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Autore: Liy    14/05/2011    2 recensioni
Un frammento differente.
Uno in cui gli omicidi legati alla leggenda della Strega di Rokkenjima non sono mai accaduti.
Nessuno è morto. La Strega non esiste. La magia non esiste.
[Spoiler ep8][BatoBea][AU-scolastica]
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ange Ushiromiya, Battler Ushiromiya, Beatrice Ushiromiya, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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The first of many lies

Chapter IX: I didn't do it on purpose – Still, you did

 

14 Marzo 1987

Il sole stava ormai calando quando si fermò, esausto.

I negozi iniziarono a chiudere ed il cielo aveva assunto una tinta rossastra, macchiando le nuvole di un rosa leggero e riempiendo il paesaggio con colori caldi e stanchi. Gli unici rumori udibili erano quelli di saracinesche che venivano abbassate e, in lontananza, le voci di alcuni bambini che, probabilmente, se ne stavano tornando a casa loro.

Rimase a fissare il parco che aveva davanti per diversi minuti, contemplando un albero pieno di foglie verdi. Infine, trascinandosi con fare esausto, si lasciò andare su una panchina, volgendo il capo all'indietro e chiudendo gli occhi. Buttò la cartella a terra, senza prestare troppa attenzione a dove la gettò di preciso.

“Aaah... dannazione.”

Sentì lo stomaco brontolare e sbuffò, tirando un calcio a vuoto davanti a sé.

C'era troppo silenzio.

Silenzio a cui non era più abituato da mesi ormai.

Silenzio che gli tormentava le orecchie, sibilando con fare infausto. Gli diceva di alzarsi, di non perder tempo lì, che era colpa sua e che sarebbe stato meglio se si fosse scusato subito. E lui si morse un labbro, gli occhi ancora chiusi.

“Sei appena tornato da scuola?”, una voce che conosceva, che conosceva fin troppo bene e che gli era mancata. Una voce che aveva inseguito per tutto il giorno, sperando di tornare a sentirla.

Si fermò davanti a lui, senza guardarlo e tenendo le braccia incrociate al petto.

“No, non sono andato a scuola. Ti stavo cercando.”

“Che sciocco”, pochi passi, e la sentì lasciarsi andare sulla panchina accanto a lui, “io ti do via libera e tu sprechi così questa possibilità? Mi era parso di capire che la mia opinione non contasse per te. Dovresti esser solo grato del fatto che io ti abbia concesso una tale opportunità, non è da tutti essere così magnanimi quando si ha a che fare con un'idiota come te.” Un breve respiro, e la immaginò che accavallava le gambe. “Gli umani sono tali sciocchi. Approfittano sempre d'ogni occasione finché una data cosa è a loro proibita, e quando viene dato loro il permesso per fare ciò che vogliono, buttano via quella possibilità così preziosa.”

“Eeh... Voi donne siete esseri strani. Ve la prendete per tutto.”

“Non ce la prendiamo per tutto.” La sentì sbuffare. “Siete voi ad essere idioti.”

“... Sì, forse sono un idiota.”

“Ti avevo detto che eri mio.”

Si rannicchiò sulla panchina, alzando le gambe da terra e cingendole con le braccia, la gonna che la copriva a malapena.

Calò il silenzio per qualche istante. Un silenzio imbarazzante, nel quale Battler si limitò ad arrossire ed aprire gli occhi, per poi portare immediatamente lo sguardo altrove, lontano da quello di Beato. Non avrebbe retto il peso di quella vista.

“... Non ho mai creduto nei lieti fine.”

“Eh...?”

Battler si voltò per guardarla mentre parlava. Aveva ancora quell'aria triste in volto, quella che aveva tanto odiato e che aveva sperato di non dover mai più sopportare.

“I lieti fine esistono solo nelle fiabe, non nella realtà. E anche se da bambina adoravo ingannarmi con l'idea che un giorno avrei ottenuto anch'io il mio e vissero per sempre felici e contenti, ho sempre saputo dentro di me che non sarebbe successo, che era una fantasia la mia e null'altro. Ero cosciente del fatto che mi stavo illudendo e che per quel motivo avrei sofferto un giorno.”
“Beato... perché...?”

“Nelle storie che leggevo, spesso dicevano quelle parole, quelle che chiunque vorrebbe sentire dalla persona che ama. Avevo pensato che sarebbe piaciuto anche a me sentirle, e dirle, ma ho capito che dirlo in quel modo sarebbe stato troppo... scontato, e sarebbe potuto sembrare insignificante, una cosa che si possa dire a chiunque senza veramente pensarlo. Quindi, ho deciso che non dirò quelle parole. Perché sarebbe sciocco da parte mia dirle. E sembrerebbero prive di qualsiasi significato.”

“Beato...”
“Quindi, tu sei mio Battler.” Alzò lo sguardo, fissando quegli occhi color del mare dentro quelli altrettanto profondi del ragazzo, una nota di serietà nella voce e una punta di imbarazzo che si manifestava tingendole appena le gote. “Sei mio, e di nessun altro. Chiaro?”

“... Sei un'idiota, Beato”, le gote arrossate e lo sguardo altrove.

Battler si sporse appena verso di lei, cingendola in vita e piegando debolmente le labbra in un sorriso. Un sorriso stanco ed imbarazzato, quanto lui, ma sincero. La osservò per qualche istante, cogliendo ogni minima espressione diversa che assumeva il suo volto – prima scocciata, poi una che sembrava furiosa, ed infine lasciva che mascherava il suo imbarazzo.

Si guardò attorno, Battler, prima di darle un bacio veloce sulle labbra. La sentì irrigidirsi contro di lui e poi, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo, la ragazza allungò le braccia e lo strinse a sé, aggrappandosi all'ampia schiena di lui. Un bacio semplice e per nulla pretenzioso il loro, che presto si fece più intenso e avido, le labbra che cercavano quelle dell'altro, rapendole ogni qualvolta fuggissero per far prender loro un po' di respiro.

E poi, come se si fosse appena svegliato da un sogno – come se avesse sentito suonare la sveglia di domenica mattina mentre era ancora avvolto nelle calde coperte – Battler scostò Beato lentamente, afferrandola per i fianchi e lasciando brevi e veloci baci sulle labbra ora gonfie delle ragazza.

“N-non così. Non qui, Beato.”

Un sorriso dolce, mentre la fissava.

“A-andiamo a casa mia...? Ange si starà chiedendo dove sono finito... e Kyrie-san e il dannato vecchio...”

“Battler”, Beato gli posò un dito sulle labbra, il broncio in volto e lo sguardo che esprimeva delusione, “e poi sarei io l'idiota. Su, andiamo.”

 

Alla vista di Ange, ferma sulla porta di casa con il sorriso in volto, a Beato si strinse il cuore. Provava un po' di gelosia nei suoi confronti, un senso di smarrimento che si fece più forte quando Battler le corse incontro e l'abbracciò, sollevandola da terra. Li fissò da lontano, vicino al cancello della casa, mentre si sorridevano l'una l'altra. Due fratelli così uniti, che in innumerevoli frammenti venivano allontanati per sempre l'uno dall'altra. Un fato crudele che li aveva separati troppe volte, ma che non aveva fatto smettere alla bambina di amare quel suo fratellone impacciato e idiota, ma gentile ed onesto allo stesso tempo. Non avrebbe mai ricordato il passato Ange, avvolta com'era dalle verità future che avevano corroso l'amore che tutti i suoi parenti le avevano sempre dato, se non fosse stato per Battler ed il suo ultimo gioco. Non avrebbe potuto continuare a vivere.

“Onii-chan, mettimi giù!”, la voce della bambina la fece sobbalzare e fu in quel momento che notò che Battler la stava fissando dubbioso. “Onii-chan?”

“... Che c'è, Beato? Qualcosa non va?”

Non rispose subito Beatrice, incerta che la domanda fosse realmente rivolta a lei.

“No, va tutto bene”, un sorriso appena accennato in volto.

“Mh~ Beato”, Battler rimise sua sorella a terra, scompigliandole i capelli con una mano quando lei lo afferrò ed iniziò a tirarlo per i pantaloni, “stavo pensando di... rimediare... a quello che è ho fatto stamattina. S-stavo solo scherzando, non credevo m'avresti preso sul serio. Pensavo avessi capito che sono—”

“Un idiota.”

“—uno a cui piace scherzare.”

Ange li guardò dubbiosa, i pugni ancora ben stretti alla stoffa dei pantaloni del fratello. Non le piaceva che Beato insultasse il suo Onii-chan, ma quando vide quest'ultimo tacere, abbassare lo sguardo e sorridere, decise che non avrebbe detto nulla. Se non rispondeva lui, non c'era alcun motivo per cui lo dovesse far lei.

“Su, entriamo in casa...”, la voce del ragazzo era bassa e calma quando afferrò la mano della sorellina, stringendola e guidandola verso la porta. Lei lo guardava ancora incerta, muovendo piccoli passi incerti sul vialetto.

“... Beatrice”, quel nome lasciò le labbra di Battler come un sussurro ed Ange si voltò di scatto quando lo vide allungare l'altra mano verso la ragazza. La ragazza che le stava portando via suo fratello. La ragazza che aveva anche la simpatia dei suoi genitori.

“Onii-chan...?”, un bisbiglio timoroso il suo. Ma lui non la sentì. Guardava Beato, e le sorrideva. Le stringeva la mano come non aveva mai fatto con Ange, intrecciando le dita con quelle di lei come a non volerla mai lasciar andare.

 

20 Aprile 1987

L'inizio del nuovo anno scolastico fu accompagnato dalla pioggia e da un vento freddo per nulla normali durante quella stagione. Battler sbuffò fissando la lavagna, e sbuffò ulteriormente quando Beatrice – quest'anno seduta dietro di lui e non più davanti – tirò un calcio alla sua sedia.

Si voltò lentamente verso di lei, cercando di non dare troppo nell'occhio.

“Che c'è ancora, Beato?”

Non era la prima volta che l'aveva chiamato in quel modo, durante quella giornata che, fortunatamente, iniziava a volgere al termine.

“Tu, la tua altezza ed i tuoi capelli mi state coprendo la lavagna. Spostati un po'.”

“Ma mi sono già abbassato prim—”

“Ushiromiya-san”, la voce della professoressa lo fece scattare sull'attenti, “la lavagna è da questa parte. Se la vedrò ancora girato a parlare con la sua compagna, potrà tranquillamente accomodarsi fuori dall'aula ad aspettare la fine delle lezioni.”

“M-mi scusi.”

 

“Aaaah, Beato! Così non può andare avanti!”

Fuori dall'entrata della scuola, Battler aprì l'ombrello imbronciato e tirò la ragazza a sé, proteggendola della pioggia che ancora cadeva incessantemente. Le strappò di mano la cartella, senza tanti complimenti, e lei arrossì quando notò che due loro compagni di classe sorrisero per quei loro gesti così consueti ma che non riflettevano per nulla le loro espressioni in quel momento.

“Co-cos'è che non può andare avanti così?”

“Quei posti in classe.”

Beato tirò un sospirò di sollievo, costatando per l'ennesima volta che ciò che preoccupava il ragazzo al suo fianco era una cosa futile e nulla di importante. Così ingenuo, Battler. Come era sempre stato fin dal loro primo incontro, quando si era presentata a lui ridendo e sfidandolo a dimostrare che lei non esistesse.

“A me piace stare lì.”
“A me no! Non puoi continuare a prendermi a calci perché non vedi la lavagna...!”

“Mu~ e io che pensavo non ti piacesse solo perché non potevi più vedermi il sedere~!”

“B-Beato!!”, il volto del ragazzo si tinse dello stesso colore del fermacapelli che Beatrice portava quel giorno e sobbalzò quando lei sporse leggermente la testa in dietro, guardò il suo fondo schiena e sogghignò.

“Ora che ci penso, però, ho io qualcosa da fissare durante le lezioni~ forse la smetterò di dare calci alla tua sedia per vedere la lavagna, eeeh~”

“P-pervertita”, si coprì il volto con una mano e deglutì.

“Senti chi parla~! Tu, Ushiromiya Battler, auto-dichiarato sommelier del seno, dici a me, la Grande Beatrice-sama di essere una pervertita~? E' così maleducata ed ipocrita la cosa da parte tua, Battleeer~!”

“Va bene... va bene! A-andiamo a casa e basta!”, la strattonò per un braccio, entrambe le loro cartelle che oscillavano sulle sue spalle. “Beato.”

“Sì, Battleeer~?”

“Ora puoi anche smetterla di guardarlo. Guarda la strada, piuttosto!”

“Mmh~ eppure è un così bello sp—”

“Aaaah, è inutile! E' tutto inutile! Su cammina! E guarda dove metti i piedi!”

Beato sorrise, afferrando con entrambe le mani il braccio di Battler e addossandosi quasi completamente su di esso. Sorrise ulteriormente, quando il ragazzo arrossì per quel gesto – il contatto con il seno di lei che lo distraeva enormemente da tutti gli altri pensieri che avevano vorticato nella sua mente fino ad allora.

Camminarono così, uno stretto all'altra, come se nulla fosse. Eppure Beato, dentro di sé, sapeva che quelle loro giornate felici non sarebbero durate in eterno. Il suo tempo sarebbe finito perché non avrebbe potuto continuare a non dir nulla a Battler, e sarebbe dovuta tornare indietro, seduta da sola ad aspettare il suo ritorno per molto altro tempo. Seduta ad aspettare che lui ricordasse e si riconciliasse a loro, a lei.

Per porre fine a tutto.

Per terminare il gioco.
Per stare insieme, per sempre.

“... mi stavi ascoltando, Beato?”

“Eh...?”, lo fissò con sguardo perplesso, la gola stretta in una morsa che non le permetteva di respirare.

Battler notò le lacrime agli angoli degli occhi della ragazza e smise di camminare. La guardò con un sorriso dolce in volto e, allungando una mano verso il volto pallido di lei, asciugò quelle limpide gocce che tanto odiava veder apparire ai suoi occhi.

“Non chiederò il perché, ma lo sai che sono qui. Quando vorrai parlarne, ti ascolterò.”

Beato chiuse gli occhi, abbassando il capo e annuendo debolmente.

Le mancava, le mancava tremendamente.

“Battler, io—”

E le sue parole morirono sul nascere, quando una ragazzina la urtò e cadde a terra.

“Oh, mi scusi. Non l'avevo vista.”

Per un attimo, tutto sembrò congelarsi, bloccarsi lì dov'era.

Nemmeno la pioggia sembrava più cadere, quando s'accorse di riconoscerla.

Beato conosceva quella voce, e quel sorriso malizioso.

Spalancò gli occhi, sorpresa e spaventata.

Perché ora? Perché qui?

S'inginocchiò a terra, senza dire una parola, e le tese una mano per aiutarla.

“Non è nulla...”

La ragazzina a terra le strinse la mano e, tirandola a sé con forza, sfiorò con le labbra l'orecchio di Beato, sussurrandole poche parole che furono, tuttavia, in grado di farla trasalire.

“Ricordarti il patto, Beato. Non devi parlare.”

Rise, sottovoce.

“Lo ricordo...”, la voce null'altro che un bisbiglio, “Lady Bernkastel.”

 

   
 
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