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Autore: Esse Pi    15/05/2011    0 recensioni
“Ah!” esclamò tutt’a un tratto Federica. “Ragazzi!” tornò dagli altri due e si fece seria. “Non abbiamo ancora il nome per lo studio!”
“Hai ragione!” constatò Francesco, iniziando ad adattarsi all’entusiasmo dell’amica, che di certo non l’avrebbe lasciato per un bel po’. “Che ne dite di: ‘lo studio di architetti più belli del mondo’?”
“Evito di risponderti per non turbare troppo la tua improbabile innocenza.” Lo liquidò Federica, inarcando un sopracciglio.
“Scherzavo, infatti!” rise.
“Io proporrei di chiamarlo ‘studio Varinelli’.” Propose Nicola, facendo calare un silenzio inaspettato all’interno di quel piccolo appartamento, che fino a qualche secondo prima rimbombava delle loro cazzate.
“Nico…” Francesco e Federica gli presero ciascuno una mano, gli occhi falsamente lucidi. “Sarebbe la prima cosa sensata che tu abbia mai detto in sette anni che ti conosco!”
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Twenties'
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Twenty-seven

Altro Missing Moment di "Twenty-eight"! Sì, gente, avete ragione, invece di perdermi in questi racconti dovrei occuparmi della storia originale... Vabbè, a tempo debito vi accontenterò! ;) Intanto ecco il passo del capitolo VIII a cui ho fatto riferimento questa volta:

 

“Nico!” Francesco chiamò l’amico dalla sua stanza e un’esile figura bionda e barbuta – tanta barba almeno quanti pochi capelli – fece capolino con un’espressione tra il frustrato e l’esasperato. “L’hai chiamato il signor Rossi?”

“Cazzo!” si batté una mano sulla fronte, serrando gli occhi. “Scusate, ragazzi! Me lo sono completamente dimenticato! Stavo facendo questa stampa del cavolo – che non trovo nemmeno più – e proprio mi è passato di mente!”

“Come al solito, Nico.” Lo derise Fede, alzandosi e oltrepassandolo. “Tranquillo, dai, ci penso io.”

“Grazie, Fede! Sei un angelo!” le andò dietro lui, scomparendo di nuovo oltre il muro.

“Certo, certo, solo quando non tocco le tue cose.”

“Ovvio.”

“France, tempo fa avevo fatto uno schizzo ad una tizia, Lorena qualcosa, hai più avuto sue notizie?” Gianluca era tra tutti e quattro il più serio, non certo serio in quanto personalità, ma sul lavoro non ce n’era per nessuno. Era stata sua l’idea di mettere su quello studio, lo studio di Architetti Quadri – messo ai voti tra varie proposte e che loro spiegavano come se fosse il nome del fondatore – e per questo si sentiva tra tutti il più responsabile dell’insufficienza sul lavoro. Più volte Francesco gli aveva detto di non preoccuparsi, che avevano solo bisogno di agganciare i clienti giusti, e tutto veniva con il tempo, ma lui, per quanto annuisse e lo ringraziasse delle sue parole, continuava a impegnarsi oltre ogni limite. E a vederlo così attivo, anche gli altri non riuscivano ad essere da meno.

 

Ciò che vi mostrerò, è quello che accadde il giorno in cui Francesco e i suoi amici scelsero il nome del loro studio. Successe tutto solo un anno fa, e in quell'anno, oltre al nome, successe anche qualcos'altro. A voi scoprire cosa :)

Buona lettura!


 

Twenty-seven: Studio Quardi

 

“Ancora non ci credo!” squittì Federica, eccitata come non mai. Stava stritolando il braccio di Nicola per l’emozione e lui, sebbene si lamentasse di fermargli la circolazione sanguigna, si era rassegnato e si lasciava torturare.

“Be’, inizia a farlo, perché da oggi questo è nostro!” Francesco le mostrò un sorriso vittorioso e tronfio, passando un braccio intorno alle spalle di Gianluca. “E tutto per merito di questo bel pezzo di ragazzo.”

“Piantala, France.” Sospirò lui, allontanandolo da sé. “Se Marianna scoprisse che abbiamo una tresca, mi lascerebbe così su due piedi.”

“Non credo,” scosse la testa Francesco, ghignando divertito. “Secondo me ha sempre sospettato di una nostra relazione segreta.”

L’ilarità generale però non riportò alla realtà Federica, ancora presa a contemplare il piccolo appartamento – ma abbastanza grande per contenere il loro studio – che avevano appena comprato. Si allontanava, trascinandosi dietro il povero Nicola, che solo con grande sforzo riusciva a frenare i suoi slanci di entusiasmo.

“Ma guardate!” esclamava. “Qui potremmo creare un magazzino!” diceva indicando l’ennesima stanzina che le era capitata sotto gli occhi. “Già vedo gli scaffali colmi di carte, documenti…!” sognava. “E qui,” continuava, adocchiando un altro angolo della stanza. “Qui ci metteremo un divanetto, sapete, per far accomodare i clienti!” cinguettava, saltellando come una bambina.

“Io voglio metterci anche un tavolo da biliardo.” Si inserì Nicola.

“Scordatelo.” Lo stroncò subito lei, senza perdere tempo nel considerarlo ulteriormente, presa com’era ad immaginarsi tutto l’arredamento nei minimi dettagli. “E là, invece, ci sarà l’attaccapanni,” si voltò per un attimo verso di loro e li squadrò uno per uno. “Perché provatevi solo a lasciare giacchetti e qualunque altra cosa a giro, e vi mangio!”

Francesco deglutì. “Gianlu, ho paura quando a Fede brillano gli occhi a quella maniera.”

“E fai bene!” alzò il naso in aria lei, assumendo un’aria superiore e saccente. “Il ricordo di casa vostra è indelebile nella mia mente. Era un porcile!”

“Cosa pretendevi per degli studenti?” protestò Gianluca.

“E poi conta che ospitare voi due,” continuò Francesco, indicando Federica e Nicola, ancora prigioniero della sua forte e cicciottella presa. “Era un’impresa. Soprattutto Nicola, che era la fonte principale di disordine.”

“Oh, quando avrete finito di infamarmi…!” cercò di ribellarsi Nicola.

“Non finiremo mai, rassegnati!” ridacchiò Francesco, iniziando poi a seguire Federica, che finalmente liberò la sua vittima per passare a torturare lui, catturandolo per un braccio. Purtroppo per Francesco, Federica iniziò ad elencare tutte le sue geniali trovate da capo, costringendolo ad ascoltare mentre una raffica di parole lo rincoglioniva per la velocità alla quale venivano pronunciate.

“Ah!” esclamò tutt’a un tratto Federica. “Ragazzi!” tornò dagli altri due e si fece seria. “Non abbiamo ancora il nome per lo studio!”

“Hai ragione!” constatò Francesco, iniziando ad adattarsi all’entusiasmo dell’amica, che di certo non l’avrebbe lasciato per un bel po’. “Che ne dite di: ‘lo studio di architetti più belli del mondo’?”

“Evito di risponderti per non turbare troppo la tua improbabile innocenza.” Lo liquidò Federica, inarcando un sopracciglio.

“Scherzavo, infatti!” rise.

“Io proporrei di chiamarlo ‘studio Varinelli’.” Propose Nicola, facendo calare un silenzio inaspettato all’interno di quel piccolo appartamento, che fino a qualche secondo prima rimbombava delle loro cazzate.

“Nico…” Francesco e Federica gli presero ciascuno una mano, gli occhi falsamente lucidi. “Sarebbe la prima cosa sensata che tu abbia mai detto in sette anni che ti conosco!”

“Per me dodici…” aggiunse Federica, abbracciandolo.

“Stronzi.” Si lasciò sfuggire Nicola con un verso di disaccordo. Poi tutti e tre si girarono verso Gianluca, che ancora non si era espresso.

“Allora?” gli chiesero all’unisono.

“Oh, no, ragazzi,” negò lui. “Cerchiamo qualcos’altro.”

“Ma sei stato tu ad avere l’idea di mettere su questo studio!” gli fece notare Federica.

“E per ora sei anche l’unico che ci abbia messo i soldi.” Aggiunse Francesco.

“Sì, ma lo studio è nostro.”

“Fede,” piagnucolò Francesco, con la sua tipica ed esagerata teatralità. “Non senti che belle parole che dice il nostro capo?” L’unica risposta che ricevette fu una gomitata di Giancluca all’altezza della nuca – degno di un ex karateca. “Mi sento inutile in questo gruppo.” Mormorò afflitto, abbracciando, quindi, Federica.

“Ma tu servirai per attirare clienti!” lo sbeffeggiò lei. “Useremo il tuo bel faccino.” Gli prese il viso tra l’indice e il pollice e glielo strapazzò per qualche istante.

“Il passo successivo sarà appenderti fuori dalla finestra – obbligatoriamente nudo.” Concordò Nicola. “Sai quanta gente si accorgerà di noi?”

“Gianlu,” Francesco si rivolse a lui, supplicante. “Sai quanto bene ti voglia, vero?” lo prese per un braccio – Federica ancora attaccata all’altro. “Mi difenderai nel caso questi terroristi attenteranno alla mia dignità, vero?”

“Dipende.” Ghignò lui, facendosi pensieroso.

“Da cosa?” si fece sospettoso Francesco.

“Dico solo una parola: Elisa.” Lo guardò sfacciato.

Francesco li guardò tutti e tre, che esibivano lo stesso sorrisetto arrogante. Poi sbuffò e si mise a braccia conserte, aggrottando la fronte. “Vi renderò il lavoro un inferno.”

“Attento a quello che dici.” Lo mise in guardia Nicola. “Sei ricattabile, ora.”

Francesco afferrò il braccio di Federica e la trasportò nell’altra stanza. “Riprendiamo il giro visita.”

Lei però guardò l’orologio e si bloccò. “Mi dispiace, France, ma devo andare a fare la spesa.” Lo liberò dalla sua presa e tornò dagli altri. “Io ora vado. Ci si trova domani esattamente a quest’ora, esattamente in questo posto con delle idee sul nome dello studio, chiaro?”

Quasi come se fosse stata una minaccia, tutti i presenti annuirono e deglutirono faticosamente. Sapevano che se Federica decideva qualcosa con tale entusiasmo, sarebbe stata dura – e anche una scommessa persa in partenza – sperare che l’indomani non se ne ricordasse affatto.

 

***

 

“Dove sono le mie donne?” Non appena entrò in casa, si tolse il giacchetto e lo posò insieme al casco sul divano.

“Papà!” gli corse incontro la piccola Sofia, saltandogli addosso con un tempismo impeccabile. Lui la prese in braccio e le diede un piccolo bacio sulla fronte, per poi crollare sul divano con lei avvolta tra le braccia, fingendo di cadere e facendo sfociare la piccola in una risata divertita.

“Cosa hai fatto oggi dai nonni?” le chiese, mettendosi seduto e facendola accomodare sulle gambe.

“Nonno mi ha portato sul pullman! Abbiamo visto prima i treni e poi gli aeri!”

Aerei.” La corresse lui.

“Aer-e-i.” Gli sorrise, soddisfatta.

“Brava.” Le scarruffò i capelli, mentre lei cercava di allontanargli la mano. “Dov’è la mamma?”

“Fa la doccia!” rispose, per poi scendere frettolosamente dalle gambe di Francesco. Corse in camera sua e tornò con un blocco da disegno e una scatola di pennarelli. “Papà, mi fai un disegno?” Gli saltò nuovamente addosso con la sua energia invidiabile e gli posizionò il blocco sotto il naso. Francesco, quindi, si accomodò meglio sul divano, reggendo la piccola sulle gambe con la mano destra, mentre con la sinistra scelse un pennarello ed iniziò a scarabocchiare sul foglio.

Solo tre anni fa non l’avrebbe mai detto, ma tornare a casa e trovare ad aspettarlo sua figlia era qualcosa di indescrivibile. Quando aveva saputo che sarebbe diventato padre provò un istinto irrefrenabile di scappare, di allontanarsi il più possibile dalle responsabilità che avrebbero potuto crollargli addosso con un impeto imprevisto, ma a pensarci a distanza di anni, non riusciva proprio a pensare di poter lasciare tutto per andarsene. Sentiva che ormai quella era la sua vita. Lui, Sofia e…

“France!” si voltò e alle sue spalle apparve Elisa, i capelli bagnati che le scendevano sulle spalle, mentre tentava di asciugargli con un fotonico asciugamano viola, che contrastava quasi eccessivamente con l’accappatoio giallo canarino. E le ciabatte a pois rossi e verdi erano decisamente un tocco di estrema eleganza. Fortunatamente almeno i calzini dopo la doccia non li aveva ai piedi, cosa però che lasciava intravedere lo smalto arancione sulle unghie. “Non avevo sentito che eri rientrato.” Gli disse, continuando a strusciarsi i capelli nell’asciugamano. “Ma non dovevi tornare verso le sei?”

“Sì, infatti.” Rispose, tornando al disegno di Sofia, che aveva preso a tirarlo per la manica della camicia a quadri. “Ma Fede se n’è andata presto, e di lì a poco anche noi abbiamo fatto altrettanto. Alla fine volevamo solo dare un’occhiata al posto.”

Elisa girò intorno al divano e si sedette al suo fianco, sbilanciandosi verso di lui per vedere cosa stesse disegnando. Un po’ per divertimento e un po’ per piacere personale, Francesco non le volle dire che l’accappatoio le si era aperto davanti, mostrandogli il suo piccolo seno. Lasciò che Elisa stringesse a sé Sofia e lui portò la mano con cui prima abbracciava la bambina, intorno alla vita di Elisa, che per un attimo sembrò quasi irrigidirsi, poi tutti e tre insieme portarono avanti quel disegno: una bambina che passeggiava mano nella mano coi suoi genitori, tutti e tre di spalle che passeggiavano in un viale alberato.

Era passato tanto tempo ormai. Elisa avrebbe capito?

 

***

Magari stava solo crescendo. Tutti gli dicevano che con il tempo avrebbe capito molte cose, cose che un tempo nemmeno si sarebbe mai immaginato potessero avere risposta. E forse questa volta era una di quelle: forse stava davvero ricevendo una risposta ai suoi dubbi.

Era qualche tempo che ci pensava, ma non avrebbe mai pensato che ciò che cercava fosse sempre stato davanti ai suoi occhi. E tutt’ora stentava a crederci fino in fondo, ma più ci ragionava, più sembrava seriamente quella la risposta tanto cercata. E Gianluca e gli altri erano stati più volte indiscreti nell’indicargliela, solo che lui non voleva guardare.

Aveva aiutato Elisa a sparecchiare, per poi portare Sofia a letto. Aveva solo tre anni, ma aveva un’energia straordinaria: era incredibile come poi crollasse non appena arrivavano le nove di sera, quasi come se avesse un timer interno. Era una bambina buffa. E soprattutto – con il tempo l’aveva capito e non poteva più farne a meno di pensarlo – era sua figlia.

Tornò in camera sua dopo aver fatto una doccia rinfrescante, viste le temperature che iniziavano a toccare in quel periodo dell’anno, e si infilò sotto le lenzuola fresche, cambiate giusto quella mattina.

Elisa era già nel letto, con la sua grande maglietta dei Muse, la sua preferita. Stava leggendo un libro nuovo. E pensare che quello precedente l’aveva finito in solo una settimana… Elisa amava leggere, divorava ogni parola, ogni pagina. E Francesco si divertiva a guardarla leggere: le espressioni di Elisa potevano fargli ricostruire il suo stato d’animo nella lettura, oltre che il racconto in sé. C’erano volte in cui alzava un sopracciglio perplessa, altre volte in cui sorrideva, o addirittura rideva di gusto, solo per qualche istante, come se si vergognasse di farsi vedere così presa. E ogni tanto ci scappava anche qualche lacrima, soprattutto alla fine di un libro, triste o felice che fosse il finale.

Francesco non gliel’aveva mai detto, mascherando quei pensieri con delle battute che la prendevano in giro, ma le piaceva quando faceva così. Elisa era genuina, era esattamente così come la vedeva. Non si nascondeva dietro nessuna maschera, non voleva far finta di essere qualcun altro – anche perché la sua goffaggine l’avrebbe tradita comunque. Lei era solo Elisa. E non c’era niente di più suo, che il comportamento che adottava nel leggere un libro.

“Ehi…” le sussurrò all’orecchio, facendola trasalire lievemente. Chiuse quindi il libro all’istante e lo ripose sul comodino.

“Ehi.” Gli sorrise.

“Allora? Com’è andata la giornata?” si stese su un fianco e la guardò, appoggiando la testa alla mano sinistra.

“Bah,” ruotò gli occhi. “Diciamo solo che è andata. Pietro mi ha affidato la revisione di alcuni documenti per il progetto dei Landini con Puccini, l’urbanista. È un lavoro noioso, ma spero che prima o poi si decida a passarmi qualcosa di un po’ più grosso, anche perché ormai è tanto che lavoro per lui.” Spiegò. “E tu? Hai visto il posto dello studio e non mi dici niente?” sembrava eccitata all’idea.

“Be’, è piccolo,” iniziò. “Però ci va bene. Non credo potessimo permetterci di più. E poi siamo solo agli inizi. Quando la nostra attività sfonderà, potremmo permetterci persino una reggia!”

“Il solito esagerato.” Gli sorrise, tirandogli un debole pugno sul braccio, che lui bloccò con facilità, trattenendole poi la mano nella sua. “E poi?”

“Poi niente. È ancora vuoto – anche se Federica è già partita in quarta per come arredarlo.”

“Fatela felice, è l’unica donna del gruppo – e poi ha sicuramente più gusto di voi!” lo schernì.

“Be’, non ci vuole molto.” L’assecondò, guardandola negli occhi. Rimasero a guardarsi per qualche istante, poi Elisa interruppe quella connessione che si era creata tra loro, abbassando lo sguardo, e sottraendo la mano dalla sua. Si rannicchiò sul suo lato del letto e si tirò le lenzuola fino al mento.

“Eli?” la chiamò, stupito Francesco. Negli ultimi tempi tra loro tutto andava bene, quei momenti di intimità non erano nemmeno più così rari. Ma questo negli ultimi tempi, perché negli ultimi giorni, invece, Elisa sembrava non pensarla così. Per quanto forse volesse nasconderlo, aveva iniziato ad essere più schiva, più sfuggente.

Un po’ per orgoglio, un po’ per paura, Francesco però non le aveva mai chiesto il motivo di quei suoi atteggiamenti ambigui.

Lei lo guardò, imbarazzata.

“Che c’è?” le chiese, quindi.

Lei ancora una volta abbassò lo sguardo. “France,” iniziò con voce sottile. “Ti ricordi quando ti dissi che eri libero di uscire con chi ti pare, che non dovevi assolutamente sentirti obbligato a restare con me solo perché era nata Sofia?”

Francesco annuì, iniziando a domandarsi cosa mai potesse prevedere una domanda a bruciapelo come quella.

“Be’, ecco…” dal movimento che vedeva sotto le coperte, Francesco capì che si stava contorcendo le mani, proprio come era solito fare nei momenti di imbarazzo.

“Vuoi dirmi che hai cambiato idea e vuoi tenermi tutto per te?” mugolò  con un piagnucolio divertito, avvicinandosi a lei ed abbracciandola, stritolandola un po’ per cercare di sdrammatizzare quel momento che per Elisa sembrava decisamente importante. “Sappi che io sono un uomo libero, non ci sono catene che possano tenermi.” Continuò in preda ad uno dei suoi sproloqui teatrali. “Però se sei tu a chiedermelo, potrei vedere di fare un’eccezione.” Ridacchiò, baciandole la fronte.

“Be’, sei un po’ in ritardo per una dichiarazione del genere, non trovi?” si insinuò lei, sfiorando la linea del velenoso.

“Be’, sono un maschio, che pretendi?” le sorrise.

“France, però non mi aiuti così…” mormorò Elisa, allontanandosi leggermente da lui, in modo da poterlo vedere bene negli occhi.

“Perché, cosa vuoi dirmi?” non capiva. L’unica cosa che sembrava essere sempre più chiara, era che lui si fosse sbagliato in tutto quel suo pensare. Probabilmente per lei in quel periodo erano altre le preoccupazioni che le frullavano per la testa.

Elisa si nascose il viso tra le mani, cercando di far passare quel gesto come un semplice stropicciamento degli occhi per la stanchezza. “Ho conosciuto un uomo.”

A pensarci meglio, questa era esattamente il tipo di risposta che Francesco non si sarebbe mai aspettato di sentirle pronunciare. “Ah sì?” Fu quindi l’unica cosa che riuscì a dire. Era passato così tanto tempo da quanto Elisa si vedeva con qualcuno al di fuori di lui, che quasi sembrava qualcosa di scontato: Elisa non sarebbe stata mai di nessuno, se non sua.

Elisa annuì, continuando a tenere le mani sul viso.

“Be’, buon per te.” Le sorrise, sebbene non ne fosse convinto. Era strano pensare ad Elisa con qualcun altro. Solitamente era lui che trovava qualcuna con cui uscire. Non Elisa. Per un attimo Francesco si sentì infastidito da questa storia, non gli piaceva l’idea che un altro uomo potesse inserirsi tra loro. Conoscendo tutte le vecchie storie di Elisa – decisamente poche – la presenza di un nuovo tipo nella loro vita avrebbe portato solo guai, fastidiosi guai.

Eppure lui l’aveva sempre fatto: c’era stata Lucrezia, Gianna, quell’altra che aveva conosciuto alla festa di Federica, e quella mora di cui al momento non ricordava il nome… Elisa non era il tipo da una botta e via: quando lei si vedeva con qualcuno, significava che era davvero convinta che quel qualcuno potesse essere importante, fedele. Significava forse che questo uomo l’avrebbe portata ad allontanarsi da lui?

E mentre Francesco ancora combatteva per chiarire i suoi pensieri, la reazione di Elisa lo colse alla sprovvista. Si scoprì gli occhi e lo guardò imbarazzata, ma con una sincerità che lo disarmò. “Grazie.”

E lui non poté che sorriderle, un sorriso sincero come lo sguardo di Elisa. Lei quasi si commosse, i suoi occhi divennero lucidi. Si allungò verso di lui e chiese un abbraccio, in silenzio. Lui non riuscì a negarglielo. La abbracciò stretta e pensò che quella era a tutti gli effetti la risposta che stava aspettando. Elisa cercava ancora il suo appoggio, la sua approvazione. Questo perché ci teneva a lui, non voleva allontanarlo. E mai l’avrebbe fatto. Francesco sapeva com’era fatta Elisa, sapeva che non lo avrebbe mai lasciato per poter stare con qualcun altro. Lei era questo: lo amava. E lui amava stare con lei. Si era abituato alla sua quotidianità, al suo carattere poligonale ed irregolare, pieno di incoerenze, incoerenze però che la segnavano nel carattere. Era Elisa, e Francesco ormai ne era dipendente. In quegli anni il loro rapporto aveva superato i limiti della semplice amicizia, erano una famiglia. Per questo sentiva il nuovo intruso una parvenza di minaccia, ma se Elisa era stata convinta, forse Francesco avrebbe potuto fidarsi del suo giudizio, sebbene quella sensazione di fastidio ancora premeva per essere ascoltata.

E mentre lei si rintanava contro il suo petto, lui non poté che pensare che forse non era cresciuto minimamente, che ancora i suoi stessi sentimenti non fossero più chiari di quattro anni fa, quando la sua storia con Elisa era… iniziata. Ma forse era questo il legame che c’era tra di loro: un continuo cercarsi per farsi forza a vicenda, un qualcosa che andava addirittura al di là di quello che aveva pensato più volte.

Oppure no?

 

***

 

“Allora, ragazzi! Ditemi tutto!” Federica, li guardò uno per uno, aspettando che qualcuno iniziasse. “Oh, su, ragazzi! Mica vi ho chiesto di invertire la rotazione della terra!” sbuffò, incrociando le braccia al petto. “Volevo solo che tutti e quattro partecipassimo alla creazione del nome dello studio!”

“Io la mia idea l’ho già esposta ieri.” Brontolò Nicola. “Per me lo studio a nome di Gianlu va più che bene, altrimenti sarei stato zitto!”

“D’accordo, allora, una possibilità è ‘studio Varinelli’. Avanti il prossimo: Gianlu, tu che dici?”

“Uhm, io non avevo pensato a niente di preciso, però mi piacerebbe un nome che potesse far vedere che siamo gente seria, affidabile…”

“Molto astratta come idea, sia nella realtà che nell’invenzione del nome.” Constatò Nicola, con Federica che annuiva convinta affianco.

Erano seduti in terra a cerchio nel mezzo di una delle due stanze vuote, tutti che si guardavano nelle palle degli occhi, quasi a sfidarsi con questa storia dei nomi.

“Quindi, o ‘studio Varinelli’, o un nome altisonante.” Ricapitolò, pensierosa, sebbene dalla sua espressione gli altri presenti capissero che non stava nella pelle a voler dire la sua su questa faccenda.

“Su, forza, sputa il rospo.” Sospirò Francesco, vedendole brillare il fuoco negli occhi. “Sentiamo cosa hai trovato.”

Federica si colorò di eccitazione, sorridendo a trentadue denti con fierezza. “Allora, visto che tutti i nostri cognomi iniziano con la lettera V – cosa che ci ha permesso, oltretutto, di conoscerci – ho pensato a questo: ‘gruppo IV’.” E mostrò un pezzo di carta che si era appositamente portata dietro.

Gli altri si guardarono perplessi, chi alzando un sopracciglio, chi grattandosi la testa mezza calva e chi cercando di non sfociare in un’egregia risata che gli sarebbe costata cara.

“Oh, suvvia, ragazzi! IV sta ad indicare sia il fatto che siamo quattro membri, sia noi in quanto persone! Lo capite? I V!” scandì, separando le due lettere componenti il numero romano. “V indica i nostri cognomi!” continuò speranzosa, ma trovandosi davanti le loro facce al limite della derisione, sbuffò e appallottolò il pezzo di carta, tirandolo addosso a Francesco, che si finse oltraggiato da quel gesto. “Non capisco se ci fate o ci siete.” Concluse borbottando.

“No, dai, tranquilla,” ridacchiò Gianluca. “Abbiamo capito.”

“Oh, e allora che ne dite?” chiese entusiasta lei.

“Be’, che c’è ancora da sapere cosa ha trovato Francesco.” Tutti si girarono verso di lui.

“Io non ho trovato.” Ci tenne a precisare. “Io ho meditato, cercato, indagato! Ciò che vi proporrò sarà l’emblema della determinazione nel portare a termine il nostro lavoro!”

Fu il turno di Federica, ora, fissarlo perplessa, sebbene un principio di risata fosse ben visibile agli angoli della bocca. “Su, dicci la tua trovata geniale.”

“Definirla geniale è riduttivo, sappiatelo.” Sorrise con la sua tipica sfacciataggine. “Rullo di tamburi.” Nicola si spinse verso Federica ed iniziò a picchiettare sulla sua testa, mentre lei cercava di scacciarlo come se fosse una mosca fastidiosa. E Francesco infine parlò: “‘Studio Quadri’.”

“Prego?” fece Nicola, guardandolo senza capire.

“Sì, certamente, ora vi spiego.” Si fece fintamente serio. “La gente, vedendo questo cognome che non rappresenta nessuno di noi, sarà portata a pensare: ‘Ma chi sarà questo Quadri?’” Imitò con voce ottavata. “E noi a quel punto risponderemo: ‘Era colui che ha fondato lo studio molti anni fa. Un famoso architetto che ha voluto lasciare a noi le redini della sua impresa’.”

Guardando gli altri compagni, Francesco si rese conto di come le loro espressioni si facessero di secondo in secondo sempre più rassegnate, quasi come se da lui non si sarebbero potuti aspettare altro.

“Ammettilo,” replicò Gianluca, a nome di tutti. “Te l’eri dimenticato e hai aperto l’elenco telefonico a caso.”

“Esattamente.” Confermò Francesco, annuendo professionalmente.

“E lo ammetti anche?” la mano grassottella di Federica colpì puntualmente la nuca del ragazzo con uno schiocco secco. “Questa è una cosa seria!”

“Guarda che per farla diventare una cosa seria, io mi sono addirittura preparato una risposta psicologica!” si difese Francesco, piagnucolando, mentre si copriva il collo pulsante.

Federica gli rispose con un ringhio, per poi sospirare e calmarsi. “Allora, le opzioni sono: l’elaboratissimo ‘gruppo IV’, la proposta riconoscente di Nicola, ‘studio Varinelli’, l’idea astratta di Gianluca – che nel caso si scegliesse, dovrai pur farla diventare concreta, che dici? – e la cazzata del nostro Vanni: ‘studio Quadri’. Ai voti.”

I tre ragazzi si guardarono perplessi. Gianluca aveva già il giorno precedente deciso di scartare la proposta di Nicola – “Ammettilo, non vuoi responsabilità nel caso di fallimento!”, gli aveva detto Francesco, prendendolo per il culo come al solito – e la proposta di Gianluca, fondamentalmente, non esisteva. Francesco avrebbe scommesso che anche lui si fosse totalmente dimenticato di pensare ad un nome, considerando quello l’ultimo dei problemi a cui badare e punto che solo una donna come Federica avrebbe potuto considerare di vitale importanza. Per quanto gli importasse, il loro studio poteva benissimo chiamarsi ‘gruppo IV’, ma l’idea un po’ troppo classicheggiante di Federica – dovuto molto probabilmente ai suoi anni di liceo – suonava fin troppo seria per un gruppo come loro.

Fu forse per questa spiegazione o magari per un evento paranormale, che le mani di Nicola e Gianluca si alzarono in favore della cosiddetta ‘cazzata del Vanni’. Francesco – onde aver salva la pelle – decise saggiamente di astenersi da qualunque voto, il che portò alla vittoria della sua proposta, ai danni del fine gioco di parole – lettere e numeri – di Federica, che dovette rassegnarsi del tutto.

“Chissà perché, ma alla fine con voi trionfano sempre le idee più idiote.”

“Motivo in più per scegliere questa grande cazzata come nome dello studio, non ti pare?” si elogiò Francesco, accrescendo la falsa ira di Federica, che in tutti quegli anni si era costruita l’immagine di ragazza per bene, al confronto di quei tre scellerati. Per questo avrebbe dovuto continuare a recitare la parte della superiore, sebbene Francesco sapesse che lei sarebbe stata la prima a votare ‘studio Quadri’, se solo la sua testardaggine gliel’avesse permesso.

 

____________________________

 

Ditemi che almeno una risata sono riuscita a strapparvela! Io adoro questo gruppo di ragazzi, vorrei quasi farne parte! Se tutto andasse come previsto - e quindi riuscissi a scrivere "Twenty-three", ovvero cosa successe quando Elisa e Francesco si incontrarono - be', ne vedrete delle belle! Sono delle armi di distruzione di massa a base di cazzate (perdonatemi il linguaggio)! Via, ora basta dilungarmi su di loro, vorrei invece dire due parole rispetto al contenuto dell'altra cosa che avete letto.

Ebbene sì, questo è il momento in cui Elisa confessa a Francesco di aver conosciuto un uomo. E se questo uomo inizia a farsi vedere un anno prima rispetto al nostro racconto, chi mai potrà essere? Già... Proprio lui. Tadaan!

 

Ora, forse non tutti i passaggi dei pensieri di Francesco potranno essere chiari, anzi, credo proprio che non lo saranno, però sappiate che questo è un altro assaggio di quello che c'è stato tra lui e Elisa tempo fa. In particolare, ci sono un paio di frasi che per me hanno molta importanza nel riuscire a svelare un po' quello che è ed è stato il loro rapporto, ma credo proprio che non ve le indicherò. Il motivo è semplice: potrei svelarvi troppe informazioni! Molto probabilmente le menti più acute riusciranno lo stesso a capire a cosa mi riferisco... Meglio così, allora! :)

 

Via, non vi sto a dire altro... Magari siate voi a scrivere cosa ne pensate, che mi fa piacere scoprire cosa vi porta ad immaginare questa storia! :D

Al prossimo aggiornamento di "Twenty-eight"!

 

S.P.

  
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