11. Priorità e scelte
Si
correva verso la fine del secolo e l’estate aveva portato con sé non solo
calura e afa, ma anche un più che singolare caso.
-Cosa
posso fare per lei, signora…
-Phillimore,
signora Phillimore.
Era
mattina inoltrata ed io e il mio amico Holmes ci trovavamo davanti a una nuova
e disperata cliente. Teneva gli occhi bassi e tormentava un fazzoletto completamente
imbrattato di trucco e lacrime, indice della sua profonda angoscia. Ma solo
quando alzò lo sguardo su di noi, capii che ciò che fomentava il suo pianto non
era altro che rabbia repressa: i suoi occhi brillavano di determinazione.
-Mi
deve aiutare, la prego! Alla polizia non mi hanno dato ascolto!
Holmes,
a quell’improvviso cambio di comportamento, sbatté gli occhi stupito, per quanto quella macchina di
Sherlock Holmes possa essere stupita , e le sorrise cordiale.
-Non
si preoccupi, io e il dottor Watson valuteremo la situazione e cercheremo di aiutare
suo marito.
La
donna rimase per un attimo interdetta a quell’ultimo dettaglio, ma subito dopo
si rilassò quasi rincuorata.
-Mi
avevano detto che era bravo, ma non speravo così tanto.
Il
mio amico sbuffò divertito, ma non fece in tempo a fornire la sua solita delucidazione
di circostanza, che la donna lo interruppe.
-Oh,
no, la prego, niente spiegazioni. Mi fido delle sue capacità e spero che
riuscirà a ritrovare al più presto mio marito, James Phillimore.
Per
quella volta, l’ego del mio amico dovette starsene quieto davanti alla forza di
spirito di quella donna.
-Bene-,
sentenziò Holmes con una lieve nota di sarcasmo nella voce –Come desidera. Non
indugiamo oltre, ci racconti tutto dall’inizio.
-Scusate
la mia scortesia, ma sono davvero preoccupata. In due anni di matrimonio non
era mai capitato che il mio James sparisse per un intero giorno senza neanche
rincasare. Sapete, lui è un metodico impiegato, legato alle tradizioni e amante
delle abitudini, inoltre è d'indole pacata e meditativa, non lascia mai niente
al caso. Pensate che ha impiegato sei mesi per chiedermi la mano!
A
quell’ultima nota di gioia, vidi le labbra di Holmes stringersi in una linea
sottile d’impazienza e insofferenza. Ciò non sfuggì neanche alla nostra
determinata cliente.
-Le
sembreranno futilità, signor Holmes, ma le assicuro che solo conoscendo bene
mio marito potrà capire l’assurdità di questa storia. Comunque, i fatti che mi
hanno spinto qui sono i seguenti: ieri mattina, prima di uscire per delle
commissioni, io e mio marito discutevamo sul da farsi per quello stesso
pomeriggio. Avevo programmato per le 5.00 una visita medica e il mio James
aveva insistito per essere presente, purtroppo lui avrebbe lavorato fino a
tardi e non avrebbe fatto in tempo ad accompagnarmi, ma essendo lo studio
medico vicino al suo ufficio aveva deciso che lui mi avrebbe raggiunto direttamente
lì, mentre io sarei venuta in carrozza. Giunta all’appuntamento chiesi al
dottore di pazientare l’arrivo di mio marito, ma mezz’ora dopo fui costretta a
desistere e a farmi visitare, o avrei perso il mio turno. Quando finalmente fui
a casa, si erano fatte le 6.30 e mio marito ancora non si faceva vedere, ma non
ero preoccupata. Spesso, per conquistarsi i favori del capo, faceva degli
straordinari e lavorava anche fino alle 9.00 di sera. Ma solitamente mi mandava
un telegramma e in giro non ne notavo nessuno. Chiesi alla nostra governante se
l’aveva visto o se avevamo ricevuto telegrammi e lei mi rispose che verso le
5.00 di quel pomeriggio l’aveva visto entrare in casa di fretta e poi di nuovo
uscire per chiamare una carrozza. Non sapeva dirmi altro perché stava uscendo
per andare a comprare dello zucchero. Lo vide solo salire sulla carrozza e
partire.
-Ha
chiesto se—
-Sì,
ho chiesto alla governante se ricordava il numero e per fortuna quella buona
donna rammentò che quella carrozza passava spesso dalle nostre parti.
La
signora Phillimore non aveva neanche dato il tempo a Holmes di formulare la
domanda che era ripartita con il suo racconto, cosa che infastidì non poco il
mio amico, ma notai anche come quel racconto stesse risvegliando in lui interesse,
rendendogli gli occhi brillanti di curiosità.
-Con
l’aiuto di mio fratello Marcus, anche lui vetturino, riuscimmo a rintracciare
il veicolo. Fortunatamente il conducente, Stephen Gyller, era a rifocillarsi in
un pub neanche due isolati di distanza. Così io e mio fratello, che non ha avuto
cuore di lasciarmi in quello stato d’agitazione, andammo a parlare con questo
signore che ci ha raccontato una storia abbastanza fantasiosa, a parer mio. Lui
sostiene che il mio James, dopo pochi secondi che era seduto in carrozza, gli
abbia ordinato di fermarsi perché aveva dimenticato l’ombrello. E questo è
inammissibile, ieri il sole era splendente, il cielo era così pulito che non
sembrava neanche di essere a Londra, quindi perché avrebbe dovuto portare con
sé un ombrello? In ogni caso, il signor Gyller afferma di essersi fermato,
averlo visto entrare in casa e di aver aspettato circa mezz’ora, poi, per non
perdere altri clienti, di essersene andato. Ed è da allora che… che il mio
James…
La
donna deglutì pesantemente e si passò il fazzoletto consumato sugli occhi, ma
appena asciugate le lacrime, tornò a puntare il suo sguardo ostinato su di noi.
-Oh
vi prego, signor Holmes, aiutatemi! Sono disposta a pagare quanto—
Questa
volta fu il mio amico a bloccare la donna. Con un gesto imperioso della mano le
fece segno di fermarsi e subito dopo le porse un fazzoletto pulito.
-Il
mio onorario è fisso, non faccio distinzioni, ma ne parleremo in seguito,
piuttosto mi dica di questo—
-SIGNOR
HOLMES!
A
quel grido sobbalzammo spaventati, girandoci verso l’entrata, dove trovammo un
ansante e completamente livido ispettore Lestrade.
-Ispettore!
Le sembra questo il modo?- disse Holmes scattando in piedi, per poi assumere
quel suo solito sorriso canzonatorio. –Per quanto mi sia sempre lamentato della
scarsa intelligenza di Scotland Yard, pensavo almeno di poter contare su un
minimo di civiltà, ma a quanto pare non v'insegnano neanche le buone maniere.
Ma
il sorriso del mio amico scemò quando Lestrade non rispose, ma continuò a
guardarlo fisso, con la paura che gli tremava negli occhi.
Era
pallido, aveva il colletto storto e i bottoni del panciotto allacciati in malo
modo, ansimava a fatica e le mani gli tremavano, come se fosse al cospetto
della Morte.
Holmes
dovette accorgersi di questi dettagli e anche molto di più, perché chiamò la
signora Hudson e le chiese cortesemente di intrattenere al piano sottostante la
nostra ospite. Dopo non pochi dibattiti e promesse, congedammo la signora
Phillimore e Lestrade si lasciò letteralmente scivolare sulla poltrona, mentre
gli porgevo un bicchiere di brandy.
Dopo
aver bevuto, fece un profondo sospiro e si passò una mano tra i folti capelli
grigi.
-Spero
vogliate scusarmi, signor Holmes, Dottore, per l’infelice uscita di prima, ma
ero sconvolto.
-E
lo è ancora-, rispose il mio amico piatto, senza sarcasmo, continuando ad
osservarlo, analizzando ogni più piccolo dettaglio del suo essere. Le sue
parole però dovettero essere fraintese, perché subito l’altro scattò in piedi.
-Sì,
perché questa è una vera ingiustizia! Un complotto! Un… un’indecenza!- quasi
urlò infervorato e agitando le mani in aria.
Era
uno spettacolo grottesco.
-E
lo è anche il suo comportamento, Lestrade-, pronunciò risoluto il mio amico, avvicinandosi
e puntando i suoi occhi su di lui. –Non so cosa l’abbia indotta a sragionare in
tal maniera, ma la maleducazione non ha scusanti.
-Neanche
un figlio accusato di omicidio?
A
quelle parole quasi rischiai di rovesciarmi il mio bicchiere di brandy sul
panciotto. Il tono mesto delle sue parole mi colpì così profondamente, che mi
dimenticai completamente della sua condotta precedente. Holmes impassibile lo
guardò scivolare nuovamente sulla poltrona e portarsi una mano sul viso, poi si
sedette anche lui e dal modo in cui lo osservò, capii che anche il mio amico
aveva già perdonato tutto. Dal mio canto, io non avevo mai avuto la fortuna di
diventare padre, purtroppo, ma compresi fin troppo bene il dolore di Lestrade,
così mi allungai posandogli una mano sulla spalla. L’ispettore si girò
lentamente verso di me e gli sorrisi stringendo la presa.
-Faremo
l’impossibile, Lestrade-, dissi deciso per poi lasciare la sua spalla.
-La
ringrazio, Dottore- mi disse sincero lui accennando a un sorriso.
-E
la ringrazierei anch’io, Watson, se la smettesse di farci perdere tempo con le
sue romanticherie. Se l’ispettore è venuto di corsa qui e in tali condizioni-,
continuò indicandogli distrattamente il panciotto mal abbottonato; -deve essere
una grave emergenza, questione di vita o di morte e, se non ricordo male, le
rassicurazioni non salvano i figli da accuse di omicidio.
In
altre circostanze avrei ribattuto acido a queste sue insensibili affermazioni,
ma aveva ragione: non avevamo tempo. Feci cenno a Lestrade di non preoccuparsi
di quelle parole e mi preparai a trascrivere gli appunti di quel caso.
Holmes
si allungò a prendere la pipa e l’accese.
-Bene,
Lestrade, ci racconti tutto- a quelle parole, l’ispettore emise un lungo
sospiro.
-Il
problema, signor Holmes, è proprio questo: non so cosa raccontarle- abbassò gli
occhi, invasi dal senso di colpa, ma immediatamente li rialzò; non era tipo da abbattersi,
il caro ispettore.
–Vedete,
sta mattina, come ogni giorno, sono andato a Scotland Yard e avevo deciso di
mettermi subito al lavoro, ma prima di tutto dovevo informare l’ispettore
Gregson di alcuni sviluppi su un caso che non concerne questa faccenda.
Comunque, chiesi al suo assistente dove potevo trovarlo, visto che il suo
ufficio era vuoto ed egli mi disse che era nella stanza degli interrogatori. Lo
ringraziai e mi diressi subito dove mi era stato indicato, però quando arrivai
la porta era socchiusa e una voce famigliare mi giunse alle orecchie. Così per
curiosità e per evitare di disturbare il mio collega in un momento
probabilmente delicato, gettai un'occhiata dallo spiraglio della porta e…
L’ispettore
si frizionò nervosamente capelli e fermò la sua narrazione, cercando le parole
più appropriate. Il suo ennesimo sospiro m'informò che si era reso conto che
non esistevano, non in un contesto simile.
-E…
e c’era Gregory, Gregory Jr, mio figlio-, si fermò nuovamente e voltò gli occhi
nella mia direzione. –Appena mi ha visto ha incominciato a gridare “Papà, papà!
Non credergli, non sono stato io! Papà!”. Cercò di alzarsi e venirmi in contro,
ma subito una guardia lo bloccò e la stessa sorte toccò a me. Un ragazzone mi
spinse fuori dalla porta, senza neanche darmi il tempo di parlare né con mio
figlio né con Gregson. M'infuriai e cercai di opporre resistenza, ma
quell’energumeno mi ricordò che così peggioravo solo la situazione. Ribollivo
ancora di rabbia, ma cercai di mantenere la calma e magari estrapolare delle
informazioni a quell’uomo. Purtroppo non riuscii a cavargli una parola di
bocca, neanche di cos’era accusato mio figlio, neppure quello!
Nell’ultima
parte aveva alzato la voce, ma rendendosene conto, strinse la mascella e
inspirò profondamente.
-Ma
come voi ben saprete, non sono tipo da arrendersi. Decisi infatti di aspettare
che l’interrogatorio finisse per poi tampinare Gregson finché non si fosse
deciso a raccontarmi cosa stava accadendo. E così feci. Appena vidi,
tristemente, mio figlio portato in cella e Gregson uscire, lo bloccai esigendo
delle spiegazioni che però non si degnò di darmi, continuando ad attaccarsi a
inutili cavilli legali e rifilandomi patetiche scuse, come “questo caso non è
suo e non potrà averlo, non saprà niente prima che lo sappiano tutti gli
altri”. Continuammo così per mezz’ora, ma alla fine, quando stavo quasi per
supplicarlo, gli scapparono delle parole che mi fecero gelare il sangue nelle
vene. “Per l’amor del Cielo, Lestrade, la smetta! Non posso dirle nulla perchè
mi hanno proibito di farlo!” mi sbraitò contro, poi chiuse subito la bocca,
pentito, e se ne andò a passo veloce. Ed io… io sono corso qui. Da lei.
Dopo
quest’ultima affermazione calò un lungo e teso silenzio, così suggestivo che vidi
Lestrade cedere sotto il peso di esso e abbassare le spalle.
-Io
lo so. Lo so che questo non è il tipo di casi che accetta, signor Holmes. Dopo
tutto non ho dati, non ho informazioni…-, incominciò a tartagliare preso dal
nervosismo.
-Lestrade…-,
lo chiamò il mio amico, ma quel giorno i suoi clienti parevano piuttosto
ribelli.
-Non
ho prove, non ho dettagli interessanti, né indagati né—
-Lestrade-,
ripeté questa volta Holmes più autoritario, ma al tempo stesso riguardoso,
conquistando l’attenzione dell’altro; –Lei non ha bisogno di dirmi altro.
L’ispettore
prima guardò perplesso il mio amico, poi me. Cosa intendeva dire con quella
frase?
Holmes,
intanto, svuotò delicatamente la sua pipa, la pulì e controllò il suo lavoro,
infine la posò al suo solito posto, tutto sotto il soffocante sguardo di
Lestrade.
-Quindi…
lei?-, tartagliò l’ispettore incerto.
-Accetto
il caso.
Non
penso di aver mai visto sorriso così ampio sul viso del nostro amico. Il colore
gli riempì le gote e gli occhi tornarono nervosi e febbricitanti come sempre,
io non potei evitare di sorridere di rimando. Questa era l’ennesima
dimostrazione, pensai compiaciuto, di quanto Holmes potesse cambiare la vita
delle persone, anche con solo una manciata di parole.
Intanto
Lestrade si era alzato in piedi e stringeva energicamente la mano del mio
amico.
-Oh,
signor Holmes! Oh, non sa quanto mi fa felice! Le prometto, le giuro sul mio
onore, su tutto ciò che ho di più caro che—
L’ispettore
era come un fiume, che ormai rotta la diga, riusciva finalmente a tornare
libero e neppure Holmes, così ricoperto di elogi (e di un pudico rossore),
riusciva a fermarlo. Tossii qualche volta, più per scongiurare la risata che mi
pizzicava in gola, che per richiamare l’ordine. In ogni caso, Lestrade ricordò
di scatto per quale motivo era venuto e volò in strada a chiamare una carrozza.
Holmes
si alzò in piedi e appena incrociò il suo sguardo stremato con il mio piuttosto
divertito, sollevò una mano aperta come a vietarmi ogni possibile commento sui
fatti accaduti. Ridacchiai, dandogli due leggere pacche sulla spalla, come a
confortarlo. Lui mi guardò storto, ma non gli concessi il tempo di una parola e
scesi a raggiungere Lestrade. Però eravamo dimentichi di un piccolo particolare.
La
signora Phillimore, richiamata probabilmente dai nostri passi, si gettò sulla
rampa delle scale.
-Allora
andiamo? Chiamo la carrozza?
Vedendo
gli occhi di quella donna così pieni di speranza mi sentii un mostro a dover
abbandonarla così, però avevamo fatto una scelta.
-Mi
dispiace, signora Phillimore-, disse infatti il mio amico; -Un altro problema
richiede la nostra presenza a Scotland Yard, ma non sono dimentico della mia
promessa: appena mi verrà concesso la contatterò e cercheremo suo marito.
La
poverina abbassò la testa e il mio amico fece per superarla per raggiungere la
porta, ma lei si frappose.
-Lei…
lei non può!- rispose rabbiosa e con gli occhi velati di lacrime. –Non può
farlo! Mi… mi avevano detto che lei è senza cuore, che accetta solo i casi che
più le aggradano, ma speravo…- singhiozzò, -speravo che il mio James fosse
abbastanza interessante!
Vidi
Holmes irrigidirsi a quelle parole, ma rimase nel suo silenzio, lasciandosi
rimproverare da quella donna fuori di sé.
-Per
caso il dottor Watson ha mentito nei suoi romanzi? Ha sempre scritto che se i
problemi si esponevano bene, se… se erano strani, fuori dalla logica, se non…
non era mai successo niente di simile, allora… allora lei mi avrebbe aiutato!-
esclamò in fine, sciogliendosi in lacrime.
Non
penso di essermi mai sentito tanto in colpa nei confronti di un cliente e di
Holmes. Gli gettai uno sguardo di scuse, ma lui non mi prestava attenzione,
guardava la donna.
-Signora-,
disse con tono dolce, avvicinandosi e stringendole delicatamente una mano tra
le sue. –Mi dispiace per quello che sta passando, capisco che perdere una
persona cara e non poter far nulla per poterla riavere corroda l’anima. Temo,
però, che lei abbia travisato le parole del mio amico, io non faccio differenze
tra i casi, cerco di risolverli tutti e do a tutti lo stesso peso. Purtroppo a
volte si presentano situazioni come questa, e sono chiamato a fare una scelta.
Lei
con un gesto stizzito richiamò la mano spezzando il contatto, ma senza mai
lasciare i suoi occhi, quasi volesse punirlo.
-Quindi
lei definisce “scelta” aiutare quello screanzato poliziotto a salvare suo
figlio che molto probabilmente è un assassino?! E non mi guardate così, gridava
così forte che era impossibile non sentirlo!- ansimò un attimo, sfinita dalle
lacrime, poi riprese il suo straziante e patetico spettacolo. –Non si vergogna?
Non segue neanche le sue priorità! Preferisce non dare una mano a una povera
disperata per trovare il suo onesto marito, ma aiutare i suoi amichetti.
A
quell’ultima affermazione Holmes perse il suo sguardo comprensivo e la fulminò,
senza cercare di nascondere la rabbia che gli incendiava gli occhi.
-Non
si permetta d’insultare me o i miei cari. Mai- la redarguì lapidario. –Solo perché
comprendo il suo dolore non le farò ricorso per infamia, ma stia attenta, sto
perdendo la pazienza.
Il
tono basso, quasi roco, del mio amico dovette spaventare la donna perché la
vidi rabbrividire e fare un passo indietro, abbassando finalmente gli occhi.
Holmes
le si avvicinò, quasi obbligandola a fissare quegli occhi di ghiaccio.
-La
vita è fatta di diverse cose, diverse strade. Sta a noi decidere la direzione
da prendere e con quali criteri scegliere essa.
La
donna non resistette di più e abbassò lo sguardo, vinta dall’acciaio di Holmes,
ma il mio amico non aveva ancora finito.
-Priorità
e scelte sono cose diverse. Le proprie priorità si possono ignorare a favore di
quelle altrui, le priorità possono cambiare, si possono ritrattare, ma le
scelte… le scelte sono quelle che ci condizionano la vita. Fatta una non si può
tornare indietro.
Holmes
aprì con mano decisa la porta e fece un passo fuori da essa, poi si voltò verso
noi.
-Io
ho fatto la mia, adesso tocca a lei fare la sua.
La
signora Phillimore strinse le mani intorno al fazzoletto e poi annuì
mestamente, senza dire una parola. Holmes, ritenendosi soddisfatto, lasciò la
porta aperta e si diresse verso la carrozza su cui lo stava attendendo
Lestrade.
Io
velocemente scesi le scale e mi precipitai fuori, ma fu solo quando misi un
piede fuori e vidi Holmes che mi tendeva la mano per aiutarmi a salire sulla
vettura, che compresi. Capii quali erano state le mie scelte e quanto avevo da
ringraziare per averle compiute.
Sorrisi,
afferrai la mano di Holmes e sorrisi ancor di più a vedere uno sguardo
perplesso, che per una volta non era il mio.
Nessun rimpianto.
***Angolino
della squinternata***
Orbene
eccomi qui! *passano le balle di fieno* Ok, vi siete –giustamente- dimenticati
di me, ma purtroppo io non di questo meraviglioso fandom!
Mi
dispiace veramente tantissimo per questo ritardo astronomico, ma questo
capitolo non voleva venir fuori.
La
mia idea era di fare un parallelo con il primo ovvero “La strana giornata della
felicità”. Perché? Perché questo, signori miei, è l’ultimo capitolo di questa
raccolta. Questo è l’ultimo racconto che Holmes trova nella cartella.
Purtroppo, per vostra (s)fortuna, c’è anche l’epilogo, quindi tenete i pomodori
per il prossimo capitolo, ok? xD
Bene,
fatta questa premessa direi di passare al capitolo.
1)”Si
correva verso la fine del secolo” cosa vuol dire? Bhe, proprio quello che c’è
scritto. Il secolo sta per finire, siamo nel 1899 più precisamente in estate. Perché
quest'anno? Perché se voi vi andate a leggere l’inizio de “L’enigma di Thor
Bridge”, Watson fa un elenco dei casi irrisolti contenuti nella famosa cassetta
di sicurezza della banca Cox & Co. Questo caso è datato nell’ottobre del
1900 quindi io ho ipotizzato che le avventure qui narrate fossero successe
circa un anno prima. Ma perché proprio queste avventure? Leggete la nota che
segue.
2)
“Signora Phillimore”. Qualcuno di voi ha riconosciuto questo cognome? È proprio
la consorte dello sfortunato James Phillimore che, come dice Watson, proprio ne
“L’enigma di Thor Bridge”, rientrato in
casa per prendere l’ombrello, svanì dalla faccia della terra. Ecco, questo
caso era proprio annoverato tra quelli irrisolti contenuti nella famosa
cassetta. Ora capito perché l’anno? =D
3)Lestrade.
Oh povero Lestrade. Inizio subito col ribadire per l’ennesima volta che amo
quell’uomo e che mi dispiace avergli quasi messo il figlio sulla forca, ma non
vi preoccupate! Holmes alla fine ha risolto tutto, una sciocchezza di un paio d’ore,
ma di questo parleremo poi. Tornando al nostro caro ispettore, io non so se vi
sia sembrato OOC, ma v'invito a riflettere sulla gravità della situazione e sul
suo temperamento che sappiamo essere molto focoso, ma se avete qualcosa da
ridire fate pure ^^ ognuno ha la sua interpretazione.
4)Holmes
ammetto che mi ha fatto molto, MOLTO sudare in questo capitolo, faceva come più
gli aggradava e ammetto di averlo lasciato un po’ fare. Ma nel finale si è
dimostrato per ciò che è, un uomo di gran cuore. Perché lui non sapendo niente
dell’omicidio e pur sospettando che fosse una cosa da niente, abbandona quel
caso che l’aveva preso tanto e decide di seguire Lestrade. Perché? Perché ha
fatto la sua scelta? Perché proprio questa? Perché è suo amico e, anche se non
lo ammetterà mai, odia vederlo così.
5)
Prima ho parlato di parallelo con il primo capitolo, ma forse è meglio
spiegare. Vedete, nel primo capitolo Holmes definisce Lestrade “Yarder” e
niente più, mentre qui vediamo come in un certo senso è cresciuto il rapporto
tra i due, come scherzino di più, siano più uniti, amici. Sì, per me sono
amici. Oddio, mai quanto Holmes e Watson, ma loro due sono un caso a parte, sono
soulmates (da NON leggere come “anime
gemelle”, ma come “compagni d’anima, di desideri, di sogni”). Lestrade, se
proprio non vogliamo definirlo amico, diciamo che è l’unico che si può
presentare a casa di Holmes tutte le sere e chiacchierare senza preavviso, un
lusso non da poco per un semplice Yarder, no?
Dunque,
direi di aver finito, anche se so, SO che appena pubblicherò mi verrà qualcos’altro
in mente.
Approfitto
per ringraziare tutti quelli che leggono/ricordano/seguono e recensiscono
questa storia a cui sono particolarmente legata.
Grazie
ancora.