Libri > Sherlock Holmes
Segui la storia  |       
Autore: ginnyx    15/05/2011    2 recensioni
Il vento soffia, il sole splende e due tombe, ingrigite dal tempo, si ergono nel fondo di un cimitero di una piccola cittadina del Sussex.
Queste due, ferme nella loro posizione, vicine, quasi attaccate, affrontano le intemperie del tempo come i loro proprietari affrontarono anni prima le intemperie della vita.
Ma, cercando di perdere quel brutto vizio tipico degli impazienti, partirò dall’inizio, da come e chi scelse quelle due tombe.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Holmes' Private Life11-Priorità e scelte

11. Priorità e scelte

 

 

Si correva verso la fine del secolo e l’estate aveva portato con sé non solo calura e afa, ma anche un più che singolare caso.

-Cosa posso fare per lei, signora…

-Phillimore, signora Phillimore.

Era mattina inoltrata ed io e il mio amico Holmes ci trovavamo davanti a una nuova e disperata cliente. Teneva gli occhi bassi e tormentava un fazzoletto completamente imbrattato di trucco e lacrime, indice della sua profonda angoscia. Ma solo quando alzò lo sguardo su di noi, capii che ciò che fomentava il suo pianto non era altro che rabbia repressa: i suoi occhi brillavano di determinazione.

-Mi deve aiutare, la prego! Alla polizia non mi hanno dato ascolto!

Holmes, a quell’improvviso cambio di comportamento, sbatté gli occhi stupito, per quanto quella macchina di Sherlock Holmes possa essere stupita , e le sorrise cordiale.

-Non si preoccupi, io e il dottor Watson valuteremo la situazione e cercheremo di aiutare suo marito.

La donna rimase per un attimo interdetta a quell’ultimo dettaglio, ma subito dopo si rilassò quasi rincuorata.

-Mi avevano detto che era bravo, ma non speravo così tanto.

Il mio amico sbuffò divertito, ma non fece in tempo a fornire la sua solita delucidazione di circostanza, che la donna lo interruppe.

-Oh, no, la prego, niente spiegazioni. Mi fido delle sue capacità e spero che riuscirà a ritrovare al più presto mio marito, James Phillimore.

Per quella volta, l’ego del mio amico dovette starsene quieto davanti alla forza di spirito di quella donna.

-Bene-, sentenziò Holmes con una lieve nota di sarcasmo nella voce –Come desidera. Non indugiamo oltre, ci racconti tutto dall’inizio.

-Scusate la mia scortesia, ma sono davvero preoccupata. In due anni di matrimonio non era mai capitato che il mio James sparisse per un intero giorno senza neanche rincasare. Sapete, lui è un metodico impiegato, legato alle tradizioni e amante delle abitudini, inoltre è d'indole pacata e meditativa, non lascia mai niente al caso. Pensate che ha impiegato sei mesi per chiedermi la mano!

A quell’ultima nota di gioia, vidi le labbra di Holmes stringersi in una linea sottile d’impazienza e insofferenza. Ciò non sfuggì neanche alla nostra determinata cliente.

-Le sembreranno futilità, signor Holmes, ma le assicuro che solo conoscendo bene mio marito potrà capire l’assurdità di questa storia. Comunque, i fatti che mi hanno spinto qui sono i seguenti: ieri mattina, prima di uscire per delle commissioni, io e mio marito discutevamo sul da farsi per quello stesso pomeriggio. Avevo programmato per le 5.00 una visita medica e il mio James aveva insistito per essere presente, purtroppo lui avrebbe lavorato fino a tardi e non avrebbe fatto in tempo ad accompagnarmi, ma essendo lo studio medico vicino al suo ufficio aveva deciso che lui mi avrebbe raggiunto direttamente lì, mentre io sarei venuta in carrozza. Giunta all’appuntamento chiesi al dottore di pazientare l’arrivo di mio marito, ma mezz’ora dopo fui costretta a desistere e a farmi visitare, o avrei perso il mio turno. Quando finalmente fui a casa, si erano fatte le 6.30 e mio marito ancora non si faceva vedere, ma non ero preoccupata. Spesso, per conquistarsi i favori del capo, faceva degli straordinari e lavorava anche fino alle 9.00 di sera. Ma solitamente mi mandava un telegramma e in giro non ne notavo nessuno. Chiesi alla nostra governante se l’aveva visto o se avevamo ricevuto telegrammi e lei mi rispose che verso le 5.00 di quel pomeriggio l’aveva visto entrare in casa di fretta e poi di nuovo uscire per chiamare una carrozza. Non sapeva dirmi altro perché stava uscendo per andare a comprare dello zucchero. Lo vide solo salire sulla carrozza e partire.

-Ha chiesto se—

-Sì, ho chiesto alla governante se ricordava il numero e per fortuna quella buona donna rammentò che quella carrozza passava spesso dalle nostre parti.

La signora Phillimore non aveva neanche dato il tempo a Holmes di formulare la domanda che era ripartita con il suo racconto, cosa che infastidì non poco il mio amico, ma notai anche come quel racconto stesse risvegliando in lui interesse, rendendogli gli occhi brillanti di curiosità.

-Con l’aiuto di mio fratello Marcus, anche lui vetturino, riuscimmo a rintracciare il veicolo. Fortunatamente il conducente, Stephen Gyller, era a rifocillarsi in un pub neanche due isolati di distanza. Così io e mio fratello, che non ha avuto cuore di lasciarmi in quello stato d’agitazione, andammo a parlare con questo signore che ci ha raccontato una storia abbastanza fantasiosa, a parer mio. Lui sostiene che il mio James, dopo pochi secondi che era seduto in carrozza, gli abbia ordinato di fermarsi perché aveva dimenticato l’ombrello. E questo è inammissibile, ieri il sole era splendente, il cielo era così pulito che non sembrava neanche di essere a Londra, quindi perché avrebbe dovuto portare con sé un ombrello? In ogni caso, il signor Gyller afferma di essersi fermato, averlo visto entrare in casa e di aver aspettato circa mezz’ora, poi, per non perdere altri clienti, di essersene andato. Ed è da allora che… che il mio James…

La donna deglutì pesantemente e si passò il fazzoletto consumato sugli occhi, ma appena asciugate le lacrime, tornò a puntare il suo sguardo ostinato su di noi.

-Oh vi prego, signor Holmes, aiutatemi! Sono disposta a pagare quanto—

Questa volta fu il mio amico a bloccare la donna. Con un gesto imperioso della mano le fece segno di fermarsi e subito dopo le porse un fazzoletto pulito.

-Il mio onorario è fisso, non faccio distinzioni, ma ne parleremo in seguito, piuttosto mi dica di questo—

-SIGNOR HOLMES!

A quel grido sobbalzammo spaventati, girandoci verso l’entrata, dove trovammo un ansante e completamente livido ispettore Lestrade.

-Ispettore! Le sembra questo il modo?- disse Holmes scattando in piedi, per poi assumere quel suo solito sorriso canzonatorio. –Per quanto mi sia sempre lamentato della scarsa intelligenza di Scotland Yard, pensavo almeno di poter contare su un minimo di civiltà, ma a quanto pare non v'insegnano neanche le buone maniere.

Ma il sorriso del mio amico scemò quando Lestrade non rispose, ma continuò a guardarlo fisso, con la paura che gli tremava negli occhi.

Era pallido, aveva il colletto storto e i bottoni del panciotto allacciati in malo modo, ansimava a fatica e le mani gli tremavano, come se fosse al cospetto della Morte.

Holmes dovette accorgersi di questi dettagli e anche molto di più, perché chiamò la signora Hudson e le chiese cortesemente di intrattenere al piano sottostante la nostra ospite. Dopo non pochi dibattiti e promesse, congedammo la signora Phillimore e Lestrade si lasciò letteralmente scivolare sulla poltrona, mentre gli porgevo un bicchiere di brandy.

Dopo aver bevuto, fece un profondo sospiro e si passò una mano tra i folti capelli grigi.

-Spero vogliate scusarmi, signor Holmes, Dottore, per l’infelice uscita di prima, ma ero sconvolto.

-E lo è ancora-, rispose il mio amico piatto, senza sarcasmo, continuando ad osservarlo, analizzando ogni più piccolo dettaglio del suo essere. Le sue parole però dovettero essere fraintese, perché subito l’altro scattò in piedi.

-Sì, perché questa è una vera ingiustizia! Un complotto! Un… un’indecenza!- quasi urlò infervorato e agitando le mani in aria.

Era uno spettacolo grottesco.

-E lo è anche il suo comportamento, Lestrade-, pronunciò risoluto il mio amico, avvicinandosi e puntando i suoi occhi su di lui. –Non so cosa l’abbia indotta a sragionare in tal maniera, ma la maleducazione non ha scusanti.

-Neanche un figlio accusato di omicidio?

A quelle parole quasi rischiai di rovesciarmi il mio bicchiere di brandy sul panciotto. Il tono mesto delle sue parole mi colpì così profondamente, che mi dimenticai completamente della sua condotta precedente. Holmes impassibile lo guardò scivolare nuovamente sulla poltrona e portarsi una mano sul viso, poi si sedette anche lui e dal modo in cui lo osservò, capii che anche il mio amico aveva già perdonato tutto. Dal mio canto, io non avevo mai avuto la fortuna di diventare padre, purtroppo, ma compresi fin troppo bene il dolore di Lestrade, così mi allungai posandogli una mano sulla spalla. L’ispettore si girò lentamente verso di me e gli sorrisi stringendo la presa.

-Faremo l’impossibile, Lestrade-, dissi deciso per poi lasciare la sua spalla.

-La ringrazio, Dottore- mi disse sincero lui accennando a un sorriso.

-E la ringrazierei anch’io, Watson, se la smettesse di farci perdere tempo con le sue romanticherie. Se l’ispettore è venuto di corsa qui e in tali condizioni-, continuò indicandogli distrattamente il panciotto mal abbottonato; -deve essere una grave emergenza, questione di vita o di morte e, se non ricordo male, le rassicurazioni non salvano i figli da accuse di omicidio.

In altre circostanze avrei ribattuto acido a queste sue insensibili affermazioni, ma aveva ragione: non avevamo tempo. Feci cenno a Lestrade di non preoccuparsi di quelle parole e mi preparai a trascrivere gli appunti di quel caso.

Holmes si allungò a prendere la pipa e l’accese.

-Bene, Lestrade, ci racconti tutto- a quelle parole, l’ispettore emise un lungo sospiro.

-Il problema, signor Holmes, è proprio questo: non so cosa raccontarle- abbassò gli occhi, invasi dal senso di colpa, ma immediatamente li rialzò; non era tipo da abbattersi, il caro ispettore.

–Vedete, sta mattina, come ogni giorno, sono andato a Scotland Yard e avevo deciso di mettermi subito al lavoro, ma prima di tutto dovevo informare l’ispettore Gregson di alcuni sviluppi su un caso che non concerne questa faccenda. Comunque, chiesi al suo assistente dove potevo trovarlo, visto che il suo ufficio era vuoto ed egli mi disse che era nella stanza degli interrogatori. Lo ringraziai e mi diressi subito dove mi era stato indicato, però quando arrivai la porta era socchiusa e una voce famigliare mi giunse alle orecchie. Così per curiosità e per evitare di disturbare il mio collega in un momento probabilmente delicato, gettai un'occhiata dallo spiraglio della porta e…

L’ispettore si frizionò nervosamente capelli e fermò la sua narrazione, cercando le parole più appropriate. Il suo ennesimo sospiro m'informò che si era reso conto che non esistevano, non in un contesto simile.

-E… e c’era Gregory, Gregory Jr, mio figlio-, si fermò nuovamente e voltò gli occhi nella mia direzione. –Appena mi ha visto ha incominciato a gridare “Papà, papà! Non credergli, non sono stato io! Papà!”. Cercò di alzarsi e venirmi in contro, ma subito una guardia lo bloccò e la stessa sorte toccò a me. Un ragazzone mi spinse fuori dalla porta, senza neanche darmi il tempo di parlare né con mio figlio né con Gregson. M'infuriai e cercai di opporre resistenza, ma quell’energumeno mi ricordò che così peggioravo solo la situazione. Ribollivo ancora di rabbia, ma cercai di mantenere la calma e magari estrapolare delle informazioni a quell’uomo. Purtroppo non riuscii a cavargli una parola di bocca, neanche di cos’era accusato mio figlio, neppure quello!

Nell’ultima parte aveva alzato la voce, ma rendendosene conto, strinse la mascella e inspirò profondamente.

-Ma come voi ben saprete, non sono tipo da arrendersi. Decisi infatti di aspettare che l’interrogatorio finisse per poi tampinare Gregson finché non si fosse deciso a raccontarmi cosa stava accadendo. E così feci. Appena vidi, tristemente, mio figlio portato in cella e Gregson uscire, lo bloccai esigendo delle spiegazioni che però non si degnò di darmi, continuando ad attaccarsi a inutili cavilli legali e rifilandomi patetiche scuse, come “questo caso non è suo e non potrà averlo, non saprà niente prima che lo sappiano tutti gli altri”. Continuammo così per mezz’ora, ma alla fine, quando stavo quasi per supplicarlo, gli scapparono delle parole che mi fecero gelare il sangue nelle vene. “Per l’amor del Cielo, Lestrade, la smetta! Non posso dirle nulla perchè mi hanno proibito di farlo!” mi sbraitò contro, poi chiuse subito la bocca, pentito, e se ne andò a passo veloce. Ed io… io sono corso qui. Da lei.

Dopo quest’ultima affermazione calò un lungo e teso silenzio, così suggestivo che vidi Lestrade cedere sotto il peso di esso e abbassare le spalle.

-Io lo so. Lo so che questo non è il tipo di casi che accetta, signor Holmes. Dopo tutto non ho dati, non ho informazioni…-, incominciò a tartagliare preso dal nervosismo.

-Lestrade…-, lo chiamò il mio amico, ma quel giorno i suoi clienti parevano piuttosto ribelli.

-Non ho prove, non ho dettagli interessanti, né indagati né—

-Lestrade-, ripeté questa volta Holmes più autoritario, ma al tempo stesso riguardoso, conquistando l’attenzione dell’altro; –Lei non ha bisogno di dirmi altro.

L’ispettore prima guardò perplesso il mio amico, poi me. Cosa intendeva dire con quella frase?

Holmes, intanto, svuotò delicatamente la sua pipa, la pulì e controllò il suo lavoro, infine la posò al suo solito posto, tutto sotto il soffocante sguardo di Lestrade.

-Quindi… lei?-, tartagliò l’ispettore incerto.

-Accetto il caso.

Non penso di aver mai visto sorriso così ampio sul viso del nostro amico. Il colore gli riempì le gote e gli occhi tornarono nervosi e febbricitanti come sempre, io non potei evitare di sorridere di rimando. Questa era l’ennesima dimostrazione, pensai compiaciuto, di quanto Holmes potesse cambiare la vita delle persone, anche con solo una manciata di parole.

Intanto Lestrade si era alzato in piedi e stringeva energicamente la mano del mio amico.

-Oh, signor Holmes! Oh, non sa quanto mi fa felice! Le prometto, le giuro sul mio onore, su tutto ciò che ho di più caro che—

L’ispettore era come un fiume, che ormai rotta la diga, riusciva finalmente a tornare libero e neppure Holmes, così ricoperto di elogi (e di un pudico rossore), riusciva a fermarlo. Tossii qualche volta, più per scongiurare la risata che mi pizzicava in gola, che per richiamare l’ordine. In ogni caso, Lestrade ricordò di scatto per quale motivo era venuto e volò in strada a chiamare una carrozza.

Holmes si alzò in piedi e appena incrociò il suo sguardo stremato con il mio piuttosto divertito, sollevò una mano aperta come a vietarmi ogni possibile commento sui fatti accaduti. Ridacchiai, dandogli due leggere pacche sulla spalla, come a confortarlo. Lui mi guardò storto, ma non gli concessi il tempo di una parola e scesi a raggiungere Lestrade. Però eravamo dimentichi di un piccolo particolare.

La signora Phillimore, richiamata probabilmente dai nostri passi, si gettò sulla rampa delle scale.

-Allora andiamo? Chiamo la carrozza?

Vedendo gli occhi di quella donna così pieni di speranza mi sentii un mostro a dover abbandonarla così, però avevamo fatto una scelta.

-Mi dispiace, signora Phillimore-, disse infatti il mio amico; -Un altro problema richiede la nostra presenza a Scotland Yard, ma non sono dimentico della mia promessa: appena mi verrà concesso la contatterò e cercheremo suo marito.

La poverina abbassò la testa e il mio amico fece per superarla per raggiungere la porta, ma lei si frappose.

-Lei… lei non può!- rispose rabbiosa e con gli occhi velati di lacrime. –Non può farlo! Mi… mi avevano detto che lei è senza cuore, che accetta solo i casi che più le aggradano, ma speravo…- singhiozzò, -speravo che il mio James fosse abbastanza interessante!

Vidi Holmes irrigidirsi a quelle parole, ma rimase nel suo silenzio, lasciandosi rimproverare da quella donna fuori di sé.

-Per caso il dottor Watson ha mentito nei suoi romanzi? Ha sempre scritto che se i problemi si esponevano bene, se… se erano strani, fuori dalla logica, se non… non era mai successo niente di simile, allora… allora lei mi avrebbe aiutato!- esclamò in fine, sciogliendosi in lacrime.

Non penso di essermi mai sentito tanto in colpa nei confronti di un cliente e di Holmes. Gli gettai uno sguardo di scuse, ma lui non mi prestava attenzione, guardava la donna.

-Signora-, disse con tono dolce, avvicinandosi e stringendole delicatamente una mano tra le sue. –Mi dispiace per quello che sta passando, capisco che perdere una persona cara e non poter far nulla per poterla riavere corroda l’anima. Temo, però, che lei abbia travisato le parole del mio amico, io non faccio differenze tra i casi, cerco di risolverli tutti e do a tutti lo stesso peso. Purtroppo a volte si presentano situazioni come questa, e sono chiamato a fare una scelta.

Lei con un gesto stizzito richiamò la mano spezzando il contatto, ma senza mai lasciare i suoi occhi, quasi volesse punirlo.

-Quindi lei definisce “scelta” aiutare quello screanzato poliziotto a salvare suo figlio che molto probabilmente è un assassino?! E non mi guardate così, gridava così forte che era impossibile non sentirlo!- ansimò un attimo, sfinita dalle lacrime, poi riprese il suo straziante e patetico spettacolo. –Non si vergogna? Non segue neanche le sue priorità! Preferisce non dare una mano a una povera disperata per trovare il suo onesto marito, ma aiutare i suoi amichetti.

A quell’ultima affermazione Holmes perse il suo sguardo comprensivo e la fulminò, senza cercare di nascondere la rabbia che gli incendiava gli occhi.

-Non si permetta d’insultare me o i miei cari. Mai- la redarguì lapidario. –Solo perché comprendo il suo dolore non le farò ricorso per infamia, ma stia attenta, sto perdendo la pazienza.

Il tono basso, quasi roco, del mio amico dovette spaventare la donna perché la vidi rabbrividire e fare un passo indietro, abbassando finalmente gli occhi.

Holmes le si avvicinò, quasi obbligandola a fissare quegli occhi di ghiaccio.

-La vita è fatta di diverse cose, diverse strade. Sta a noi decidere la direzione da prendere e con quali criteri scegliere essa.

La donna non resistette di più e abbassò lo sguardo, vinta dall’acciaio di Holmes, ma il mio amico non aveva ancora finito.

-Priorità e scelte sono cose diverse. Le proprie priorità si possono ignorare a favore di quelle altrui, le priorità possono cambiare, si possono ritrattare, ma le scelte… le scelte sono quelle che ci condizionano la vita. Fatta una non si può tornare indietro.

Holmes aprì con mano decisa la porta e fece un passo fuori da essa, poi si voltò verso noi.

-Io ho fatto la mia, adesso tocca a lei fare la sua.

La signora Phillimore strinse le mani intorno al fazzoletto e poi annuì mestamente, senza dire una parola. Holmes, ritenendosi soddisfatto, lasciò la porta aperta e si diresse verso la carrozza su cui lo stava attendendo Lestrade.

Io velocemente scesi le scale e mi precipitai fuori, ma fu solo quando misi un piede fuori e vidi Holmes che mi tendeva la mano per aiutarmi a salire sulla vettura, che compresi. Capii quali erano state le mie scelte e quanto avevo da ringraziare per averle compiute.

Sorrisi, afferrai la mano di Holmes e sorrisi ancor di più a vedere uno sguardo perplesso, che per una volta non era il mio.

Nessun rimpianto.

 

 

 

 

 

 

***Angolino della squinternata***

Orbene eccomi qui! *passano le balle di fieno* Ok, vi siete –giustamente- dimenticati di me, ma purtroppo io non di questo meraviglioso fandom!

Mi dispiace veramente tantissimo per questo ritardo astronomico, ma questo capitolo non voleva venir fuori.

La mia idea era di fare un parallelo con il primo ovvero “La strana giornata della felicità”. Perché? Perché questo, signori miei, è l’ultimo capitolo di questa raccolta. Questo è l’ultimo racconto che Holmes trova nella cartella. Purtroppo, per vostra (s)fortuna, c’è anche l’epilogo, quindi tenete i pomodori per il prossimo capitolo, ok? xD

Bene, fatta questa premessa direi di passare al capitolo.

1)”Si correva verso la fine del secolo” cosa vuol dire? Bhe, proprio quello che c’è scritto. Il secolo sta per finire, siamo nel 1899 più precisamente in estate. Perché quest'anno? Perché se voi vi andate a leggere l’inizio de “L’enigma di Thor Bridge”, Watson fa un elenco dei casi irrisolti contenuti nella famosa cassetta di sicurezza della banca Cox & Co. Questo caso è datato nell’ottobre del 1900 quindi io ho ipotizzato che le avventure qui narrate fossero successe circa un anno prima. Ma perché proprio queste avventure? Leggete la nota che segue.

2) “Signora Phillimore”. Qualcuno di voi ha riconosciuto questo cognome? È proprio la consorte dello sfortunato James Phillimore che, come dice Watson, proprio ne “L’enigma di Thor Bridge”, rientrato in casa per prendere l’ombrello, svanì dalla faccia della terra. Ecco, questo caso era proprio annoverato tra quelli irrisolti contenuti nella famosa cassetta. Ora capito perché l’anno? =D

3)Lestrade. Oh povero Lestrade. Inizio subito col ribadire per l’ennesima volta che amo quell’uomo e che mi dispiace avergli quasi messo il figlio sulla forca, ma non vi preoccupate! Holmes alla fine ha risolto tutto, una sciocchezza di un paio d’ore, ma di questo parleremo poi. Tornando al nostro caro ispettore, io non so se vi sia sembrato OOC, ma v'invito a riflettere sulla gravità della situazione e sul suo temperamento che sappiamo essere molto focoso, ma se avete qualcosa da ridire fate pure ^^ ognuno ha la sua interpretazione.

4)Holmes ammetto che mi ha fatto molto, MOLTO sudare in questo capitolo, faceva come più gli aggradava e ammetto di averlo lasciato un po’ fare. Ma nel finale si è dimostrato per ciò che è, un uomo di gran cuore. Perché lui non sapendo niente dell’omicidio e pur sospettando che fosse una cosa da niente, abbandona quel caso che l’aveva preso tanto e decide di seguire Lestrade. Perché? Perché ha fatto la sua scelta? Perché proprio questa? Perché è suo amico e, anche se non lo ammetterà mai, odia vederlo così.

5) Prima ho parlato di parallelo con il primo capitolo, ma forse è meglio spiegare. Vedete, nel primo capitolo Holmes definisce Lestrade “Yarder” e niente più, mentre qui vediamo come in un certo senso è cresciuto il rapporto tra i due, come scherzino di più, siano più uniti, amici. Sì, per me sono amici. Oddio, mai quanto Holmes e Watson, ma loro due sono un caso a parte, sono soulmates (da NON leggere come “anime gemelle”, ma come “compagni d’anima, di desideri, di sogni”). Lestrade, se proprio non vogliamo definirlo amico, diciamo che è l’unico che si può presentare a casa di Holmes tutte le sere e chiacchierare senza preavviso, un lusso non da poco per un semplice Yarder, no?

 

Dunque, direi di aver finito, anche se so, SO che appena pubblicherò mi verrà qualcos’altro in mente.

Approfitto per ringraziare tutti quelli che leggono/ricordano/seguono e recensiscono questa storia a cui sono particolarmente legata.

Grazie ancora.

 

 

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Sherlock Holmes / Vai alla pagina dell'autore: ginnyx