é t e r n i t é
{Finale della seconda serie ~ Kuroshitsuji}
Titolo: éternité
Autrice: A li
Categoria: Kuroshitsuji
Pairing: Sebastian/Ciel
Disclaimers: Spoiler finale Seconda Serie
Yes.
My.
Lord.
Aveva ripetuto quelle parole così tante volte ormai, in
forme così diverse, su ordini così vari, che non sapeva più tenerne il conto.
Eppure, quell’ultima volta aveva definito il loro rapporto e aveva sancito un
contratto di temeraria éternité, imprigionando un demone al
servizio di un altro, fino alla fine dei tempi.
Fino a quando non divorerai
il mio corpo, resterai il mio maggiordomo.
Quelle splendide carni e la purezza limpida, totale di
un’anima nutrita da una vendetta raggiunta, il succo denso e inebriante di un
cuore che non si sarebbe abbandonato al panico nemmeno nell’ultimo istante –
non avrebbe assaggiato nulla di simile, mai più. Il suo prezioso bocchan era svanito sulla scia di quel
tuffo profondo, scuro, diabolico, che lo aveva trascinato nelle viscere della
terra e nell’oscurità di sé stesso, per portarlo a rinascere, ancora una volta,
sotto forma di mostro.
Ora che era un demone, suo pari, esattamente come lui in
ogni particolare, quel corpo e quell’anima non avevano più attrattive. Poteva
percepire il freddo disumano del suo sguardo al di sotto dell’innocente azzurro
dell’iride e il fuoco della fame bruciare appena a un passo dalle ossa, dove
una volta era stato scosso dai tremiti un morbido cuore.
Ormai di Ciel Phantomhive non restava che la scorza; una
buccia priva del gustoso frutto che aveva contenuto.
Era legato ad un fantoccio.
Si trascinava sulle spalle un essere nato da un anno,
senza passato e con un noioso, perfetto, piatto futuro.
E sarebbe rimasto suo maggiordomo. Fino alla fine dei
tempi.
Ma Sebastian Michaelis doveva ammetterlo. Non era poi così male.
«Ancora a rimuginare? Ti ho detto
che voglio il mio tè, Sebastian».
«E’ sul tavolino proprio davanti a lei, bocchan». Un sorriso a fior di labbra.
«Forse è lei quello in preda alle riflessioni?»
Un silenzio ostinato lo avvertì di una piccola vittoria
conquistata; anche se era un demone, Ciel Phantomhive restava l’innocente, testardo
e capriccioso bambino che era stato fino ad un anno prima. E anzi, forse, ora
che era rimasto cristallizzato nei suoi goffi tredici anni, sarebbe stato più
semplice prevederlo e torturarlo con i soliti battibecchi.
La tazzina tintinnò quando Ciel la portò alle labbra,
assaporando una bevanda che in realtà non era più in grado di gustare. Il
cucchiaino urtò malinconicamente il fondo e alla fine la tazzina ritrovò il suo
posto sul tavolo.
Nella stanza, il caldo si rifletteva sulle pareti e sul
pavimento, sui loro vestiti perfettamente in piega e sulle carte oleose della
scrivania; ma i loro volti non tradivano il minimo affanno, non una goccia di sudore
ne imperlava le fronti e nemmeno un sospiro tradiva un qualche genere di
disagio. Esistevano in una perfezione surreale, espandendo all’atmosfera
circostante una sfumatura grottesca e allo stesso tempo idilliaca. Era come se
un orologio grande quando il mondo si fosse fermato su di loro e li avesse
contemplati estasiato, dimenticandosi di ricominciare a battere i secondi, i
minuti e le ore.
«Ne voglio un’altra».
Si chiedeva, alcune volte, se Ciel lo facesse apposta per
temprare la sua pazienza. Ma ora che anche lui provava cosa significasse vivere
da demone, era assurdo che ancora cercasse in tutti i modi di farlo cedere. Il
motivo doveva essere un altro: forse uno strenuo attaccamento alle abitudini
che non avrebbe mai dimenticato, o forse la necessità di riempire i giorni
vuoti e traboccanti di noia che si prospettavano per lui da quel giorno fino al
momento del Giudizio. Se mai ve ne fosse stato uno. Ma Sebastian dubitava che
in un universo popolato da demoni immortali, angeli e shinigami non vi fosse spazio per una forza superiore, eterna e
dalla potenza prodigiosa, garante di un equilibrio finale e definitivo. E
probabilmente era giusto così. Anche se ogni tanto si domandava che fine
avrebbe fatto lui, quel giorno.
Si alzò, con un momento di ritardo rispetto al solito,
avanzò elegantemente fino al carrello su cui era appoggiata la teiera e la
sollevò senza sforzo con una mano; raggiunse Ciel e riempì la tazzina che gli
porgeva, arrischiando un’occhiata veloce al suo viso. Non lo guardava da
quando, due ore prima, avevano iniziato a lavorare, ciascuno sui propri
documenti, per conto della Regina. God Save The Queen doveva essersi radicato in profondità
nel Conte Phantomhive se, perfino ora che era diventato lui stesso una delle
leggende metropolitane, aveva deciso di caricarsi sulle spalle il peso degli
affari loschi della Regina d’Inghilterra, tornata ad essere una delle
superpotenze europee. Del resto, ormai, era così rapido ed efficace
nell’eseguire gli ordini, che la gente quasi non si accorgeva del suo passaggio
– addirittura della sua esistenza – e
Sorrise non visto, quando si accorse che Ciel sbuffava
leggendo una riga particolarmente difficile da decifrare, o forse eccessivamente noiosa, ma decise di non
dissimulare il suo divertimento.
«Ha bisogno, bocchan?»
Ciel lo fulminò con un’occhiata e i suoi occhi – privi di
bende da un bel po’ – si accesero di rosso vivo.
«Ti ho forse chiesto aiuto?»
«Perdoni la mia scortesia».
Si voltò, riportando la teiera al suo posto e
stiracchiando le labbra nel tentativo di non ridere. Pensare che anche un
demone potesse ridere in effetti era piuttosto buffo,
ma aveva imparato da tempo che con Ciel Phantomhive nulla era impossibile.
Riprese posto alla sua scrivania e appoggiò il
mento sul palmo di una mano, con espressione divertita.
Non aveva nemmeno ricominciato a leggere, che Ciel lo
chiamò.
«Sebastian».
«Desidera, bocchan?»
«Vieni qui».
I suoi occhi scattarono istintivamente in direzione
dell’insolita richiesta. Ciel era seduto al suo posto, con l’anello blu al dito
e le braccia conserte appoggiate alla scrivania. Lo sguardo era intenso – come
sempre del resto – ma aveva una sfumatura particolare, profondamente umana e nostalgica. Sembrava quasi che
il vecchio Ciel Phantomhive, il Cane da Guardia della Regina, il bambino di
tredici anni a cui ancora batteva un cuore, si fosse ripreso il proprio corpo
scivolandovi sottoforma di mesta ombra.
Il nuovo Conte gli fece segno con un dito di procedere e
continuò a chiedergli di avanzare anche quando si fu trovato a contatto con il
bordo della scrivania. L’uniforme nera si stava stropicciando pressata contro
il legno, infastidendo colui che la indossava. Alzò un sopracciglio in una
domanda muta, alla quale Ciel rispose semplicemente muovendo ancora l’indice,
avanti e indietro.
Decise di accontentarlo. Piegando il busto in avanti, si
avvicinò con il viso a quello dell’altro finché il dito di Ciel si fermò,
sospeso a mezz’aria. I loro nasi quasi si sfioravano – se avesse avuto la
capacità di respirare i profumi, Sebastian sarebbe stato inebriato dall’aroma
del Conte Phantomhive.
Ciel non disse nulla per un buon minuto, lasciandolo lì,
proteso in avanti, e beandosi di quell’immagine con il migliore dei suoi
sorrisi divertiti.
«Sebastian».
«Sì, bocchan?»
L’occhio destro di Ciel diede un guizzo sanguigno che si
spense subito. Il suo proprietario si protese all’indietro sulla sedia,
ostentando una superbia perfettamente aristocratica.
«Ti rivolgerò tre domande e dovrai rispondere con
sincerità ad ognuna delle tre».
Non capiva il gioco, ma preferì non chiedere nulla per il
momento. Ciel sapeva benissimo che non avrebbe risposto che la verità. Era
obbligato: era un perfetto maggiordomo.
«Hai capito?»
«Certo, bocchan».
Ciel si schiarì la voce e si alzò dalla sedia, girando
intorno alla scrivania per posizionarsi accanto a lui. Sebastian si sentì
autorizzato a ritirarsi dalla postura scomoda che aveva mantenuto fino a quel
momento. Dal suo scarso metro e cinquanta, Ciel lo squadrava serio, ma sul suo
viso leggeva un certo imbarazzo. Se fosse stato più umano, probabilmente
sarebbe arrossito.
«Uno», disse, puntandogli in faccia l’indice. «Un demone
può innamorarsi?»
Sebastian sentì che se non avesse riso quella volta,
sarebbe riuscito a trattenersi fino alla fine dei suoi giorni. Ma che razza di
domanda era? Tipica del signorino. Lo avrebbe sorpreso per tutto il resto
dell’eternità.
Ma Ciel lo inchiodava con due occhi perfettamente seri e
probabilmente non avrebbe rinunciato ad una risposta per nulla al mondo.
«Rispondi, Sebastian».
«Sì è possibile. Abbiamo avuto
l’esempio di Hannah Annafellows, bocchan».
Ciel gli diede le spalle di colpo, facendo finta di
niente, ma Sebastian lo vide muoversi nervoso da un piede all’altro, come se la
risposta non lo avesse convinto completamente. Sembrava quasi in imbarazzo ed
era particolarmente divertente. Si
comportava in modo così umano, per
essere un demone.
Improvvisamente davanti agli occhi gli arrivarono due
dita.
«Due». Ciel prese un respiro e chiuse gli occhi. «Ti sei
mai innamorato?»
Non appena ebbe pronunciato a fatica quelle poche parole,
uno strano rossore gli imporporò le guance – ma probabilmente fu solo una sua
impressione, perché era fisicamente
impossibile che un demone arrossisse.
Cercò di non richiamare nella propria mente le
implicazioni di quella domanda, ma era inevitabile. Una voglia incontenibile di
ridere lo attraversò all’improvviso e si lasciò scappare un sorriso senza
riuscire a trattenerlo.
Ciel lo guardò in cagnesco e lo prese per il colletto
della maglia.
«Non. Ridere. Sebastian!»
Tentò di trattenersi, come da ordine ricevuto, ma non era
mai stato così difficile.
Era assurdo che pensasse davvero a lui come a un essere
capace di provare amore. Poteva essere dominato dall’ossessione, pervaso dalla
furia o schiacciato dalla fame, ma era impossibile – mai successo, in assoluto
– che si innamorasse. E poi cos’era l’amore? Ammirazione? Devozione? Altruismo?
No, era una caratteristica tipicamente umana. E se Hannah ne era stata
contaminata era solo perché un bambino l’aveva
mossa a compassione. Quelli con cui lui aveva avuto a che fare non erano mai
stati bambini. E anche colui che aveva di fronte non era affatto un bambino:
era stato un’anima ribollente di rancore e desiderio di vendetta e ora era un
semplice demone.
Ma forse la risposta che si aspettava il Conte era
un’altra.
Inclinò la testa da un lato, tendendo gli angoli della
bocca.
«Mi sta chiedendo se mi sono innamorato di lei, bocchan?»
Ciel sobbalzò e si affrettò a scansarsi, allontanandosi di
quel poco che doveva sembrargli una distanza di sicurezza. Assottigliò lo
sguardo e piegò le labbra verso il basso.
«Che maggiordomo presuntuoso».
Ma il suo viso rivelava che in realtà qualcosa di quella
domanda l’aveva irrimediabilmente colpito.
«No».
Ciel alzò gli occhi.
«No cosa?»
«Non mi sono mai innamorato».
Stranamente l’espressione del Conte si distese e il suo
divenne un sorriso raggiante, degno dei più bei dipinti di un espressionista
pervaso dall’ottimismo.
«Meglio così».
Sebastian lo seguì avvicinarsi ancora, sedersi con un
balzo sulla scrivania davanti a lui e aprire le gambe ai lati del suo bacino
con noncuranza, come un bambino dispettoso e ignaro. Dondolò avanti e indietro
i piedi facendo leva sulle ginocchia e, con le braccia appoggiate alla
superficie lignea, si sporse in avanti. I loro occhi erano sullo stesso piano.
Sebastian non l’aveva mai visto così. E la cosa più
assurda, tra tutte, era che Ciel Phantomhive in quel momento gli appariva
terribilmente provocante.
«Domanda numero tre», soffiò
Ciel, direttamente sulle sue labbra.
Il suo sguardo cadde inavvertitamente in basso e sentì che
uno strano istinto umano tornava a bussare.
Ciel dovette accorgersene, perché il suo sorriso si
amplificò.
«E se ti dicessi di insegnarmi un po’ di ars amatoria?»
Sebastian si lasciò andare ad un sogghigno.
«Le chiederei se è un ordine, bocchan».
Ciel si tolse una ciocca di capelli dal viso e gettò il
capo all’indietro.
«Lo è, Sebastian. Fallo».
Senza smettere di guardarlo, Sebastian si avvicinò finché
le loro labbra non si sfiorarono. Ciel tremò e per un attimo sembrò perdere la
spavalderia di poco prima, ritornando il semplice essere umano che era stato.
Ma era un demone ormai.
«Yes, My Lord».
«Bocchan?»
Ciel Phantomhive era riverso sulla scrivania, ansimante e
nudo dalla vita in giù.
Non aveva davvero l’aria di essere un demone
potenzialmente pericoloso in quel momento.
Mugugnò in risposta, per dare segno di aver sentito.
«Si è mai innamorato, bocchan?»
Non ci fu nemmeno un attimo di esitazione.
«Sì. Quando ero umano».
«E di chi?»
Ciel Phantomhive sorrise, sospirando.
«Di te».
E, sì, Sebastian Michaelis doveva ammetterlo.
Non era affatto male.