Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
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Autore: Nat_Matryoshka    16/05/2011    4 recensioni
"Al solo pensiero che, rinchiuso al Reading Gaol in quel momento avrebbe potuto esserci anche lui, un brivido lo pervadeva da capo a piedi. Cosa avrebbe fatto Lord Kirkland, se avesse soltanto immaginato che suo figlio maggiore si vedeva una volta alla settimana con il suo amante, un affascinante e squattrinato artista francese?"
[FrUk; Scozia/Irlanda || Ambientata nella Londra di fine Ottocento || Presenza di personaggi originali]
Seconda classificata al contest: "Hetalia - Through History Contest!" indetto da Lalani sul forum di EFP.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Douce France
 




 


“They say, Lady Hunstanton, that when good Americans die they go to Paris.”
“Indeed? And when bad Americans die, where do they go to?”
“Oh, they go to America.”

“Si dice, Lady Hunstanton, che quando gli Americani buoni muoiono vadano a Parigi.”
“Sul serio? E quando i cattivi Americani muoiono, dov’è che finiscono?”
“Oh, in America”.

[Oscar Wilde, A Woman of No Importance, 1893].
 
 




 
Parigi, 1910.


Era molto tempo che non tornava a Parigi. Della città dell’amore, la splendida capitale francese, la città dell’arte e dei divertimenti, si era fatto per anni un’idea tramite le cartoline portate dalle dame loro amiche ai suoi genitori, i libri illustrati e i racconti di Francis, che non perdeva occasione di cantarne le lodi, rammaricandosi di quanto gli mancasse il suo cher pays, con gli Champs Elysées, la Tour Eiffel e il novero di musei che costituivano l’orgoglio della sua nazione. Si era riproposto molte volte di visitarlo, quel paese di cui aveva tanto sentito parlare, ma vari eventi indipendenti dalla sua volontà non gliel’avevano permesso, almeno fino a quando non aveva deciso di trascorrerci qualche periodo dell’anno.
Sballottato a destra e a sinistra dalla guida fin troppo sportiva del tramviere, Arthur si godeva i primissimi minuti del suo ritorno nel peggiore dei modi: il viaggio in nave gli aveva provocato la solita nausea (col suo seguito di disturbi intestinali che era meglio non approfondire in dettaglio), facendogli sperare che, almeno a terra, si sarebbe potuto rilassare con un piacevole giro turistico della città…  ma evidentemente si sbagliava. Del resto, lo aveva sotto gli occhi un esempio di francese modello, con le sue bizzarrie e le complicazioni che aggiungeva ad ogni azione, anche la più dannatamente semplice: come poteva non averci pensato? Se ci aggiungeva il fatto che non riusciva ancora ad abituarsi a quella dannata lingua così diversa dal suo splendido inglese, gli sembrava di diventare pazzo.
La sua compostezza tutta britannica, però, era difficile da far vacillare, almeno in apparenza, e anche in quel caso riuscì a controllarsi; lo aspettava una visita importante, e sentiva di poter resistere a quel pazzo che aveva deciso di attentare alla sua digestione almeno per un altro po’.
Il sole splendeva, più caldo e vivace che a Londra, doveva ammetterlo. Dopo tante giornate trascorse con l’impermeabile addosso, a correre da una parte all’altra per non farsi bagnare dai rivoletti gelidi che sembravano provare piacere nel colargli lungo il viso e i capelli, sentirsi accarezzare dolcemente dai raggi di un sole ancora tiepido di aprile era decisamente gratificante. Chiuse gli occhi, beandosi di quel “regalo” concessogli dalla sorte, e proseguì per il suo cammino, addentrandosi per le strade affollate della città.
Era più di un anno che non si vedevano, ma aveva deciso che, prima di rincontrarlo, sarebbe andato a far visita ad un altro amico che avrebbe molto gradito la sua presenza. Non era molto pratico della zona, nonostante Francis abitasse a Parigi dalla nascita – soggiorni inglesi a parte – e l’avesse portato in giro praticamente per mezza città, ragion per cui si era fermato a chiedere informazioni in un caffè sulla riva della Senna, esibendo il suo pessimo accento forzato che lo qualificava come anglais già a sentirlo parlare da una certa distanza.
Il Père Lachaise, il cimitero monumentale più famoso di Parigi e, forse, di tutta la Francia, aveva l’aria di un luogo maestoso, col suo portale imponente in marmo che accoglieva i visitatori in silenzio. E il silenzio albergava ovunque passasse (sarebbe stato difficile aspettarsi il contrario, anche in un cimitero famoso come quello), dando ad Arthur la sensazione di essere passato attraverso un portale per un’altra dimensione. Un’avventura da racconto di fate, come quelle che credeva di vedere da bambino e che avevano occupato un posto nel suo immaginario anche durante l’adolescenza, nonostante non amasse ammetterlo.
I mausolei erano moltissimi, e ogni tomba aveva una sua particolarità, che fosse una decorazione diversa dalle altre o il segno del passaggio degli ammiratori del defunto, che avevano lasciato messaggi, fiori e quant’altro. Ecco Abelardo ed Eloisa, i celebri amanti la cui storia aveva sempre commosso Niamh, ecco Jacques-Louis David, il pittore neoclassico, ecco Georges Bizet e Frédéric Chopin, musicisti che ricordava dagli esercizi di pianoforte di suo fratello minore, Maria Taglioni, ballerina, Eugéne Delacroix, il pittore preferito da Francis … ogni stradina che girava gli portava un ricordo alla mente, e lui era lì per ricollegarli tra loro con pazienza, con cura, come un bambino che si diverte a cercare conchiglie sulla spiaggia.
La tomba che voleva raggiungere era nel settore più nuovo e, già da lontano, sembrava essere stata visitata da molti: una bella corona di fiori freschi spiccava sul bianco della lapide, rallegrandolo con una nota di colore arancio-rossastro. Rose e gerbere.
Si chinò, depositando il suo piccolo mazzo di viole e accarezzando il marmo freddo con un dito, pensieroso, sillabando a mezza bocca le lettere in rilievo come se non ne comprendesse il significato.
“Lacrime sconosciute riempiranno l’urna della Pietà per lui. Avrà i lamenti degli uomini esiliati … “
“… Per gli esiliati esiste solo il pianto” terminò una voce inconfondibile, col terribile accento indurito dalla pronuncia inglese che la caratterizzava. Gli occhi magnetici di Francis sorridevano assieme alla sua bocca, felice di aver sorpreso il ragazzo in quel momento di raccoglimento. L’aveva sempre pensato, in fondo, che il suo Arthùr era un tipo sensibile.
“Come hai fatto a capire che ero qui? Non ti ho neanche detto a che ora sarei tornato!”
“Oh, mio caro Angleterre, sei più prevedibile di quanto tu non creda di essere” ridacchiò l’altro, spostando indietro i boccoli biondi con uno scatto e sistemando un mazzo di gigli in uno dei vasi di bronzo della tomba. “Volevi visitare un vecchio amico ed era così urgente da farti dimenticare di precisare a che ora saresti stato a casa … visto che solitamonte frequenti noiosi inglesi e qui en France godi unicamente della compagnia dello splendido sottoscritto, ho subito pensato a monsieur Wilde. E ho avuto ragione!” terminò, soddisfatto, contemplando la composizione floreale che aveva creato. I fiori erano tanti, e bellissimi.
Arthur decise di non ribattere: Francis, a dirla tutta, gli era mancato. Quella maniera insopportabile di masticare le parole e restituirle impregnate della sua parlata strascicata, i suoi commenti stupidi e fuori luogo (per di più espressi ad alta voce) sulle signore che incrociavano nei locali notturni, durante le loro “serate mondane”, il ficcanasare continuamente nei suoi affari, come se la vita dell’inglese fosse di dominio pubblico e lui avesse tutto il diritto di sbandierarne al mondo i segreti più inconfessabili … e il modo in cui lo considerava parte integrante della sua vita, un ultimo tassello del puzzle che era andato componendosi per più di dieci anni e che, finalmente, sembrava essersi completato.
“Idiota. Ad ogni modo, hai fatto bene a portargli dei gigli … sembra che non siamo stati i soli, a ricordare che a mister Wilde faceva piacere la compagnia” accennò un sorriso, indicando il marmo dove era segnato il nome dello scrittore. Accanto alle lettere, qualcuno (una donna, a giudicare dal rossetto) aveva stampato un bacio.
 
Lasciarono il Père Lachaise e si addentrarono per le strade di Parigi, sospinti da una brezza leggera. Senza meta, andavano dove le gambe li portavano, trovandosi a percorrere l’Avenue de Champs – Elysées dopo un breve tragitto in tram, stranamente più tranquillo del precedente.
“Allora, come va la vita nel freddo nord?” chiese scherzosamente il francese, sicuro di irritare Arthur, che non mancò di rispondere, sbuffando.
“Freddo nord. Come se abitassi in Islanda! Ad ogni modo, va bene. Ogni volta che torno a casa, mi sembra di essere mancato per una vita intera … anche se le cose, più o meno, sono sempre uguali. Peter sta per sposarsi, a quanto pare … si è trovato una ragazza straniera, viene dall’Australia, pensa te. Mia madre è ovviamente contenta, almeno un figlio ha seguito la strada che lei aveva sempre desiderato.”
Sembrava amareggiato. Francis cercò di riportare la conversazione ad un livello più leggero. “Ah, tuo fratello è sempre stato un tipo originale… Che mi dici di Doireann, invece? Ormai dovrebbe avere sei anni, no?”
Niamh ed Ewan avevano avuto un figlio, ormai grandicello, nato poco dopo il loro matrimonio. Una bambina l’aveva seguito qualche anno dopo, riempiendoli di felicità e rendendo Niamh entusiasta della sua famiglia, tanto da propinare continuamente ad Arthur quegli adorabili e pestiferi nipotini. Circondato da tante famiglie che si formavano, tassello dopo tassello, perfette nel loro amore e nella loro completezza, dichiarare ai suoi genitori che aveva intenzione di trascorrere il resto della sua vita con un uomo non era stato semplice, per Arthur. Ma aveva dovuto affrontare anche quell’ostacolo, con la consapevolezza che la strada per la vita che davvero desiderava non era semplice da percorrere, né tantomeno indolore.

“Li ha compiuti da poco. Lei e Oscar sono due ragazzini fin troppo svegli…  Fanno un sacco di domande, sono due pesti” sospirò, passandosi una mano sul viso con fare stanco. “Per fortuna mia madre e mio padre hanno avuto la delicatezza di non coinvolgerli nelle nostre discussioni. Per il breve periodo che passo con loro si comportano normalmente, vogliono assolutamente imparare il francese e giocano con molta energia, come sempre. Un giorno te li farò conoscere”.
Continuavano a camminare, attraverso le strade di una Parigi che diventava sempre più familiare mano a mano che avanzavano. Insegne, alberi, le prime, sparute automobili che facevano bella mostra accanto ai caffè tirati a lucido, i gruppi colorati di persone che si accalcavano attorno a qualche artista di strada… non era possibile descrivere con poche parole il meraviglioso spettacolo che tutte quelle vite offrivano, in una volta sola. Anche passandovi in mezzo, riuscivano a coglierne solo dei minuscoli frammenti… ma forse, il bello era proprio quello.

Arthur si fermò un attimo, lasciando che Francis lo superasse per guardarlo camminare davanti a se. Ne aveva passate tante, nei tredici anni che erano trascorsi da quel pomeriggio di maggio in cui Oscar Wilde era stato liberato dalla prigione … qualcuno li aveva lasciati, qualcun altro si era affacciato alla vita, matrimoni, imprevisti, riconciliazioni e unioni si erano alternati, come a scandire un ritmo già prestabilito. Nonostante fosse decisamente cresciuto, nel corpo come nella mente, aveva avuto anche lui dei momenti di cedimento, in cui mollare tutto o trovare un motivo per cui desistere dalla sue decisioni sembravano le scelte più augurabili: i suoi genitori non avevano certo preso bene il fatto che fosse omosessuale. Ma in fondo sapeva che sua madre, nella sua dolcezza sempre pronta a perdonarlo, provava per lui lo stesso amore che aveva provato da sempre. Aveva provato ad attaccarsi all’alcool, a fuggire, a tentare di affogare nuovamente in un’immobilità di sentimenti il suo amore …ma non erano soluzioni, quelle, non lo erano mai state: lo aveva compreso dopo altre cadute, dolori, fallimenti.
Oscar Wilde aveva segnato il punto d’inizio della loro amicizia, il capo del filo che aveva unito le loro esistenze da quel giorno lontano del 1894. Aveva rappresentato per loro un artista da ammirare, un poeta di grande fama, un amico, un compagno, e il suo insegnamento permaneva ancora nei loro gesti, nella loro mente, nonostante fossero passati ormai dieci anni dalla sua morte. Perderlo dopo averlo ritrovato era stato, se possibile, come perderlo due volte … ma smarrirsi nei rimpianti non serviva a nulla, se non a rendere le cose più difficili. Il messaggio che mister Wilde gli aveva affidato era stato chiaro: non nascondersi più. Ed era stato proprio il ricordo dello scrittore irlandese e del loro colloquio a dargli coraggio nelle sue scelte successive.
Aveva deciso di abbandonare Londra e di dedicarsi a quella vita da vagabondo per inseguire il sogno di un’esistenza come la desiderava, libera da ogni decisione costretta, libera da chi avrebbe voluto staccarlo dalla compagnia di quello stupido francese, che stava ovviamente facendo il cascamorto con un’amica incontrata per caso, una giovane attrice creola che entrambi avevano conosciuto al Folies-Bergère.
Se qualcuno gli avesse proposto di ricominciare tutto, risparmiandosi tanti dolori ed eliminando gli “errori di percorso” che l’avevano caratterizzata, rinunciando però all’amore di Francis, sapeva che avrebbe risposto di no.

“Arthùr! Qu’est-ce-que tu fais? Non puoi restare lì impalato!”
 
Sorridendo, il giovane inglese si affrettò a raggiungere l’altro, fingendosi scocciato. Ripresero a passeggiare, immersi così tanto nel tepore della giornata di aprile da dimenticare persino dove si trovassero.
“Ti vedo fin troppo pensieroso, Arthùr. Sei sicuro di star bene?”
“Che vuoi che abbia? Certo che sto bene! Devo riabituarmi al clima francese, da noi non spira questo bel venticello” sbuffò, spostandosi un lembo della giacca per rimettersi in ordine. “E le tue manacce dappertutto non mi aiutano.”
Francis tolse la mano dal fianco dell’inglese, sospirando. “Oh Arthùr, tante volte sei così strano che mi viene il dubbio che tu esista veramente. Forse i tuoi amichetti immaginari ti hanno rapito e sostituito con uno di loro travestito da Lord inglese … Aimai-je un rêve?”* concluse, recitando la frase con tono esageratamente drammatico.
“E questa da dove ti viene fuori?”
“Stéphane Mallarmé, mon ami … Imparerai a conoscerlo, non temere”.
 
Arthur Kirkland, trentasei anni da compiere, la tempra silenziosa e impassibile del perfetto inglese, mista ad una dolcezza nascosta e, per questo, ancor più straordinaria. Francis Bonnefoy, quasi trentanove anni, gentiluomo francese dall’apparenza bohemiénne e dai modi da artista romantico, irrimediabilmente innamorato del suo inglese, forse l’unico in grado di tirar fuori i suoi veri sentimenti.
Due uomini completamente diversi ma che, per un bizzarro e splendido gioco del destino, ora camminavano vicini, le dita che si sfioravano con delicatezza, i passi che si sincronizzavano quasi automaticamente, un unico percorso da costruire insieme.
Uniti come le lettere di una parola, continuavano a camminare nel sole del primo pomeriggio, i raggi che li accarezzavano e delineavano i loro corpi, dipingendo le ombre sul marciapiede come affreschi in una cattedrale.
 




*”Ho amato un sogno?” [da “L’Aprés-Midi D’Une Faune, Stéphane Mallarmé]
Referenze delle citazioni: “Les Fleurs Du Mal”, Charles Baudelaire (poesia: Le Léthé) ; "L’Aprés-Midi D’Une Faune" (Stéphane Mallarmé) ; Wikiquotes e la pagina di Facebook "Le Migliori Citazioni di Oscar Wilde" per gli aforismi. Quelli all’interno del discorso di Wilde appartengono a “Lady Windermere’s Fan” (1892) e “An Ideal Husband” (1895).









* Angolo dell’autrice *
… Ed eccoci alla fine!
Mi fa davvero strano vederlo scritto alla fine di una fanfiction, nonostante l’abbia terminata da un bel po’ e ora la stai solo postando: è il termine di un percorso iniziato dopo tantissimi tentennamenti (perché, nonostante adorassi la coppia, mi sembrava sempre di trattarla con poca accuratezza, o di sbagliare qualcosa nel descrivere gli avvenimenti storici o i sentimenti dei personaggi) e terminato con un secondo piazzamento al contest di Lala, davvero inaspettato ma che mi ha portato tantissima gioia. E sapere che la mia storia, i miei OC, la mia caratterizzazione di Francia e Inghilterra vi siano piaciute, mi fa davvero impazzire di felicità… Per questo, e per tutti i commenti, complimenti e incoraggiamenti che mi avete dato, credo che non potrò mai ringraziarvi abbastanza, ragazze <3
Trasmettere il mio amore per Oscar Wilde, Charles Baudelaire e l’atmosfera tipica dell’Età Vittoriana e della Belle Epoque è quasi naturale per me, e credo si sia capito, se non altro da tutte le citazioni che ho sparso qua e là.. E in questo capitolo ho accennato a due personaggi che non vengono nominati direttamente, vediamo chi riesce a riconoscerli XD *i giochini infami di Nat, parte uno*
Penso di scrivere ancora sulla FrUk (e su Scozia e Irlanda, sui quali sto già lavorando su una storia a parte) … Che dire, mi piacerebbe ritrovarvi come pubblico anche in futuro!
Grazie mille a Mareike Tiaycia per aver inserito la storia nelle preferite, e a Color__by che l’ha messa nelle ricordate! Grazie anche a tutti voi recensori e, come sempre, a chi legge e non commenta (ma se vorrete farlo, sappiate che vi risponderò comunque, anche dopo aver terminato di pubblicare).

Alla prossima, e … Più FrUk per tutti! *-*
Nat
   
 
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