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Autore: ferao    15/05/2011    8 recensioni
Gusto, odore, sensazione. Parole, solo parole.
Prima classificata a parimerito all' "Un prompt al giorno... leva il contest di torno" indetto da Bethpotter su EFP
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Frate Grasso
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Mmm...
Dunque, questa FF è l'ennesima (l'ultima per quest'anno!!!) che ho scritto per il Torneo di Quidditch di HPQuiz (in cui la mia squadra ha trionfato! Forza Corvonero!!!); in particolare questa ha partecipato alla finale, e si è classificata a pari merito con la bellissima ff delle nostre degne avversarie Tassorosso.
La sfida prevedeva di scrivere una storia che riguardasse uno o più fantasmi delle case di Hogwarts (Nick, il Barone, la Dama Grigia e il Frate Grasso). Come al solito, ho bellamente snobbato i più famosi e mi sono andata a concentrare su quello che, nonostante tutto, ritengo sia il più simpatico di tutti :) (anche se Nick è a suo modo imbattibile).
Non vado molto fiera di questa storia, ma... beh, è mia; come posso non volerle bene?

Spero vi piaccia.
Fera

Luce riflessa










Quanta pace c’era, quel giorno, nel cortile di Hogwarts.
- Troppa! - esclamò Pix, rivolto al fantasma accanto a lui. - Tutto questo silenzio mi innervosisce…
- Fa' uno scherzo dei tuoi, Pix! - rise il Frate Grasso, pregustando già la scena a cui avrebbe assistito.
- Non dirmi cosa devo o non devo fare, cicciobombo! - gli rispose il poltergeist facendogli la linguaccia. - Però, quasi quasi…
Ghignò, e si avventò verso una coppietta che aveva iniziato a passeggiare nel centro del cortile.
Il Frate lo seguì con lo sguardo, ridacchiando fra sé.
Chissà perché se la prendono tanto con te, Pix. Non fai nulla di male, in fondo…
Scoppiò in una grossa risata, quando lo spiritello fece volare una boccia d’inchiostro in testa alla ragazza e iniziò a inseguire il ragazzo con un pesante libro di Trasfigurazione in mano. Quanto amava ridere, il Frate: in vita aveva amato il divertimento, il gioco, l’allegria, e così era ancora adesso.
In fondo, caro amico, senza di te qui sarebbe un mortorio.
Un mortorio. Già.
Il sorriso che di solito contornava il volto paffuto del Frate si affievolì.
In fondo, noi siamo morti.
Mise le braccia dietro la schiena e iniziò a passeggiare, diretto verso il Lago. Com’era bello il sole, quel pomeriggio; tutto il paesaggio intorno era dipinto di colori vividi, caldi, vibranti.
Le labbra sorridenti del Frate si contrassero un poco.
Solo io, qui, sono morto.
Avanzò lentamente verso uno degli alberi che adornavano il prato. Era alto, frondoso. Non c’era quando il Frate aveva frequentato Hogwarts, era molto più recente.
Quanti altri possono dire di aver visto nascere e crescere un albero centenario?
Più passeggiava, librandosi leggero a qualche centimetro da terra, più sentiva che il sorriso gli si rimpiccioliva.
Perché?
Quanto aveva amato ridere, il Frate; tutta la sua vita era stata dedicata al portare allegria, gioia, sorrisi. Il suo fisico pacioccone lo aveva aiutato in questa missione: tutti provavano immediatamente una gran simpatia per lui, vedendolo avanzare con quel pancione enorme e quella faccia tonda come la luna piena.
Ora che era un fantasma, la Casa di Tassorosso si vantava di avere lo spettro più generoso e alla mano; gli studenti gli volevano bene, lo salutavano sempre, si fermavano a parlare con lui raccontandogli persino pettegolezzi e piccoli segreti. Tutti gli volevano bene.
Ma sono morto.
Ormai era arrivato presso l’albero. Allungò una mano, e la vide brillare lievemente sotto al sole.
Uno sprazzo improvviso di memoria attraversò la sua mente. Com’era caldo, il sole, una volta…
Com’era ruvida la corteccia degli alberi.
Com’era appiccicosa la resina.
Com’erano saporiti i frutti.
Gusto, odore, sensazione. Parole, solo parole.
Nessun Tassorosso, quel pomeriggio, vide il Frate Grasso dismettere il suo solito sorriso e diventare triste.
 
Com’era profumata l’erba.
Il giorno in cui il Frate era morto, tutto il paese aveva pianto. Nessuno sembrava più in grado di ridere; il Frate era morto e aveva portato via tutti i sorrisi.
Com’era buono il pane.
Quando, dall’altra parte, gli dissero che poteva scegliere se rimanere sulla Terra o andare oltre, il Frate non ebbe la minima esitazione. Cosa poteva esserci di più bello della vita terrena?
Poteva esistere un Paradiso che non comprendesse quei colori, quei profumi, quelle risate?
Gli dissero di sì. Lui si voltò indietro, e ridiscese.
 
Com’era fredda la neve.
Purtroppo però nessuno aveva spiegato al Frate il modo in cui sarebbe ritornato. Ormai era morto; il suo corpo giaceva in una enorme cassa, i fiori spuntavano ormai sulla sua tomba. Era uno spirito, solo uno spirito, e come tale poteva vivere. Così e in nessun altro modo.
Grande fu la sua gioia quando fu accolto a Hogwarts: la scuola significava stare in mezzo ai giovani, significava risate, amore e lacrime, significava vita. Era per quello che era rimasto sulla Terra, per non lasciare la vita.
Hogwarts era un immenso calderone pieno di vino speziato: il Frate altro non doveva fare che immergervi le mani e abbeverarsi senza sosta a quella fonte inesauribile di vita.
 
Com’erano calde le lacrime.
E così il Frate fu felice, per molti anni. Il tempo per i fantasmi non è come per noi: in un certo senso si può dire che per loro scorra leggermente più veloce.
Passavano cento, duecento, trecento anni e il Frate non si stancava mai di quella vita; rideva con gli studenti, scherzava con i professori, incoraggiava Pix nelle sue strambe e divertenti imprese.
Quattrocento, cinquecento anni. Il Frate Grasso rideva e rideva, come quando era vivo, e insieme a lui ridevano le persone, ridevano le anime.
Poco importava se gli altri fantasmi lo considerassero poco serio, o indegno di stare alla loro presenza; rimanessero pure a cuocere nei loro brodi di tristezza, malinconia e sete di vendetta: lui era felice, lui era lì per vivere.
 
Come scottava il fuoco.
Non si rese conto, per molto tempo, che non era lui a vivere, ma il resto del mondo.
Il Frate si illudeva in buona fede di star vivendo una vera esistenza; in realtà non era così. Lui partecipava di tutto, è vero: delle gioie, delle delusioni, degli amori e delle rivalità, dei segreti e dei sospiri che riempivano Hogwarts; partecipava, ma da spettatore. Guardava; ascoltava; rideva; ma non viveva.
Se ne rese conto un giorno, all’improvviso. Un fulmine a ciel sereno.
Non accadde nulla di particolare, di eclatante; non vide o sentì qualcosa che gli fecero capire quella verità.
Lo capì e basta.
Lui non viveva.
Lui era morto.
Il sole riscaldava gli altri; il vino inebriava gli altri. Erano gli altri ad emozionarsi per il primo bacio, a piangere di rabbia, a urlare per la paura. Lui guardava e rideva.
Gli altri vivevano, lui era morto.
 
 
Fu questione di un secondo, capire questa cosa; in quel secondo il Frate Grasso fu più triste che in tutta la sua vita terrena e semi-terrena.
Ma un secondo dura poco; il secondo successivo il Frate stava già scuotendo le spalle e ridacchiando tra sé.
Non è che non vivo; vivo in modo diverso. Vivo con le vite degli altri, vivo guardando gli altri vivere.
Gli altri sono vivi; così vivo anch’io.
Era un pensiero confortante, e per un po’ di tempo bastò.
 
Solo che, ora, le risate non gli bastavano più.
Continuava ad essere ilare e giocherellone, continuava ad essere un ammiratore di Pix, continuava a sprizzare gioia da tutti i pori; però qualcosa si era incrinato.
Quando nessuno lo vedeva – come in quel momento, vicino al Lago – capitava che gli angoli della sua bocca si abbassassero, trasformando il suo sorriso in una smorfia amara. I pensieri, poco prima allegri e vivi, diventavano d’improvviso pesanti, malinconici, striati di grigio.
Io vivo, in qualche modo.
Ma sono gli altri a sentire il calore del sole.
 
 
Restò a guardare il Lago che si colorava di riflessi fiammeggianti. Tra poco sarebbe calato il buio, e la figura del Frate Grasso si sarebbe vista in risalto contro l’oscurità. Una stella brillante per la luce riflessa della vita altrui.
Restò lì, finché uno strillo acuto non lo riscosse.
Che diavolo avrà combinato Pix, questa volta?
Si voltò, e con un gran sorriso divertito si avviò verso il castello.
La vita continua, che tu sia morto oppure no. Meglio godersela in qualunque caso.

   
 
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