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Autore: Evil91    17/05/2011    0 recensioni
Scosse la testa sconfitto osservando il disegno di Radiant vicino a quello della sua chimera.
La sua chimera.
Vederli vicini gli provocò una stretta allo stomaco alla quale non riuscì a non fare caso.
La chimera era un’illusione, un sogno irrealizzabile.
Radiant non gli permetteva di conoscerla e sembrava nascondere qualcosa, possibile che?
[Capitolo 6]
Buona lettura.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Entrò nello studio togliendosi gli occhiali da sole e rivolgendo un sorriso di circostanza alla ragazza appoggiata al bancone che stava parlando con Riccardo che appena lo vide pose fine al discorso e si affrettò a raggiungerlo.
«Ehy ciao Gabe, tutto bene?»
«Non mi lamento. C’è qualche problema col disegno?», guardò il tatuatore che sorrise quasi imbarazzato e fece cenno alla ragazza di prima di avvicinarsi.
La prima cosa che gli saltò agli occhi furono i capelli rosso acceso, poi squadrandola fino ai piedi si immaginò il suo corpo scoperto e quello che immaginò gli fece affiorare un sorrisino sulle labbra.
«Vedi non mi è mai successo, però, lei è Radiant e lui è Gabriel. Visto che non credo vi conosciate mi sembrava giusto fartelo sapere Gabe. Mi avete chiesto lo stesso identico tatuaggio e nello stesso posto quindi non saprei.»
Sentendo quelle parole Gabe, che comunemente non prestava attenzione alle altre persone se non per qualche strano particolare caso, concentrò la sua attenzione sulla ragazza che lo stava guardando con un’espressione serena e al tempo stesso spavalda.
A occhio e croce non le diede più di vent’anni, tuttavia era più propenso a pensare che fosse appena diventata maggiorenne se non fosse stato per la luce che le anima gli occhi: quella luce che i neo diciottenni non potevano conoscere.
«Per me non c’è nessun problema, sempre se per lui va bene. Tanto credo che abbiano significati diversi e quel che conta è ciò che è per me, o no?»
Si ritrovò a fissare quegli occhi marroni, contornati dalla matita nera che li faceva apparire più minacciosi e per qualche secondo il suo cervello si sconnesse del tutto impedendogli di formulare una frase di senso compiuto e facendogli balenare in mente l’idea che un’altra persona che volesse un tatuaggio uguale al suo non fosse solo una coincidenza.
«Che significato ha per te?»
«Ho la faccia di una che lo va a dire al primo sconosciuto che passa? No.», gli sorrise dolcemente, come se non avesse appena detto quelle parole con la stessa noia con la quale si manda via una mosca fastidiosa.
«Senti Rick appena hai un buco libero fammi sapere che così lo facciamo e ci leviamo il pensiero. Ci si vede bello.»
Sentì la mano della ragazza che gli dava qualche pacca sulla spalla e poi la vide uscire dallo studio con la stessa tranquillità con la quale l’aveva vista parlare appena entrato.
«Chi è quella?», Riccardo lo guardò scuotendo la testa e cercando di nascondere un sorriso che però stava nascendo, bastardo e traditore, sulle sue labbra.
«Radiant.»
La smorfia e il sospiro contrariato che fece ebbero l’effetto desiderato ovvero di avere tutta l’attenzione di Riccardo che lasciò perdere il disegno e lo guardò appoggiando il mento alle mani, sinceramente curioso.
«Radiant eh?»
«Esatto Radiant. E non pensarci nemmeno.» lo sguardo che gli rivolse fu più eloquente e fece desistere Gabriel dall’insistere, appunto, su quello che stava pensando.
«Senti, francamente non mi va tanto a genio che la ragazzina abbia il mio stesso tatuaggio.»
«Puoi fartene un altro.», lo fulminò immediatamente facendogli intendere che quell’opzione era fuori discussione, mentre un brivido freddo gli scorreva lungo la spina dorsale.
«Come faccio a trovarla?», l’occhiata dell’amico, perché ormai si conoscevano da anni ed era stato l’unico a poter marchiare la sua pelle, gli fece intuire che non sarebbe stato semplice trovarla.
Ma a lui piacevano le sfide e se quella la doveva considerare come tale, allora era più che intenzionato ad ottenere la vittoria.
«Tu non puoi trovarla perché non vuoi sul serio trovarla.»
«Come mai ho l’impressione che tu la stia proteggendo? Non dirmi che c’è qualcosa che dovrei sapere.», la malizia che mise in quelle parole non passò inosservata all’amico che sbuffò contrariato e gli scoccò un’occhiata per niente amica.
«Sparisci Gabe, devo lavorare.»
Rise divertito e lo salutò sapendo benissimo che se lui era contrario a quella cosa allora Riccardo non avrebbe tatuato niente sulla pelle della ragazza senza il suo consenso. A volte la sua etica morale andava a cozzare con la sua, ma in quell’occasione dovette ammettere che gli faceva abbastanza comodo; soprattutto in vista di un ulteriore incontro scontro con la ragazzina.
Si rimise gli occhiali da sole e una volta infilate le mani nel giubbotto di pelle si avviò verso la macchina fermandosi a guardare la sua immagine di fronte alle vetrine, dietro le quali logicamente le commesse sarebbero corse per ammirarlo.
Era ben conscio dell’effetto che aveva sulle ragazze e doveva ammettere che la cosa lo lusingava parecchio, oltre al fatto che gonfiava il suo ego in modo spropositato, e più volte si era divertito a giocare con queste ultime per poi andarsene senza voltarsi o pentirsi delle sue azioni.
Era giovane, aveva solo ventisei anni e voleva godersi la vita in tutto quello che poteva offrirgli per quello non disdegnava mai nulla che potesse dargli una parvenza di svago.
Si passò una mano fra i capelli fissando i suoi stessi occhi riflessi nel vetro lasciando che i pensieri gli riportassero alla mente parole che aveva sentito da ragazze più o meno innamorate dei suoi “stupendi e magnifici occhi verdi”.
«Soltanto un narcisista come te poteva rimane a fissare il suo riflesso di fronte a delle povere oche che tentano, invano, di far finta di lavorare.»
La voce non del tutto familiare lo riscosse dai suoi pensieri e gli fece spostare lo sguardo sul riflesso che si era affiancato al suo facendogli riconoscere quella ragazza dai capelli rosso fuoco che fissava le commesse del negozio, probabilmente disgustata.
Il suo sguardo cadde su una commessa del negozio, probabilmente quella fissata dalla ragazza, e fu inevitabile il confronto con quella che le stava di fianco.
Ovviamente vinceva la commessa.
«Non sono narcisista.»
Guardò il sorriso di lei e fissò le ciocche di capelli che sfuggivano da sotto il cappuccio che rendeva quasi invisibile il suo viso, fatta eccezione per le labbra rosee e morbide anche ad una prima occhiata; le mani infilate nelle tasche del giubbotto e le spalle leggermente inarcate in avanti gli fecero intuire che dovesse sentire freddo, nonostante fossero agli inizi di maggio.
«Il solo fatto che lo neghi è già di per sé una dichiarazione.»
Finalmente smise di guardare il riflesso di lei e si voltò per guardarla di persona, ovviamente squadrandola con aria si superiorità; quello che lo lasciò interdetto fu il sorrisino di scherno che vide apparire sulle labbra di lei appena i loro occhi si incrociarono.
Erba e fango a confronto.
Non che reputasse brutti gli occhi di lei, tuttavia in quel momento gli ricordavano il fango; quel fango che una volta che ci sei dentro non riesci più ad uscirne.
«Tacere equivale a un sì, di conseguenza devo dedurre che tu mi abbia appena ammesso di essere narcisista.»
«Quanti anni hai?», il tono scontroso con cui lo chiese ebbe il risultato di far ridere la ragazza, della quale si era già scordato il nome, e di far incupire lui che stava seriamente pensando di mandarla a quel paese per fare qualcosa di più costruttivo invece di perdere tempo con lei.
«Non di certo quelli che mi dai tu, venticinquenne.» la frecciatina sulla sua età lo toccò nel profondo aprendo una piccola incrinatura in quella che era la sua autostima che mai era stata intaccata da qualcosa. Nonostante pensasse a se stesso come a un ragazzo di ventisei anni, dato che di lì a fine mese li avrebbe compiuti, non amava che gli venisse ricordata la sua età e sentirselo dire da una ragazzina sfrontata e che sembrava esattamente sapere dove andare a colpire lo faceva irritare più del dovuto.
«Dovresti tenere a freno la lingua ogni tanto, bambina, se non vuoi finire nei guai.»
Ancora quella risata a deriderlo e vide perfettamente l’intenzione di lei di allontanarsi da lui, ma appena tentò di sorpassarlo l’afferrò malamente per il braccio costringendola a fermarsi e a tornare davanti a lui.
Non distolse l’attenzione dagli occhi di lei che passarono, prima confusi dalla sua mano sul suo braccio e poi infuriati al suo viso; quasi avesse l’intenzione di incenerirlo con lo sguardo.
«Sei pregato di lasciarmi il braccio. Io e te non abbiamo tutta questa confidenza che ti permette di toccarmi.»
Lasciò il braccio di lei come se si fosse scottato e rimase immobile a guardarla mentre si allontanava senza degnarlo di un’occhiata o di una parola; mentre dall’altro lato della strada Riccardo lo stava fulminando con lo sguardo.
 

  
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