Titolo:
Percy Jackson e La Costellazione
della Macchinetta del Caffè
Titolo del Capitolo: Galeotto fu l’invito e chi lo
(ri)chiese
Fandom: Percy Jackson
Personaggi: Percy Jackson, Artemide, (Presenti: Sally Jackson e
due
sconosciuti)
Genere: Sentimentale, comico,
Avventura
Rating: Giallo (Prevenire meglio che curare, ma penso mi
manterrò sul
verde)
Avvertimenti: What if
Conteggio Parole: 1406
Note: 1. Pur troppo non è betata
2.
Il senso di questa ff è
sconosciuto persino a me …
3.
La coppia Clou (Si può dire?) è …
Inaspettata … Neanche un po’ …
4.
C’è un mito, di cui ho scelto
solo una versione, molto bello e mi chiedo perché RR
l’abbia totalmente
ignorato.
5.
Perché la storia ha un titolo tanto
idiota? Avete mai dato un’occhiata alla costellazioni?
C’è ne una che sembra
una macchinetta per il caffè, non vi dico qual è,
perché è il fulcro di questa
ff.
6.
Trovare un genere a questa ff è
stato assurdo come un avvertimento. Diciamo che è ambientato
dopo il quinto
libro … :9 (Volutamente 9)
Buona
lettura …
Galeotto fu l’invito e
chi lo (ri)chiese
Non
capitava
spesso che qualcuno che si dicesse un’amica di scuola di Percy
suonasse alla
porta della loro casa e questo Sally lo sapeva. Percy non aveva amiche,
escludendo Annabeth, Thalia e Clarisse, che lei conoscesse, figuriamoci
a
scuola, dove suo figlio non aveva neanche uno straccio di amico e se
poi
l’aveva, si rivelava qualche strana creatura, tipo un satiro o un
ciclope o
un oracolo. Dunque non sapeva come
comportarsi, le aveva aperto ma subito aveva avvertito suo figlio.
Percy si era
piazzato accanto alla porta, con vortice, nella forma di una penna
stretta tra
le mani, Sally era dietro la porta che guardava dallo spioncino.
Sul
pianerottolo c’era una ragazzina dai capelli ramati, il volto
dolce, quasi
divino, ma in qualche modo severo, gli occhi
quasi miele, da sembrare stelle lucenti, era piccola, poteva
avere massi
tredici anni e continuava a dondolarsi sull’uscio aspettando che
qualcuno le
aprisse. Sally la descrisse al figlio, “Ne sei sicura?”
chiese Percy,
stringendo di più vortice, aveva conosciuto una sola persona che
corrispondeva
a quella descrizione, ma non poteva essere lei, perché non
avrebbe avuto senso.
“Si” rispose Sally, prima di avere il consenso del figlio
ad aprire la porta,
la ragazza era ancora lì, continuando a ciondolare la davanti,
si era lei,
Percy non avrebbe dimenticato mai un volto tanto importante, la
ragazzina si
riscosse dai suoi pensieri guardando madre e figlio che la guardavano.
“Entri,
tesoro?” chiese dolce Sally, Percy guardò la ragazzina,
“Certo signora Jackson”
rispose, la ragazza si spostò ed in
modo
regale la ragazzina dai capelli ramati si accomodò. “Vuoi
dei biscotti?” chiese
ancora la donna, la fanciulla declinò di grazia e Percy convinse
la madre ad
andare in cucina, mentre loro si sarebbero diretti in salotto.
“È molto gentile
tua madre” constatò la ragazzina, Percy deglutì,
non riusciva proprio a capire
cosa ci facesse Lei lì.
Si
stabilirono
in salotto, Percy adocchiò il divano, ma quando notò che
la ragazzina non era
intenzionata a sedersi, non lo fece neanche lui, per non sembrare
irrispettoso
e per non infastidirla, temendo di ritrovarsi trasformato in qualcosa
di
sconveniente, tipo un Jacklope. “Come mai è qui Divina
Artemide?” chiese Percy,
con gli occhi bassi, la giovane dea lo guardò, poi si
lasciò cadere sul divano,
puntando le mani strette sulle ginocchia nude, “Siediti
Eroe” impartì poi, con un
tono con ammetteva
repliche, ma che nascondeva un comando a fin di bene, come se quello
che
avrebbe detto poi, sarebbe stato più facile da affrontare se
Percy fosse stato
già seduto su una superficie morbida.
Artemide,
la
dea della caccia e della luna, era ancora seduta sul divano, il suo
braccio era
attaccato a quello del figlio di Poseidone che nervosamente guardava il
salotto
della sua casa che per la prima volta gli sembrava così angusta.
Sally fece
capolinea in salotto con un vassoio con dei dolcetti blu e due
bicchieri
d’acqua, “Se vi venisse fame ragazzi” si
giustificò, andando via, senza
scollare gli occhi dalla nuova venuta, con una profonda
curiosità, Sally lo
percepiva che non era umana, la foschia non l’ingannava ed
Artemide l’aveva
capito.
“Eroe,
devo
farti una richiesta” cominciò Artemide, Percy annui e si
mise ad ascoltare, non
contraddire mai gli dei, specialmente quella che odiava i maschi, se
bene
considerasse Percy un uomo e questo lo faceva sentire davvero
importante, a
quattordici anni, Artemide l’aveva chiamato uomo, perché
aveva avuto la forza e
il coraggio di sorreggere il cielo, “Mi dica” concesse alla
fine, la dea si
voltò verso di lui, con uno sguardo intenso, sembrava diversa,
come se per la
prima volta non fosse la dea della caccia, ma solo della luna, o magari
neanche
quello. Era come se fosse una semplice ragazza, i suoi occhi
esprimevano
sensazione, Percy non capiva quale, anche perché era già
abbastanza sconvolto dal
fatto che Artemide non sembrasse di marmo, ma sembrasse viva.
“Una richiesta
privata” aveva poi aggiuntò, strinse i pugni, rischiando
di conficcarsi le
unghia nella care, “Di cui non dovrai far parola con nessuno.
Particolarmente
le cacciatrici” aveva terminato, il suo voltò era tornato
una lastra senza
emozioni, come se finalmente fosse tornata ad essere
l’impassibile dea che
cacciava per le selve.
“Ehm
… Cosa
dovrei fare?” chiese Percy, sentendosi improvvisamente a
disaggio, era teso
come una corda di violino ed il suddetto violino era nelle mani di
Artemide che
nel suo non fare nulla e restare in assoluto silenzio era come se di
divertisse
a pizzicarlo con l’archetto, nell’attesa di cominciare il
brano migliore
dell’opera che stavano interpretando. Artemide si voltò di
nuovo verso l’eroe,
intrecciò le proprie dita e roteò i pollici tra loro,
“Te lo farò sapere!”
concluse alla fine la dea vergine, alzandosi dal divano, si
avvicinò al tavolo
ed alla fine prese un biscottò, “Blu?”
aggrottò le sopraciglia, Percy annui,
Artemide curvò appena le labbra in un sorriso, che a Percy
pareva
raccapricciante, ma che sarebbe dovuto essere dolce. Addentò il
biscotto,
salutò Percy schiva, quasi che la sua presenza nei dintorni del
ragazzo fosse
una schifa concessione e non che fosse lei che era andato a cercarlo,
andò via,
salutando ovviamente prima Sally.
Percy
rimase
nel soggiorno chiedendosi quale incarico richiedeva la sua presenza per
la
divina Artemide?
Ci
pensò tutta
la notte, mentre sbirciava dall’angolo della finestra, le poche
stelle che si
vedevano sul cielo di Manhattan. La dea
gli era sembrata così poco lei, così fragile, così
umana, così fanciulla. Non
diversa da una tredicenne afflitta da un ricordo forse doloroso, che le
premeva
sulla bocca dello stomaco. C’era stato qualcosa di profondamente
diverso in
lei. Qualcosa di sbagliato. Aveva deciso si sarebbe lanciato in quella
missione, solo per tornare a vedere il volto di Artemide rigido, che si
imboniva solo quando parlava con le sue cacciatrici, voleva rivedere la
determinazione ardere in un corpo al limiti nell’atto di
sorreggere il cielo e
non quella gracile Dea che era stata
seduta sul divano con lui.
Socchiuse gli occhi. Si addormentò.
Il mare era un’intensa distesa desolata. Percy si era guardato attorno per capire dove fosse, c’era solo acqua, anche lui era sul l’acqua, indossava un chitone bianco corto, una clamide sbiadita. Poi si era accorto che al suo fianco vi era un cane splendente. Si era guardato allungo intorno, poi aveva ripreso a camminare in una direzione imprecisa, era lì che passeggiava sulla superficie dell’oceano come fosse stata una qualunque via, le onde si increspavano appena sui piedi nudi, al suo seguito c’era il cane, ma Percy continuava a camminare.
Era lui e non era lui. Sapeva di essere Percy Jackson, ma quelle azioni erano già programmate, già svolte, già avvenute, non era la prima volta che gli capitava di ritrovarsi nel passato, in un preciso momento, in un corpo specifico. Doveva semplicemente lasciar correre. Aveva continuato per la strada di gocce, fino a che non era sorta all’orizzonte un isola dalle coste d’avorio e un bosco intriso di nero, si erano fermati entrambi a guardare le coste, poi le avevano raggiunte. E solo quando aveva sentito la sabbia sotto i piedi, Percy aveva realizzato quanto fosse immenso, anche il cane era enorme, erano due giganti.
“Voi chi siete?” urlò, quasi di battaglia, una freccia d’argento si conficcò a pochi centimetri dai suoi piedi, una ragazza uscì dalla foresta, la più bella fanciulla che lui avesse mai veduto, non per Percy ma per il padrone di quel corpo, a cui vennero alla mente altri due volti, ma quella donna, forse ancora un po’ bambina, era divina, di certo non poteva essere una mortale, forse una musa o una ninfa? No Doveva essere per forza una dea, anzi La dea. Forse era Afrodite? No, possedeva una fierezza quasi regale, indossava pelli d’animale e brandiva con forza un arco d’argento. I capelli erano di cuprum brillante e gli occhi accessi, di un intenso colore, da sembrare la luna, due distinte lune splendenti e mai tanta leggiadria aveva visto in un volto e tanta grazia in un corpo. Artemide Agrotera. Era lei. “Chi siete voi?” urlò di nuovo la Dea, puntando l’arco d’argento verso il volto di Percy.
Il
figlio di
Poseidone si era svegliato di soprassalto. Perché aveva sognato
l’incontro con
Artemide. Non poteva davvero associare alcun eroe o uomo alla dea della
caccia,
davvero non riusciva a pensarlo, eppure sapeva che un legame doveva
esserci tra
il gigante e la dea e sicuramente quel rapporto avrebbe influenzato la
sua
missione, qualunque essa fosse.