La Vita Nova.
Capitolo XX - Parte
II
Guardò Christine
richiudersi la porta alle spalle e sorrise, intimamente divertito. Sapeva di
essere intrattabile in quei giorni e sapeva anche che non avrebbe dovuto
prendersela con quell’angelo di donna che, con una pazienza infinita, ingoiava
il rospo e cercava in tutti i modi di tranquillizzarlo e di obbligarlo a
mangiare e a farsi medicare. In un certo senso, però, considerava quella strana
situazione una rivincita su quel damerino del Visconte, che si vedeva sottratta
la fidanzata per ore intere anziché trascorrere del tempo con lui. Quanto buono
era il sapore della vendetta!
Erik se ne stava
seduto sul letto, con la schiena contro la testiera in
legno a rigirarsi tra le dita la maschera bianca che Christine gli aveva
sequestrato e nascosto in un cassetto del comodino mentre dormiva, ma lui,
ovviamente, l’aveva trovata subito. Alzò lo sguardo dal suo nuovo passatempo
quando la porta si aprì ancora una volta, ma al posto dei boccoli castani della
cantante trovò una testa rossa che lui conosceva bene. Rimase a fissarla
immobile, come se stentasse a credere che lei fosse lì, per lui. Non era
possibile, del resto. Lei lo odiava, non era venuta a trovarlo neanche una
volta nel corso della sua degenza. Perché sarebbe dovuta comparire proprio in
quel momento?
«Erik...»
Il suono della sua
voce, quella voce che aveva sognato di risentire ogni
notte e ogni giorno, ebbe il potere di togliergli tutte le forze che gli erano
lentamente tornate. Ogni possibile pensiero sul farla finita svanì nello stesso
istante in cui lei gli si gettò tra le braccia, facendolo gemere dal dolore,
sebbene poco gli importasse ora che lei era tornata. Inspirò profondamente il
profumo di quei capelli indiavolati e lasciò cadere la maschera dalle mani, per
ricambiare quell’abbraccio tanto agognato che sapeva di agrodolce. Le era mancata Dio solo, o chi per lui, sapeva quanto e
glielo fece capire stringendola più che poteva, senza curarsi delle sue ferite
che lentamente guarivano. Non gli importava altro che lei.
«Erik, ho avuto
così tanta paura di perderti.», gli disse con la voce soffocata dalla stoffa
della camicia da notte di lui e da un principio di pianto.
«Sono qui, mon ange, sono qui.», le sussurrò in un
orecchio, facendola rabbrividire.
«Mi
dispiace, Erik, mi dispiace tanto! Non sarei dovuta scappare quel giorno,
magari non sarebbe successo niente!»
«No, Phénix, ti
prego, non parlare come se la colpa di tutto fosse tua.»
Le accarezzò i capelli ritirati nella consueta treccia e le baciò il capo,
cullandola tra le braccia. «Avrei dovuto dirti tutto
dall’inizio, anche se non so a quest’ora dove saremmo andati a finire.
Probabilmente mi avresti odiato davvero.»
«Erik, non potrei
mai odiarti, non ne sarei capace.» Phénix si scostò il
tanto giusto per guardarlo negli occhi e gli accarezzò la guancia piagata,
facendolo sospirare. «Non lo pensavo veramente quando
te l’ho detto. Ma capiscimi, ero arrabbiata e delusa...»
«Lo so... e non
basterebbero cento anni per cancellare i miei sensi di colpa, Phénix.»
La ragazza lo zittì
con un bacio disperato ed urgente, come se tutta la
sua vita fosse dipesa da quel gesto. Erik non impiegò troppo tempo a
ricambiare, stringendola contro il suo petto e baciando quelle labbra che erano
state l’inizio della sua dolce rovina e, ne era
sicuro, sarebbero state anche la fine.
«Ti amo così tanto da far male, bambina mia.», le sussurrò contro la
bocca, provocandole l’ennesimo tuffo al cuore della giornata. «Sei arrivata come una tempesta, mi hai stordito e
soggiogato, Phénix. E sono talmente innamorato di te che potrei morire come
un’onda quando manca il vento.»
«Non mi lascerai mai, Erik?», gli chiese, con le lacrime agli occhi. «Neanche
dopo “
Lui s’irrigidì
subito, spaesato. «Come lo sai?»
«Madame
Giry mi ha fatto leggere la tua lettera.»
Erik fece una
smorfia. «Quella donna... deve ancora imparare a comportarsi.»
Phénix strinse gli
occhi verdi, puntandoli in quelli acquamarina di lui. «Non dare
le colpe a lei! Quando avevi intenzione di dirmelo?»
«Diciamo che
contavo sull’effetto sorpresa a fine spettacolo...»
«Erik!», strillò
lei, mettendosi a sedere e distanziandosi da lui. «Non
azzardarti più a pensare una cosa orribile come quella! Sono troppo innamorata
di te per perderti.»
«Dillo ancora.»,
mormorò, accarezzandole il mento con un dito.
Lei raggiunse la
sua mano con la propria e se la portò contro una guancia, sorridendo. «Ti amo, Erik.»
«Sei tu la mia
nuova vita, Phénix.» L’attirò a sé senza troppe
cerimonie e la baciò ancora con desiderio, per rendersi conto che lei era lì e
lo amava, per imprimersi al meglio quella piacevolissima sensazione che aveva
il terrore di perdere ancora una volta.
Le fece spazio in
quel letto troppo grande per ospitare una sola persona
e Phénix si accoccolò meglio contro di lui, ricordandosi solo in quel momento
della sua ferita sul fianco.
«Erik,
scusami! Ti ho fatto male?», chiese preoccupata,
indicando le bende.
Scosse il capo,
avvicinandosela contro e baciandole la fronte. «Non è niente, sto guarendo
ormai.»
Phénix alzò il
capo, poggiato contro la sua spalla, e rimase a fissarlo in silenzio, con un
delizioso sorriso sulle labbra.
Erik si sentì
spogliato da quello sguardo, come sempre accadeva, non ancora abituato ad essere osservato senza la protezione della maschera. «A
cosa pensi?»
«Penso che sei bellissimo.»
«Sì, un bellissimo
relitto.», borbottò, sarcastico.
«Ora non fare il
narcisista, sai benissimo che è così e non te lo ripeterò ancora una volta solo
per compiacerti.»
Erik scoppiò in una
sana risata, come non faceva da tempo, e a lui si unì
anche la ragazza, che in realtà sarebbe voluta apparire più seria di quanto non
fosse, ma venne contagiata dal buon umore del compagno. Era così bello vederlo
ridere come un bambino!
Vennero
interrotti da qualcuno che bussò alla porta, così Phénix fece appena in tempo a
mettersi seduta sul letto che Faucon entrò in camera, seguito da Raoul. Il
medico salutò entrambi con cordialità, soffermando la
sua attenzione sulle mani ancora intrecciate dei due. «Mademoiselle, sono
contento di rivedervi in forma.»
«Grazie, anche io son felice che non vi sia accaduto niente di male.»
La ragazza gli sorrise apertamente e tirò una gomitata
all’uomo sdraiato sul letto, continuando a sorridere. «E vorremmo entrambi
ringraziare sia voi che Raoul per quello che avete
fatto e che state facendo.»
Erik si lamentò per
il colpo, soprattutto avendo capito cosa quella pestifera gli stava intimando
di fare. Alzò gli occhi al cielo e si lasciò sfuggire uno
sbuffo. «Sì, bel lavoro.», disse tra i denti.
«Erik...»
Faucon non fece
molto caso ai modi burberi di quell’uomo che non conosceva per poterlo
giudicare come faceva il cugino, che, invece, corrugò la
fronte contrariato. «Mi fa piacere vedere quanto sia immensa la vostra
gratitudine per avervi salvato la vita.»
«A me non fa
piacere sapere che ho messo la mia vita in mano ad un ragazzino come te.»,
ringhiò, lanciando un’occhiataccia a Phénix che lo guardava arrabbiata.
La ragazza si voltò
verso il Visconte, agitando le mani. «Perdonatelo, a volte è più delicato un masso di lui.»
«Vedo.», borbottò
Raoul, passandosi una mano tra i capelli. «Allora vi farà meno piacere sapere
che è grazie a me che siete un uomo libero.»
«Come se avessi
avuto il bisogno del tuo aiuto, per questo.»
«Erik!», esclamò la
ragazza, mettendosi le mani sui fianchi.
Lui alzò le
sopracciglia, facendo finta di non capire. «Phénix, guarda che ho capito che
conosci il mio nome.»
La zingara chiuse
gli occhi, prendendo un bel respiro profondo e contando fino a dieci per non
scoppiare. Sorrideva come un bambino, si comportava come un bambino.
Perfetto.
«Forse avrei fatto
meglio ad ucciderlo, quel giorno.», bofonchiò Raoul,
mentre se ne andava.
«Sono sempre
disposto ad un duello, ragazzino!»
«Vi ricordo che
l’ultima volta che abbiamo duellato non ero io quello in terra con una spada
puntata contro.»
«Maledetto
insolente...»
Faucon, nel
frattempo, fece scivolare lo sguardo dai due uomini alla ragazza dall’altra
parte del letto, e iniziò seriamente a preoccuparsi per la sua salute: quei
respiri profondi che stava prendendo da qualche
secondo non promettevano niente di buono. Forse avrebbe fatto bene a dare una
dose di tranquillanti un po’ a tutti, quel chiasso
stava iniziando a fargli venire un mal di testa con i fiocchi.
Erik venne lasciato andare quasi due settimane dopo, per sua
gioia e per quella del padrone di casa. Se non fosse stato per le amorevoli
cure di Christine e le visite di Phénix avrebbe
preferito andare in gattabuia, pur di dover avere a che fare con il Visconte.
Tornò alla sua Dimora sul lago, nonostante Christine gliel’avesse caldamente
sconsigliato; dopo tutto il caos che era successo qualche soldato
avrebbe anche potuto arrischiare una visita sotto il Teatro, ma Erik, su quel
punto, rimase irremovibile. Non avrebbe lasciato la sua casa, non nel momento
più delicato di tutta la sua esistenza: doveva controllare che i lavori di
restauro stessero procedendo nel migliore dei modi, doveva essere il
supervisore che avrebbe scelto ogni singolo componente
della nuova orchestra, ogni cantante, ogni attore. No, l’idea di vivere in un
luogo che non fosse l’Opera neanche l’aveva presa in considerazione, per lo
meno non per il momento.
Respirò a fondo
l’aria umida che impregnava la grotta per la sua lunga assenza e, accese un po’
di candele, tornò a sedersi al suo organo ed accarezzò
con riverenza quei tasti ingialliti che aveva premuto così tante volte nel
corso degli anni. Era incredibile come un paio di settimane potessero essere
così pesanti da trascorrere senza il suono grave di quello strumento che lui
amava come se si fosse trattato di pane quotidiano.
La musica
s’infranse fragorosa contro la pietra nuda e continuò per ore intere prima che
Erik decidesse di smettere. Suonare la sua musica fu il penultimo gradino di
una scala ripida e quasi infinita e poté finalmente dire di essere arrivato al
culmine della salita. Mancava solo un’ultima cosa prima di sentirsi totalmente
realizzato:
«Neanche settimane
di fermo hanno saputo intaccare la tua bravura, eh?»
Erik si voltò di
scatto nel sentire l’eco di quella voce che riusciva a scaldargli il cuore ogni
volta e rimase fermo a guardarla, come se fosse una visione. «Da quanto sei
qui?»
Phénix fece
spallucce, avvicinandosi piano alla sua postazione regale. «Non so... il tempo
non passa mai quando arrivo qui. Soprattutto se tu
stai suonando.», aggiunse, sorridendogli.
Erik allungò una
mano per cercare quella della ragazza, e l’attirò a
sé, tra le sue gambe, per imprigionarla in un caldo abbraccio. «Sei tornata,
alla fine.»
«E dove sarei
dovuta andare?»
«Non saprei... lontano
da me, magari.»
«Erik...» Gli accarezzò la guancia libera dalla mezza maschera,
che fece volare via subito dopo infastidita, e avvicinò le labbra a quella pelle
martoriata che lui disprezzava tanto ma che lei amava, perché era il segno di
un uomo unico, unico al mondo. Un po’ egoisticamente, forse, ringraziò Dio o
chi per lui per aver messo al mondo una creatura così, perché altrimenti Erik
non sarebbe diventato l’uomo che era: geniale, passionale, dolce, malinconico,
ma nonostante tutto forte. Era un’alchimia vivente, e lei lo amava per questo.
Perché era diverso.
Erik chiuse gli
occhi, stringendo la presa sui suoi fianchi e tra i suoi capelli, godendosi fino
in fondo i brividi che quegli innocenti baci gli stavano provocando. Poteva una
sola donna avere questo potere su di lui? Poteva una sola donna scombussolargli
l’anima ed il corpo con la sua sola presenza?
Le loro labbra
s’incontrarono in un bacio rovente ancora una volta e, dopo settimane, mesi,
anni, i pensieri, di qualsiasi tipo fossero, vennero
lasciati lontani, chiusi da qualche parte. Niente li avrebbe disturbati, quella
notte, non un ricordo, non il passato. C’erano solo loro ed
il presente in quella grotta che ora sembrava troppo calda per i gusti di
entrambi.
Phénix si allontanò
un poco, per contemplarlo come non faceva da tempo. Lo
guardò chiudere gli occhi e sorridere finalmente sereno, come un bambino. Lo prese per mano, tirandolo gentilmente verso di sé per
intimargli di alzarsi e seguirla.
E lui sì che la
seguì, docile e totalmente rapito da quella donna che l’aveva stregato dal
primo momento in cui aveva incontrato quegli occhi verdi. Catturò ancora le sue
labbra tra le proprie, quasi fosse l’ossigeno che lo teneva in vita. La prese
in braccio, portandola nella nicchia che ospitava il fastoso letto a forma di
cigno e la fece sdraiare sulle lenzuola rosse come il
sangue, rosse come la libidine. Lui la seguì subito dopo, sdraiandosi accanto a
lei e chinandosi a baciarla ovunque l’abito lo permettesse, sulle guance, sulla
gola, sul decolté. Quando alzò lo sguardo per guardarla trattenne il respiro:
la vide con le labbra dischiuse per reclamare quanto più ossigeno possibile,
gli occhi chiusi e il capo piegato contro il cuscino, per permettergli di
baciarla meglio. Era incantevole.
«Erik...»
Dio,
quanto gli piaceva il suo nome sulle sue labbra. Quelle stesse labbra che
riprese a baciare con infinita dolcezza, per gustarle meglio, per imprimersi
ogni singolo istante di quel momento che avrebbe voluto continuasse in eterno.
Phénix gli passò le
mani tra i capelli, facendole scivolare poi su quel viso martoriato, ma ora
illuminato da un’espressione di contentezza ed
incredulità che mai avrebbe pensato di vedergli. Le sue dita sottili scesero
verso l’ampio petto dell’uomo, coperto solo da una camicia color panna, di
quelle che lui amava tanto indossare nei suoi momenti di solitudine. Slacciò
gli unici tre bottoni che la tenevano chiusa e la fece cadere da qualche parte
giù dal letto. Aveva sempre e solo potuto immaginare il corpo di Erik sotto
quegli abiti eleganti che lo facevano sembrare ancora più imponente; ma ora,
poter vedere e sfiorare quelle spalle larghe, quelle braccia che tante volte l’avevano
stretta con forza, quel torace che l’aveva accolta come un cuscino quando era
giù di morale... ora si sentiva mancare.
Erik abbassò lo
sguardo, quasi imbarazzato, verso il corpetto che le stringeva la vita già
troppo sottile di per sé e giocò con uno dei tanti fiocchetti. Tornò a
guardarla, le labbra socchiuse a volerle dire qualcosa.
Phénix sorrise e
gli baciò dolcemente la punta del naso. «Cosa ti preoccupa,
Erik?»
Lui si chinò sulle
sue spalle, nascondendovi il capo. «Ho paura che tutto questo possa finire.»
«Non pensare, Erik. Ti prego, non pensare ora.»,
lo supplicò, stringendolo contro di sé con necessità. «Non pensiamo al domani.»
Erik sospirò
profondamente e quando iniziò a baciarle il collo metà dei fiocchi del corpetto erano già stati sciolti. Le accarezzò languidamente
un fianco, fino a fermarsi rovente sulla coscia. Un istante dopo il vestito
della ragazza giaceva per terra, accanto alla sua camicia.
Phénix si morsicò
un labbro quando Erik si distese completamente su di lei, una volta che anche i
suoi pantaloni vennero gettati via. Lo guardò
intensamente in quegli splendidi occhi acquamarina, ora
completamente velati dalla cieca passione che stava conoscendo, e lo
abbracciò, reclamando ancora una volta il suo posto tra quelle braccia calde.
Erik le baciò la
guancia arrossata e, sussurrandole in un orecchio quanto l’amasse,
unì i loro corpi con una spinta decisa ed urgente. Non riusciva ad immaginare che una persona, per di più lui, potesse provare
una tale felicità e un tale senso di completezza. Credeva che sarebbe scoppiato
dalla gioia in quel preciso istante. Iniziò a muoversi su di lei con desiderio,
baciandola e facendo intrecciare le loro mani, mentre i loro sospiri di piacere
si perdevano per tutta la grotta, unica testimone di quell’amore nato con
lentezza, di nascosto, ma ora talmente travolgente che
se l’avessero represso sarebbero impazziti entrambi.
Raggiunsero
l’apice del piacere una tra le braccia dell’altro e così rimasero per qualche
altro istante, a guardarsi negli occhi, ad accarezzarsi e scambiarsi dolci e
languidi baci.
«Dio, cosa mi hai
fatto...», le sussurrò, stringendosi a lei. «Dimmi la verità, si tratta di qualche sortilegio...»
«Ebbene sì, mi hai scoperta.», rispose lei, scoppiando a ridere quando lo vide
ghignare, divertito.
Poi una mano di
Erik le scivolò lungo il fianco per fermarsi sul suo ventre, e rabbrividì nel
rendersi conto di cosa quel gesto volesse dire. «Tu... vuoi sapere, vero?», gli
domandò, raggiungendo la mano di lui con la propria.
«Ne hai diritto.»
Erik si morsicò un
labbro. «Non sei obbligata a farlo. È parte del
passato.»
«No,
non per me. Io lo volevo veramente quel figlio, anche
se avesse significato crescerlo da sola.» Gli accarezzò il viso, la parte
martoriata, e gli baciò le labbra, dolcemente. «Ma il mio corpo non avrebbe
retto e io ho sempre avuto una paura dannata della
morte, lo sai.»
«Hai interrotto la
gravidanza...»
Lei annuì, gli
occhi lucidi per il ricordo di quei giorni. «Non mi perdonerò mai per quello
che ho fatto.», sussurrò, contro le sue labbra. «Amami, Erik, amami ancora e lava via ogni brutto pensiero, ora.», lo
pregò, stringendosi al suo corpo. «Se mai un giorno capiterà ancora
so che ci sarai tu accanto a me, e a nostro figlio.»
La baciò con
rinnovata passione, incapace di contenere la gioia e il desiderio che quella
piccola donna era in grado di provocargli. Lui e lei, insieme, con dei figli,
una famiglia... Era un pensiero così splendido per essere
vero che a stento riusciva a capacitarsene. Forse anche lui avrebbe
finalmente avuto una vita normale?
Si amarono per
tutta la notte, mai sazi dei loro sospiri, dei loro baci, delle loro unioni.
Il Fantasma e
Continua...
Alla prossima
settimana con l'epilogo!
Marta.
PS: vi ricordo che potete trovarmi su il mio account
di Facebook che
utilizzerò per gli aggiornamenti e le novità di EFP, chiunque voglia
aggiungermi è liberissimo di farlo. (: E ora è
arrivato anche il gruppo per ricevere notizie, spoiler e anteprime! Lo potete
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:)