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Autore: Evazick    15/05/2011    2 recensioni
(Seguito di "I fell apart, but got back up again". Ultima storia di questa serie!)
"Improvvisamente e lentamente allo stesso tempo, i miei ricordi iniziarono a disfarsi e a cadere nel buio che stava avvolgendo la mia mente, come le tessere di un puzzle quando vengono riposte nella loro scatola. Ma quelle immagini non cadevano in un posto da dove potessi recuperarle in seguito: finivano nel vuoto, nell’oblio, dove non sarei mai più riuscita a ritrovarle. Vidi sparire mia madre che mi abbracciava e mi scarruffava i capelli quando erano ancora lunghi, la mia amica JoJo che mi tirava un cuscino addosso, Simon che mi sovrastava con la sua pistola in mano, io in volo con le mie ali nere, Slay che si preparava ad uccidermi, Bubble Tower chino sulle sue apparecchiature, Grace che correva e rideva, Frank e Gee durante la ricognizione, Mikey e Ray che sparavano, Joshua che mi stringeva forte a sè per consolarmi...
Joshua."
(AU! Killjoys, make some noise!)
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Nuovo personaggio, Ray Toro
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eve.'
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Infiltrate.

 

Quella sera stessa ero nella mia stanza mentre sbrigavo gli ultimi preparativi prima di ritirarmi a dormire. Ray era crollato nel suo letto già da mezz’ora, e io stavo facendo il più piano possibile per non svegliarlo: aprii l’armadio con delicatezza, mi tolsi la maglietta e i pantaloni e cercai una vecchia maglietta grigia di Gee con cui dormivo. Non appena me la misi e richiusi l’armadio, qualcuno bussò lievemente alla porta. “Avanti,” sussurrai.

“Scusa se ti disturbo,” mi sussurrò Joshua di rimando mentre entrava e si richiudeva la porta alle spalle, tutto in assoluto silenzio. Fece un cenno col capo verso il letto occupato. “Dorme?”

“Sì, e se provi a svegliarlo ti salta addosso e ti ammazza.” Non stavo scherzando: una volta avevo svegliato il ragazzo coi ricci per sbaglio, e lui non mi aveva più parlato per tre giorni di fila. Quando si trattava del suo riposo, bisognava andarci molto cauti. Mi rivolsi a Showpony: “Tu, piuttosto, che ci fai qui? Non dormivi dal Dr. D?”

“Prima. Adesso mi torna più comodo passare la notte qui.” In quelle due frasi c’erano così tante parole inespresse: parole che avrebbe voluto dirmi, ma che non avrebbe mai detto in mia presenza, e forse nemmeno in quella di altri. Io però le intuivo, ed era bello sapere che erano lì, anche se invisibili. Si morse il labbro inferiore. “A dirla tutta… ero venuto a chiederti un favore.”

Sorrisi. “Dimmi pure.”

Lo vidi arrossire alla poca luce che entrava dalla finestra. “Ti… ti dispiace se stanotte dormo con te?”

Adesso toccò a me arrossire: non era la prima volta che dormivamo insieme, lo avevamo fatto un sacco di volte, ma chissà perché adesso la situazione tra noi sembrava più delicata. Ogni passo che facevamo doveva essere leggero e insonoro, ogni richiesta di affetto chiesta con un po’ di imbarazzo. Sapevo perché: dopo quella settimana infernale era difficile tornare al nostro vecchio rapporto. Ma io lo volevo di nuovo, e lo volevo subito. Quindi non ci pensai due volte prima di rispondere “Sì.”

Entrai per prima sotto le coperte e Joshua mi seguì lentamente, come se avessi potuto rompermi in mille pezzi da un momento all’altro. I primi secondi li trascorremmo a distanza l’uno dall’altra, poi io feci il primo passo e accoccolai la mia testa sul suo petto, circondandolo con le braccia. Lo sentii irrigidirsi per un momento, poi rispose al mio abbraccio e mi diede un lieve bacio sulla fronte pallida. Iniziò a canticchiare un motivetto, una vecchia ninna nanna che a volte cantava a Grace quando la piccola non riusciva a dormire. E fece lo stesso effetto anche a me: sprofondai poco a poco nel sonno, cullata da quelle braccia forti che non mi stringevano da tempo e da quella voce che non avrei mai più potuto dimenticare.

 

La mattina dopo, quando scesi al piano di sotto dopo essermi svegliata, Frank era già al lavoro dentro il garage per costruire la bomba. Aprii la porta che comunicava con l’altra stanza e lo cercai con lo sguardo: era seduto a uno dei tanti tavoli di legno con indosso i suoi occhiali da saldatore e stava collegando dei fili dentro a una scatolina di metallo sul ripiano davanti a lui. Quando sentì il rumore della porta che si apriva e dei vecchi cardini che cigolavano, si voltò verso di me e mi rivolse un breve ma luminoso sorriso prima di ritornare al lavoro. Afferrai una sedia e lo raggiunsi al tavolo per guardarlo lavorare: mi aspettavo che mi avrebbe detto di lasciarlo da solo, ma invece non disse nulla e continuò a fare quello che stava facendo. Rimasi incantata da come le sue mani si muovessero veloci tra i cavi e le parti minuscole del congegno: aveva la stessa velocità, delicatezza e precisione di quando suonava la chitarra.

Rimanemmo per tre ore dentro il garage, in perfetto silenzio, senza scambiarci nemmeno una parola. Ogni tanto lui mi diceva ‘Passami il cacciavite’ oppure ‘Prendimi i cavi in quel cassetto’, ma le nostre conversazioni si limitavano a questo. Quando anche l’ultimo cavo fu collegato e l’ultima vite fu avvitata, si tolse gli occhiali da saldatore, lasciandoli penzolare al suo collo. Gli avevano lasciato un segno profondo intorno agli occhi, ma lui non se ne curò e sorrise. “Ecco fatto. Il nostro gioiellino è pronto.”

Osservai meglio la bomba: era un rettangolo di metallo lungo meno di venticinque centimetri e largo dieci centimetri, e sopra un display nero attendeva di poter iniziare il conto alla rovescia. Alzai lo sguardo verso Frank. “Funzionerà?”

“Certo che funzionerà, perché non dovrebbe?” mi rispose indignato dalla mia sfiducia.

“Non è che non mi fidi di te, ma… mi sembra piccola.

Sbuffò. “Pensavi che avrei costruito un mostro di ferro grosso quanto una cassa? Questa la puoi portare facilmente con te, e passerà quasi inosservata.”

“Okay, scusa,” borbottai. “Qual è il punto migliore per piazzarla?”

Il ragazzo prese da un tavolo vicino una pianta della Better Living, la stessa che avevo usato insieme a Jennifer per andare a vedere se la B.L.ind. sapeva qualcosa su Joshua. La srotolò e mi indicò un punto sotto il pianterreno. “Qua sotto c’è uno scantinato che probabilmente non usa più nessuno. È il punto più vicino alle fondamenta che puoi raggiungere: se la bomba scoppia lì, crolla tutto.” Mi fissò. “Sai come raggiungerlo senza farti vedere?”

“Ci proverò.”

“Ma non dicevano che si fidavano di te?”

“Bè, sì, ma non ho mai girovagato in quei corridoi come mi pareva. È probabile che non si accorgano di nulla, ma devo fare attenzione,” dissi carezzando la bomba come se fosse stata un gatto. Mi alzai dalla sedia e mi diressi verso la porta per tornare dentro il Diner, ma Frank mi richiamò indietro. “Come stai?”

Mi voltai di nuovo verso di lui. “Bene. I miei ricordi sono dove devono essere, e…”

“Non intendevo quello.” Fece una pausa. “Sei pronta ad andare a Battery City?”

Deglutii, sorpresa da quella domanda. “Sì.”

“Non hai paura?”

“No. No, non ne ho, perché dovrei?” Con questo considerai chiuso il discorso e me ne andai, sbattendomi la porta alle spalle.

 

La giornata passò in fretta e la sera cadde anche troppo velocemente. Il tempo di un paio di respiri profondi ed era già ora che mi preparassi ad andare. Salii nella mia stanza e, a malincuore, mi sfilai i miei vestiti colorati da Killjoy per indossare l’anonima e bianca divisa della Better Living che avevo riposto in fondo all’armadio. Mi infilai i pantaloni e la cintura, infilai la pistola bianca nella fondina e mi infilai la giacca. Mentre finivo di agganciarmi i bottoni, bussarono alla porta. Mi voltai e dissi ‘Avanti!’ mentre mi agganciavo l’ultimo bottone. Fui stranita nel vedere Joshua entrare dentro e chiudersi la porta alle spalle per poi appoggiarcisi con la schiena. Tenne un attimo lo sguardo basso, poi lo rialzò e mi fissò con i suoi occhi grigi. “Devo parlarti.”

Annuii, preoccupata. La sua faccia e la sua espressione non mi piacevano per nulla: era preoccupato, questo lo vedevo bene, ma questa volta era preoccupato a morte. Non l’avevo mai visto così spaventato e pieno di preoccupazione, nemmeno quando avevo rivelato il mio piano. Si avvicinò a me finchè i nostri visi non furono a pochi centimetri l’uno dall’altro e poi parlò, con la voce che gli tremava leggermente. “Per favore, Eve, non andare. Non mi fido a mandarti di nuovo da sola là dentro.”

“Perché non dovrei, scusa?” gli chiesi incredula guardandolo negli occhi. “Sono rimasta in quel grattacielo per quasi un mese, due giorni in più non mi cambieranno la vita.”

“Non è per questo. È che…” Si morse il labbro inferiore. “… non voglio perderti.”

La mia espressione si fece scioccata e spalancai gli occhi a dismisura. Lui la notò e continuò: “Che succederà se le cose non vanno come ci aspettiamo, Eve? E se si accorgessero di tutto? E se ti uccidessero una volta per tutte? E se ti togliessero di nuovo tutti i tuoi ricordi, stavolta senza possibilità di tornare indietro?”

“E se esco da qui e mi cade un pianoforte in testa e mi ammazza?” lo sfottei sarcastica. Gli presi il volto tra le mani e lo costrinsi a fissare i miei occhi castani. “Joshua, io non ho alcuna intenzione di rimanere più del necessario lì dentro, lo sai. E tra pochi giorni sarai anche tu con me, che motivo hai di preoccuparti?”

“Perché finalmente ho capito quello che hai provato tu quando è successa la stessa cosa a me,” disse, togliendo delicatamente le mie mani dal suo volto. “E non voglio che questa situazione torni di nuovo, non voglio parlare di nuovo con te come se fossimo due estranei, due nemici. E non voglio nemmeno vederti morire uccisa dalla Better Living. Abbiamo già rischiato così tanto, voglio solo un po’ di pace…”

“È quello che voglio anch’io,” mormorai. Il silenzio tra noi due calò per qualche secondo, poi Joshua mi chiese: “Ma tu non hai paura?”

“Paura? Tantissima.”

“E allora come fai ad essere così tranquilla?”

Sospirai. “Perché so di essere l’unica persona a poterlo fare. Secondo te perché sto andando io dentro Battery City e non Party o Jet Star? Voglio distruggere quella città, quelle persone, tutto quello che ci ha fatto del male in questo anno. Voglio poter vivere finalmente alla luce del sole, voglio andare in giro per il deserto senza paura di venire presa o uccisa, voglio amarti con la certezza che non ti vedrò sparire da un momento all’altro, voglio che per Grace sia diverso quando avrà la nostra età.” Feci una pausa. “E voglio farla pagare a tutti quelli che mi hanno segnata a vita.”

Showpony aprì la bocca per replicare, poi capì che era inutile e la richiuse in fretta. Mi fece un sorriso sbilenco e poi mi strinse forte a sé in un abbraccio stretto, come se quel piccolo gesto potesse bastare a fermarmi, a non terminare il mio piano. Fu lui stesso a lasciarmi andare, dopo poco, ma non prima di avermi sussurrato all’orecchio: “Fagli vedere l’inferno, Lethal Bloody Venom.”

Sorrisi e uscimmo fuori dalla stanza e dal Diner: gli altri ragazzi ci aspettavano fuori dall’edificio, accanto alla moto di Mikey. Il biondo mi consegnò un casco e le chiavi della moto: quando voltai l’elmetto notai che era il suo, quello giallo con la scritta GOOD LUCK sulla visiera. Lo guardai con aria interrogativa e lui si limitò a dire: “Ti servirà, dammi retta.” Non seppi dire se si stava riferendo al casco o alla scritta, ma risposi con un cenno del capo.

“E questo ancora di più del casco di quest’idiota.” Frank mi mise in mano la bomba e io mi sbrigai a infilarla dentro la giacca bianca. Diedi un’ultima occhiata a tutti quei ragazzi, i miei ragazzi e sorrisi triste. “Allora… vado.”

“Buona fortuna, Eve,” mi disse Ray con un sorriso d’incoraggiamento. Gerard mi diede una pacca sulla spalla. “Torna tutta intera, non abbiamo colla per rimettere apposto i tuoi pezzi.”

Con un sorriso malinconico mi infilai il casco e saltai in sella alla moto, infilando e girando la chiave nel quadrante. Il veicolo rombò subito e iniziò a sfrecciare lungo la strada notturna, senza nemmeno darmi la possibilità di guardarmi indietro per un’ultima volta.

 

Arrivai in vista del tunnel circa un’ora dopo. Riconobbi la sua luce blu da lontano, e accelerai per raggiungerlo il più presto possibile. Entrata dentro, decelerai mentre raggiungevo il posto di blocco e Evelyn mi raccomandò: Sangue freddo, Eve, sangue freddo. Non tradirti proprio adesso.

Com’era prevedibile, lo S/C/A/R/E/C/R/O/W di guardia mi fece segno di fermarmi, e io ubbidii, fermandomi a pochi centimetri dalla sbarra. Mi levai il casco e misi in bella mostra il tesserino appuntato sulla giacca. Lui lo guardò attentamente e poi mi disse: “Questa moto non è una delle nostre.”

“L’ho rubata ai Killjoys, non avevo altro modo per tornare qui,” replicai secca e autoritaria, nello stesso modo che avrei fatto due giorni prima. La guardia mi guardò per un’ultima volta prima di entrare dentro il casotto ad avvertire qualcuno del mio arrivo e ad aprire la sbarra. Mi infilai di nuovo il casco e feci rombare il motore, in attesa della mia partenza: il cuore mi batteva come impazzito, sembrava che mi sarebbe potuto venire un infarto mentre ero in sella. Quando la sbarra fu sollevata quasi del tutto, diedi gas e corsi a tutta velocità dentro l’ultima parte del tunnel, diretta verso la città. Ero insensibile: non riuscivo a vedere la strada davanti a me, non sentivo il vento tra i capelli, non percepivo la velocità a cui stavo andando e l’adrenalina che mi circolava nel sangue. L’unica cosa che riuscivo a sentire era solamente il battito del mio cuore, più forte che mai.

 

Sfrecciai per le strade notturne in assoluto silenzio, incurante di quello che accadeva intorno a me. Non appena arrivai in vista del grattacielo della Better Living, i battiti del mio cuore aumentarono ancora una volta: cercai di calmarmi, ma era come chiedere alla moto di fermarsi di colpo e fare dietrofront da sola. Percorsi gli ultimi metri sullo spiazzo davanti all’edificio, lo stesso sul quale erano morti tutti i miei compagni, così poco tempo prima. Non potei fare a meno di rabbrividire e chiedermi come avevo potuto scordarmelo, ma i miei pensieri furono bruscamente interrotti dalle persone che mi aspettavano davanti all’entrata principale. Un comitato di benvenuto piuttosto macabro, pensai. Fermai e parcheggiai la moto, agganciando il casco al sellino con una corda, per poi dirigermi verso l’entrata. Le gambe mi tremavano così tanto che mi chiesi come diavolo avevo fatto a rimanere in sella così a lungo e come facevo adesso a camminare sicura di me.

Per la prima volta da un mese a questa parte (ovvero da quando l’avevo conosciuta) Airi mi venne incontro e mi abbracciò di sua spontanea volontà, lasciandomi a metà tra lo stupefatto e lo scioccato. Quando si staccò, un sorriso le brillava in volto, confondendomi ancora di più. “Ce l’hai fatta a tornare! Non sai quanto mi sono preoccupata quando ho saputo che i ribelli ti avevano presa, ma per fortuna sei riuscita a mandarci un messaggio…” Mi guardò negli occhi. “Come stai?”

“B… Bene. Cioè, non è stata una situazione facile, ma me la sono cavata,” dissi, a metà tra la verità e la menzogna.

Mi sorrise di nuovo. “Vieni, entriamo. Penso che tu abbia bisogno di riposarti nella tua stanza, vero?” Annuii educatamente, ma dentro di me bruciavo dall’odio: verso quella donna e anche verso me stessa. Airi mi aveva fatto credere che i Killjoys, l’unica famiglia che mi fosse rimasta, fossero degli assassini e dei torturatori, ma anch’io ero stata cieca. Come avevo fatto a non accorgermi di quegli sguardi soddisfatti, della sua insistenza affinché mi vendicassi e dei suoi sorrisi e parole false?

Mentre ci dirigevamo dentro il grattacielo, passammo accanto a Korse, che non distolse per un solo secondo lo sguardo da me. Deglutii: che avesse scoperto tutto e mi stesse per smascherare? Il mio cuore iniziò di nuovo a battere come un tamburo, ma l’uomo rimase in silenzio e io mi limitai a distogliere lo sguardo da lui. Entrata dentro l’atrio dissi ad Airi: “Credo di poter salire da sola, so dove sono gli ascensori.”

Fece un cenno d’assenso col capo. “Vai pure, ti raggiungo più tardi. Devo parlare di una faccenda con Korse.”

Quelle parole non mi rassicurarono per niente, ma feci finta di nulla e mi diressi verso gli ascensori. Mi voltai indietro: la donna e l’uomo stavano discutendo, e lo sguardo di lui si soffermò per qualche secondo su di me. Trattenni il respiro e, non appena distolse il suo sguardo nero, attaccai una corsa e mi inoltrai nei corridoi del pianterreno; a metà del terzo trovai la porta dello scantinato di cui mi aveva parlato Frank. La aprii senza fatica e guardai in basso: c’era una scala che scendeva nella stanza buia, illuminata solamente dalla luce che proveniva da dietro di me. Con un respiro profondo iniziai a scendere e dopo una ventina di gradini arrivai in fondo: davanti a me c’era una lunga cassa di legno, e appoggiate alle pareti, nell’oscurità, ne vedevo tante altre. Tirai la bomba fuori dalla mia giacca e la misi sulla cassa, facendo attenzione che rimanesse nascosta nell’ombra.

“Eve, sei qui?”

“Merda!” Tornai in tutta fretta su per le scale e chiusi la porta mentre Airi svoltava l’angolo del corridoio. “Dov’eri finita?” mi chiese.

“Ehm… mi sembrava di averti visto svoltare questo corridoio e ti ho seguita.”

Mi rivolse uno sguardo confuso e non del tutto convinto, poi sorrise falsamente. “Capisco.” Mi fece cenno di seguirla. “Ti accompagno nella tua stanza.”

*
Perdonatemi per il ritardo, Sunshines! Ma in questi giorni non sono riuscita a scrivere e ieri sera dovevo scrivere ancora metà capitolo. D:
E inoltre ho apportato alcuni cambiamenti alla trama. Niente di grave, tranquille, ma ho riorganizzato i capitoli, così adesso ce ne sono ben due in più. Contente? :D
Mi scuso anche per la melensaggine in alcuni punti di questo capitolo. Ne faremo a meno per un pò, promesso.
Il titolo del capitolo è ispirato a una di quelle frasi che appaiono nel trailer di SING.
Maricuz_M: anch'io mi immagino Frank nel modo in cui lo descrivo, un pazzo sul palco ma un peluche/fratellone nella vita di tutti i giorni ^-^ (NOOO, non me lo sarei mai aspettato *-* *CONGA PER L'MCRMY*)
LudusVenenum: mia cara Chuck Norris (u_u) per il video dovrei chiedere a Kobra, ma non so quando riuscirà a farmelo avere. Magari potrei provare a corromperlo con una tazzona di caffè o una fornitura a vita da Starbucks... E SBRIGATI A FAR RESUSCITARE CHASE. E' un ordine.
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
#SINGItForJapan <3
  
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