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Autore: underground    16/05/2011    0 recensioni
I cambiamenti del meraviglioso giardino della Vita dipendono soltanto dal nostro animo e, in questo caso, dalla penna di chi scrive. Verità ed illusione possono confondersi fino ad un'unica visione surreale di una morte che non è mai troppo vicina.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quel giorno il giardino brillava d'una luce strana, sfuggente, quasi avesse voluto non farsi vedere.
Di solito mi piaceva passeggiare per i piccoli boschetti, attraversare il ponticello ed arrivare al prato dei fiori, in cui la conoscenza botanica di mio zio dava prova della sua enorme varietà.
Mi piaceva stendermi fra i trifogli, respirare a fondo e guardare la Luna.
Mi piaceva fare il bagno nel ruscello d'estate, o starmene in casa, d'inverno, a leggere un libro vicino al fuoco; e di tanto in tanto alzare lo sguardo verso la finestra e vedere tutti gli alberi al loro posto, che ormai avevo imparato a memoria; il fiume ghiacciato e la neve che ricopriva il ponticello di legno; o, magari, qualche fiorellino che era riuscito a scampare alla gelida morsa di ghiaccio che ogni inverno arrivava e ricopriva tutto il mondo che conoscevo.
Ma quel giorno la magia era scomparsa. Era una sera di novembre, e pareva che il declino temporaneo della natura, decisa a risorgere nelle soleggiate e tiepide giornate di maggio, si prendesse gioco della reale desolazione che ormai s'era stabilita nella mia mente.
Nulla era più come prima, ed io lo sapevo bene. M'incamminai per il sentiero che portava allo stagno del salice, guardando con tristezza gli ultimi residui di una felicità lontana che ancora portava in grembo quel giardino.
Camminavo lentamente, non pensavo a nulla se non allo scricchiolio di foglie generato dai miei passi. Il mio mondo era lì: tutto e niente. Tutto ciò che conoscevo e avessi mai conosciuto, e niente che fosse abbastanza forte da portare avanti ciò che continuava, inesorabilmente e tremendamente, ad essere.
A
rrivata allo stagno del salice, mi avvicinai a quest'ultimo e mi appoggiai, stanca nel corpo e nella mente, alla sua famigliare corteccia. 
C'era un mondo fuori. Che non dovevo, né volevo conoscere. Non avevo volontà, e anche se l'avessi avuta, mi sarebbe mancato il coraggio.
Mentre pensavo alla mia inutile esistenza, vidi una luce sulla superficie del laghetto a pochi metri da me, che spostandosi tra le ninfee mi chiamava e stregava lo sguardo. Non so quanto rimasi immobile, con lo sguardo perso in quel luccichio felice, il cuore nei miei sentimenti amari e disillusi, e la mente che si rifiutava di vedere una fine ad una vita in realtà mai iniziata.
Le leggiadre fronde di quel salice che tanto avevo amato mi sollevarono, lentamente, da terra, spingendomi verso luoghi ed emozioni sconosciute, che non riuscivo a percepire. Il mio dolore -o forse la mia immensa felicità, non v'era più differenza ormai- mi portò alla deriva della mente e dei sensi, per poi farmi sprofondare in un unico istante d'assoluta lucidità, che mi aprì gli occhi, per l'ultima e forse prima volta, alla realtà.
Fu così che mi vidi in una gelida mattinata di gennaio, appoggiata al salice con quello sguardo perso nelle illusioni di un futuro che non sarebbe mai arrivato, e capii che ormai era troppo tardi per ogni cosa. Così lasciai la mia mente su quel terreno spoglio d'ogni parvenza di piacere, e mi affidai alla corrente di sentimenti che attirava la mia anima in un posto lontano, per poi sprofondare, definitivamente, nel nulla.
  
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