#
6 – Instinct
Riattacco
il telefono soddisfatto. Mi
piacciono proprio quei due!
Booth
mi ha appena informato che dal
database dello Yard è saltato fuori un nome.
Stanno
venendo qui al Jag con i risultati.
Finalmente avrò qualcosa da dire a Benton e Johns, infatti,
anche se non
seguono più il caso, sono molto interessati al suo sviluppo.
Li ho proprio
giudicati male! Ma non ci stavo con la testa e nemmeno adesso sto
granché
meglio, ma almeno questa notte sono riuscito a dormire abbastanza
tranquillamente. Il pensiero di Booth e la Brennan che bisticciavano mi
ha
davvero rallegrato e, per una volta, non mi ha fatto pensare a me e Mac
con
tristezza, ma con una dolce malinconia che mi ha accompagnato dal
dormiveglia
al sonno profondo.
La
Stevens bussa alla porta entrando con una
tazza di caffè in mano.
Me
la porge e mi riferisce delle telefonate
di ieri pomeriggio, quando ero fuori per l’indagine.
Mi
sorride gentile e se ne torna alla sua
scrivania.
Ok. Time out. E’
vero che ho finalmente riposato, ma siamo sicuri che non
sto ancora sognando?
Questa
è la prima volta che mi porta il
caffè senza che io glielo chieda espressamente! Non mi ha
nemmeno guardato di
sottecchi con il tipico sguardo odio il mio capo e,
ora che
presto più attenzione, non sento nemmeno le consuete
risatine a cui ormai mi
stavo abituando. Allora è vero, sto proprio sognando.
Mi
alzo e faccio un giro degli uffici.
Chiedo informazioni ad un ufficiale, mi informi sugli sviluppi dei casi
più
importanti…chiedo pure al sottufficiale Taylor come va la
gravidanza, e di
solito non lo faccio perché mi ricorda Harriet e i bambini.
Ognuno
di loro è stato gentile e rispettoso.
E soprattutto sorridevano calorosamente, come quando ringrazi di cuore
qualcuno.
La
cosa diventa ancora più strana ma mi fa
piacere, almeno finchè dura questa tregua. Torno verso il
mio ufficio e vedo
Benton e Johns che si preparano per dibattere il caso Thorp in aula. Mi
fanno
il saluto per rispetto al mio grado e si avviano
all’ascensore. Io rimango lì a
guardarli andare via e comincio a capire. Devono avere detto a tutto
l’ufficio
della pessima figura che ho fatto fare al Segretario. E a quanto pare
ne sono
tutti contenti. Allora non è tutta colpa mia. Il clima
freddo e ostile si era
già creato in precedenza a causa del loro ex superiore, che
lasciava i suoi
uomini in mano al SecNav. Entro nel mio ufficio sorridendo, pensando a
quante
volte l’Ammiraglio Cheggwidden si scontrava con il SecNav
prendendo sempre le
nostre difese. Sant’uomo!
Mi
siedo e la foto che troneggia sulla mia
scrivania mi fissa. E’ lei, o meglio, siamo noi.
La
stessa foto che avevo fatto ingrandire
per regalargliela a Natale di due anni fa. Eravamo in Afghanistan e,
nonostante
le pessime circostanze in cui ci trovavamo, eravamo sereni e
soprattutto amici.
Teoricamente
lo siamo ancora. Amici,
intendo. Sereni direi proprio di no, almeno io.
Per
il primo mese di lontananza ci siamo
sentiti quasi giornalmente, telefonate, mail… E poi pian
piano è come se per un
tacito accordo avessimo smesso. Faceva troppo male. Ma adesso? Non fa
forse male?
Lo
sai che lo devi fare! ALZA – QUELLA –
CORNETTA ! ! !
Sii
uomo, per la miseria! Mi dice la mia
odiosissima vocina interiore.
Ma
come faccio? E cosa le dico dopo sette
mesi? Ehi, Mac. Come ti va?
No.
Impossibile. Ma la mia mano è sul
telefono e sta componendo il numero…
Oddio
ma che sto facendo? Il mio cuore
sembra allenarsi alla maratona di New York..
Primo
squillo.
Ciao
Mac, come stai, avevo voglia di
sentirti. Ecco, posso cominciare così.
Secondo
squillo.
Ma
che ore sono a San Diego? Non ho fatto il
calcolo…
“Signore,
L’agente Booth e la Dottoressa
Brennan sono arrivati” mi dice il tenente Stevens, sulla
porta.
Riattacco
bruscamente.
Non
mi ero nemmeno accorto che avesse
bussato. Mi sfrego il viso e mi do dello stupido imbecille.
Perché no, anche cretino
ci sta bene.
“Li
faccia accomodare” rispondo cercando di
riacquistare un po’ di lucidità.
“Il
suo nome era Tina Forrest” esclama Booth
una volta seduto.
Mi
passano i fogli con tutti i suoi dati, e
c’è anche una foto. Impressionante, è
quasi identica al viso ricreato
olograficamente dal team della dottoressa.
“L’
impronta dentale ci ha permesso
l’identificazione del corpo” mi spiega lei.
“Perciò
abbiamo una ragazza bianca, di
ventiquattro anni studentessa di Oxford.”
Chissà
se lei e Pierce si conoscevano? O se
lui si è imbattuto nel suo corpo per caso, passeggiando al
parco..
“Posso
tenerlo? Vorrei andare a parlare
ancora con Pierce” chiedo indicando i fogli.
Bisogna
che capisca se e quanto centra il
tenente in questa storia. Altrimenti come lo difendo?
“Ma
certo, e noi andremo a fare una visitina
alla famiglia della ragazza”
Ci
alziamo tutti e tre. Ci diamo
appuntamento per pranzo nello stesso posto di ieri sera, per i
ragguagli.
Cammino
in direzione del Boom Boom Cafè. Ho
chiesto al tassista di lasciarmi un po’ più
indietro. Mi va di camminare.
Devo
schiarire le idee, l’incontro con
Pierce mi ha segnato non poco.
L’ho
trovato in uno stato pietoso, molto
peggio di ieri. Tremava e piangeva.
Ho
cercato di essere il più gentile
possibile spiegando la situazione in cui si trovava.
Rannicchiato
sulla sedia, nella stanza dei
colloqui, il tenente mi fissava.
I
suoi occhi non erano vuoti però. Capiva
quello che gli dicevo, ne sono sicuro.
Occhi
spaventati. Occhi atterriti. Occhi che
sapevano.
E’
stato in quel momento che ho capito.
Quegli
occhi avevano visto tutto. Quelli
erano gli occhi di un uomo che aveva visto un omicidio, non quelli di
chi
l’aveva commesso.
Come
spiegarlo a Booth e alla Brennan però?
Il mio istinto mi dice che l’uomo che ho davanti è
una vittima tanto quanto
“Perché
si trovava accanto al corpo,
tenente?” ho provato a chiedere senza ottenere risposta.
“Robert?” riprovo,
mettendo da parte gradi e formalismi.
Lui
continua a fissarmi come a voler farmi
leggere tutto attraverso i suoi occhi. Ma il velo delle lacrime mi
impedisce di
leggervi alcunché. Se non che è innocente.
“Conoscevi
Tina Forrest?” chiedo mostrando
la foto che correda il fascicolo che mi ha lasciato Booth.
La
sua reazione a quel nome però mi spiazza.
Piange e grida forte, i singulti lo fanno tremare e cadere dalla sedia.
Chiamo
subito le guardie che lo riportano nella sua cella. Una di esse prima
gli
somministra un tranquillante.
Si,
conosceva Tina Forrest.
Sono
arrivato, entro nel locale e li cerco
con lo sguardo.
Sono
seduti l’uno di fronte all’altra,
impegnati in una conversazione.
Mi
fermo un attimo a guardarli. Stanno bene
insieme. Esteticamente parlando. Sono armoniosi. Davvero
una bella
coppia.
Per
il resto… mah, credo di avere colto qualcosa
di più di una semplice partnership
lavorativa nel loro comportamento. Ma
non saprei affermarlo con certezza. La dottoressa Brennan
dev’essere una donna
abbastanza complicata e credo che Booth – se veramente
interessato, ma mi pare
proprio di si – dovrà sudare le famose sette
camice per cavarci fuori qualcosa…
Ma
è meglio che io stia zitto. In fin dei
conti una soluzione per noi, Mac, la si poteva anche trovare e invece
ho
mandato tutto all’aria!
Booth
alza lo sguardo e mi vede. Mi fa cenno
di raggiungerli.
Mi
siedo accanto alla dottoressa e
ordiniamo.
Nell’attesa
chiedo com’è andata con la
famiglia della ragazza.
“Non
la vedevano dal giorno prima del
delitto, ma non avevano ancora denunciato la scomparsa,
poiché viveva da sola e
studiava medicina..” comincia Booth
“Orari
massacranti, a volte nemmeno tornava
a casa e rimaneva in biblioteca a studiare, perciò hanno
considerato normale
non trovarla a casa” prosegue lei
“E
immagino che durante lo studio tenesse il
cellulare spento” concludo io.
I
due annuiscono e Booth torna a parlare
“Non sapevano molto delle sue amicizie, tutti studenti come
lei, ma non
conoscevano nessuno in particolare”
“Però
lei aveva appena cominciato una
relazione con un ufficiale di marina e secondo i genitori lei era molto
coinvolta, un certo Robert” dice la dottoressa.
“Il
tenente Pierce. Quando gli ho detto il
nome della ragazza ha dato di matto, perciò ho intuito che
non si è trovato
accanto al corpo per caso, ma che si conoscevano”
“Ha
detto altro?” mi chiede Booth.
Si,
i suoi occhi mi hanno detto tantissimo.
“No.
Nient’altro…” dico invece
Lui
mi guarda, mi scruta. Non mi molla un
secondo.
“Non
mi credi?” gli chiedo sorpreso
Non
risponde. Seguita a fissarmi con lo
sguardo tipico di chi sa che non gli stai dicendo tutto.
“Booth
ci sa fare con le persone, le capisce
al volo” mi spiega la Brennan sorridendo
“Si,
me ne sono accorto!” le restituisco un
sorriso, riferendomi soprattutto sulla conversazione della sera
precedente
Lei
mi guarda perplessa, lui invece capisce
e mi accenna un sorriso.
“Tecnicamente
non ha detto altro ma… i suoi
occhi… quell’uomo non è un
assassino!”
Lei
sbuffa “E così capitano anche lei è
dotato di un istinto spiccato!” dice
arrendendosi all’evidenza.
Sempre
avuto! E ne vado molto fiero!
“Dai
Bones, ce l’hai anche tu” la rassicura
Booth prendendole una mano “Da qualche
parte…” lasciandola prontamente,
non’appena vede che me ne sono accorto.
“Io
mi baso solo sui fatti e sulle prove
empiriche, lo sai. Per l’istinto… mi fido del tuo!
E a quanto pare anche del
suo, Capitano, visto che concordano” risponde guardandoci
entrambi.
“Ah,
si?” chiedo in modo vagamente
sarcastico. Ormai credo sia chiaro a tutti e tre che io e Booth siamo
molto in sintonia.
“Siamo
stati nell’alloggio della Forrest, al
campus di Oxford” mi spiega lui.
La
dottoressa da voce alle sue parole
mostrandomi il contenuto della busta sul tavolo, accanto a lei.
“Ho
trovato vari capelli sul copriletto,
insieme a tracce di dna” mostrandomi dei contenitori, quelli
tipici della
scientifica. “Appena li avrò fatti analizzare vi
saprò dire se solo il tenente
Pierce frequentava l’alloggio”
“E
c’erano queste…” mi dice Booth
mostrandomi delle fotografie imbustate nella plastica. Foto dei due
ragazzi, la
Torres e Pierce. Anzi no, Tina e Robert.
Ci
sono loro in queste foto e… beh, si.
Sembrano davvero coinvolti. Innamorati.
Chiunque
guardando queste foto capirebbe che
Pierce non la sfiorerebbe se non con un fiore.
E non perché sono belli e sorridenti. Spesso dietro una persona apparentemente felice e sorridente si cela uno spietato assassino. Troppe volte mi è capitato. Solo una persona che sa cos’è l’amore, che l’ha provato, può capire. Solo una persona che ama può riconoscere l’amore negli occhi di questi ragazzi. Ecco cosa c’era negli occhi di Pierce. Ecco cosa c’è negli occhi di Booth. E da come mi guarda credo che lui veda la stessa cosa nei miei.
Angolo dell'autrice:
ciao a tutti jag/bones fan!!! ecco il sesto capitoloooo!! che dite riuscirà Harm a chiamare Mac??
alla
prossima, manca poco alla fine!!! XD