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Autore: Quintessence    15/05/2011    8 recensioni
Il Destino ci narrò storie di coraggio su Sailormoon, su quello che furono le Senshi, sulla venuta di Chaos. E ognuna di noi sapeva che l'umanità sarebbe vissuta. Che l'accecante potere del Ginzuishou avrebbe toccato tutti. Che Serenity avrebbe vinto anche l'ultima sfida, sconfitto anche la Catastrofe finale, creando la nuova e Luminosa Crystal Tokyo.
Il Destino aveva parlato. Noi avevamo creduto.
Oggi, però, il Destino è cambiato.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ami/Amy, Makoto/Morea, Minako/Marta, Rei/Rea, Usagi/Bunny
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
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Un commento velocissimo; sto revisionando quindi ci metto sempre un po' a pubblicare perché ho poco tempo con l'uni. Voi abbiate fede e seguitemi. Io sono sempre qui! :D Questo capitolo vi racconta cose simpatiche e interessanti, e c'è un bel powerup. Dal prossimo, vi narrerò della lotta contro la Catastrofe... Sovvertire il Destino è possibile o no, allora? Stay Tuned ;) Nel frattempo, godetevi il 14 - Unirsi.

14 ~ Unirsi

Il Coraggio di stare unite! Questa è la risposta a ciò che cercate. Non abbiate paura. Poiché c'è stato un momento in cui vi siete legate l'una all'altra. C'è stato un giorno in cui avete riso insieme, e uno in cui avete pianto insieme! Questo è il vero significato dell'Orgoglio Sailor!
 


È stata una lunga strada. C’è stato un vuoto di otto anni. Forse l’unica cosa che davvero può parlare di questo vuoto è il silenzio. Non è un silenzio sterile, in ogni caso. È sicuramente un silenzio in cui si sono fossilizzate paure e rimpianti, e parole cattive e parole di perdono che non c’è più stata occasione di dire. Tutto questo non si è perso, però. Come sempre, quando abbiamo pensieri maligni o buoni, o quando proviamo emozioni forti che poi dimentichiamo, in qualche modo queste si depositano. E possono tornare a galla in forme svariate.
Chi di noi ha perduto una persona, per esempio, dopo qualche anno la relega nella dimensione fluttuante del “dimenticato”. E tuttavia, rivedere un oggetto o risentire una canzone che ci ha legato a chi abbiamo perduto riporta alla memoria (curioso, vero?) tutte le cose belle vissute insieme. Quasi mai rivedendo una persona dal passato ci vengono in mente le cose orribili che ha combinato o le parole brutte che ci ha detto… Piuttosto, ci prende una insana voglia di abbracciarla, e di tornare al tempo in cui avevamo pianto e riso insieme.
È vero che si apprezza il valore di una persona solo dopo averla perduta?
Forse lo si apprezza di più se dopo molti anni la si rivede.
~
Improvvisamente, si trovarono di nuovo insieme. Rei non aveva più una lama che le trafiggeva lo stomaco. Ami ricordava bene. Makoto non era solo un busto senza gambe, aveva di nuovo le sue vecchie. Minako vantava la sua cicatrice sul lato sinistro del viso, e Usagi camminava piegata dal peso delle sue ali.
« Ragazze! » -Fu la prima parola che le uscì dalla bocca, mentre cercava di reggersi, china sul pavimento come se uno zaino troppo pesante le fosse stato messo sulle spalle.
« Usagi! » -Fu la prima risposta che ottenne, e la voce era quella di Makoto. Nonostante tutto il peso che le gravava addosso, Usagi spiccò una corsa che si trasformò in pochi passi in una caduta, piangendo e bisbigliando parole che nessuna afferrò. Otto mani si chinarono su di lei, per alzarla. La trincea era sparita.
« Ragazze! » -Ripeté con panico, temendo che tutte sarebbero sparite da un momento all’altro, se solo avesse osato pronunciare uno dei loro nomi, timorosa di essere ancora dentro la sua prova, ancora dentro il mondo di Voluntas. Ma niente si sbriciolò, mentre una dopo l’altra si gettavano su di lei in un forzuto abbraccio di gruppo che sapeva di sangue e polvere, e di otto anni perduti.
« Ragazze… » -Continuò a singhiozzare Usagi, come se nel suo vocabolario non esistesse più altra parola, incapace di dire di nuovo scusa, con le scapole in fiamme per lo sforzo che i suoi muscoli avevano dovuto fare. Le ali che il Ginzuishou le aveva donato l’ultima volta erano leggere, come degli arti. Queste erano pesanti, e dentro ci correvano ossa sottili e articolate. Minako le accarezzò con un dito.
« Usagi, sono… Ali… » -Notò che sull’attaccatura aveva delle cicatrici ancora fresche. Le ricordarono la sua all’inizio, quando era bruciante di vita, e le sembrava che pulsasse sul suo viso, tanto che doveva trattenersi per non grattarsi fino a farla sanguinare- « Usagi, era la tua prova? »
Usagi fece in tempo ad annuire, prima di accasciarsi a terra di nuovo. Ami si gettò su di lei.
« Oh, Usagi, mi dispiace tanto! Io- »
« I convenevoli li lasciamo al futuro, d’accordo? La Catastrofe è vicina » -Voluntas.
Le ragazze aiutarono Usagi ad alzarsi di nuovo, e la sorressero tutte insieme. Makoto era accanto a loro, le gambe tremanti ma incredibilmente e temporaneamente funzionanti.
« Quanto vicina? » -Le domandò Rei con una sfumatura sofferente per lo sforzo.
« Venti giorni » -Le comunicò Sophìa con la punta di gaiezza con cui si comunica una risposta corretta in classe - « Oh, ma avete superato le prove, adesso sarete forti »
Minako non approvò.
« Siamo sempre Noi »
« Sbagliato » -La corresse Kalìa- « Siete Voi, ma non siete sempre Voi. Siete Voi con la consapevolezza della sofferenza che vi ha percorso. Avete compreso la forza di essere se stesse, comprese di ogni esperienza. Questa comprensione vi ha spinte a perdonare… Non è vero, Makochan? »
Makoto arrossì e abbassò la testa. Mugugnò un assenso. Si vergognava di ammettere che aveva avuto ragione su ogni fronte, perché il suo orgoglio glielo impediva. Tuttavia, non poté fare a meno di sbirciare Areté. E quella le sorrise, comprensiva, e annuì velocemente. Makoto comprese, e rimase zitta. Kalìa si riprese la parola.
« Sì, come immaginavo, e questo vi riporterà all’unione. Al Senshi Pride. Poiché c'è stato un momento in cui vi siete legate l'una all'altra. C'è stato un giorno in cui avete riso insieme, e uno in cui avete pianto insieme! Questo significato vi aiuterà a fermare la Catastrofe »
Ci fu un attimo di silenzio, in cui ciascuna si rese conto di quello che Kalìa aveva appena esplicato. Dovevano farlo da sole e senza Nemesi. Minako scattò improvvisamente in avanti, senza che nessuna facesse o dicesse altro, inaspettatamente. Gettò le braccia attorno alla sua Nemesi, avvolgendole la schiena e sfiorando le piume delle sue ali.
« No, non puoi lasciarmi sola! Tu sei… » -Esitò un attimo- « Tu sei me! Sei il mio star seed, non puoi! » -Kalìa era rimasta impressionata da quel gesto inaspettato, e l’espressione sul suo volto la diceva lunga sulla sorpresa che aveva provato quando Minako l’aveva abbracciata in quel modo. Sorrise, quasi impercettibilmente, e poi ridacchiò un poco, allontanandola con le braccia per guardarla. Non stava piangendo, ma si vedeva che si sforzava di non farlo, forse per i loro leggermente burrascosi trascorsi.
« Nessuna di noi vi lascerà sole. Ma non ci è concesso scendere sulla terra senza corpo e lo sapete. Moriremmo in pochi minuti. Tuttavia ciascuna di noi ha il potere di entrare in voi, e di unirsi per poco o molto tempo al vostro corpo… In quanto avete superato la prova, potete riavere la vostra dispersione »
« Inoltre abbiamo per voi dei doni; » -Intervenne Psyché, con delicatezza e gentilezza- «siamo i vostri star seed e le vostre stelle custodi, a ciascuna di noi è dato un potere derivato dai vostri errori e dalle vostre sofferenze. Abbiamo il consenso di darvelo, all’atto del superamento della prova »
Le ragazze si guardarono per un momento. Nuovi Poteri? In Makoto si allargò una macchia di fierezza, e le altre si sentirono più sollevate; probabilmente con quelli avrebbero potuto salvare il mondo con più facilità. Anche Ami, che fino a quel momento era rimasta rigida come un bastone, ricominciò a respirare. Le cose stavano volgendo a loro favore a quanto pareva, e questo significava possibilità in più per riuscire in quello che fino a qualche giorno prima avevano ritenuto non solo improbabile, ma anche inutile da tentare; rivoltare il destino come un calzino e fermare la Catastrofe. Salvare tutta l’umanità, e non solo una parte. Regalare a tutti una seconda occasione, così come era stata regalata a loro. Così come avevano distrutto Beryl al polo nord. Così come avevano distrutto il Phantom. Così come avevano fatto con il Pharaoh 90. Così come per il Dead Moon Circus, Nehellenia. Così come era stato per Galaxia, e infine, Chaos. Come era stato un tempo, poteva essere ancora, forse; e così come era stato un tempo, anche la Catastrofe avrebbe ceduto sotto l’enorme potere delle Inner Senshi ritrovate.
« Le condizioni sono due » -Disse Voluntas- « Le uniche in grado di usarlo sarete voi. Nel salvataggio della Terra non potranno intervenire altre forze di alcun tipo »
« Ma, Mamochan… »
« Niente Mamochan! » -La zittì con un ruggito- « Mamochan sarà al sicuro »
« Ma, Lui… »
« Non hai scelta! » -La sua espressione da dura si intristì- « Non è una faccenda che lo riguarda »
Anche se a malincuore, Usagi convenne. Mamoru non avrebbe avuto spazio in questa storia. Anche se avesse cercato di ricavarselo, non l’avrebbe trovato. Perché quella era una storia fra lei e le ragazze. Fra lei e la Catastrofe. Fra lei, e il mondo che non aveva voluto vedere. Silenziosamente capiva che Voluntas era dispiaciuta di quel veto, anche se non voleva farlo vedere; tuttavia era anche sollevata all’idea che Mamochan sarebbe rimasto fuori dalla battaglia senza nessuna possibilità di replica. Come sempre, l’ultima parola sarebbe stata sua e delle Inner Senshi. Per Mamoru non ci sarebbe mai stato posto, in quello spazio. Come non c’era stato posto in macchina, non ci sarebbe stato posto nella battaglia contro la Catastrofe.
Fu la voce di Sophìa a riportarla alla realtà.
« …persona, sulla Terra, verrà da noi congelata in un sonno virtuale. Ciascuno dormirà fino alla fine della Catastrofe. Se non la fermerete, allora moriranno in serenità. Se ce la farete, il Sylver Crystal le riporterà al loro ritmo normale, e sarà come se questi venti giorni non fossero mai passati »
Ami fu incerta per un secondo, poi alzò la mano. Subito l’abbassò sentendosi una stupida, come se fosse stata in classe. Alla risatina di scherno di Kalìa, si grattò la testa arrossendo vistosamente e prese la parola.
« …E Crystal Tokyo? »
« Se fermeremo la Catastrofe, non esisterà Mai. Il Destino sarà cambiato » -Le rispose Kalìa- « E la Terra continuerà ad esistere come la conoscete »
Niente Neo Queen Serenity, niente King Endymion. Niente dominazioni, niente ere di pace. Solo e semplicemente esseri umani, come prima. Niente glaciazioni. Niente di niente.
« Siamo pronte » -Disse Rei- « A quanto pare non possiamo perdere un minuto » -Questo fece sorridere Psyché, che annuì decisa. Uno scambio di sguardi fra le Nemesi comunicò alle ragazze che era arrivato il momento di conoscere quale sarebbe stato il nuovo ed entusiasmante potere che avrebbero ricevuto. Psyché fece un passo in avanti. Chiamò Rei, indicandola con un dito e facendo un gesto che significava eloquentemente di imitarla. Rei non se lo fece ripetere con le parole, scattò in avanti mentre lo star seed allungava tutte e due le mani. Da queste emerse un fazzoletto tremendamente familiare. Rei si coprì la bocca con una mano, sussultando di sorpresa. Fissò Psyché.
« Dove l’hai presa? »
« Ha bisogno della sua padrona… Forse sai indicarmi chi sia » -Rei singhiozzò vistosamente.
« Era di una guerriera, un tempo. Di una guerriera che ha fatto finta di essere una ragazza normale per salvare la vita del Mondo » -Psyché le sorrise.
« Questo lo so… » -Il fazzoletto si svolse. La penna era come Rei la ricordava, solo che ai margini erano spuntate leggere due ali color rubino- « Non è tardi »
Come aveva potuto gettarla? Rei si avventò sulla penna con avidità; non esitò nemmeno un secondo, l’afferrò con decisione e la sollevò sulla testa. Non c’era altro posto dove avrebbe dovuto stare.
« Mars Eternal, Make Up! » -Non provava quel calore da otto anni. Il calore delle fiamme che l’avvolgevano. Sentiva profumo di legna da ardere, lo stesso odore di un camino acceso in una notte di inverno. Sentiva il calore del sole, e il calore della stufa che sua nonna (la moglie di quel nonno che serviva all’Hikawa Shrine) quando era viva adorava accendere le sere di pioggia. Un calore che credeva di aver dimenticato. Atterrò avvolta in una fuku di fiamme. Anche se non aveva le ali, sentiva di poter volare. Guardò Psyché raggiante.
« Il tuo dono » -Le disse lei, allungando di nuovo le mani- « È il dono dell’Algesìa. La sensibilità al dolore, tuo e degli altri. In qualsiasi momento, puoi prendere su di te le ferite altrui, di qualunque tipo. Puoi soffrire per loro » -Dalle mani della Nemesi si dipanarono diversi di quei serpenti neri che le si arrampicavano spesso sulle braccia- « Il dolore diviso è dimezzato, ma lascia segni. I serpenti sono il dolore che ho tolto alle mie compagne, e che ho preso su di me. Sentire dolore è per te un’abitudine, è vero. Potresti caricarti di ogni sensazione spiacevole… Tuttavia, come sai meglio di me, il dolore lascia cicatrici. I Serpenti sono le mie » -Rei si sporse. Uno di quelli si avvolse dolcemente sulla sua mano, sul braccio marchiato dalle cicatrici che si era provocata. Si tuffò nel suo braccio, e Rei si lasciò sfuggire un gemito. Era come un veleno. Lo sentì diramarsi dentro tutto il corpo, un calore molto diverso da quello che aveva sentito prima; tuttavia non era spiacevole. Lo comprendeva. Quando Psyché chinò la testa in quello che sembrava un inchino, seppe che la loro conversazione era finita. Le aveva donato una parte di sé, e in quel modo sarebbero state insieme.
Subito dopo, fu Kalìa a venire avanti. Lo fece con un portamento molto diverso da quello di Psyché, decisamente più elegante e molto più menoso, si disse Minako. Cercò di imitare la sua rettitudine mentre, sapendo che era il suo turno, faceva anche lei qualche passo avanti; ma come sempre la luce della sua bellezza sembrò oscurare quella di chiunque altro le fosse vicino.
« Ciao, Minachan » -Le disse la sua Nemesi, con gentilezza, mentre con le dita lavorava un invisibile maglia davanti a sé, senza guardare o prestarci particolare attenzione.
« Ciao, Kalìa » -Rispose Minako educatamente.
Dal lavoro di dita che Kalìa stava facendo emerse la penna di venere. Anche quella era cambiata solo di una virgola, nelle ali dorate.
« Questa è tua? » -Le domandò con cortesia, porgendogliela in dono. Minako le guardò la mano. Era perfetta come tutto il resto del suo corpo, affusolata e con le unghie tutte intatte; la sua invece era completamente tumefatta dalle mangiucchiate durante tutte le ore a scuola. Allungò la mano, ma la ritrasse subito dopo.
« Non so se è ancora mia » -Sussurrò chinando il capo.
« Non è tardi »
La prese come un’autorizzazione. Afferrò la sua penna e la tese di fronte a sé, con un gesto teatrale come usava farlo ai tempi delle battaglie peggiori. Non solo perché Rei le aveva già pronunciate, ma le parole le uscirono dalle labbra in un conato. Fu come se le stesse vomitando. Il vomito più bello della sua vita.
« Venus Eternal, Make Up! » -La luce la prese per la vita e la sollevò in alto. Le tirò leggermente l’ombelico, e Minako quasi rise. Era come un solletico, quella luce. Non luce accecante, luce delle stelle di Natale. Come quando da piccola ne sollevava una e la magia dell’accensione invadeva tutta la casa, mentre correva su e giù cantando Silent Night. Luce di un sole di Maggio, giornate perfette per marinare la scuola e prendersi uno yogurt gelato con tripla panna e topping al cioccolato con la tua migliore amica. Luce di stelle.
Quando discese, era avvolta anche lei di luce. Guardò Kalìa e le sorrise.
« Ti dirò » -Commentò lei- « Quella cicatrice ti dona un’aria da vera guerriera » -Tutte ridacchiarono alla battuta. Minako inclusa.
« Il tuo dono » -Le disse Kalìa ricominciando a filare la lana invisibile- « È il dono dell’Alchimìa. Rendere belle le cose. Renderle brutte. Renderle utili. O renderle inutili. Modificarle, plasmarle. Ovviamente ricorda che non puoi crearle, perché dal niente nasce il niente… » -dalle mani di Kalìa stava nascendo una sorta di filo- « Ma gli atomi sono nelle tue mani, le molecole anche. Puoi fare ossigeno dall’oro, basta togliere un po’ di elettroni e di protoni! » -Il filo era diventato un gomitolo. Minako lo prese fra le mani e quello si dipanò avvolgendola stretta, finché non scomparve in lei in un riverbero.
« Così sarò con te » -Minako scattò di nuovo in avanti e l’abbracciò con energia, con veemenza, con vitalità e con amore. Amava quella se stessa. L’amava con ogni forza. Kalìa per la prima volta le rispose. L’avvolse con le ali. Minako pianse.
Areté fu quella che più di ogni altra dipanava fierezza quando avanzava. A Makoto ricordava un soldato di quelli che si vedono nei film americani, per come incedeva con quello spadone, più grande di lei di due misure, appoggiato sulla spalla e l’armatura fino al busto.
« Farà male? » -Domandò Makoto appena arrivata di fronte a lei- « Combatterò in sedia a rotelle? » -Areté la guardò con la morte negli occhi, capendo la sua tristezza.
« Lo saprai presto. Abbi fiducia » -Makoto aveva imparato ad averne parecchia ultimamente, e anche parecchia pazienza. Significava che comunque fossero andate le cose, lei avrebbe combattuto. Se avesse dovuto farlo in sedia a rotelle, l’avrebbe fatto in sedia a rotelle. Areté piantò lo spadone nel terreno con forza, e da quello si generò la nuova penna di Giove. Makoto si lanciò su di essa ancora prima che Areté si riprendesse la spada, e fendette l’aria con energia.
« Jupiter Eternal, Make Up! » -Elettricità. Era elettricità. La stessa che era un tempo indefinibilmente lontano. Era fulmini che cadevano sulla terra nei momenti della tempesta; era la corsa delle cariche verso la destinazione. Era la corsa che permetteva di accendere la luce. Era divisione di cariche. Era magnetismo, tutto era attratto da lei. Era la paura che aveva da bambina, nel vedere accendersi e spegnersi la luce del lampo, aspettando il tuono, e aggrappandosi alle ginocchia di suo padre. Elettricità.
Era vestita di elettricità e petali di rosa quando tutto finì. E incredibilmente, era in piedi. Avrebbe potuto camminare. Avrebbe potuto combattere. Forse si era guadagnata con quel colpo un nuovo corpo. Un corpo fatto di elettricità. Areté annuì con dolcezza.
« Il tuo dono » -Disse allargando le braccia- « È l’Anolethrìa. Un’armatura indistruttibile » -Intorno al corpo della ragazza si posarono pezzi di un’armatura simile a quella di Areté, ma di un colore leggermente diverso. Mentre quella della Nemesi era annerita, probabilmente dalle numerose battaglie affrontate, quella che stava crescendo intorno a Makoto era argentea e nuova- « Un corpo perfetto. Impenetrabile. L’unico nemico che dovrai mai temere sarà te stessa »
Makoto la ringraziò con gli occhi. Non voleva dire grazie perché le sarebbe sembrato scontato e riduttivo, tuttavia cercò di farle capire quanto le fosse grata fissandola, e fu sicura che Areté avrebbe capito. In quel modo erano una cosa sola. In quel modo, erano la stessa cosa. In quel modo era il suo star seed. Areté si riprese la spada e se la rimise in spalla con quel fare da film americano, e Makoto arretrò con il suo corpo perfetto.
Non si dissero nient’altro.
Sophìa prese il posto di Areté subito dopo, seguita dai suoi infiniti capelli.
« Lo sai, Ami, questi sono tutti i capelli che ti sei tagliata » -Le disse mentre Ami avanzava con gli occhi bassi- « Me li hai mandati negli anni… Li ho conservati tutti »
La ragazza alzò lo sguardo sulla sua Nemesi, e cercò di seguire i suoi capelli fino alla fine; non le riuscì perché a un certo punto andavano a ingarbugliarsi, e non si capiva quale dei capi bisognasse seguire. Non c’era una fine, da nessuna parte.
« Ah, io… Insomma, grazie » -Balbettò, mentre Sophìa le faceva fluttuare davanti la sua penna, alata e che svolazzava da destra a sinistra. Ami cercò di afferrarla due volte prima di riuscire ad averla. La sollevò e per un attimo le parole le morirono in gola. Non le ricordava, forse? O forse era troppo tardi.
« Non è tardi » -Disse Sophìa. Ami si strinse la penna sul petto.
« Mercury Eternal, Make Up! » -Fu come un abbraccio, e le ricordò un tuffo della sua infanzia. Aveva dieci anni e suo padre l’aveva lanciata in acqua. Era atterrata di schiena e l’acqua l’aveva avvolta da dietro in un confortante abbraccio; un abbraccio come quello che stava avvenendo in quel momento. Acqua dissetante. Acqua fresca quando fa troppo caldo. Oceano misterioso, profondità infinite. Ami portava i capelli corti per asciugarli più in fretta, così poteva stare in acqua più a lungo. Così poteva vivere in acqua. In quel momento l’acqua si attorcigliava in ogni punto del suo corpo, come sempre. L’acqua raggiunge qualsiasi punto. Non la puoi fermare.
Aprì gli occhi e si ritrovò vestita di acqua. Sophìa si avvicinò di più e le poggiò un dito sulla fronte con gentilezza.
« Il tuo dono » -Un liquido perlaceo scivolò dal suo dito alla fronte di Ami, e dentro la sua testa- « È l’Empatìa. La capacità di capire. Potrai capire le sensazioni di chiunque, e i pensieri di tutti. Inoltre, il mio dono ti permette di compensare la tua perdita di memoria, e di ampliare la tua mente » -Ami la scrutò con curiosità- « Potrai vedere qualche minuto nel futuro, e avere così la possibilità di cambiarlo. Inoltre ricorderai ogni cosa, ogni particolare. Non dimenticherai mai più nulla »
Ad Ami venne mal di testa mentre il liquido le scorreva nella testa. Era una sensazione molto simile al mordere un cubo di ghiaccio con gli incisivi. Un brivido le prese tutto il corpo e dovette sforzarsi di non urlare. Trattenne il fiato. Respirò di nuovo quando finì; la testa le pulsava. Ma di qualcosa di positivo. Qualcosa di potente. Rientrò fra le righe arretrando con le altre mentre Voluntas, alfine, si faceva avanti.
« Sailor Moon »  -Esordì. Usagi era piegata dal peso delle ali, ma si sforzò di stare diritta. Non aveva perso la sua fierezza di guerriera.
« Voluntas… »
« La tua spilla, non l’hai mai gettata » -Usagi lo sapeva. La estrasse dalla sua tasca con un gesto timoroso, ed era cambiata. Era a forma di stella e aveva in sé i colori dell’arcobaleno. Scintillava di una luce nuova e bruciava nella sua mano. Naturalmente conosceva le parole, ma non volle pronunciarle. Improvvisamente, fissando Voluntas, le era venuta familiare. Era una figura che aveva già visto, con la fuku bianca e le decolleté con le ali, e gli odango bianchi. Era stata lei, ad avvertirla. Era lei, la sagoma che aveva visto. La sagoma che era tornata dal Cauldron a dirle che doveva sconfiggere Chaos, o le stelle sarebbero tutte morte. Forse, allora, unendosi…
« Vuoi dire che ero io...? » -Disse in un soffio. Voluntas non capì, e inarcò le sopracciglia in un gesto interrogativo. Usagi scosse la testa e la fissò. No, non era lei. Era insiemea lei. Era un concetto così difficile da spiegare che non ci sarebbe mai riuscita a parole. Perciò si decise a sollevare la spilla. C’era solo un modo per scoprirlo.
« Moon Cosmos Power, Make Up! » - Il suo momento fu pieno di suono, e di calore, e di luce, così tanta che la riempì, l’assorbì. Un tunnel di Luce che schizza via, che si incurva sempre più su, e se cantare fosse stata una sensazione, sarebbe stata questa. Questa Luce. Questo innalzarsi. Come ridere...
Sailor Cosmos. Allora era stato quello il momento in cui lo era diventata. Quello era stato il secondo in cui si era trasformata, per la prima volta. Quello era stato il momento in cui aveva perso tutto per diventare la nuova Sailor Moon. Eppure qualcosa le sfuggiva di mano. Credeva che Cosmos fosse stata successiva a Neo Queen Serenity…
Forse però l’incidente non era nei piani del destino e l’aveva già cambiato. Forse il destino era stato deviato nel momento in cui il camion le aveva sollevate da terra e ribaltate tre volte. Forse la Catastrofe, in quel modo, era stata cancellata. Si portò le mani sul cuore. Questo significava che la battaglia era aperta. Apertissima.
« Il tuo dono » -Le disse Voluntas indicandola- « Lo hai guadagnato. Sono le ali per volare » -Usagi si voltò ed erano ancora lì. Non poteva crederci, fino a un momento prima erano pesantissime, e invece ora… Era come se non ci fossero. Era come un tempo- « Avrai in dono anche la sicurezza di sopravvivere alla Catastrofe, e di portare con te Chibiusa. Non te la toglieranno più. Inoltre ti faccio dono del mio scettro, una lunga lancia che ti permetterà di vincere molte battaglie… Usagi… Vi prego, fate attenzione »
Usagi prese dalle mani di Voluntas il suo scettro e quello si illuminò. Voluntas si ritrasse. Adesso, cinque contro cinque, tornate guerriere, le ragazze si sentirono forti. Avevano molto di cui parlare, ma ci sarebbe stato tempo. Tempo per piangere e ridere insieme come una volta. Tempo per mangiare un hamburger al peggior bugigattolo della città e tempo per rotolare sul prato. Ma in quel momento, c’era solo un tempo. Tempo per salvare il mondo. Venti giorni.
Kalìa indicò una vecchia cinquecento in un angolo.
« Oh, vi regaliamo anche quella. È utile per tornare sulla terra, viaggia fra i mondi. Potete tornare a trovarci quando volete, e noi… Beh, vi saremo accanto in battaglia ovviamente! » -Fece l’occhiolino a Minako e lei spostò lo sguardo altrove imbarazzata- « Non è molto moderna ma funziona! »
Tutte corsero verso l’auto, mentre Usagi esitava e guardava Voluntas, la sua perfetta fotocopia. Forse era quello l’obiettivo. Essere uguali. Essere Ginzuishou e Usagi insieme. Forse quello avrebbe cambiato il futuro. Anche le ragazze si voltarono non vedendola arrivare, e guardarono le Nemesi. Solo Usagi ebbe il coraggio di aprire la bocca, ma espresse il pensiero che nessuna di loro quattro aveva avuto l’ardire di pronunciare e che tutte e quattro avevano sulle labbra.
« Grazie di tutto » -Disse.
Areté si portò le quattro dita alla fronte e fece un saluto stile militare, Sophìa accennò un saluto imbarazzato agitando le dita, Psyché agitò entrambe le mani, Kalìa sollevò la mano sopra la testa e spennellò l’aria con un’onda enorme. Voluntas non fece niente invece, anche se Usagi sapeva che voleva piangere e non lo faceva. Perché lei era indistruttibile, era potente e irraggiungibile. Perché se lei era la sua Nemesi, allora non avrebbe pianto nemmeno sotto tortura visto quanto Usagi era facile al pianto.
Per un attimo fu fiera del suo cuore. Ma la sua fierezza aumentò a dismisura quando la vide scoppiare, prendersi il viso fra le mani e piangere; forse di gioia, o forse di tristezza. Usagi non lo sapeva, e non fu in grado di capirlo mai anche se Voluntas era il suo Crystal.
Aveva venti giorni per tornarci in sintonia, e così sarebbe stato.
« Usagichan! » -La chiamò a gran voce Makoto.
« Devo andare… » -Sussurrò Usagi, e si diresse verso l’auto. Rei stava per salire al posto del volante, e Usagi aveva aperto lo sportello del passeggero quando un urlo proveniente dalle sue spalle la fece saltare di due metri dal terreno. Probabilmente quell’heyyyy gridato a gran voce era il secondo o il terzo di una serie, e prima non l’avevano sentita. Poi la voce parlò molto chiaro, ed era senza dubbio quella di Kalìa.
« Ragaaaaaaaaaazze!!! Non credete che sia meglio che guidi qualcun’altra…? »
   
 
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