanti c'era un grande cancello dipinto da poco. La facciata era spoglia, ma pulita.

Ma l'interno di quel posto era senza ombra di dubbio qualcosa che nessuno di loro si sarebbe mai aspettato. Le pareti dell'ingresso erano dipinte di azzurro decorate con delle grandi nuvole bianche fra le quali spuntavano le lettere colorate della scritta “MoreSky”. Tutto il corridoio era decorato da disegni attaccati o dipinti direttamente sui muri, festoni, decorazioni, stelle e farfalle di carta che pendevano dal soffitto, fotografie di bambini scattate in varie occasioni, cartelloni con progetti, collage di immagini e foto, frasi di favole e di canzoni. Si poteva chiaramente capire che tutto era opera dei bambini e degli operatori dell'istituto. Non erano opera di un decoratore professionista, non erano affatto perfetti. I colori uscivano dai bordi, le immagini erano ritagliate con margini fastellati e zigrinati in vari punti, le parole erano a volte storte e pendevano da una parte. Ma nessuno degli ospiti sembrò notare nulla di tutto ciò. Quel posto infondeva speranza, pensò Kate. In fondo era vero che ci poteva essere “ancora più cielo”. Intorno regnava un silenzio particolare. Kate si chiese se venivano somministrati psicofarmaci a quei bambini, ma poi pensò che nessuno imbottito di pillole e gocce avrebbe potuto fare dei disegni così belli. “I bambini sono andati a Central Park con un pulmino. Volevamo portarli al museo di storia naturale ma è stato difficile organizzare un'uscita così all'improvviso. Per molti di loro c'è bisogno dell'autorizzazione dei genitori e inoltre le strutture devono essere avvisate prima quando ricevono visite da gruppi di disabili.” La dottoressa Felder sembrava leggere nel pensiero. Dopo pochi passi entrarono in una saletta che dava accesso al cortile interno dell'istituto dove era stato trovato il corpo. Il medico legale, la dottoressa Parish era appoggiata ad un tavolino con dei documenti in mano.

 

“Hey Lanie”

“Buongiorno Kate” le sorrise l'amica “dal momento che Montgomery mi ha informato che sareste arrivati più tardi ho finito l'ispezione e stavo già scrivendo il rapporto, ma ho voluto aspettarvi per far portare via il corpo. Comunque qui abbiamo finito”.

“Grazie. Cosa mi dici della vittima?”

“Daniel Soldier, 28 anni, bianco caucasico, apparentemente sano e privo di altre lesioni esterne che non siano riconducibili alle ferite inflittegli dall'assassino. L'ora del decesso, a giudicare dalla lividità e dalla temperatura direi tra le undici di ieri sera e l'una. La causa vera e propria della morte è il dissanguamento provocato da queste tre ferite inflittegli all'altezza del rene destro. Questo indica che il nostro assassino non è molto alto, direi all'incirca tra il metro e quaranta e il metro e sessanta. Infatti le pugnalate sono state inflitte orizzontalmente. Le ferite non sarebbero state mortali se la vittima non avesse perso i sensi sbattendo su questo bordo. L'entità del danno cerebrale deve essere piuttosto lieve, ma dovrò verificare con l'esame autoptico l'eventuale presenza di emorragie interne.”

“Ma escludi che la causa della morte sia il trauma cranico perché...”

“Perché, mia cara, poiché la temperatura di questa notte si aggirava intorno allo zero, il freddo, favorendo la vasocostrizione, avrebbe dovuto in qualche modo limitare l'emorragia, consentendogli di camminare o strisciare o urlare, seppur dolorante, chiedendo aiuto. A giudicare dalla macchia scura e poco estesa si è dissanguato lentamente, ma la quantità di sangue che ha perso è decisamente una quantità in grado di privare della vita la persona che lo perde. Inoltre guarda le sue mani.”

“Sono pulite!” intervenne Castle.

“Ottima osservazione Mr Conan Doyle. Se Daniel fosse stato cosciente si sarebbe premuto la ferita con le mani per attutire l'emorragia o il dolore e si sarebbe sporcato di sangue.”

“Ci sono segni di lotta?” era ancora lo scrittore a parlare. Voleva fornire un quadro chiaro a Beckett.

“Lievi Castle, ma ci sono. Non c'è segno di ematomi, né microfratture, ma ci sono dei sottili graffi sugli avambracci e dei tessuti sotto le unghie che dovrò fare analizzare.”

“Perciò Daniel e il nostro assassino vengono qui in cortile, parlano, forse litigano o discutono ma Daniel non si difende a sufficienza, non può o forse non vuole, così il killer riesce ad infliggergli tre colpi all'altezza dei reni e Daniel per il dolore cade sbattendo la testa sul rialzo di pietra del marciapiede. Così, privo di sensi e ferito, muore dissanguato”.

La teoria si Kate non si era fatta attendere. Castle pensò che i suoi “aiuti” ancora una volta avevano funzionato.

“Non esattamente mia cara. Guarda qui”. Spostò la gamba della vittima scoprendo la parte esterna della caviglia del jeans che il ragazzo indossava. C'erano delle macchie rossastre, sembravano di terra.

“Cos'è? Sembra sabbia...” disse Castle.

“Non lo so con certezza, ma la posizione di questa macchia mi fa credere che il killer abbia....beh...abbia fatto uno sgambetto alla vittima per farlo cadere”.

“Cosa?” Kate era allibita.

“Chiaramente non credo che volessero giocare prima che lui lo uccidesse!”

Kate guardò l'amica cercando una spiegazione.

“Abbiamo detto che l'assassino è un po' più basso della vittima. Beh, c'è la possibilità che sia anche...meno forte. Credo che Daniel non si sia difeso abbastanza e l'assassino, subito dopo averlo pugnalato, ha colto l'occasione per dargli un leggero colpetto con il piede dietro la caviglia facendolo cadere. Non è un calcio, infatti non c'è livido sulla gamba. Cadendo Daniel ha sbattuto perdendo i sensi e la ferita aperta ha fatto il resto.”

“Quindi l'assassino forse non aveva intenzione di uccidere Daniel ma solo di ferirlo” disse Castle.

“C'è di più” Kate lo guardò dalla sua posizione accovacciata “l'assassino aveva paura che Daniel, nonostante il dolore per la ferita ricevuta, riuscisse a reagire e magari a chiedere aiuto o peggio, ferire a sua volta il suo aggressore. È così Lanie?”

“A giudicare dalla profondità e dallo spessore del taglio, Daniel era perfettamente in grado di difendersi anche dopo essere stato ferito. Esatto detective”

“Dell'arma che mi dici?”

“In base alle considerazioni appena fatte, potrebbe trattarsi di una qualsiasi arma da taglio appuntita, lunga circa dieci centimetri, non seghettata. Banalmente anche un coltello da cucina.”

Beckett pensò un attimo.

“Quindi, in base a questa ricostruzione è probabile che Daniel conoscesse il suo aggressore, qualcuno più basso e più debole di lui, qualcuno dal quale non si è difeso a sufficienza, qualcuno che gli ha procurato delle ferite che, da sole, non sarebbero state mortali.”

 

Castle le si avvicino e si inginocchiò a fianco a lei vicino al corpo. Le mise una mano sulla spalla. Lei si voltò a guardarlo e lui ricambiò lo sguardo, serio.

 

“Qualcuno come un ragazzino”.

  
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