Storie originali > Commedia
Segui la storia  |       
Autore: L_Fy    16/05/2011    23 recensioni
...Se lo disse anche a fior di labbra, sottovoce: "Veronica Alberice Scarlini della Torre, sei uno schianto."
Aveva diciotto splendidi anni, era raffinata, ricca, alla moda, trendy da morire, più fashion di Paris Hilton, più glamour di Anna Wintour, più sensuale di Monica Bellucci. Nessuno del centinaio abbondante di ragazzi della sua scuola poteva non sbavare mentre lei passava senza degnarli di un solo sguardo, nessuna delle 2000 oche della sua scuola poteva non morire d’invidia, nessuno del corpo insegnanti poteva non rimpiangere di non avere avuto un solo grammo del suo allure nella loro triste, patetica esistenza.
Quindi, non poteva essere altrimenti: lui finalmente l’avrebbe guardata.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Eccolo, stava arrivando: si sentiva il brusio delle masse ovariche che sussurravano prima ancora di percepire gli effluvi di profumo sprigionati dal suo giubbotto di pelle di Gucci.
“E’ lui!”
“Sta arrivando!”
“Sì, sì, è proprio lui!”
Un qualsiasi estraneo, a sentire quel rosario isterico, poteva farsi l’idea di trovarsi in presenza di chissà quale mistico nuovo Messia.
“Guardalo, come si muove!”
“Che stile!”
“Che tendenza!”
Che patetiche! Il pensiero scaturì quasi con rabbia e Serena se ne pentì subito.
Serena Colombi era una ragazza solitamente tranquilla e di buon carattere: per descriverla forse l’aggettivo più calzante sarebbe stato anonima. Anche se da un po’ di tempo a quella parte, non riusciva più tanto a sentirsi anonima. Colpa di quel ragazzo: quello per cui le masse ovariche sospiravano deliranti come in un attacco di febbre gialla. Le sue compagne di classe, che normalmente erano espressive come i merluzzi morti sul banco del pesce fresco, diventavano un piccolo e compatto gregge di pecore cerebrolese quando arrivava lui, sprecando tutto il vocabolario del loro piccolo mondo antico in lodi amorose per loro idolo divino.
“Gli salterei addosso!”
“Da mangiare…”
“Cosa gli farei!”
Ci mancava solo che quando passava si strappassero tutte quante la camicia di dosso! Alla faccia del loro snobismo sbandierato in qualsiasi altro momento. Serena pensò remotamente che se fosse stata  in lui, con tutto quel ben di Dio sezionato ed esibito su un vassoio d’argento come una porzione di sushi, sarebbe diventata immediatamente omosessuale. Lui, invece, glissava elegantemente, sorrisetto snob alla mano e consapevolezza di potersi fare tutte quanto e quando voleva. Fortunatamente, la cosa non sembrava dispiacere al gregge. Continuavano a sbavargli dietro esprimendo con entusiasmo il loro unico scopo, la stessa scintilla vitale che animava lo spermatozoo: accoppiamento. Riproduzione. Sesso. Quando arrivava lui, nient’altro contava, nell’universo. 
“Ciao, Tebaldo!” belava il gregge doverosamente al suo passaggio.
Tebaldo Santandrea della Torre. Neanche avesse un nome bello: per chiunque altro Tebaldo sarebbe stato un nome mortificante. Lui invece lo portava in giro come se fosse una tiara.
“Ciao, ragazze.”
Aveva una voce che metteva i brividi: bassa, sexy, sembrava che dicesse sconcezze anche quando chiedeva di passargli una biro. Transitava per il corridoio indolente e arrogante come il Re Sole a Versailles e Serena strinse spasmodicamente la borsa contro il petto, sforzandosi di  non dargli la soddisfazione di guardarlo mentre passava; non doveva sollevare nemmeno gli occhi da terra… e invece li alzò e Tebaldo fece un sorrisetto sardonico. Sì, l’aveva guardato. Mica era fatta di legno, eh: Tebaldo sconvolgeva anche i suoi di ormoni, l’unica differenza era che cercava di tenerli sotto controllo invece di liberarli selvaggiamente come le altre.
“Ciao Serena.”
Un saluto solo per lei, e sapeva persino il suo nome. Il gregge era ammutolito.
“Ciao, Tebaldo.” rispose Serena con voce piatta e aria truce.
Quella novità destabilizzava anche lei. Conosceva Tebaldo dalle scuole elementari e mai lui aveva espresso il benché minimo interesse nei suoi confronti. La ignorava, anzi, il più delle volte nemmeno sapeva che esistesse. D’altronde, lei era una degli invisibili della scuola, mentre lui ne era il Re indiscusso insieme alla Regina, la sua degna versione femminile ovvero Veronica Scarlini della Torre. Erano stati per un po’ la coppia più invidiata e più scontata della scuola, e insieme erano talmente giusti che nessuna ragazza aveva osato pensare di opporsi degnamente alla Regina. Poi si erano lasciati e il fermento ormonale delle masse ovariche aveva raggiunto vette quasi himalayane. Tebaldo aveva fatto strage, una ragazza nuova ogni sera, se non anche due o tre per volta. Al momento però Tebaldo era in panchina, dopo che si vociferava si fosse fatto beccare in compagnia di Elisabetta, figlia del Preside della scuola, ovvero una super cazzolata studentessa universitaria in stage alla segreteria. Quella ragazza, belloccia e ricca da far schifo, col nome e col pedigree nobilare più lungo della regione, era difatti l’attuale fidanzata non ufficiale di Tebaldo, che non confermava né negava niente, la sua solita bocca arrogante ben sigillata su un sorrisetto sardonico. Elisabetta invece faceva la ruota come un esercito di pavoni.
Serena trovava perfidamente simpatico il fatto che avesse avuto la brillante idea di chiamare Tebaldo anche il suo nuovo chihuahua. A Tebaldo senior la cosa non è piaciuta tanto, soprattutto quando Tebaldo Junior, portato in visita alla scuola dalla tata filippina, aveva tentato di pisciare davanti a tutti sulla nobile scarpa del suo omonimo. Quel giorno Serena aveva amato molto gli amici a quattro zampe, ma era successo prima, quando lei era ancora nel mondo degli invisibili. Poi, era diventata visibile agli occhi di Tebaldo e tutto era cambiato. Quando era successo?
*          *          *
Quando, andando alla toilette, aveva beccato Tebaldo e Maria Beatrice Finzi Sforza, una dell’entourage della Regina Veronica, con un metro e mezzo di lingua fuori (lei) e mani saldate a stagno in zona palpeggio (lui): lei sembrava volerlo fagocitare modello pitone che ingurgita il suo topo mensile, lui a malapena si difendeva. Normalmente Serena si sarebbe educatamente eclissata, ma trattandosi di Tebaldo e di Maria Beatrice Ausiliatrice (soprannome coniato ad uso e consumo del gregge) aveva preferito sottolineare doverosamente la figura di merda.
“Ehm.” aveva esordito stampandosi in faccia un’espressione rarefatta.
Tebaldo si era girato e per la prima volta in vita sua l’aveva guardata negli occhi. Serena aveva dovuto ammetterlo, anche se avrebbe preferito dover passare un week end con il chihuahua di Elisabetta, Tebaldo era davvero bello. Anzi, non era affatto bello, non nel senso classico del termine, ma aveva un modo di guardare negli occhi che scatenava inevitabilmente l’ormone. Da dove avesse avuto origine questo suo incredibile tiraggio proprio non lo sapeva: in fotografia non risultava niente di più che appena attraente. Aveva gli occhi chiari molto distanti e un po’ obliqui, zigomi alti, naso lungo e affilato, mento appuntito e bocca sottile. I capelli erano molto neri, la pelle sempre abbronzata. L’espressione era quella di un lord in visita in una discarica, più puzza sotto il naso del duca d’Aosta.
Mentre Maria Beatrice Ausiliatrice aveva balbettato qualche patetica scusa inconcludente, Tebaldo l’aveva fissata a lungo, poi con un sorriso noncurante era andato via, fischiettando e con le mani in tasca. Che stronzo, aveva pensato Serena, lasciare Maria Beatrice Ausiliatrice a sbrigarsela da sola quando era ben noto a tutti che a fatica metteva insieme tre parole di senso compiuto. Il primo impulso era stato quello di raccontare a tutti della loro tresca, ma poi Serena aveva deciso di farsi gli affari suoi e avevo tenuto la bocca chiusa. Risultato: una sorta di sotterranea ammirazione da parte di Maria Beatrice Ausiliatrice e un nuovo, sottile interesse da parte di Tebaldo. Da quel giorno, quando arriva al mattino a scuola incappava inevitabilmente in Tebaldo che la salutava e sorrideva. All’uscita della scuola, che fosse in anticipo o in ritardo, finiva tra i piedi di Tebaldo che di nuovo le sorrideva. Se ci incrociavano sulle scale o davanti all’ingresso, lui la faceva cavallerescamente passare avanti e sorrideva. Tutti quei sorrisi avevano avuto il potere di destabilizzarla parecchio: qualche volta era stata tentata di dirgli dove poteva ficcarsi quei suoi sorrisetti, qualche altra aveva avuto l’impulso malsano di rivolgergli la parola come a un qualsiasi essere umano… poi, aveva optato di nuovo per il silenzio, che secondo la nonna era d’oro e andava preziosamente custodito. Finire per qualsiasi motivo nell’orbita d’azione di Tebaldo Santandrea della Torre era cosa da evitare accuratamente. E poi che diamine, lei aveva un ragazzo, no? Paolo Bianchi, il figlio del bidello. Stavano più o meno insieme da sei mesi, per un totale di 40 uscite di cui 10 cinema, 8 cene da MacDonald’s, 5 visite ai musei e 17 pomiciate poco convinte sulle panchine dei parchi e dietro al portone di casa. Se non era un fidanzamento ufficiale quello!
Era evidente che l’interesse di Tebaldo si riduceva al fatto che apparentemente lei non lo filava: se si fosse messa a filarlo, non ci sarebbe stato più né l’interesse da parte di lui né la dignità da parte di lei. Quindi, che diamine: stringere i denti e andare avanti!
*          *          *
Serena marciò oltre Tebaldo, fissando rigida un punto davanti a sé e per puro caso incappò in un altro paio d’occhi fissi su di sé. Erano anche quelli verdognoli, anche quelli obliqui, anche quelli freddi e bollenti nello stesso tempo: solo che erano incorniciati di mascara e appartenevano a nientemeno che la Regina in persona, Veronica Scarlini della Torre. Il cuore di Serena perse qualche battito mentre continuava a marciare via spedita: che la Regina si fosse accorta che Tebaldo era diventato gentile con lei? Che stesse valutando una punizione tipo la ghigliottina per punirla del fatto che qualche divino abitante dell’Olimpo aveva osato posare lo sguardo su una caccola insignificante come lei?
“Serena, calma” l’ammonì la voce della nonna nella testa “Non sei Lucia dei Promessi Sposi e magari quella ti sta guardando mentre pensa alla suo nuovo chalet in montagna. Da quando in qua pensi che il mondo ruoti tutto intorno a te?”
Eppure, come il calore di un fuoco troppo vicino, sentiva sulla nuca lo sguardo di Veronica che la seguiva, e senza riuscire a controllarsi rabbrividì.
*          *          *
Snervante ma vero, Tebaldo aveva avuto ragione: Bianchi non aveva chiamato. Niente. Nemmeno uno squillo. In compenso doveva averlo fatto tutto il resto della scuola. Il discorsetto davanti alla finestra che doveva essere a uso e consumo del Bianchi l’avevano sentito tutti, dal Trentino alla Calabria e chiunque di loro avesse un minimo di istruzione elementare aveva chiamato al telefono a casa Scarlini della Torre per offrirsi come tutor. Inocencia, la povera governante cilena, era letteralmente impazzita per rispondere picche a tutti! L’unico che non aveva chiamato era stato proprio lui, Bianchi. Dannazione. Come fare adesso?, meditò Veronica scocciata: era ancora davanti al telefono e proprio mentre lo guardava con aria truce l’apparecchio si mise a ronzare sobriamente. Che fosse Bianchi, finalmente?
“Pronto?”
“Signorina Veronica? Buonasera, sono Giulio.”
Il segretario personale di suo padre. Smontata Veronica apprese immusonita che il suo illustre genitore non sarebbe venuto a casa la sera a cena causa un improrogabile impegno di lavoro.
“Ok, nessun problema. Salutalo da parte mia.” rispose e riattaccò.
Ma a chi voleva darla a bere, Giulio? Suo padre non aveva nessun impegno di lavoro alle nove di giovedì sera, aveva piuttosto una nuova segretaria venticinquenne, e Veronica aveva ormai raggiunto l’età per fare due più due. D’altronde Giulio era il segretario personale di suo padre e in qualità di…
Un flash improvviso fece rizzare improvvisamente la schiena di Veronica: un’idea!
Il segretario personale!!
Ovvero, quella persona che fa le cose spiacevoli e/o necessarie al posto di chi ha cose molto più importanti e/o interessanti da fare. Quello che avrebbe potuto telefonare a Bianchi e convincerlo a fare da tutor, offrendogli una montagna di soldi e accampando plausibili scuse accademiche: un ottimo lavoro senza Veronica dovesse sporcarsi la reputazione di regina della spocchia. Sarebbe stato perfetto!!
L’unico problema era che al momento Veronica non aveva un segretario personale (nemmeno gli Scarlini della Torre erano così megalomani da averne uno a testa…). Giulio ovviamente non sarebbe stato disponibile per quel ruolo. Ma come aveva detto Tebaldo? Se la montagna non andava da Maometto, forse Maometto poteva andare alla montagna! Ben camuffato da Buddha per l’occasione, giusto per non perdere la faccia davanti alle masse, naturalmente! Febbrilmente, prima che le passasse il coraggio, Veronica cercò in rubrica elettronica il numero di Bianchi e lo compose in fretta: mentre squillava a vuoto, il suo cuore neonato batteva come se fosse stato un maledetto tamburo africano. Faceva un tale baccano che lo avrebbe sentito anche Bianchi al telefono, quando avrebbe risposto! Se avrebbe risposto: diamine, e la sua voce? Ma no, non si erano quasi mai parlati e comunque Veronica era consapevole che il tono di voce che usava quando parlava con la gleba non era lo stesso che usava normalmente…
Allora? Che faceva quel plebeo, non risponde per davvero? Osava non rispondere a LEI? Ormai non…
“Pronto?”
Era proprio lui, la sua voce. Il cuore di Veronica saltò così alto in gola che non ebbe nemmeno bisogno di camuffarla tanto risultò alterata di suo.
“Ehm… Bianchi?”
“Sì?”
Black out. Che gli avrebbe detto? Aveva uno spaventoso vuoto in testa. A lei, Veronica Scarlini della Torre! Inaudito! Che il cuore saltando avesse fatto saltare anche la centralina dei neuroni?
“Ehm…”
Inizio disastroso. Proprio aristocratico e professionale.
“Bianchi? Voglio dire… Paolo Bianchi?”
“Sì, sono io.”
“Ehm…”
Di nuovo!
“Stia tranquilla. Sono Paolo Bianchi ma non per questo mangio carne umana.” disse Bianchi con voce molto amichevole.
Che carino: aveva capito che era in imbarazzo e stava cercando di metterla a proprio agio. Con un moto di autentica vergogna le sovvenne che non aveva mai fatto niente del genere in vita sua per nessuno…
“Buonasera.” ecco, così andava meglio.
“Buonasera. Mi dica.”
“Io… ehm… sono la segretaria personale della signorina Scarlini della Torre.”
“Chi?”
Sembrava sinceramente ignaro e Veronica non seppe se la cosa la irritava o la deprimeva a morte.
“La segretaria di Veronica Scarlini della Torre” riprese un po’ più aggressiva “Lei non è Paolo Bianchi?”
“Sì sono io.”
“E non è compagno di classe della signorina Scarlini della Torre?”
“Ah… quella Scarlini della Torre…”
Sembra deluso. Bastardo d’un plebeo, come si permetteva!
“Ha qualcosa contro gli Scarlini della Torre in generale o solo con questa Scarlini della Torre qui?”
“Con nessuno degli Scarlini della Torre in circolazione, lo giuro.” rispose con una nota simpatica nella voce: Veronica si rilassò appena un po’ e ammise che se avesse risposo diversamente ci sarebbe rimasta male.
“Meno male.” le scappò infatti di bocca: non sapeva né come né perché le fosse scappato, ma così fu. Forse perché la sua voce era così stranamente sicura e diversa dal solito.
Lui sorrise: glielo sentì nella voce anche se non faceva rumore.
“Nei secoli fedele vale anche per i segretari personali?” chiese allegro.
“Certo. Perché, per chi vale anche?”
“I carabinieri: è il loro motto.”
“Oh. Buono a sapersi. Senta, signor Bianchi…”
“Paolo. Dammi del tu, per favore altrimenti mi agito.”
“Ok… Paolo.”
Paolo. Non lo aveva mai chiamato per nome in tanti anni che si conoscevano. Paolo. Paolo. Suonava terribilmente intimo e le faceva un effetto stranissimo. Emozionante. Esaltante. Tenero.
“Dunque, Paolo…”
“E tu?” la interruppe lui educatamente.
“Tu cosa?”
“Posso darti del tu?”
Poteva? Ma sì.
“Certamente, Paolo.”
“E’ che mi sembri molto giovane. E anche emozionata, anche se non so perché.”
“Ah sì? Oh… il fatto è… che… non è da molto che faccio questo mestiere.”
Davvero. Da appena cinque minuti!
“Tranquilla stai andando bene.”
Chissà se era sempre così carino con quelli in difficoltà. Ogni parola che diceva la invischiava sempre di più in quell’impossibile attrazione che aveva per lui… dannazione!
“Io, ehm, volevo sapere… Paolo…”
“Tu come ti chiami?”
“Io?”
Panico. Come si chiamava?
“Già, tu. Ce l’avrai un nome, vero? Segretaria personale della signorina Veronica Scarlini della Torre è un po’ troppo lunghetto per firmare gli assegni.”
“Io, ehm…”
Veronica si guardò intorno febbrilmente. Specchio… quadro di Guttuso… lampadario di Murano… tappeto Buchara… tavolo Chippindale… Il suo cane Byron che la guardava da sotto in su, la lingua rosa penzoloni e l’aria di godersela un mondo… niente, ispirazione zero! Oh, c’era un mazzo di fiori sul tavolo: gigli, gerbere, orchidee…di getto le uscì un nome.
“Gladiolo.”
“Come?”
Per poco non si schiaffeggiò la fronte da sola: con tutti i fiori che c’erano non poteva venirle in mente qualcosa di meglio, dannazione? Margherita, Rosa, Iris… no, Gladiolo! E meno male che non aveva detto crisantemo! Imprecando mentalmente, Veronica finse noncuranza.
“Gladiolo. E’.. il mio nome… ma gli amici mi chiamano Gladi.”
“Lasciatelo dire, io avrei ucciso i miei genitori se mi avessero appioppato un nome così.” rispose Bianchi con voce sempre più amichevole.
“Mio p-padre era un fioraio…le mie sorelle si chiamano Rosa… Viola e… Margherita.”
“Davvero?”
“M-m.”
Perché diavolo non riusciva a tacere? Colpa di Bianchi: doveva averle manomesso il filtro tra cervello e corde vocali con quella sua dannata gentilezza! E lei doveva imparare a stare zitta o sarebbe finita per impantanarsi in enormi, mastodontici guai!
“Dunque, signor B… Paolo. Chiamavo perché ho ricevuto l’incarico di trovare una persona adatta a dare ripetizioni alla signorina Scarlini della Torre. Ho controllato la lista dei migliori studenti della scuola e il suo nome…”
“Il tuo nome…”
“Ah, sì. Il tuo nome è balzato all’occhio…”
“Davvero?”
Sorpresa ed emozione. Paolo caro, perché la sua voce era così deliziosamente trasparente?
“Sì. Ehm. Dunque, siccome la signorina Scarlini…”
“… Della Torre eccetera eccetera. La conosco, possiamo abbreviare in Scarlini e basta?”
“Sì. Dunque, la sign… la Scarlini ha bisogno di ripetizioni che sarebbero ampiamente retribuite. Studiando le varie schede lei… cioè, tu, mi sei sembrato essere il candidato ideale…”
“Dici?”
C’era una decisa nota di amarezza nella sua voce.
“Ma certo” disse accorata “La tua scheda…”
“Lascia perdere la scheda, Gladi. Sì, sono bravo a scuola e so di esserlo. Studiare mi piace e secondo gli insegnanti sono anche piuttosto abile nell’insegnare agli altri. In effetti, la carriera accademica è proprio quella che vorrei seguire in futuro…”
Voleva diventare un professore? Uno squattrinato insegnante col libro in mano, la testa fra le nuvole e senza un euro in tasca? Scarlini senior uno così se lo sarebbe mangiato a colazione, e gli sarebbe pure rimasto un budellino vuoto. Che pazzo. Che tenero…
“Ma?”
“Ma… posso dirtelo senza che tu vada a spifferare tutto ai tuoi datori di lavoro?”
“Ok. Ma?”
“Non credo affatto di essere la persona adatta ad insegnare a Scarlini.”
Doccia fredda. Ghiacciata, anzi.
“Perché?” domandò Veronica trattenendo a stento un mugolio.
“Perché lei mi terrorizza. E comunque mi odia.”
Doppio colpo basso. Stava quasi per piangere.
“Non credo che questa tua impressione possa corrispondere a realtà.”
Le era uscito di getto, quasi accorato.
“Beh, forse hai ragione… non è che mi odia, è che nemmeno sa che esito.”
Di nuovo amarezza. Veronica deglutì penosamente.
“Perché dici così?”
“Perché è vero. Non voglio offenderla e non ce l’ho con lei, ma ho frequentato la Scarlini dal primo giorno di scuola elementare fino ad ora, vale a dire tredici anni, tutti i giorni per cinque ore al giorno. E mai una volta mi ha rivolto la parola di sua spontanea volontà.”
“Non ci credo.”
E poi non era vero. Quante volte gli aveva detto “evapora, obbrobrio” di piena sponte sua?
“Senti, non ti voglio convincere di niente, ma sono sinceramente persuaso che fare da tutor a Grimilde non sia una buona idea…”
“Grimilde?”
“E’ il soprannome che le hanno dato. La matrigna cattiva di Biancaneve. Sarà puerile, ma dopo tutti questi anni continua a essere azzeccatissimo.”
Ci mancava solo questa! Ogni parola che diceva la feriva di più. E invece che farla arrabbiare come era logico che fosse, cercava solo affannosamente un modo per fargli cambiare idea.
“Senti, io sono solo la segretaria personale, è vero… ma ti posso garantire che la Scarlini… Grimilde… Veronica, o comunque tu la voglia chiamare… non è così male.”
“Nemmeno Mussolini lo era quando bonificava la Pianura Padana ma guarda che fine ha fatto.”
“Stai dando della nazista a qualcuno?”
Glaciale: quando è troppo è troppo!
“Certo che no” rispose Paolo ferito “E’ solo che… credimi, non andiamo d’accordo.”
Tono definitivo.
“Oh. Ne sei… sicuro? E’ davvero… davvero un peccato.”
Veronica stava quasi per piangere. Ormai non la sorprendeva nemmeno questa fragilità, la sua precedente dignità si era decisamente incrinata.
“Ma… Gladi, stai bene?”
Come no: le aveva appena dato della strega cattiva di Biancaneve… “Sto letteralmente schiattando di gioia…”, pensò lugubre.
“Sì. Certamente.”
Le sembrava un incipit da fine conversazione: la peggiore che potesse mai auspicare, ammise abbattuta. Byron ai suoi piedi guaì sottovoce e le diede una leccatina consolatoria alle scarpe scamosciate.
“E’ che… ci tenevo tanto.”
Le era scappato di nuovo qualcosa dalla bocca senza passare dal filtro nel cervello, dannazione!
“Davvero? Perché?”
Genuina meraviglia da parte sua: e visto che per una volta lei non era Veronica Alberice Scarlini della Torre alias la Regina Grimilde, ma la povera segretaria Gladiolo, figlia di un fioraio frustrato e con un reggimento di sorelle dai nomi di fiori, si lasciò andare a un liberatorio attacco di sincerità compulsiva.
“Perché la tua scheda dice che potresti essere il migliore e la tua voce conferma che lo sei. Perché sembri paziente, tenace e gentile e ci vorrebbe proprio uno come te per mettere un po’ a cuccia Grimilde. Perché… ehm, insomma, ecco perché.”
“Wow.”
Veronica non capì se era favorevolmente impressionato o se semplicemente si stava facendo due grasse risate alle sue spalle. Riprese a parlare velocemente, prima che le passasse l’ispirazione.
“Senti, Paolo, non devi darmi la risposta subito: facciamo così, ci pensi un po’ sopra e poi mi sai dire. Dopotutto, non si è ancora parlato del compenso, no?”
“Compenso?” fece lui dubbioso “Che compenso?”
Glielo disse, a grandi linee.
“Merda!” singhiozzò lui, e quella volta Veronica era sicura che si fosse impressionato davvero.
Gli diede anche il suo numero di cellulare privato, quello delle emergenze: da non confondere con quello per le amiche, quello solo per l’entourage di suo padre e quello per il resto del parentado compresa sua madre che erano sei mesi che non chiamava.
“Senti, Gladi, io non penso…”
“Per favore, riflettici su, ok?” lo interruppe bruscamente: non poteva permettergli di chiudere l’unica possibilità che aveva per vederlo da sola. Da vicino.
“E va bene” capitolò Bianchi con un sospiro “Ci penserò.”
“Ok.”
“Ok.”
Stavolta doveva davvero riattaccare.
“Comunque vada, grazie per la proposta, Gladi.”
“Dovere. Te l’ho già detto, la scheda…”
“Certo, certo. La famosa, incredibile, fantasmagorica scheda.”
Aveva di nuovo il sorriso nella voce: era così tenero che Veronica sentì gli organi interni liquefarsi…
“Ti farò sapere. Buona serata.”
“Anche a te, Paolo. E grazie.” aggiunse alla fine, ma lui aveva già riattaccato.
  
Leggi le 23 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: L_Fy